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Autore: RLandH    17/02/2023    0 recensioni
[ POST- ROW; FUTURE!FIC; OCs]
Favole del Mare Vero.
Nel quarantesimo anniversario dalla Dissoluzione della Faglia, Matthias Grimjer viaggia con sua madre, la Buona Regina Mila, a Ravka, forse in cerca di una moglie, forse in cerca di un'identità.
Nel ventottesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, Shu Han si preparava ad avere la sua regina, dopo una lunga guerra sociale, ma i figli del Drago di Ravka hanno i loro piani.
Nel ventiduesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, un gruppo di ragazzini grisha si ritrova costretto ad un viaggio desolante e mortale.
E gli equilibri si spostano ogni volta.
Dal 3 capitolo:
“Quando mi darete la parem?” aveva chiesto la materialki, appena aveva sentito il suono dell’interfono. Parlava nella lingua shu, il suo accento ravkiano era molto più morbido di quello di Elen, segno della sua origine meridionale, forse confinante con Shu da qualche parte. “Vuoi la parem?” aveva chiesto confuso Lu.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Genya Safin, Inej Ghafa, Nina Zenik, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Questo capitolo è cronologicamente anteriore al precedente, ma di poco – qualche giorno.
Non ho una beta. Help.

 

Vasilissa
(40 anni dopo la disgregazione della faglia)

 

Erano solo all’ora di pranzo e Vasilissa si doveva dichiarare stanca; non c’era da stupirsi, il palazzo era in completo subbuglio in quei giorni. Non esisteva nessun cameriere, inserviente e domestico che non stesse vivendo giorni di pure fiamme.
Genya Safin aveva spiegato tutto il reggimento dei domestici del Gran Palazzo – ed anche del Piccolo – per la preparazione della festa.
L’Anniversario dei quaranta anni della Disgregazione della faglia, della Fine della Guerra Civile e, il più importante, la Riunificazione di Ravka.
Vasilissa era entrata cheta e con un passo felpato come quello di un gatto nella camera, per raccogliere la biancheria sporca.
Non era entrata in una stanza, ma in veri e propri appartamenti. Un salottino da ricevimento, grande due volte la stanza di Vasilissa, era separato da due ampie porte in frassino bianco – lasciate spalancate – verso un corridoio stretto, accompagnato da candele, in quel momento spente. C’erano tre porte, che conducevano ad un bagno privato, uno studiolo e una stanza per la notte, abbellita da un armadio imponente ed un grande letto a baldacchino.  I tre ambienti erano collegati tra di loro da fenditure nel muro, ma l’unico modo per accedervi era la porta bianca. Quando era chiusa, erano solo poche le persone autorizzate ad aprirle, fisicamente proprio; la serratura era stata opera di un fabrikator.
Vasilissa si sentiva sempre rapita dalla bellezza assoluta di quelle stanze.
Sua madre aveva sempre lavorato al Gran Palazzo come cameriera ed anche suo padre, come valletto, lei era nata in quel luogo, certo non in quella stanza, decisamente molti metri più in basso, ma era nata lì, nel Gran Palazzo, come gli tsarevich. Aveva avuto persino un guaritore grisha come ostetrico, ad aiutare sua madre, già che aveva avuto la sgraziata idea di rovesciarsi nella stanza.
Così era cresciuta lì, tra quei lussi e ricchezze che le sembrano assolutamente inarrivabili. Aveva guardato con dolcezza un tavolino basso, perfettamente livellato di un castano pallido, come le ossa, di un ovale perfetto, con le gambe curve e i piedi da leone. Sopra era posata una tavola di marmo giallo crema, screziato d’arancione, come una gemma d’ambra.
Affianco al tavolino, c’erano due divanetti ad angolo. Una era un’ottomana, l’altra era invece con schienali e braccioli. Sul divanetto, con i cuscini pacchiani su cui era cucito fiori d’uncinetto, aveva osservato un indumento. Inizialmente aveva pensato fosse una vestaglia da notte, ma era invece una blusa di velluto, per ampiezza doveva essere da uomo, ceruleo, con dei fini decori arancio, sul colletto e bottoni d’osso. Così aveva notato dietro il divano dei pantaloni eleganti, li aveva recuperati ed infilati tutti e due nella cesta.
“Buongiorno Lissa!” si era sentita chiamare.
Lei si era voltata leggermente turbata, gli unici due precetti che la governante Elizaveta ed il maggiordomo Karl si erano sempre e solo raccomandati di essere quanto mai più silenziosa possibile. I servi nel Gran Palazzo dovevano essere tutti fantasmi, assolutamente invisibili, tranne quando richiesto.
Aveva incontrato il viso d’ambra, incorniciato negli umidi capelli corvini arricciati di una donna.
Moya Tsaritsa! Buongiorno! Non volevo disturbarla” aveva detto chinando il capo in un’ampia riverenza. Si sentiva piena di disagio, per un secondo era stata sul punto di dire che non si fosse aspettata la presenza della regina lì, nelle camere. Certo, secondo le consuetudini settimanali che aveva imparato a mena dito, da quando aveva cominciato a sgambettare per portare il tè, sapeva che di norma, in quei giorni, la regina avrebbe dovuto trovarsi ancora nella Sala delle Udienze ad ascoltare nobili e popolani, con le loro rimostranze. Inoltre, non c’erano guardie davanti la porta.
“Stai ancora sostituendo Marius’ka?” aveva domandato la regina con tranquillità. Sua madre aveva detto a Vasilissa che quel comportamento, conoscere il nome e le storie della servitù, era qualcosa che la Regina aveva ereditato da suo marito, cosa che a Vasilissa sembrava molto intelligente da fare, bisogna conoscere le persone che ti stavano sempre a torno. “Sì, il parto la ha destabilizzata un po’, moya tsarevica” aveva ammesso, pensando alla ragazza più grande che si era presa dei giorni di malattia per il bambino. La regina aveva avanzato un passo verso di lei, indossava una vestaglia da notte di un color cipria, con decorazioni a volute floreali color argento.
Era una donna più vecchia della madre di Vasilissa, di qualche anno, ma di una bellezza stregante, le età invisibile su un volto, che pareva ancora bellissimo, e giovane. Sapeva che certi Grisha invecchiavano con una lentezza inumana, si diceva che alcuni di essi smettessero di farlo, addirittura, i più potenti. Ed esisteva qualcuno di più potente della Regina Drago?
“Non ti stancare troppo, moya milaya potrebbe risultare persa senza di te” le aveva detto con calma serafica la donna. Era sempre difficile interpretare la regina, il re era un uomo sempre gentile, gioviale, con un sorriso accattivante, mentre lei, potente e fulminante, pareva sempre tesa. “Nazyalensky lo sai che non provo vergogna, ma inizio a non avere più l’età per stare nudo senza far niente!” aveva sentito una voce chiamare dalle spalle, da una delle stanze – la camera da letto.
Vasilissa era arrossita fino alla punta dei capelli, “Perché non raggiungi la principessa, per assicurarti che arrivi in tempo a pranzo, pettinata possibilmente?” aveva chiesto con nervosismo la regina. “Tutto quello che desiderate” aveva risposto Vasilissa prima di congedarsi, portandosi via la camicia e i pantaloni del re. Tutto quello che aveva sentito, prima di chiudersi la porta delle stanze della koroleva alle spalle era stato un ringhio degno di un rigido, “Per tutti i Sankti, Nikolai!” aveva sentito strepitare.

Aveva portato gli indumenti a Cignez, che si occupava di tutto il bucato, più pregevole. “Dove è il resto?” aveva domandato, osservando solo i vestiti del re, “La regina stava ancora utilizzando la biancheria da letto, quando sono entrata” aveva commentato con voce colma di imbarazzo, “Oh” si era lasciato sfuggire Cignez, era un ragazzo-uomo, con le gote rosse come mele mature e gli occhi neri intriganti, dalla forma allungata come un ragazzo shu o del meridione ravkiano. “Io credo fosse in dolce compagnia del Re” aveva azzardato Vasilissa.
Non aveva visto l’uomo, ma riconosceva la blusa come una di quelle che indossava di solito il sovrano, oltre, che ovviamente il suo nome.
Era strano, ma gradito.
C’era stato un certo allontanamento tra i due sovrani, almeno all’interno delle camere da letto, qualche anno prima il re consorte aveva fatto spostare gran parte delle sue cose dagli appartamenti della regina a quelli che tecnicamente erano i suoi.  In pubblico, nel consiglio, nella vita pubblica e politica erano rimasti una coppia affiatata e coordinata. Pragmatici, anche.
Ravka non aveva saputo nulla, il mondo intero neanche.
In realtà nessuno aveva saputo, neanche nel palazzo si era arrivata ad una risposta.
La regina non aveva preso amanti, né il re aveva anche solo mai guardato un’altra donna. Si erano solo allontanati.
Cignez aveva battuto le palpebre, poi aveva sorriso, compiaciuto come un gatto su un cuscino, “Forse, forse, il quarantesimo anno della Ravka unita, li ha ricordato i loro legami passati” aveva proposto quello.
“Mio buon, Cignez. Io ho smesso di chiedermi cosa e perché, molto tempo fa” aveva risposto lei.
Quello aveva annuito, prima di guardare la blusa di velluto.
“Comune, piccola, Lissa hai preso solo i vestiti del re?” aveva chiesto, “Si, certo” aveva risposto Vasilissa come se fosse stato ovvio; Cignez aveva ridacchiato.
“Allora speriamo che il Korol Renzi abbia degli abiti di scorta negli appartamenti di sua moglie o dovrà girare per il palazzo, avvolto nelle tende del baldacchino … di nuovo” aveva replicato l’uomo.
Vasilissa era rimasta muta e colta dalla vergogna, sapeva che era avvenuto una volta, ma lei a quei tempi, passava le giornate in cucina rubando le carote sbucciate dal cuoco; “Non chiamarlo così” era riuscita a dire alla fine, per quanto il rimprovero, con gli anni, fosse diventato sterile.
Il re stesso non era sembrato più provato da quell’orrido soprannome.


Pensava di doverlo raccontare alla principessa, probabilmente sarebbe stata contenta. Così con quel pensiero – e l’ordine di aiutare la nobil donna a prepararsi – Vasilissa si era diretta nel Corridoio Principesco. Era chiamato così, perché nel corso degli anni, le camere dei principi di Ravka avevano occupato quelle stanze, una volta trasferiti dal nido – proprio di fianco gli appartamenti della regina. Il Corridoio Principesco era in una guglia del palazzo; un corridoio raggiungibile solo da una porta nota, se non si conoscevano i passaggi segreti
Ormai a vivere in quella lungo androne, con pavimenti cesellati, ritratti di Sankti ed eroi mitologici, c’era solo la Tret’ya Tsarevich.
La maggiore, che aveva lasciato le camere quando aveva avuto otto anni, quasi non ci aveva abitato – a dir si voglia – per occupare degli alloggi al Piccolo Palazzo, non aveva mai fatto ritorno al Corridoio Principesco. Dormiva ancora nel regno dei Grisha, in vero. Vasilissa sapeva avesse solo cambiato alloggi, in uno dove potesse stare comodo anche il principe consorte, anche se sera un Otkazat'sya e i loro due figli.
Lei aveva sentito parlare le due principesse di spostare quando avesse avuto l’età adatta uno dei bambini lì, ma la madre non aveva affatto interesse nel separarsi da alcuno dei suoi figli.
 Il principe invece, il mezzano, tecnicamente, in quei giorni era tornato ad abitare quegli alloggi, ma li aveva lasciati in precedenza, da giovane per girare il mondo.
Quando Vasilissa era passato davanti alla sua stanza, aveva trovato invece dei due soldati di consueto, la guardia adibita ad assicurarsi che nessuno entrasse per vili fini. Lui l’aveva salutata con diligenza, lei aveva ricambiato, scavalcandolo e continuando.
La terza principessa aveva la camera più lontana.

“Buongiorno Malachi, buongiorno Lukyan” aveva salutato le due guardie di palazzo, ritte come pali davanti la porta della principessa. Malachi indossava un’uniforme nera da oprichnik, segno del suo elitarissimo, riguardo all’altro uomo vestiva un informe da soldato solo declinata in un bianco candito con decorazioni viminee color oro. Lo stesso schema di colori del sarafan di Vasilissa.
“Buongiorno signorina” lo aveva salutato con garbo Malachi facendosi da parte, “Sho sol, Koja Lissa. Oggi sei più bella delle tselai” le aveva detto sfacciato Lukyan.
Vasilissa era arrossita, prima di aprire la porta della terza tsarevich, prima di scivolare dentro.
Lukyan era gradevole alla vista, alto, con occhi nocciola luccicanti e capelli scuri come il mogano. Presa da quel pensiero, non si era accorta delle condizioni indecenti della camera.
Per poco non era inciampata nei volumi e nelle carte sparse per terra. “Sho Sol! Lissa” aveva dichiarato la principessa vivace. “Moya Tsarevich!” aveva esclamato Vasilissa non vedendola.
La ragazza era comparsa da sotto un mucchio di coperte. “Eccomi, eccomi!” aveva esclamato la ragazza. “Cosa è successo qui?” aveva chiesto atterrita Vasilissa, guardandosi intorno, “Ieri era tutto perfetto” aveva guaito, ricordando la gran dedizione che ci aveva messo.
Vasilissa era partita come cameriera, ma con il tempo era diventata la cameriera personale della principessa. O così era da che le avevano trovato a giocare a campana in uno dei cortili interni; la nobile signora aveva tre anni in meno di lei, ma erano cresciute insieme. Ricordava sua madre sconvolta tirarla via, piena di vergogna, mentre bofonchiava scuse. Vasilissa, come la principessa, non comprendevano. “Non preoccuparti, le ragazze stavano solo giocando” aveva dichiarato il Re consorte con la sua calma e dolcezza irresistibile.
“Si, scusa, Lissa! Potrei essermi fatta prendere la mano, ieri sera non avevo sonno!” si era giustificata Vasilissa, “Poi ovviamente mi sono addormentata per terra e, sankti, che ore sono? Ho perso la colazione e le udienze. Mamma sarà infuriata” aveva dichiarato la principessa come un fiume in piena.
“La regina non è arrabbiata” aveva stabilito Vasilissa, spostando con un piede quelle che aveva tutta l’impressione fossero la raffigurazione di un vasto bosco. “Dici?” aveva chiesto la principessa, “No, era terribilmente rilassata” aveva ammesso la cameriera. Colma di imbarazzo.
“Allora mia sorella sarà furiosa con me” aveva considerato la principessa.
Quello era più probabile. “Ma cosa è successo qui?” aveva chiesto Vasilissa, chinandosi per raccogliere alcuni vecchi volumi. La principessa l’aveva guardata con gli occhi blu splendenti, soddisfatta di quella domanda, prima di cominciare a sciorinare come risposta: “Be, ieri sera Juris insisteva con questa fiaba che aveva sentito da suo padre, che mi aveva dato da pensare; quindi, ho iniziato a fare delle ricerche …”
Vasilissa aveva smesso di ascoltarla, preferendo concentrarsi maggiormente nel rimettere in ordine quel caos che era esploso nella camera, sembrava che fosse passata un’orda di volcra.
“… è così mi sono concessa ad un’orgia selvaggia con il ministro Babin nella Cappella principale sotto lo sguardo dell’Apparat!” aveva terminato soddisfatta la principessa, piombando sul letto.
I capelli neri sparsi in ogni direzione, con indosso ancora i vestiti del giorno prima, con la camicia di cotone ed i pantaloni spessi. “Molto interessante, principessa” aveva mentito Vasilissa senza perdere un briciolo di credibilità, “Aspetta: hai detto orgia selvaggia?” aveva sputato fuori, dimenticato tutta l’educazione e il modo formale a cui doveva rivolgersi.
“Sì lo ho detto, sì mentivo. Le mie avventure sentimentali iniziano e finisco con tu-sai-chi durante l’ultima festa del burro, dopo troppo kvas. E solo che avevo l’impressione non mi stessi ascoltando Lissa” aveva detto la principessa con un po’ di imbarazzo.
Vasilissa e la principessa Alina avevano ecceduto con le scorte di kvas rubato e questo si era tradotto in un comportamento decisamente inappropriato. La principessa si era concessa qualche bacio molto audace con una grisha del Piccolo Palazzo ed anche lei, solo che non era stato né con un aitante soldato, né con qualche domestico, o popolano, ah no, un bel giovane nobile, da cui lei era stato consigliato di stare alla larga.
“La regina mi ha comandato di aiutarla a prepararsi per pranzo” aveva comunicato alla fine Vasilissa, “Una volta eri più simpatica” le aveva detto senza malizia o reale cattiveria la principessa, “Anche tu” aveva risposto di getto lei, “Volevo dire: mi dispiace, moya tsarevich” aveva aggiunto, senza volersi realmente correggere con una pesante riverenza.
La principessa le aveva lanciato un cuscino, senza grazia, “Va bene, mi sistemerò per il pranzo, ma non metterò quello stupido vestito pervinca che Genya mi ha fatto fare” aveva considerato con nervosismo la principessa. “Per i sankti, direi proprio di no, è orrendo” le aveva detto Vasilissa, comprensiva. La principessa aveva riso, piena di gioia. “Giuro una volta aveva più buon gusto, sai quella cosa che i grisha sono longevi e compagnia? Credo si cristallizzino, anche nella moda” aveva dichiarato Alina, spietata.

 

Avevano ordinato i capelli della principessa, e non senza fatica, in una coda cavallina, che la faceva apparire più alta e slanciata di quanto non fosse. Non aveva indossato l’orrido vestito viola, né alcun altro tipo di vestito abitudinario delle donne. Aveva indossato una redingote blu brillante a doppio petto, con i bottoni di madreperla e code a rondine; con maniche plissettate alle spalle, aderenti al braccio e svasata sulle mani. Pantacalze bianche e stivali di cuoio neri, lucidi, fino al ginocchio. Decisamente più in linea ad un giovane signorotto che una principessa.
Vasilissa aveva visto la giovane principessa avanzare marziale nelle stanze, senza aspettare di essere annunciata, fino alla camera privata del pranzo, quello dove la famiglia, e gli stretti, si riunivano.

 

La cameriera aveva osservato mentre la principessa scivolava su una sedia, accanto a suo fratello, il principe, che si era sporto per darle un bacio delicato sulla nuca. La tavola contava non pochi avventori: la regina, suo marito, i loro tre figli, i due figli della maggiore – due piccoli ed esuberati pesti – mancava il principe consorte, c’era il generale Safin con i capelli rossissimi, proprio alla destra della regina.  Sedevano anche i due gemelli Baatar, con la moglie di uno dei due che sedeva in mezzo, una brillante grisha etherealki con tutte le carte per essere materialki. C’era il ministro dell’agricoltura, una grisha materialki con i capelli pieni di boccoli e l’ambasciatrice di Novy Zem.
“Quindi Nikolai c’è un particolare motivo per un tuo così divertente vestimento?” aveva chiesto Genya Safin sfacciata, mentre sedeva alla destra della regina, proprio di fronte al re.
Nikolai Lantsov, re consorte di Ravka, indossava una camiciola, con le maniche svasate con i fronzoli di un celeste tenue, in contrasto con dei pantaloni piuttosto vivaci, come se fossero stati indumenti pescati alla rinfusa. “Questa mattina mi sono svegliato creativo, Genya” aveva risposto lo tsarin con un sorriso accattivante. “No, sai quel tipo di camicia è passata di moda” aveva insistito la grisha, con espressione luccicante nell’unico occhio sano, “Nulla di quello che indosso passa mai di moda” aveva risposto l’altro con un sorriso soddisfatto da gatto sornione.
“Oh, Alina ben arrivata, sei in ritardo” aveva dichiarato la principessa Liliyana con un tono di voce duro, quando aveva visto la sorella minore.
Le due si somigliavano, avevano lo stesso incarnato color olivigna, i capelli della principessa ereditaria erano di un nero più profondo, come onice lucido. La morbidezza dell’infanzia che spiccava in Alina, nella futura regina però si era completamente assorbita. La Tsarevich Liliyana
Nazyalensky era una donna fatta e finita, fatta di ferro grisha. Invece, degli abiti principeschi richiesti dal suo ruolo indossava la kefta più finemente realizzata nella storia dei vestimenti.
Blu marino, con le maniche così lunghe da strusciare per terra, con decorazioni argentee e azzurre di ben tre sfumature diverse, che si inerpicavano dai bordi delle maniche, fino ai gomiti, fiorivano dal colletto e si diramavano sul petto.
L’unica cosa che rompeva quel suo aspetto di bellezza assoluta erano alcune cicatrici sottili e bianche che correvano lungo i palmi, sulle giunture delle dita e che, Vasilissa non poteva vedere in quel momento, ma sapeva, percorrevano l’avambraccio fino ai gomiti.
Una volta Vasilissa aveva sentito dire il Re che avrebbero Lilyana la Koroleva Renzi.
“Scusami moya sestra” aveva commentato Alina, colta di sorpresa, “Non tormentarla troppo” si era inserito Dominik, il figlio mezzano.
Quando Vasilissa era stata bambina, il principe era stato il ragazzino più bello di Ravka. Aveva nove anni, quando Dominik, sedicenne, aveva abbandonato le stanze del palazzo per dedicarsi a studi più fruttuosi, ma da quel momento era tornato in terra natia diverse volte. Ogni volta che lo aveva visto tornare le era parso sempre più attraente.
Somigliava a suo padre, condividevano il sorriso argentino, il naso, lo sguardo smaliziato, così come i riccioli biondi. Aveva però gli stessi occhi blu zaffiro della regina, come quelli di Alina.
“Anche tu, mi avete lasciato a fare le udienze completamente da sola” si era lamentata. “Be, un giorno sarai regina, sarà tutto sulle tue spalle, dolce sorelle!” aveva ghignato lui.
Liliyana l’aveva guardato con un certo biasimo, “Inoltre, ho intrattenuto i tuoi piccoli malachi!” aveva dichiarato il principe, raccogliendo proprio in quel momento il più piccolo dei due principi, aveva poco più di un anno. Il bambino più felice del mondo, con guanciotte grasse e tonde e gli occhi vispi e bellissimi, con un incredibile attitudine a scatenare piccolo tornado quando piangeva.
“Bambini, smettete di litigare” li aveva richiamati con un’ammonizione quasi divertita la regina. I suoi capelli erano asciutti, indossava un abito elegante, ma sopra una kefta raffinata. Era strano guardarla, dietro la bellezza regale e fulgida, appariva … umana, quando gli occhi si riempivano d’amore, per quei tre principi.
Vasilissa si era congedata con quella scena, con Juris, l’altro piccolo principe, che correva per sedersi sulle gambe di Alina, mentre la principessa Liliyana si lamentava con sua madre di qualcosa. Genya Safin aveva pungolato ancora sua maestà il re, per il suo abbigliamento sconveniente.
Alina non le aveva chiesto di unirsi a loro, aveva smesso da un paio di anni, da quando ostinatamente Vasilissa aveva continuato a defilare le sue offerte, nonostante desiderasse.

 

 

Vasilissa aveva continuato a fare i suoi doveri, come cercare di mettere in ordine definitivamente la stanza della principessa.
Anche senza le due guardi abituali, c’erano sempre qualcuno a pattugliare i corridoi, per questo viveva con quello strano senso di tranquillità – nessuno attaccava il palazzo da più di un trentennio – per questo si era lasciata cogliere da un urlo inaspettato, quando si era sentita prendere per il braccio.
Ritrovandosi infilata in una stanza delle scope e delle altre rifornimenti. “Yusuf!” aveva dichiarato quando aveva riconosciuto l’aiuto cucina. Un ragazzo giovane, dal naso piatto, gli occhi scuri, di origine suli.
“Santi, Lissa! Ho fatto un casino!” aveva dichiarato lui.
“Be, ovviamente, o non mi avresti rapito” aveva sputacchiato lei, quando lui aveva tolto la mano. “Ho conosciuto una ragazza, Ania’ka, davvero, fantastica, bellissima, piena di luce” aveva raccontato. “Sono contenta per te, Jusuf” aveva ammesso Vasilissa decisamente confusa da quella confessione. “Ecco, Ania’ka è fidanzata con un altro uomo, con cui dovrebbe sposarsi” aveva ammesso alla fine, “Sì, lo so. Anatov che lavora nelle stalle” aveva considerato lei, se avesse pensato ad una Anya fidanzata avrebbe immaginato fosse quella.
“No, non è Anya Kamirazin!” aveva dichiarato Yusuf confuso, “Peccato, Anya è dolce e carina, ma Anatov effettivamente potrebbe ucciderti con un rastrello” aveva considerato Vasilissa.

Jusuf aveva fatto schioccare le labbra, “Sarebbe meglio lo stalliere. Comunque, Anyaka la mia, non quella di Anatov, deve sposarsi tra due settimane” aveva spiegato.
“Cosa mi stai per chiedere, Yus’ka? Di aiutarti a fuggire? Di parlare con i genitori per interrompere il fidanzamento?” aveva chiesto lei, con leggera apprensione. “Ania’ka è incinta” aveva esclamato Yusuf, lasciandola di stucco, “Congratulazioni?” aveva ipotizzato Vasilissa, “Bellissimo, sì, ho sempre desiderato dei bambini, ma avevo sempre voluto sposarmi prima e non rischiare di essere accoltellato alla schiena o sfidato ad un duello mortale. Io so cucinare, chiedimi di avvelenare qualcuno, ma combattere?” aveva esclamato quello allarmato.
“Mi stai per chiedere di aiutarti ad organizzare un matrimonio a sorpresa? Racimolare una dote ed evitare un incidente?” aveva chiesto Vasilissa.
“Tutte assieme?” aveva proposto il suo amico, “Io ho dei soldi da parte, ma so cosa penseranno, sono uno sguattero suli, mentre lei è … figlia di mercanti” aveva buttato fuori.
“Non è Anya Karkoff, figlia del Signore della Seta? Quella fidanzata con il giovanissimo duca di Os
Grevyakin” aveva considerato lei, con un moto di preoccupazione. Specie perché conosceva il giovanissimo nobile!
L’espressione sul viso di Yusuf si era mostrata terribilmente esplicativa.

 

“Sai Lissa, non capisco tutti questi problemi! Genya sta organizzando tutto questo per il secondo ventennio, quando tra dieci anni dovrà organizzare una cerimonia ancora più imponente per il Giubileo della Riunificazione e dopo qualche anno ci sarà anche quello dell’incoronazione di mia madre!” aveva dichiarato con un tono di voce distrutto la principessa Alina, chiamata così in onore della Sol Koroleva.
Vasilissa aveva sciolto il nastro dai capelli di Alina, con un movimento gentile, lasciando cadere i capelli morbidi sulla schiena. “Inoltre, sono nervosa, credo che mia sorella voglia trovarmi un marito! Altrimenti perché invitare tutti giovani pretendenti da Fjerda alle Colonie del Sud?” aveva chiesto Alina con nervosismo.
“Non le piacerebbe sposarsi, Moya Tsarevich?” aveva domandato Vasilissa, pensando a Yusuf e le nozze che dovevano essere evitate nell’immediato. “Con un uomo che vorrà che io metta una gonna, impari a cucire e sorridere a comando?” aveva chiesto retorica la principessa, “Perdoni la mia imprudenza, ma né la Regina né la Principessa mi sembrano così costrette” aveva considerato Vasilissa.
Era difficile parlare con Alina a volte, erano cresciute insieme, quasi coetanei e a quei tempi mentre si divertivano per il Gran Palazzo, correvano assieme, sembravano uguali, ma con il tempo, Vasilissa aveva dovuto ricordare il suo ruolo, anche nel modo di parlare.
Era difficile non scivolare con un tu, di tanto in tanto.
Alina aveva sbuffato, “Ovviamente, ma loro sono la Regina e la Principessa … e sono grisha, grisha. Mia madre può trasformarsi in un drago, mia sorella può creare un tornado, mentre io sono un’abbandonata” aveva dichiarato con voce secca.
Vasilissa l’aveva guardata seriamente, certa di avere un cipiglio sul viso; incerta su come dover dosare la cattiveria che le era ribollita nelle viscere.
Amava Alina, come la sorella che non aveva mai avuto e come l’amica con cui aveva condiviso ogni cosa. Amava Alina, ma a volte, aveva l’impressione che il loro mondo di facesse sempre più distante. Una frattura inguaribile.
Era la principessa, sua madre era la Regina-Drago, sua sorella avrebbe un giorno governato, nessun uomo, neanche il più folle, neanche se l’avesse disprezzata – e Vasilissa trovava impossibile che qualcuno potesse disprezzare Alina, perché era buona e dolce – l’avrebbe mai trattata con disonore, neanche il più stupido.
Moya Tsarevich, tu sei la principessa di Ravka, nessun uomo ti dirà mai come comportarti” le aveva detto con calma Vasilissa senza rispettare l’etichetta, decidendo che la sua rabbia non aveva ragioni. Se la principessa Liliyana aveva dovuto affrontare nolente la crudeltà del mondo ed il principe Dominik avesse cercato l’avventura – e la realtà – la Regina aveva tenuto la sua figlia minore lì, con lei, sempre alla vista del suo sguardo.


 Alina le aveva sorriso, attraverso lo specchio: “Lissa sei sempre così gentile e disponibile. Lo so, che hai tanto da fare, ma, comunque, mi ascolti sempre quando mi lamento” aveva dichiarato Alina.
“Ci ho fatto il callo, principessa” aveva dichiarato senza battere ciglia Vasilissa, “Inoltre è generalmente più facile che pensare a come sbarazzarmi del corpo di una principessa lamentosa” aveva aggiunto, un po’ più mordace.
Alina aveva riso in maniera frizzante e divertita, “Secondo me Luchya ti darebbe aiuto senza dubbio, sarebbe già fuori alla porta con una pala alla mano” aveva commentato la principessa, Vasilissa aveva permesso che un sorriso carico di imbarazzo si delineasse sul suo viso.
Una risata divertita aveva permeato le stanze, una risata onesta, condivisa tra due giovanissime donne, che per un momento, erano state amiche di vecchia data, anziché principessa e cameriera.


“Presto avremmo il palazzo invaso di gente, di nemici anche. Dovremmo farci nascere gli occhi dietro la nuca” aveva detto stanca Alina, che si era nel frattempo sfilata la Redingote. “La delegazione fjerdiana sarà la prima ad arrivare, me lo hanno detto oggi. Praticamente entro una settimana” aveva considerato con voce spenta, “Ovviamente perché la mamma adora la Regina Mila, che casualmente ha un figlio maritabile” aveva sputato fuori Alina.
“Dicono che il principe di Fjerda sia molto bello” aveva considerato Vasilissa, ricordava che qualche mese prima era arrivato una miniatura che lo raffigurava. Nei ritratti i nobili tentavano di abbellirsi molto, cosa che andava considerata, se pensava al giovane figlio del Duca Razin che nei dipinti pareva la meraviglia del mondo ma dal vivo era piuttosto scadente, ma anche a parere del principe Dominik, che era stato ospite recentemente alla Corte di Ghiaccio, l’erede di Fjerda rendeva giustizia ai suoi ritratti.
“Non vedo Matthias da quando avevo nove anni, era un ragazzino assolutamente goffo e terribilmente triste” aveva raccontato Alina, “Ci hanno fatto ballare insieme ma lui era incapace. Durante gli Accordi del Corridoio. Li ho chiesto di pattinare con me, sul ghiaccio, ma lui ha preferito rimanere nella baia a leggere un vecchio trattato. Se dovessi prendermi per forza un fjerdiano, sicuramente vorrei suo cugino Bjorn, certo ha quasi trent’anni, ma è bello, coraggioso ed ha ucciso un lupo come Sankt Grigori, peccato che è diventato sacerdote di Djel. Ricordo che un paio d’anni fa ha fatto strizzare le gonne anche a mia sorella e a mia sorella odia tutt” aveva raccontato la principessa.
Vasilissa aveva sollevato lo sguardo, ricordando la questione del prete, “Mi serve un prete” aveva considerato a mezza-bocca.
“Una confessione di mezzo-pomeriggio? L’Apparat credo sia in cappella” aveva considerato Alina, “Potremmo andare!” si era proposta, saltando su dalla sedia su cui si era appollaiata.
“No, moya tsarinech. Lei ha lezione di kerchiano e storia! Ed io non ho bisogno di confessarmi” aveva vagliato Vasilissa con gentilezza.

 

 

Era entrata nella cappella principesca, non sotto lo sguardo dei tre santi: Ilya, Alina e Gregory. Le finestre erano vetrate colorate, che raffiguravano i miracoli dei santi, dai più variopinti colori. Una di queste raffigurava la Regina-Drago, alle cui spalle si innalzava la bestia alata. Le luci ed i colori creavano una mistura di suggestione e colore. Il pavimento era di pietra bianchissima, lucida, nelle pareti, con pavimenti cosmateschi.
Panche di legno affilate per la messa.
Guardava le tre lunette sentendo giudicata.
C’era un uomo ad accendere delle candele, non era ovviamente l’Apparat, lui esercitava nella grande basilica cittadina e in quella del palazzo solo durante determinate funzioni – matrimoni, funerali e saltuariamente incoronazioni.
Vasilissa sapeva che c’era stato un tempo che l’Apparat sobillasse nell’orecchio dei reali, ma quello accadeva quando erano i Lanstov al comando e il prete era un’amorfa figura ambigua. L’uomo che indossava quella carica era stato un Soldat Sol, uno dei benedetti di Sankta Alina Dva Stolba, un sunsummoner, che aveva partecipato alla distruzione della Faglia e la caduta dell’Oscuro. L’Apparat Vladim era un uomo profondamente religioso e spirituale, fedele ai suoi santi ma anche ai suoi reali, ma del tutto disinteressato alle questioni politiche – forse per questo piaceva abbastanza, ai ricchi, poveri, nobili e quant’altro.
L’uomo, comunque, non era Vladim, era più giovane, di poco meno una ventina d’anni – sapeva che anche lui era un evocatore, sopra il saio, indossava la kefta blu con i decori oro fulvo. Non che fosse facile comprenderlo, i sunsummoner non erano più una rarità, anzi erano piuttosto comuni, ma differentemente da altri grisha, possedevano ancora un potere fuori dal comune, che si rifletteva nella loro estetica; invecchiavano lentamente.
Il grisha aveva un viso stanco, gli occhi cerchiati dalle occhiaie e capelli biondo oro, fragili. “Sho sol, mio signore” aveva chiamato Vasilissa, lui si era voltato. “Il sole sta tramontando, signorina” le aveva detto l’uomo con voce tetra e spenta. “Non volevo disturbarla prima della cerimonia crepuscolare, ma avrei bisogno di un favore, uno importantissimo, padre” aveva dichiarato.
Gli occhi chiari del religioso la stavano guardando, “Come ti chiami?” le aveva chiesto poi, “Vasilissa Pavlov, sono la cameriera personale della Tret’ya Tsarevich[1]” aveva spiegato con una voce calma; lui aveva annuito calmo.
“Io sono Igor, solo Igor” aveva commentato con voce spenta, “È un piacere conoscerla” aveva commentato lei, mentre l’uomo la guidava a sedersi su una delle panche. Lasciando in pace l’altare con le candele, ne erano accese almeno una ventina. “State cominciando a preparare i festeggiamenti per il disfacimento della Faglia” aveva considerato lei. “Sì, l’Apparat vuole grandi festeggiamenti. Tutti i sunsummoner sono convocati, dall’Apparat stesso alla piccola Saryana, l’ultima nata” aveva riportato il prete; si era chiesta come mai quasi o tutti i sunsummoner prendessero la via religiosa. Forse era nella loro educazione, sapeva fosse leggermente diversa
“Ho visto le spettacolo di luci del trentennale, fenomenale” aveva ammesso Vassilina.
“Credo lo sarà anche quello di quest’anno, l’Apparat non ha intenzione di far tramontare il sole per la Festa di Sanka Alina” aveva spiegato Igor, “Lei la ricorda la Faglia?” aveva chiesto alla fine lei, non era andata lì per parlare della faglia o dell’evoca luce, ma doveva ammettere di trovare affascinante tutta quella vicenda, in qualche modo, sapeva fosse una pagina nera della storia di Ravka, la distruzione della faglia aveva dato fine alla scissione, alla guerra civile, ma aveva anche dato inizio alla guerra di confine. Avevano bombardato Os Alta, quando i suoi genitori vivevano lì, vivevano anche al Palazzo quando erano entrate gli esseri d’ombra.
Vassilina era ammirata, da come avessero fatto a sopravvivere i suoi genitori, lei aveva vissuto tutta la sua vita nella pace.
Igor aveva scosso il capo, “Sì, è scomparsa quando avevo cinque anni. Vivevo a Velijki a Ravka Ovest, era lontana da NovaKirbirsk, ma era comunque vicina alla linea della faglia. Si dice che DeKkappel la abbia dipinta da lì. La ho vista dissolversi davanti i miei occhi, mentre luccicavo come una lanterna” aveva raccontato l’uomo, con un tono quasi dolce.
Igor doveva avere almeno quarantacinque anni, eppure, dal suo viso non lo sembrava per nulla. “Ma non sei venuta qui a parlare della Faglia?” aveva chiesto Igor con calma, con un sorriso stanco sul viso, delle rughe d’espressione si erano formate intorno alle labbra. “No, ma sono sempre stata interessata. Quaranta anni nell’orologio delle cose non sono nulla, ma, sono difficili anche da immaginare e … una volta sono stata sul dorso della Regina Drago” aveva confessato con un certo divertimento ed elettricità, ricordando quel giorno, con un brivido. Era stata Alina ad insistere. Vasilissa non poteva semplicemente crederci.
“Quindi?” aveva chiesto Igor, “Un mio amico ha bisogno di celebrare delle giuste nozze il prima possibile” aveva risposto lei.
L’uomo aveva sollevato un sopracciglio; “Appartengono a due ceti sociali differenti, lei rischia di sposare un uomo che non ama, solo per rendere felice i suoi …” aveva raccontato Vasilissa, piena di nervosismo, “I soldi non sono un problema” aveva aggiunto, realizzando forse che al giovane monaco non doveva interessare troppo delle quisquiglie romantiche dei servi.
Ovviamente i soldi sarebbero stati un problema, ma la cosa era decisamente secondaria. Lei aveva qualcosa da parte, Yusuf anche probabilmente, non aveva idea su Anya, ma sperava che la figlia di un mercante si fosse salvaguardata un po’, era certa che Cignaz avrebbe offerto qualcosa – perché era buono ed un inguaribile romantico – forse anche qualche altro servo avrebbe aiutato a pagare una tangente. Se questa storia fosse finita alle orecchie della principessa Alina non avrebbe messo in dubbio che anche lei avrebbe voluto partecipare!
Igor l’aveva guardata, poi aveva sollevato una mano, facendo ondeggiare due dita, una piccola scintilla luminosa, come una bolla, s’era alzata dalle sue dita, fino ad ingrandirsi. La luce della candela era stata soffocata, come se fosse apparso un piccolo sole, aveva illuminato l’intera cappella. Era come se improvvisamente nelle stanze della cappella palaziale, fosse sorto il sole. Un caldo gentile si era diramato nell’aria, come la mattina presto d’estate, non troppo afoso, non troppo soffocante. “Cosa sono i soldi a chi ha il potere del sole?” aveva domandato il prete senza che il suo tono tradisse nulla, né rabbia, ne fame, ne fastidio. Atona verità.

“Mangiare” aveva risposto senza belligeranza Vasilissa; perché si era resa conto di essere a corto di qualsiasi altra risposta. Igor le aveva sorriso, in qualche maniera umana, ma l’allegrezza non aveva superato il confine delle labbra, gli occhi erano due pozzi di tristezza. Erano gli occhi di un uomo che aveva amato e sanguinato per questo, si chiese se lungo la strada per il sacerdozio avesse perso qualcuno o se un cuore martoriato lo avesse guidato per una vita religiosa. Per un momento Vasilissa fu tentata di chiedere, ma non era la sua storia, né da chiedere, né da forzare, così era rimasta in silenzio. Il globo lucente aveva sfarfallato, prima di spegnersi e rigettare la cappella nella sua luce sussurrata. “Non preoccuparti per il tuo amico e te, accetto volentieri di sposarvi” aveva commentato lui, “Ho un discreto debole per le storie d’amore osteggiate.” Vasilissa era arrossita per l’imbarazzo a quel fraintendimento, “Grazie, padre Igor, che i sankti la benedicano, non sono io la donna, ma riporterò la notizia” aveva detto, prima di congedarsi con un piccolo sorriso.

 



[1] Terza Tsarevich (Secondo Google almeno). Comunque, nel corso della serie non abbiamo mai una Principessa. In russo si usava Tsaverna, però bho, ho lasciato il termine neutro. Anche perché Tsarevich è il termine arcaico, che poi è stato sostituito con Tsesarevich. La differenza è che gli Tsarevich erano i figli (maschi) dell’Imperatore, mentre lo Tsesarevich era il Figlio-Erede, e gli altri principi si chiamavano velikiy knjaz (Gran Duca/Gran principe). Però, ecco, Ravka è Ravka e non l’Impero Russo e ci sta che non corrisponda tutto e la Bardougo non si sia “infognata troppo” con la linguistica. Morale della favola: tutti i figli di Zoya sono Tsarevich.

   
 
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