Questo
capitolo è cronologicamente anteriore
al precedente, ma di poco – qualche giorno.
Non ho una beta. Help.
Vasilissa
(40 anni dopo la disgregazione della faglia)
Erano solo
all’ora di pranzo e Vasilissa si doveva dichiarare stanca;
non c’era da
stupirsi, il palazzo era in completo subbuglio in quei giorni. Non
esisteva
nessun cameriere, inserviente e domestico che non stesse vivendo giorni
di pure
fiamme.
Genya Safin aveva spiegato tutto il reggimento dei domestici del Gran
Palazzo –
ed anche del Piccolo – per la preparazione della festa.
L’Anniversario dei quaranta anni della Disgregazione della
faglia, della Fine
della Guerra Civile e, il più importante, la Riunificazione
di Ravka.
Vasilissa era entrata cheta e con un passo felpato come quello di un
gatto
nella camera, per raccogliere la biancheria sporca.
Non era entrata in una stanza, ma in veri e propri appartamenti. Un
salottino
da ricevimento, grande due volte la stanza di Vasilissa, era separato
da due
ampie porte in frassino bianco – lasciate spalancate
– verso un corridoio
stretto, accompagnato da candele, in quel momento spente.
C’erano tre porte, che
conducevano ad un bagno privato, uno studiolo e una stanza per la
notte,
abbellita da un armadio imponente ed un grande letto a baldacchino. I tre ambienti erano
collegati tra di loro da
fenditure nel muro, ma l’unico modo per accedervi era la
porta bianca. Quando
era chiusa, erano solo poche le persone autorizzate ad aprirle,
fisicamente
proprio; la serratura era stata opera di un fabrikator.
Vasilissa si sentiva sempre rapita dalla bellezza assoluta di quelle
stanze.
Sua madre aveva sempre lavorato al Gran Palazzo come cameriera ed anche
suo
padre, come valletto, lei era nata in quel luogo, certo non in quella
stanza,
decisamente molti metri più in basso, ma era nata
lì, nel Gran Palazzo, come
gli tsarevich. Aveva avuto persino un guaritore
grisha come ostetrico, ad
aiutare sua madre, già che aveva avuto la sgraziata idea di
rovesciarsi nella
stanza.
Così era cresciuta lì, tra quei lussi e ricchezze
che le sembrano assolutamente
inarrivabili. Aveva guardato con dolcezza un tavolino basso,
perfettamente
livellato di un castano pallido, come le ossa, di un ovale perfetto,
con le
gambe curve e i piedi da leone. Sopra era posata una tavola di marmo
giallo
crema, screziato d’arancione, come una gemma
d’ambra.
Affianco al tavolino, c’erano due divanetti ad angolo. Una
era un’ottomana,
l’altra era invece con schienali e braccioli. Sul divanetto,
con i cuscini
pacchiani su cui era cucito fiori d’uncinetto, aveva
osservato un indumento.
Inizialmente aveva pensato fosse una vestaglia da notte, ma era invece
una
blusa di velluto, per ampiezza doveva essere da uomo, ceruleo, con dei
fini
decori arancio, sul colletto e bottoni d’osso.
Così aveva notato dietro il
divano dei pantaloni eleganti, li aveva recuperati ed infilati tutti e
due
nella cesta.
“Buongiorno Lissa!” si era sentita chiamare.
Lei si era voltata leggermente turbata, gli unici due precetti che la
governante Elizaveta ed il maggiordomo Karl si erano sempre e solo
raccomandati
di essere quanto mai più silenziosa possibile. I servi nel
Gran Palazzo
dovevano essere tutti fantasmi, assolutamente invisibili, tranne quando
richiesto.
Aveva incontrato il viso d’ambra, incorniciato negli umidi
capelli corvini arricciati
di una donna.
“Moya Tsaritsa! Buongiorno! Non volevo
disturbarla” aveva detto chinando
il capo in un’ampia riverenza. Si sentiva piena di disagio,
per un secondo era
stata sul punto di dire che non si fosse aspettata la presenza della
regina lì,
nelle camere. Certo, secondo le consuetudini settimanali che aveva
imparato a
mena dito, da quando aveva cominciato a sgambettare per portare il
tè, sapeva
che di norma, in quei giorni, la regina avrebbe dovuto trovarsi ancora
nella
Sala delle Udienze ad ascoltare nobili e popolani, con le loro
rimostranze.
Inoltre, non c’erano guardie davanti la porta.
“Stai ancora sostituendo Marius’ka?”
aveva domandato la regina con
tranquillità. Sua madre aveva detto a Vasilissa che quel
comportamento,
conoscere il nome e le storie della servitù, era qualcosa
che la Regina aveva ereditato
da suo marito, cosa che a Vasilissa sembrava molto intelligente da
fare,
bisogna conoscere le persone che ti stavano sempre a torno.
“Sì, il parto la ha
destabilizzata un po’, moya tsarevica”
aveva ammesso, pensando alla
ragazza più grande che si era presa dei giorni di malattia
per il bambino. La
regina aveva avanzato un passo verso di lei, indossava una vestaglia da
notte
di un color cipria, con decorazioni a volute floreali color argento.
Era una donna più vecchia della madre di Vasilissa, di
qualche anno, ma di una
bellezza stregante, le età invisibile su un volto, che
pareva ancora
bellissimo, e giovane. Sapeva che certi Grisha invecchiavano con una
lentezza
inumana, si diceva che alcuni di essi smettessero di farlo,
addirittura, i più
potenti. Ed esisteva qualcuno di più potente della Regina
Drago?
“Non ti stancare troppo, moya milaya
potrebbe risultare persa senza di
te” le aveva detto con calma serafica la donna. Era sempre
difficile
interpretare la regina, il re era un uomo sempre gentile, gioviale, con
un
sorriso accattivante, mentre lei, potente e fulminante, pareva sempre
tesa. “Nazyalensky
lo sai che non provo vergogna, ma inizio a non avere più
l’età per stare nudo
senza far niente!” aveva sentito una voce chiamare dalle
spalle, da una delle
stanze – la camera da letto.
Vasilissa era arrossita fino alla punta dei capelli,
“Perché non raggiungi la
principessa, per assicurarti che arrivi in tempo a pranzo, pettinata
possibilmente?”
aveva chiesto con nervosismo la regina. “Tutto quello che
desiderate” aveva
risposto Vasilissa prima di congedarsi, portandosi via la camicia e i
pantaloni
del re. Tutto quello che aveva sentito, prima di chiudersi la porta
delle
stanze della koroleva alle spalle era stato un
ringhio degno di un
rigido, “Per tutti i Sankti,
Nikolai!” aveva sentito strepitare.
Aveva
portato gli indumenti a Cignez, che si occupava di tutto il bucato,
più
pregevole. “Dove è il resto?” aveva
domandato, osservando solo i vestiti del
re, “La regina stava ancora utilizzando la biancheria da
letto, quando sono
entrata” aveva commentato con voce colma di imbarazzo,
“Oh” si era lasciato
sfuggire Cignez, era un ragazzo-uomo, con le gote rosse come mele
mature e gli
occhi neri intriganti, dalla forma allungata come un ragazzo shu o del
meridione ravkiano. “Io credo fosse in dolce compagnia del
Re” aveva azzardato
Vasilissa.
Non aveva visto l’uomo, ma riconosceva la blusa come una di
quelle che
indossava di solito il sovrano, oltre, che ovviamente il suo nome.
Era strano, ma gradito.
C’era stato un certo allontanamento tra i due sovrani, almeno
all’interno delle
camere da letto, qualche anno prima il re consorte aveva fatto spostare
gran
parte delle sue cose dagli appartamenti della regina a quelli che
tecnicamente
erano i suoi. In
pubblico, nel
consiglio, nella vita pubblica e politica erano rimasti una coppia
affiatata e
coordinata. Pragmatici, anche.
Ravka non aveva saputo nulla, il mondo intero neanche.
In realtà nessuno aveva saputo, neanche nel palazzo si era
arrivata ad una
risposta.
La regina non aveva preso amanti, né il re aveva anche solo
mai guardato
un’altra donna. Si erano solo allontanati.
Cignez aveva battuto le palpebre, poi aveva sorriso, compiaciuto come
un gatto
su un cuscino, “Forse, forse, il quarantesimo anno della
Ravka unita, li ha
ricordato i loro legami passati” aveva proposto quello.
“Mio buon, Cignez. Io ho smesso di chiedermi cosa e
perché, molto tempo fa”
aveva risposto lei.
Quello aveva annuito, prima di guardare la blusa di velluto.
“Comune, piccola, Lissa hai preso solo i vestiti del
re?” aveva chiesto, “Si,
certo” aveva risposto Vasilissa come se fosse stato ovvio;
Cignez aveva ridacchiato.
“Allora speriamo che il Korol Renzi abbia
degli abiti di scorta negli
appartamenti di sua moglie o dovrà girare per il palazzo,
avvolto nelle tende
del baldacchino … di nuovo” aveva replicato
l’uomo.
Vasilissa era rimasta muta e colta dalla vergogna, sapeva che era
avvenuto una
volta, ma lei a quei tempi, passava le giornate in cucina rubando le
carote
sbucciate dal cuoco; “Non chiamarlo
così” era riuscita a dire alla fine, per
quanto il rimprovero, con gli anni, fosse diventato sterile.
Il re stesso non era sembrato più provato da
quell’orrido soprannome.
Pensava di doverlo raccontare alla principessa, probabilmente sarebbe
stata
contenta. Così con quel pensiero – e
l’ordine di aiutare la nobil donna a
prepararsi – Vasilissa si era diretta nel Corridoio
Principesco. Era chiamato
così, perché nel corso degli anni, le camere dei
principi di Ravka avevano
occupato quelle stanze, una volta trasferiti dal nido –
proprio di fianco gli appartamenti
della regina. Il Corridoio Principesco era in una guglia del palazzo;
un
corridoio raggiungibile solo da una porta nota, se non si conoscevano i
passaggi segreti
Ormai a vivere in quella lungo androne, con pavimenti cesellati,
ritratti di Sankti
ed eroi mitologici, c’era solo la Tret’ya
Tsarevich.
La maggiore, che aveva lasciato le camere quando aveva avuto otto anni,
quasi
non ci aveva abitato – a dir si voglia – per
occupare degli alloggi al Piccolo
Palazzo, non aveva mai fatto ritorno al Corridoio Principesco. Dormiva
ancora nel
regno dei Grisha, in vero. Vasilissa sapeva avesse
solo cambiato
alloggi, in uno dove potesse stare comodo anche il principe consorte,
anche se
sera un Otkazat'sya e i loro due figli.
Lei aveva sentito parlare le due principesse di spostare quando avesse
avuto
l’età adatta uno dei bambini lì, ma la
madre non aveva affatto interesse nel
separarsi da alcuno dei suoi figli.
Il principe invece,
il mezzano, tecnicamente,
in quei giorni era tornato ad abitare quegli alloggi, ma li aveva
lasciati in
precedenza, da giovane per girare il mondo.
Quando Vasilissa era passato davanti alla sua stanza, aveva trovato
invece dei
due soldati di consueto, la guardia adibita ad assicurarsi che nessuno
entrasse
per vili fini. Lui l’aveva salutata con diligenza, lei aveva
ricambiato,
scavalcandolo e continuando.
La terza principessa aveva la camera più lontana.
“Buongiorno
Malachi, buongiorno Lukyan” aveva salutato le due guardie di
palazzo, ritte
come pali davanti la porta della principessa. Malachi indossava
un’uniforme
nera da oprichnik, segno del suo elitarissimo,
riguardo all’altro uomo
vestiva un informe da soldato solo declinata in un bianco candito con
decorazioni viminee color oro. Lo stesso schema di colori del sarafan
di
Vasilissa.
“Buongiorno signorina” lo aveva salutato con garbo
Malachi facendosi da parte,
“Sho sol, Koja Lissa.
Oggi sei più bella delle tselai”
le
aveva detto sfacciato Lukyan.
Vasilissa era arrossita, prima di aprire la porta della terza tsarevich,
prima di scivolare dentro.
Lukyan era gradevole alla vista, alto, con occhi nocciola luccicanti e
capelli
scuri come il mogano. Presa da quel pensiero, non si era accorta delle
condizioni indecenti della camera.
Per poco non era inciampata nei volumi e nelle carte sparse per terra.
“Sho
Sol! Lissa” aveva dichiarato la principessa vivace.
“Moya Tsarevich!”
aveva esclamato Vasilissa non vedendola.
La ragazza era comparsa da sotto un mucchio di coperte.
“Eccomi, eccomi!” aveva
esclamato la ragazza. “Cosa è successo
qui?” aveva chiesto atterrita Vasilissa,
guardandosi intorno, “Ieri era tutto perfetto”
aveva guaito, ricordando la gran
dedizione che ci aveva messo.
Vasilissa era partita come cameriera, ma con il tempo era diventata la
cameriera personale della principessa. O così era da che le
avevano trovato a
giocare a campana in uno dei cortili interni; la nobile signora aveva
tre anni
in meno di lei, ma erano cresciute insieme. Ricordava sua madre
sconvolta
tirarla via, piena di vergogna, mentre bofonchiava scuse. Vasilissa,
come la
principessa, non comprendevano. “Non preoccuparti,
le ragazze stavano solo
giocando” aveva dichiarato il Re consorte con la
sua calma e dolcezza
irresistibile.
“Si, scusa, Lissa! Potrei essermi fatta prendere la mano,
ieri sera non avevo
sonno!” si era giustificata Vasilissa, “Poi
ovviamente mi sono addormentata per
terra e, sankti, che ore sono? Ho perso la colazione
e le udienze. Mamma
sarà infuriata” aveva dichiarato la principessa
come un fiume in piena.
“La regina non è arrabbiata” aveva
stabilito Vasilissa, spostando con un piede
quelle che aveva tutta l’impressione fossero la
raffigurazione di un vasto
bosco. “Dici?” aveva chiesto la principessa,
“No, era terribilmente rilassata”
aveva ammesso la cameriera. Colma di imbarazzo.
“Allora mia sorella sarà furiosa con me”
aveva considerato la principessa.
Quello era più probabile. “Ma
cosa è successo qui?” aveva chiesto
Vasilissa, chinandosi per raccogliere alcuni vecchi volumi. La
principessa
l’aveva guardata con gli occhi blu splendenti, soddisfatta di
quella domanda,
prima di cominciare a sciorinare come risposta: “Be, ieri
sera Juris insisteva
con questa fiaba che aveva sentito da suo padre, che mi aveva dato da
pensare;
quindi, ho iniziato a fare delle ricerche …”
Vasilissa aveva smesso di ascoltarla, preferendo concentrarsi
maggiormente nel
rimettere in ordine quel caos che era esploso nella camera, sembrava
che fosse
passata un’orda di volcra.
“… è così mi sono concessa
ad un’orgia selvaggia con il ministro Babin nella
Cappella principale sotto lo sguardo dell’Apparat!”
aveva terminato soddisfatta
la principessa, piombando sul letto.
I capelli neri sparsi in ogni direzione, con indosso ancora i vestiti
del
giorno prima, con la camicia di cotone ed i pantaloni spessi.
“Molto
interessante, principessa” aveva mentito Vasilissa senza
perdere un briciolo di
credibilità, “Aspetta: hai detto orgia
selvaggia?” aveva sputato fuori,
dimenticato tutta l’educazione e il modo formale a cui doveva
rivolgersi.
“Sì lo ho detto, sì mentivo. Le mie
avventure sentimentali iniziano e finisco
con tu-sai-chi durante l’ultima festa
del burro, dopo troppo kvas.
E solo che avevo l’impressione non mi stessi ascoltando
Lissa” aveva detto la
principessa con un po’ di imbarazzo.
Vasilissa e la principessa Alina avevano ecceduto con le scorte di kvas
rubato
e questo si era tradotto in un comportamento decisamente inappropriato.
La
principessa si era concessa qualche bacio molto audace con una grisha
del Piccolo
Palazzo ed anche lei, solo che non era stato né con un
aitante soldato, né con
qualche domestico, o popolano, ah no, un bel giovane nobile, da cui lei
era
stato consigliato di stare alla larga.
“La regina mi ha comandato di aiutarla a prepararsi per
pranzo” aveva
comunicato alla fine Vasilissa, “Una volta eri più
simpatica” le aveva detto
senza malizia o reale cattiveria la principessa, “Anche
tu” aveva risposto di
getto lei, “Volevo dire: mi dispiace, moya tsarevich”
aveva aggiunto,
senza volersi realmente correggere con una pesante riverenza.
La principessa le aveva lanciato un cuscino, senza grazia,
“Va bene, mi sistemerò
per il pranzo, ma non metterò quello stupido vestito
pervinca che Genya mi ha
fatto fare” aveva considerato con nervosismo la principessa.
“Per i sankti,
direi proprio di no, è orrendo” le aveva detto
Vasilissa, comprensiva. La
principessa aveva riso, piena di gioia. “Giuro una volta
aveva più buon gusto,
sai quella cosa che i grisha sono longevi e compagnia? Credo si
cristallizzino,
anche nella moda” aveva dichiarato Alina, spietata.
Avevano
ordinato i capelli della principessa, e non senza fatica, in una coda
cavallina, che la faceva apparire più alta e slanciata di
quanto non fosse. Non
aveva indossato l’orrido vestito viola, né alcun
altro tipo di vestito
abitudinario delle donne. Aveva indossato una redingote blu brillante a
doppio
petto, con i bottoni di madreperla e code a rondine; con maniche
plissettate
alle spalle, aderenti al braccio e svasata sulle mani. Pantacalze
bianche e
stivali di cuoio neri, lucidi, fino al ginocchio. Decisamente
più in linea ad
un giovane signorotto che una principessa.
Vasilissa aveva visto la giovane principessa avanzare marziale nelle
stanze,
senza aspettare di essere annunciata, fino alla camera privata del
pranzo, quello
dove la famiglia, e gli stretti, si riunivano.
La
cameriera aveva osservato mentre la principessa scivolava su una sedia,
accanto
a suo fratello, il principe, che si era sporto per darle un bacio
delicato
sulla nuca. La tavola contava non pochi avventori: la regina, suo
marito, i
loro tre figli, i due figli della maggiore – due piccoli ed
esuberati pesti –
mancava il principe consorte, c’era il generale Safin con i
capelli rossissimi,
proprio alla destra della regina.
Sedevano anche i due gemelli Baatar, con la moglie di uno
dei due che
sedeva in mezzo, una brillante grisha etherealki con tutte le carte per
essere
materialki. C’era il ministro dell’agricoltura, una
grisha materialki con i
capelli pieni di boccoli e l’ambasciatrice di Novy Zem.
“Quindi Nikolai c’è un particolare
motivo per un tuo così divertente
vestimento?” aveva chiesto Genya Safin sfacciata, mentre
sedeva alla destra
della regina, proprio di fronte al re.
Nikolai Lantsov, re consorte di Ravka, indossava una camiciola, con le
maniche
svasate con i fronzoli di un celeste tenue, in contrasto con dei
pantaloni
piuttosto vivaci, come se fossero stati indumenti pescati alla rinfusa.
“Questa
mattina mi sono svegliato creativo, Genya” aveva risposto lo tsarin
con
un sorriso accattivante. “No, sai quel tipo di camicia
è passata di moda” aveva
insistito la grisha, con espressione luccicante nell’unico
occhio sano, “Nulla di
quello che indosso passa mai di moda” aveva risposto
l’altro con un sorriso soddisfatto
da gatto sornione.
“Oh, Alina ben arrivata, sei in ritardo” aveva
dichiarato la principessa Liliyana
con un tono di voce duro, quando aveva visto la sorella minore.
Le due si somigliavano, avevano lo stesso incarnato color olivigna, i
capelli della
principessa ereditaria erano di un nero più profondo, come
onice lucido. La
morbidezza dell’infanzia che spiccava in Alina, nella futura
regina però si era
completamente assorbita. La Tsarevich Liliyana Nazyalensky
era una donna fatta e finita, fatta di
ferro grisha. Invece, degli abiti principeschi richiesti dal suo ruolo
indossava la kefta più finemente realizzata nella storia dei
vestimenti.
Blu marino, con le maniche così lunghe da strusciare per
terra, con decorazioni
argentee e azzurre di ben tre sfumature diverse, che si inerpicavano
dai bordi
delle maniche, fino ai gomiti, fiorivano dal colletto e si diramavano
sul
petto.
L’unica cosa che rompeva quel suo aspetto di bellezza
assoluta erano alcune
cicatrici sottili e bianche che correvano lungo i palmi, sulle giunture
delle
dita e che, Vasilissa non poteva vedere in quel momento, ma sapeva,
percorrevano l’avambraccio fino ai gomiti.
Una volta Vasilissa aveva sentito dire il Re che avrebbero Lilyana la Koroleva
Renzi.
“Scusami moya sestra” aveva
commentato Alina, colta di sorpresa, “Non
tormentarla troppo” si era inserito Dominik, il figlio
mezzano.
Quando Vasilissa era stata bambina, il principe era stato il ragazzino
più
bello di Ravka. Aveva nove anni, quando Dominik, sedicenne, aveva
abbandonato
le stanze del palazzo per dedicarsi a studi più fruttuosi,
ma da quel momento
era tornato in terra natia diverse volte. Ogni volta che lo aveva visto
tornare
le era parso sempre più attraente.
Somigliava a suo padre, condividevano il sorriso argentino, il naso, lo
sguardo
smaliziato, così come i riccioli biondi. Aveva
però gli stessi occhi blu
zaffiro della regina, come quelli di Alina.
“Anche tu, mi avete lasciato a fare le udienze completamente
da sola” si era
lamentata. “Be, un giorno sarai regina, sarà tutto
sulle tue spalle, dolce
sorelle!” aveva ghignato lui.
Liliyana l’aveva guardato con un certo biasimo,
“Inoltre, ho intrattenuto i
tuoi piccoli malachi!” aveva dichiarato
il principe, raccogliendo
proprio in quel momento il più piccolo dei due principi,
aveva poco più di un
anno. Il bambino più felice del mondo, con guanciotte grasse
e tonde e gli
occhi vispi e bellissimi, con un incredibile attitudine a scatenare
piccolo
tornado quando piangeva.
“Bambini, smettete di litigare” li aveva richiamati
con un’ammonizione quasi
divertita la regina. I suoi capelli erano asciutti, indossava un abito
elegante, ma sopra una kefta raffinata. Era strano guardarla, dietro la
bellezza regale e fulgida, appariva … umana, quando gli
occhi si riempivano
d’amore, per quei tre principi.
Vasilissa si era congedata con quella scena, con Juris,
l’altro piccolo
principe, che correva per sedersi sulle gambe di Alina, mentre la
principessa
Liliyana si lamentava con sua madre di qualcosa. Genya Safin aveva
pungolato
ancora sua maestà il re, per il suo abbigliamento
sconveniente.
Alina non le aveva chiesto di unirsi a loro, aveva smesso da un paio di
anni,
da quando ostinatamente Vasilissa aveva continuato a defilare le sue
offerte,
nonostante desiderasse.
Vasilissa
aveva continuato a fare i suoi doveri, come cercare di mettere in
ordine
definitivamente la stanza della principessa.
Anche senza le due guardi abituali, c’erano sempre qualcuno a
pattugliare i
corridoi, per questo viveva con quello strano senso di
tranquillità – nessuno attaccava
il palazzo da più di un trentennio – per questo si
era lasciata cogliere da un
urlo inaspettato, quando si era sentita prendere per il braccio.
Ritrovandosi infilata in una stanza delle scope e delle altre
rifornimenti.
“Yusuf!” aveva dichiarato quando aveva riconosciuto
l’aiuto cucina. Un ragazzo
giovane, dal naso piatto, gli occhi scuri, di origine suli.
“Santi, Lissa! Ho fatto un casino!” aveva
dichiarato lui.
“Be, ovviamente, o non mi avresti rapito” aveva
sputacchiato lei, quando lui
aveva tolto la mano. “Ho conosciuto una ragazza,
Ania’ka, davvero, fantastica,
bellissima, piena di luce” aveva raccontato. “Sono
contenta per te, Jusuf”
aveva ammesso Vasilissa decisamente confusa da quella confessione.
“Ecco,
Ania’ka è fidanzata con un altro uomo, con cui
dovrebbe sposarsi” aveva ammesso
alla fine, “Sì, lo so. Anatov che lavora nelle
stalle” aveva considerato lei,
se avesse pensato ad una Anya fidanzata avrebbe immaginato fosse quella.
“No, non è Anya Kamirazin!” aveva
dichiarato Yusuf confuso, “Peccato, Anya è
dolce e carina, ma Anatov effettivamente potrebbe ucciderti con un
rastrello”
aveva considerato Vasilissa.
Jusuf
aveva fatto schioccare le labbra, “Sarebbe meglio lo
stalliere. Comunque,
Anyaka la mia, non quella di Anatov, deve sposarsi tra due
settimane” aveva
spiegato.
“Cosa mi stai per chiedere, Yus’ka? Di aiutarti a
fuggire? Di parlare con i
genitori per interrompere il fidanzamento?” aveva chiesto
lei, con leggera
apprensione. “Ania’ka è
incinta” aveva esclamato Yusuf, lasciandola di stucco,
“Congratulazioni?” aveva ipotizzato Vasilissa,
“Bellissimo, sì, ho sempre
desiderato dei bambini, ma avevo sempre voluto sposarmi prima e non
rischiare
di essere accoltellato alla schiena o sfidato ad un duello mortale. Io
so
cucinare, chiedimi di avvelenare qualcuno, ma combattere?”
aveva esclamato
quello allarmato.
“Mi stai per chiedere di aiutarti ad organizzare un
matrimonio a sorpresa? Racimolare
una dote ed evitare un incidente?” aveva chiesto Vasilissa.
“Tutte assieme?” aveva proposto il suo amico,
“Io ho dei soldi da parte, ma so
cosa penseranno, sono uno sguattero suli, mentre lei è
… figlia di mercanti”
aveva buttato fuori.
“Non è Anya Karkoff, figlia del Signore della
Seta? Quella fidanzata con il
giovanissimo duca di Os Grevyakin”
aveva considerato lei, con un
moto di preoccupazione. Specie perché conosceva il
giovanissimo nobile!
L’espressione sul viso di Yusuf si era mostrata terribilmente
esplicativa.
“Sai
Lissa, non capisco tutti questi problemi! Genya sta organizzando tutto
questo
per il secondo ventennio, quando tra dieci anni dovrà
organizzare una cerimonia
ancora più imponente per il Giubileo della Riunificazione e
dopo qualche anno
ci sarà anche quello dell’incoronazione di mia
madre!” aveva dichiarato con un
tono di voce distrutto la principessa Alina, chiamata così
in onore della Sol
Koroleva.
Vasilissa aveva sciolto il nastro dai capelli di Alina, con un
movimento
gentile, lasciando cadere i capelli morbidi sulla schiena.
“Inoltre, sono
nervosa, credo che mia sorella voglia trovarmi un marito! Altrimenti
perché
invitare tutti giovani pretendenti da Fjerda alle Colonie del
Sud?” aveva
chiesto Alina con nervosismo.
“Non le piacerebbe sposarsi, Moya Tsarevich?”
aveva domandato Vasilissa,
pensando a Yusuf e le nozze che dovevano essere evitate
nell’immediato. “Con un
uomo che vorrà che io metta una gonna, impari a cucire e
sorridere a comando?”
aveva chiesto retorica la principessa, “Perdoni la mia
imprudenza, ma né la
Regina né la Principessa mi sembrano così
costrette” aveva considerato
Vasilissa.
Era difficile parlare con Alina a volte, erano cresciute insieme, quasi
coetanei e a quei tempi mentre si divertivano per il Gran Palazzo,
correvano
assieme, sembravano uguali, ma con il tempo, Vasilissa aveva dovuto
ricordare
il suo ruolo, anche nel modo di parlare.
Era difficile non scivolare con un tu, di tanto in
tanto.
Alina aveva sbuffato, “Ovviamente, ma loro sono la Regina e
la Principessa … e
sono grisha, grisha. Mia madre può
trasformarsi in un drago, mia sorella
può creare un tornado, mentre io sono
un’abbandonata” aveva dichiarato con voce
secca.
Vasilissa l’aveva guardata seriamente, certa di avere un
cipiglio sul viso;
incerta su come dover dosare la cattiveria che le era ribollita nelle
viscere.
Amava Alina, come la sorella che non aveva mai avuto e come
l’amica con cui
aveva condiviso ogni cosa. Amava Alina, ma a volte, aveva
l’impressione che il
loro mondo di facesse sempre più distante. Una frattura
inguaribile.
Era la principessa, sua madre era la Regina-Drago, sua sorella avrebbe
un
giorno governato, nessun uomo, neanche il più folle, neanche
se l’avesse
disprezzata – e Vasilissa trovava impossibile che qualcuno
potesse disprezzare
Alina, perché era buona e dolce –
l’avrebbe mai trattata con disonore, neanche
il più stupido.
“Moya Tsarevich, tu sei la principessa di
Ravka, nessun uomo ti dirà mai
come comportarti” le aveva detto con calma Vasilissa senza
rispettare l’etichetta,
decidendo che la sua rabbia non aveva ragioni. Se la principessa
Liliyana aveva
dovuto affrontare nolente la crudeltà del mondo ed il
principe Dominik avesse
cercato l’avventura – e la realtà
– la Regina aveva tenuto la sua figlia minore
lì, con lei, sempre alla vista del suo sguardo.
Alina le aveva
sorriso, attraverso lo
specchio: “Lissa sei sempre così gentile e
disponibile. Lo so, che hai tanto da
fare, ma, comunque, mi ascolti sempre quando mi lamento”
aveva dichiarato
Alina.
“Ci ho fatto il callo, principessa” aveva
dichiarato senza battere ciglia
Vasilissa, “Inoltre è generalmente più
facile che pensare a come sbarazzarmi
del corpo di una principessa lamentosa” aveva aggiunto, un
po’ più mordace.
Alina aveva riso in maniera frizzante e divertita, “Secondo
me Luchya ti
darebbe aiuto senza dubbio, sarebbe già fuori alla porta con
una pala alla
mano” aveva commentato la principessa, Vasilissa aveva
permesso che un sorriso
carico di imbarazzo si delineasse sul suo viso.
Una risata divertita aveva permeato le stanze, una risata onesta,
condivisa tra
due giovanissime donne, che per un momento, erano state amiche di
vecchia data,
anziché principessa e cameriera.
“Presto avremmo il palazzo invaso di gente, di nemici anche.
Dovremmo farci
nascere gli occhi dietro la nuca” aveva detto stanca Alina,
che si era nel
frattempo sfilata la Redingote. “La delegazione fjerdiana
sarà la prima ad
arrivare, me lo hanno detto oggi. Praticamente entro una
settimana” aveva
considerato con voce spenta, “Ovviamente perché la
mamma adora la Regina Mila,
che casualmente ha un figlio maritabile” aveva sputato fuori
Alina.
“Dicono che il principe di Fjerda sia molto bello”
aveva considerato Vasilissa,
ricordava che qualche mese prima era arrivato una miniatura che lo
raffigurava.
Nei ritratti i nobili tentavano di abbellirsi molto, cosa che andava
considerata, se pensava al giovane figlio del Duca Razin che nei
dipinti pareva
la meraviglia del mondo ma dal vivo era piuttosto scadente, ma anche a
parere
del principe Dominik, che era stato ospite recentemente alla Corte di
Ghiaccio,
l’erede di Fjerda rendeva giustizia ai suoi ritratti.
“Non vedo Matthias da quando avevo nove anni, era un
ragazzino assolutamente
goffo e terribilmente triste” aveva raccontato Alina,
“Ci hanno fatto ballare
insieme ma lui era incapace. Durante gli Accordi del Corridoio. Li ho
chiesto
di pattinare con me, sul ghiaccio, ma lui ha preferito rimanere nella
baia a
leggere un vecchio trattato. Se dovessi prendermi per forza un
fjerdiano,
sicuramente vorrei suo cugino Bjorn, certo ha quasi
trent’anni, ma è bello,
coraggioso ed ha ucciso un lupo come Sankt Grigori, peccato che
è diventato
sacerdote di Djel. Ricordo che un paio d’anni fa ha fatto
strizzare le gonne
anche a mia sorella e a mia sorella odia tutt” aveva
raccontato la principessa.
Vasilissa aveva sollevato lo sguardo, ricordando la questione del
prete, “Mi
serve un prete” aveva considerato a mezza-bocca.
“Una confessione di mezzo-pomeriggio? L’Apparat
credo sia in cappella” aveva
considerato Alina, “Potremmo andare!” si era
proposta, saltando su dalla sedia
su cui si era appollaiata.
“No, moya tsarinech. Lei ha lezione di
kerchiano e storia! Ed io non ho
bisogno di confessarmi” aveva vagliato Vasilissa con
gentilezza.
Era
entrata nella cappella principesca, non sotto lo sguardo dei tre santi:
Ilya,
Alina e Gregory. Le finestre erano vetrate colorate, che raffiguravano
i
miracoli dei santi, dai più variopinti colori. Una di queste
raffigurava la
Regina-Drago, alle cui spalle si innalzava la bestia alata. Le luci ed
i colori
creavano una mistura di suggestione e colore. Il pavimento era di
pietra
bianchissima, lucida, nelle pareti, con pavimenti cosmateschi.
Panche di legno affilate per la messa.
Guardava le tre lunette sentendo giudicata.
C’era un uomo ad accendere delle candele, non era ovviamente
l’Apparat, lui
esercitava nella grande basilica cittadina e in quella del palazzo solo
durante
determinate funzioni – matrimoni, funerali e saltuariamente
incoronazioni.
Vasilissa sapeva che c’era stato un tempo che
l’Apparat sobillasse
nell’orecchio dei reali, ma quello accadeva quando erano i
Lanstov al comando e
il prete era un’amorfa figura ambigua. L’uomo che
indossava quella carica era
stato un Soldat Sol, uno dei benedetti di Sankta
Alina Dva Stolba, un
sunsummoner, che aveva partecipato alla distruzione della Faglia e la
caduta
dell’Oscuro. L’Apparat Vladim
era un uomo profondamente religioso e
spirituale, fedele ai suoi santi ma anche ai suoi reali, ma del tutto
disinteressato alle questioni politiche – forse per questo
piaceva abbastanza,
ai ricchi, poveri, nobili e quant’altro.
L’uomo, comunque, non era Vladim, era più giovane,
di poco meno una ventina
d’anni – sapeva che anche lui era un evocatore,
sopra il saio, indossava la
kefta blu con i decori oro fulvo. Non che fosse facile comprenderlo, i sunsummoner
non erano più una rarità, anzi erano piuttosto
comuni, ma differentemente da
altri grisha, possedevano ancora un potere fuori dal comune, che si
rifletteva
nella loro estetica; invecchiavano lentamente.
Il grisha aveva un viso stanco, gli occhi cerchiati dalle occhiaie e
capelli
biondo oro, fragili. “Sho sol, mio
signore” aveva chiamato Vasilissa,
lui si era voltato. “Il sole sta tramontando,
signorina” le aveva detto l’uomo
con voce tetra e spenta. “Non volevo disturbarla prima della
cerimonia
crepuscolare, ma avrei bisogno di un favore, uno importantissimo,
padre” aveva
dichiarato.
Gli occhi chiari del religioso la stavano guardando, “Come ti
chiami?” le aveva
chiesto poi, “Vasilissa Pavlov, sono la
cameriera personale della Tret’ya
Tsarevich[1]”
aveva spiegato con una voce calma; lui aveva annuito calmo.
“Io sono Igor, solo Igor” aveva commentato con voce
spenta, “È un piacere
conoscerla” aveva commentato lei, mentre l’uomo la
guidava a sedersi su una
delle panche. Lasciando in pace l’altare con le candele, ne
erano accese almeno
una ventina. “State cominciando a preparare i festeggiamenti
per il
disfacimento della Faglia” aveva considerato lei.
“Sì, l’Apparat vuole grandi
festeggiamenti. Tutti i sunsummoner sono convocati,
dall’Apparat stesso
alla piccola Saryana, l’ultima nata” aveva
riportato il prete; si era chiesta
come mai quasi o tutti i sunsummoner prendessero
la via religiosa. Forse
era nella loro educazione, sapeva fosse leggermente diversa
“Ho visto le spettacolo di luci del trentennale,
fenomenale” aveva ammesso
Vassilina.
“Credo lo sarà anche quello di
quest’anno, l’Apparat non ha intenzione di far
tramontare il sole per la Festa di Sanka Alina”
aveva spiegato Igor, “Lei
la ricorda la Faglia?” aveva chiesto alla fine lei, non era
andata lì per
parlare della faglia o dell’evoca luce, ma doveva ammettere
di trovare
affascinante tutta quella vicenda, in qualche modo, sapeva fosse una
pagina
nera della storia di Ravka, la distruzione della faglia aveva dato fine
alla
scissione, alla guerra civile, ma aveva anche dato inizio alla guerra
di
confine. Avevano bombardato Os Alta, quando i suoi genitori vivevano
lì,
vivevano anche al Palazzo quando erano entrate gli esseri
d’ombra.
Vassilina era ammirata, da come avessero fatto a sopravvivere i suoi
genitori,
lei aveva vissuto tutta la sua vita nella pace.
Igor aveva scosso il capo, “Sì, è
scomparsa quando avevo cinque anni. Vivevo a
Velijki a Ravka Ovest, era lontana da NovaKirbirsk, ma era comunque
vicina alla
linea della faglia. Si dice che DeKkappel la abbia dipinta da
lì. La ho vista
dissolversi davanti i miei occhi, mentre luccicavo come una
lanterna” aveva
raccontato l’uomo, con un tono quasi dolce.
Igor doveva avere almeno quarantacinque anni, eppure, dal suo viso non
lo
sembrava per nulla. “Ma non sei venuta qui a parlare della
Faglia?” aveva
chiesto Igor con calma, con un sorriso stanco sul viso, delle rughe
d’espressione si erano formate intorno alle labbra.
“No, ma sono sempre stata
interessata. Quaranta anni nell’orologio delle cose non sono
nulla, ma, sono
difficili anche da immaginare e … una volta sono stata sul
dorso della Regina
Drago” aveva confessato con un certo divertimento ed
elettricità, ricordando
quel giorno, con un brivido. Era stata Alina ad insistere. Vasilissa
non poteva
semplicemente crederci.
“Quindi?” aveva chiesto Igor, “Un mio
amico ha bisogno di celebrare delle
giuste nozze il prima possibile” aveva risposto lei.
L’uomo aveva sollevato un sopracciglio;
“Appartengono a due ceti sociali
differenti, lei rischia di sposare un uomo che non ama, solo per
rendere felice
i suoi …” aveva raccontato Vasilissa, piena di
nervosismo, “I soldi non sono un
problema” aveva aggiunto, realizzando forse che al giovane
monaco non doveva
interessare troppo delle quisquiglie romantiche dei servi.
Ovviamente i soldi sarebbero stati un problema, ma la cosa era
decisamente
secondaria. Lei aveva qualcosa da parte, Yusuf anche probabilmente, non
aveva
idea su Anya, ma sperava che la figlia di un mercante si fosse
salvaguardata un
po’, era certa che Cignaz avrebbe offerto qualcosa
– perché era buono ed un
inguaribile romantico – forse anche qualche altro servo
avrebbe aiutato a
pagare una tangente. Se questa storia fosse finita alle orecchie della
principessa Alina non avrebbe messo in dubbio che anche lei avrebbe
voluto
partecipare!
Igor l’aveva guardata, poi aveva sollevato una mano, facendo
ondeggiare due
dita, una piccola scintilla luminosa, come una bolla, s’era
alzata dalle sue
dita, fino ad ingrandirsi. La luce della candela era stata soffocata,
come se
fosse apparso un piccolo sole, aveva illuminato l’intera
cappella. Era come se improvvisamente
nelle stanze della cappella palaziale, fosse sorto il sole. Un caldo
gentile si
era diramato nell’aria, come la mattina presto
d’estate, non troppo afoso, non
troppo soffocante. “Cosa sono i soldi a chi ha il potere del
sole?” aveva
domandato il prete senza che il suo tono tradisse nulla, né
rabbia, ne fame, ne
fastidio. Atona verità.
“Mangiare” aveva risposto senza belligeranza
Vasilissa; perché si era resa
conto di essere a corto di qualsiasi altra risposta. Igor le aveva
sorriso, in
qualche maniera umana, ma l’allegrezza non aveva superato il
confine delle
labbra, gli occhi erano due pozzi di tristezza. Erano gli occhi di un
uomo che
aveva amato e sanguinato per questo, si chiese se lungo la strada per
il
sacerdozio avesse perso qualcuno o se un cuore martoriato lo avesse
guidato per
una vita religiosa. Per un momento Vasilissa fu tentata di chiedere, ma
non era
la sua storia, né da chiedere, né da forzare,
così era rimasta in silenzio. Il
globo lucente aveva sfarfallato, prima di spegnersi e rigettare la
cappella
nella sua luce sussurrata. “Non preoccuparti per il tuo amico
e te, accetto
volentieri di sposarvi” aveva commentato lui, “Ho
un discreto debole per le
storie d’amore osteggiate.” Vasilissa era arrossita
per l’imbarazzo a quel fraintendimento,
“Grazie, padre Igor, che i sankti la
benedicano, non sono io la donna,
ma riporterò la notizia” aveva detto, prima di
congedarsi con un piccolo
sorriso.
[1]
Terza
Tsarevich (Secondo Google almeno). Comunque, nel corso della serie non
abbiamo
mai una Principessa. In russo si usava Tsaverna, però bho,
ho lasciato il
termine neutro. Anche perché Tsarevich è il
termine arcaico, che poi è stato
sostituito con Tsesarevich. La differenza è che gli
Tsarevich erano i figli
(maschi) dell’Imperatore, mentre lo Tsesarevich era il
Figlio-Erede, e gli
altri principi si chiamavano velikiy knjaz (Gran Duca/Gran principe).
Però,
ecco, Ravka è Ravka e non l’Impero Russo e ci sta
che non corrisponda tutto e
la Bardougo non si sia “infognata troppo” con la
linguistica. Morale della
favola: tutti i figli di Zoya sono Tsarevich.