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Autore: Ephram    21/02/2023    0 recensioni
"In pochi mesi l'erba e i raccolti iniziarono a morire e con essi anche il bestiame, i pascoli in gran numero ovunque.
Negli ex Stati Uniti già divisi per sempre dalla Grande Guerra Civile del 2063 la situazione era catastrofica quanto nel resto d'Europa, la fame e l'insurrezione costante avevano spinto le autorità a misure drastiche come legge marziale, campi di prigionia di massa a cielo aperto, ed esecuzioni per prevenire il diffondersi del saccheggio e l'omicidio, ormai cosa quotidiana."
Genere: Guerra, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un inquietante luce rossastra illuminava dal mattino al tramonto le fredde giornate invernali nella foresta di Murmansk.
Un sole debole e rossastro dal tipico aspetto invernale tipico di queste latitudini ma con la medesima colorazione del sangue.
Come se ciò non bastasse un fetore acre avvolgeva ogni cosa e sembrava persino attaccarsi ai vestiti come l'unto di una cucina, un odore tipico delle uova marce.
Zolfo.
Durante la fredda notte polare scendeva in intensità per poi salire nuovamente durante il giorno.
Avevo ventuno anni e da alcuni mesi mi ero "trasferito", alias ero fuggito, in questa vecchia baita senza elettricità abbandonata nella foresta che avevo scoperto per pura fortuna.
Tutto era iniziato nel marzo di quest'anno quando in Islanda un vulcano dal nome impronunciabile si era improvvisamente risvegliato nel mezzo della calotta glaciale del Vatnajokull in un prodigioso spettacolo di lunghe cortine di fuoco alte fino ad un chilometro e sviluppando una strana e densa nebbia sulfurea che dopo aver invaso l'Europa aveva poi spinta dai venti fatto il giro dell'emisfero raggiungendo anche gli altri continenti. La "nebbia secca" la chiamavano.
In pochi mesi l'erba e i raccolti iniziarono a morire e con essi anche il bestiame, i pascoli in gran numero ovunque.
Negli ex Stati Uniti già divisi per sempre dalla Grande Guerra Civile del 2063 la situazione era catastrofica quanto nel resto d'Europa, la fame e l'insurrezione costante avevano spinto le autorità a misure drastiche come legge marziale, campi di prigionia di massa a cielo aperto, ed esecuzioni per prevenire il diffondersi del saccheggio e l'omicidio, ormai cosa quotidiana.
Qui in Unione Sovietica io stesso ero un disertore fuggito dall'arruolamento forzato, usato come misura per mantenere il cosiddetto "ordine sociale" in cambio di più derrate alimentari promesse e benefici sociali promessi dal sistema di governo centrale, ma sapevo benissimo che questo ordine sociale prevedeva molto spesso esecuzioni dei dissidenti e deportazione nei Katorga, distretti industriali in aree isolate dell'URSS raggiungibili solo in elicottero, alcuni solo in nave, e in treno, circondato da campi elettrificati da cui era impossibile fuggire e la tua posizione veniva costantemente monitorata da un intelligenza artificiale mediante un chip sottocutaneo.
Probabilmente ci sarei finito pure io vista la mia decisione, ma al momento ero qui.
Spazzai davanti alla porta l'ultima neve neve caduta durante la mattinata e mi affrettai a portare dentro qualche ciocco di legna per il camino.
Il sole stava rapidamente calando e in questo periodo dell'anno le giornate erano assai brevi e le notti gelide.
Il Mar Glaciale Artico era già coperto dalla banchisa nonostante fossimo solo a inizio novembre.
Chiusi la porta alle mie spalle e dopo essermi preparato il sacco a pelo su un vecchio divano in prossimità del caminetto mi preparai a passare l'ennesima fredda notte in questo posto dimenticato dal genere umano. Più o meno come facevo ogni giorno da mesi.

Il mattino successivo non vide il sole, ma piuttosto il bianco della neve. Un bianco più tendente al grigio.
Almeno un piede di neve si era aggiunto al mezzo metro già presente.
Uscendo mi accorsi che l'odore di uova marce si sentiva a malapena mentre l'aria sulla parte del mio viso scoperta dalla sciarpa era fredda e pungente.
Arrancando nella neve con il fucile appeso in spalla, dotato di un apposito silenziatore, mi allontanai dalla baita con la neve che ora arrivava sul bordo dei miei stivali invernali.
Dopo mezzo chilometro di camminata nella neve alta finalmente arrivai sul punto di una vecchia conca naturale dove avevo preparato con l'uso di alcuni lacci una rudimentale trappola per lepri alcuni giorni prima e con sorpresa notai che stavolta avevo avuto successo.
Metà di quello che mi procuravo da mangiare in questo posto derivava dalla caccia, tuttavia ora stava sorgendo il problema che le munizioni iniziavano gradualmente a scarseggiare, di conseguenza avevo dovuto ingegnarmi nella preparazione di trappole fatte a mano con pezzi di corda, reminiscenze di libri digitali che leggevo per passione quando ero un ragazzino.
Le prime settimane passate qui erano state un inferno, avevo patito la fame per diversi giorni finché il fucile che possedevo già da prima della mia diserzione che mi ero portato appresso non era stato il mio colpo di fortuna con l'abbattimento di un cervo.
Da lì avevo gradualmente ripreso le forze.
Per qualche strana ragione la fauna delle foreste di Murmansk non sembrava risentire della "nebbia secca", forse perché la vita selvatica era più resistente, oppure forse la presenza della nube sulfurea era più diluita in questa regione rispetto ad altre aree.
Misi la lepre nella sacca di tessuto che portavo con me e feci il solito giro di routine per controllare se le altre trappole che avevo preparato erano scattate.
Non fui altrettanto fortunato.
Senza perdere altro tempo mi avvisi sulla via del ritorno verso la baita. Il tempo di andata e ritorno nella neve alta consumava molto tempo prezioso, il sole tramontava in fretta e il tempo minacciava ancora neve, ragione per cui l'oscurità sarebbe scesa prima.
Questi non erano i soli problemi.
Più di una volta mi ero imbattuto in carcasse di animali vittime di attacchi di un branco di lupi o addirittura cani selvatici.
Notizie di ritrovamenti simili erano state riportate anche a Murmansk negli anni scorsi, con la differenza che questi erano resti umani.
Negli ultimi decenni il calo demografico e il progressivo abbandono aveva lasciato allo stato brado migliaia di cani che successivamente si erano inselvatichiti come i loro lontani parenti e successivamente riprodotti in una nuova razza di cani selvatici che non temeva neppure le aree urbane.
Esisteva poi il pericolo dei droni che periodicamente circolavano sorveglianza dal cielo diverse zone del paese tentando di identificare possibili fuggitivi, o semplici controlli di routine dove la polizia sovietica non arrivava.
Le ragioni che mi avevano spinto a nascondermi in profondità nella foresta era la limitata visuale del suolo che si poteva avere dall'alto.
In caso di identificazione un fuggitivo veniva abbattuto con una raffica di precisi colpi.
Sospirai al pensiero di tutto ciò.
Arrancando nella neve alta ormai nei pressi della baita, mi accorsi che qualcosa non andava.
Una lunga fila di impronte di scarponi proveniente dal profondo della foresta si allungava fino alla porta della baita senza più uscire. Una sola persona.
Era chiaro che qualcuno era entrato.
Allarmato, mi sfilai il fucile dalle spalle e mi appiattii contro il muro in pietra della baita.
La neve aveva nuovamente ripreso a scendere.
Rimasi in silenzio, in ascolto di eventuali rumori. Tutto taceva.
Lentamente, mi avvicinai alla porta aspettandomi qualunque cosa da un momento all'altro. Non accadde nulla.
Mi avvicinai lentamente e abbassando la maniglia spalancai la porta.
Non accadde nulla.
Entrai, tenendo il fucile puntato di fronte a me, aspettandomi un agguato.
-Chi c'è?- dissi con tono pacato.
Mi guardai intorno ma nella debole luce dalle finestre nulla si muoveva.
Avanzai.
Con il fucile puntato di fronte a me aprii porta dopo porta del primo piano, non trovando anima viva.
Rimanevano le due stanze del secondo piano. Questo aumentò il mio nervosismo.
Lentamente, cercando di non fare troppo rumore nonostante lo scricchiolio del legno salii le scale e aprii la porta del bagno, fuori uso da tempo.
I muri erano ricoperti di muffa e scrostati da tempo. Ma era vuoto.
Improvvisamente la porta della camera da letto dietro di me su spalancò con un colpo, non feci in tempo a voltarmi che una spinta mi spinse in avanti e due mani afferrarono la canna del fucile facendolo puntare verso l'alto.
Il mio dito ancora sul grilletto fece partire un colpo che forò il soffitto. Il colpo venne smorzato dal silenziatore.
Mi voltai di colpo cercando di strattonare via il fucile dalle mani del mio aggressore.
Con una testata in pieno viso la ragazza mi stordì in un flash di capelli biondi e mi spinse contro la parte ammuffita del bagno alle mie spalle.
Era alta come me.
Nonostante lo stordimento iniziale mantenni stretta la presa sul fucile e sentendo il sangue colarmi da naso lo usai in un impeto di adrenalina per spingere l'intrusa lontano da me sbattendola contro lo stipite della porta alle sue spalle.
Le sfuggì un gemito.
Tuttavia mollò con una mano la presa sul fucile e la usò per colpirmi con un pugno in pieno viso. Era forte.
Le assestai un calcio al ginocchio dopo aver ricevuto l'ennesimo pugno in faccia finalmente riuscii a farle perdere l'equilibrio e farla cadere a terra. Lei cercó di trascinarmi giù con lei. Ma riuscii a liberarmi mantenendo salda la presa sul mio fucile.
Non si arrendeva, ma si era chiaramente stancata.
Con il fiato lungo pure io tenni il fucile puntato verso di lei a terra.
-Chi sei? Chi tu manda?-
-Nessuno.- disse lei con voce flebile lo sguardo terrorizzato fisso sul mio. Due occhi di puro ghiaccio con strane iridi blu turchesi.
-Allora cosa ci fai qui?-
-Questa era la baita di un mio amico, credevo non ci fosse nessuno qui..-si giustificò lei.
-Non sei nella condizione mentire, o dici la verità o...-
-Non sto mentendo. È la verità. Sono venuta sola.-
Silenzio. Non sapevo se crederle oppure se stesse mentendo. Di spie sovietiche ce ne erano di tutti i tipi.
La guardai meglio. Lei continuava a fissarmi silenziosa in attesa della sua sentenza.
Aveva l'aria di una che non mangiava da un po. Il viso chiaramente smagrito dalla fame.
La perquisii tasca dopo tasca. Non aveva niente di sospetto, nemmeno un'arma.
-Ce l'hai un nome?- chiesi.
-Yelena Nuamova- rispose.
Gli tesi una mano.
-Novomir Rustov.- la aiutai a rialzarsi, lei esitò, poi accettò.
-Me ne vado subito- iniziò a dire -non credevo che qui ci fosse qualcuno, ma non sapevo dove altro andare.-
Ormai stava scendendo l'oscurità del tardo pomeriggio e iniziavo a vederla sempre meno.
-Per questa notte puoi restare, ho catturato una lepre, possiamo fare metà se non fai scherzi.- dissi -anch'io credevo fosse abbandonato questo posto.-
-Apparteneva alla famiglia di un mio amico a Murmansk, la città da cui vengo, non lo usavano da anni, tuttavia da mesi sono scomparsi da un giorno all'altro e di loro non si è saputo più niente.-
-Mi spiegherai dopo..-dissi iniziando a scendere le scale per pulirmi almeno il sangue da naso.
-Scusami se ti ho aggredito ma...- non seppe aggiungere altro.
-Mi spiegherai dopo..- ripetei tagliando lì il discorso -..scendi anche tu.-

Quella notte la neve continuò a scendere abbondante a tratti spinta da un forte vento gelido.
Seduti a scaldarci sul divano davanti al fuoco, io e Yelena condividevano la lepre che avevo catturato, per quanto fosse un pasto ben misero era sempre meglio di niente.
La nuova arrivata avrà avuto si o no diciannove anni, sul suo viso erano ancora presenti alcune escoriazioni della recente lotta, come sul mio dopotutto, oltre al fatto che avevo perso sangue da naso avevo anche la schiena che mi doleva in certi punti.
Lei mangiava con l'aria di chi non ha visto niente da mangiare da un bel pezzo, non la biasimavo, dopotutto anch'io ci ero passato durante i primi tempi in cui ero arrivato in questo posto.
Lei era fuggita da Murmansk quando aveva iniziato a girare voce che le forze del KGB dopo aver prelevato i detenuti delle carceri, avevano iniziato a reclutare attivamente anche con l'uso della forza giovani di età tra i diciassette e i venticinque anni come forze di riserva per sedare le insurrezione armate fuori controllo che da mesi si consumavano nella gelida Siberia.
Tutti quelli che si rifiutavano venivano spediti sui primi treni nei campi di rieducazione Katorga.
-Tu perché sei qui?- mi chiese Yelena.
-Disertore.- risposi, una parola che diceva tutto. Le raccontai la mia breve storia di come tutto era iniziato e come ero arrivato a nascondermi in questa foresta.
Quando finii ci fu un breve silenzio di riflessione rotto solo dal fuoco che crepitava nel camino riscaldando il resto di questa stanza, fortunatamente non troppo grande.
-Da quanto tempo è che sei in questo posto?- mi chiese.
-Diversi mesi, i primi tempi è stata dura ma le opzioni non erano molte.- dissi.
-A Murmansk le cose stanno peggiorando in fretta a causa di questa "nebbia secca"- mi raccontò lei -la fame è cronica e le proteste ormai non si contano più, anche le esecuzioni sono ormai sempre più frequenti, ma mantengono l'ordine solo per periodi sempre più brevi. Siamo inoltre sempre più sorvegliati e sospettano ormai l'uno dell'altro.-
Peggio di quanto pensassi, pensai.
-I tuoi genitori?- le chiesi.
-I miei genitori vivono a Vladivostok, mi sono trasferita a Murmansk perché volevo allontanarmi il più possibile da quella famiglia. Ora invece mi mancano. I tuoi?-
-Mai conosciuti. Sono cresciuto in un orfanotrofio e poi finito a lavorare in un acciaieria,- dissi -come vanno invece le cose nel resto del mondo?-
Yelena sospirò.
-Ti faccio una sintesi. In Inghilterra vige la legge marziale e il Tamigi è ghiacciato per lunghi tratti. L'Oklahoma sta preparando una coalizione di stati contro il Texas e l'Islanda è stata completamente abbandonata mesi fa in quanto l'eruzione sul Vatnajokull non mostra segni di fermarsi e la nube sulfurea è un grosso problema, queste sono le ultime notizie che ho saputo.-
-Direi che noi in confronto ce la passiamo discretamente, dove siamo ora.- dissi.
-Almeno finché non ci troveranno.- rispose Yelena.
-Preferisco non pensarci.-
-In ogni caso grazie per la cena, domani partirò con le prime luci.-
-Per andare dove? Se resti credo che almeno potremmo aiutarci a vicenda, o almeno provarci.-
-Non credo sia una buona idea. Più persone siamo più sono le possibilità di essere localizzati. Non credo che nemmeno tu voglia questo.-
-Per quanto ho visto non c'è niente in questa foresta oltre che a questa baita in un raggio di decine di chilometri. Nell'improbabile possibilità che ti abbiano seguita ormai la neve avrà ormai coperto le tue tracce.-
-Forse, ma ci sono i droni che girano, l'hai dimenticato?-
-La foresta è gli alberi sono troppo fitti affinché si possa vedere qualcosa di concreto, e finora non ne ho visto nemmeno uno.- spiegai.
Una parte di me diffidava di lei dal momento che era una perfetta sconosciuta.
L'altra metà invece sperava che lei rimanesse dal momento che tutti quei mesi di solitudine avrebbero fatto impazzire chiunque, al mio posto.
Mi alzai e andai alla finestra.
La foresta era oscura ma nella debole luce della finestra vedevo che la neve continuava a scendere fitta e si stava accumulando.
-Domani difficilmente riusciremo a muoverci di qui, sta nevicando parecchio.- la informai.
Un attimo di silenzio. Stava riflettendo.
-Va bene. Accetto di restare. Per il momento- disse infine.
Guardai nuovamente fuori dalla finestra, poi lei.
Speravo vivamente di non dovermi pentire di quella scelta.

Le settimane trascorsero in fretta.
Gradualmente io presi confidenza con Yelena anche se lei manteneva un certo limite con questo genere di cose.
Dopotutto anche io per lei ero un estraneo.
Le insegnai a preparare trappole a 4 lacci e dove piazzarle, e dopo un paio di settimane le insegnanti addirittura come usare il fucile e fare pratica con esso.
L'importante quando lo si usava per andare a caccia era rimanere silenziosi.
Due persone indubbiamente coprivano più spazio per piazzare trappole, quindi maggiori probabilità di successo.
La selvaggina non sembrava mancare nella foresta di Murmansk e furono settimane molto migliori dopo il suo arrivo, nonostante la reciproca diffidenza.
Ma oltre al penetrante odore di uova marce tipico dello zolfo e alla perenne luce rossastra nei giorni di cielo terso a causa dell'effetto dei solfati che riflettevano la luce solare amplificando i rossi, le giornate stavano diventando più brevi.
Lo strato di neve alla base degli alberi cresceva diventando sempre più spesso settimana dopo settimana, nevicata dopo nevicata, e le temperature continuavano a scendere.
Uscire durante la notte stava diventando sempre più proibitivo. Talvolta l'aria era così fredda che faceva male anche solo respirarla.
Nonostante io e la nuova arrivata fossimo ormai in sintonia e avessimo creato una nostra routine giornaliera, presto sarebbe stato necessario fare una scelta.
Restare fino a quando non fosse scesa la lunga notte polare, oppure andarsene e cercare in un rifugio più appropriato.
Nel frattempo la neve aveva già iniziato a scendere sempre più di frequente.
Già da alcuni decenni si sapeva che gli inverni stavano diventando sempre più rigidi a causa di una ridotta attività delle macchie solari che sarebbe durata per più di un secolo come era già successo nel millennio scorso. Ma sapevo che anche i solfati vulcanici avevano una brutta reputazione di causare inverni rigidi.
Sentii freddo dentro all'idea del futuro che ci aspettava.

Quella notte mi svegliò un incubo.
Ci avevano trovato.
Mi alzai e guardai fuori dalla finestra.
Il cielo era terso, era una notte profonda, un abisso stellato che ci guardava dall'alto, e i tizzoni nel camino erano poche braci che emettevano i loro ultimi residui di calore.
Yelena dormiva sul divano, io invece in un letto improvvisato con il mio sacco a pelo, alcuni cuscini logori e il materasso della camera da letto di sopra per proteggermi dal freddo del pavimento.
Dormire di sopra era impossibile dal momento che era troppo freddo e il riscaldamento in questa vecchia baita era fuori uso da molto tempo.
Questa stanza era quella che rimaneva più calda a lungo.
Se fuori erano meno trenta gradi qui dentro erano almeno quindici sopra lo zero.
Per essere così vecchia la baita era ancora ben isolata dal gelo esterno.
Dal momento che non riuscivo più a prendere sonno decisi di fare quattro passi fuori. Avevo bisogno di una boccata di aria fresca per schiarirmi le idee.
Fortunatamente aveva smesso di nevicare, anche se era caduto mezzo metro di neve.
Mi vestiti e indossai gli abiti pesanti per l'esterno.
Troppi pensieri. Dovevo riflettere sul futuro prossimo. Fare dei programmi.

Feci due passi nella neve ghiacciata mentre l'aria gelava il mio respiro in microscopiche scintille di ghiaccio, a malapena visibili nel chiarore lunare.
Cercando di non allontanarmi troppo, con le mani in tasca coperte da spessi guanti, camminai tra i gli alberi con i tronchi completamente imbiancati dalla neve spinta dal vento polare.
Era questione di giorni, lo sapevo.
Presto anche la selvaggina avrebbe iniziato a scarseggiare con l'arrivo dell'inverno vero e proprio, e con la presenza della nuda sulfurea le temperature sarebbero state ancora più basse.
Probabilmente io e Yelena saremmo stati costretti a tornare a Murmansk in cerca di qualcosa da razziare, sicuramente munizioni, e probabilmente fare scorte nei nostri zaini per le future tappe.
Era necessario anche elaborare dei piani in quanto oltre ad essere dei ricercati saremmo anche diventati dei fuorilegge, di conseguenza bisognava stare attenti ai droni, alle telecamere di riconoscimento facciale, alle spie e al KGB.
Era una sensazione sgradevole passare da una vita ad una vita di questo tipo, ma le scelte non erano molte.
Con il passare del tempo ci si fa l'abitudine
Ero sicuro che nemmeno Yelena avesse la più pallida idea del proprio futuro, ma ormai la situazione non era più rimandabile, pensare di meno e agire di più.
Dal nord l'oscurità avanzava giorno dopo giorno e le giornate stavano diventando davvero brevi e le notti più lunghe.
Avrei tanto voluto avere con me il mio cellulare ma ero stato costretto a distruggerlo e buttarlo prima di venire qui, per non far tracciare la mia posizione.
Anche Yelena era stata costretta a fare una scelta simile, almeno cosi mi aveva raccontato.
Accidenti, ora iniziavo ad avere davvero freddo.

Guardai le stelle sopra di me, tra le chiome dei pini. Da bambino ero sempre affascinato da esse, dai loro differenti colori, mi affacciavo alla finestra a guardarle con il binocolo.
Loro sarebbero sempre rimaste lì.
Immutate per molto tempo quando le generazioni e i secoli si sarebbero avvicendati cambiando numero.
Cambiamenti che avevamo attraversato anche io e Yelena in pochissimo tempo se comparati alla durata dell'esistenza umana.
Trassi un profondo respiro attraverso la sciarpa che nel gelo si cristallizzò all'istante nel chiaro di luna.
Domani io e Yelena avremmo discusso del nostro futuro.

Mi girai per tornare indietro.
Non mi ero accorto di essermi allontanato così tanto dalla baita.
Stavo per muovermi quando un ringhio mi fece sobbalzare.
Mi voltai e con inquietudine mi resi conto che un lupo grigio si era avvicinato a pochi metri da me, tra gli alberi, in chiara modalità di preattacco con zanne e denti esposti in un basso ringhio.
Merda, pensai.
Stavo per mettermi a correre quando mi resi conto che tutt'intorno a me altre cinque, forse sei, figure si stavano lentamente avvicinando in formazione nella neve. Ero circondato.
Come avevo fatto a non accorgermi della loro presenza?
Cercai un bastone o qualunque cosa per difendermi, ma qualunque cosa ci fosse era sepolto sotto un metro o più di neve ghiacciata.
Il cerchio si strinse.
Valutai in extremis se arrampicarmi su uno degli alberi vicini..
Non ci fu il tempo, perché in un lampo il più vicino coprì la distanza che ci divideva e mi balzò addosso.
Nel riflesso di un mio tentativo di difesa le sue zanne affondarono nel mio braccio attraversando lo spesso tessuto come se non ci fosse.
Lanciai un grido, poi con un greggio cercai di scrollarmelo di dosso e sbatterlo nella neve.
Non mollava la presa, per giunta era incredibilmente forte.
Poi anche il resto del branco mi fu addosso...all'improvviso risuonò un forte colpo, uno sparo, e le bestie mollarono la presa allontanandosi di corsa. Poi rallentarono.
Un'altro colpo e stavolta fuggirono di corsa.
Yelena mi raggiunse tra la neve mezzo insanguinato.
-Come ti hanno conciato..-
Non risposi.

Poche ore dopo nella baita il fuoco era stato ravvivato con legna fresca e la stanza era tornata a riscaldarsi in fretta.
Yelena aveva fasciato le mie ferite.
Avevo un morso al braccio e due sui polpacci.
Non erano gravi, secondo Yelena i diversi strati di spesso tessuto avevano in buona parte protetto la carne dalla forza dei loro morsi.
Sicuramente pochi altri secondi e se mi avessero azzannato la gola sarebbe stato peggio per me.
C'era solo da sperare che le ferite non si infettassero dal momento che non avevamo nulla con cui disinfettarle.
Riuscivo a camminare, anche se con un po di fatica a causa delle fitte provenienti dai punti in cui ero stato morso.
-Grazie ancora per avermi tirato fuori di lì.- dissi.
-Possiamo dire che ormai ci copriamo le spalle a vicenda.- rispose lei con un sorriso mesto.
Poi continuò.
-Ma perché sei uscito a quest'ora di notte? Soprattutto senza fucile.-
-Non riuscivo più a dormire.- dissi -Avevo bisogno di schiarire le idee. Tu perché eri sveglia?-
-Ti ho sentito uscire, poi visto che non arrivavi più ho deciso di venire a vedere se era successo qualcosa.- spiegò.
-Da oggi è meglio che quando usciamo da soli lo diciamo all'altro.- conclusi.
-Sono d'accordo, infatti se non avessi avuto l'idea di portarmi dietro il fucile non avrei potuto fare niente per aiutarti.-
-Non credevo fosse necessario per uscire pochi minuti.- mi giustificai -ormai, hanno sempre meno paura anche di quello.-
-Me ne sono accorta. Dovevano essere davvero affamati.-
-Motivo in più per cui dovremmo fare qualcosa anche noi.- dissi.
-Ci stavo pensando anche io,- confessò Yelena -non possiamo restare qui a lungo, presto le temperature saranno insostenibili e farà buio.-
-Dovremmo tornare a Murmansk, anche se solo per poco, fare scorte di quello che ci serve è soprattutto riusciamo a trovare.-
-E per andare dove?- chiese Yelena.
-Nella Repubblica Sovietica di Finlandia e poi nel Regno di Svezia, ruberemo un mezzo per spostarci più in fretta, se necessario.- spiegai.
Yelena rimase silenziosa, pensandoci.
-Cosa ci dice che la situazione è meglio lì che dove siamo ora, o altrove? Il caos è ovunque. I ghiacciai stanno da anni avanzando li come nel resto del mondo.
Avevano problemi con l'agricoltura già prima della "nebbia secca" figuriamoci ora che sono più vicini all'Islanda, a portata della nube sulfurea.-
Sospirai.
-Allora come primo obiettivo dobbiamo raggiungere Murmansk, riorganizzarsi, e poi trovare un modo per lasciare le Repubbliche Sovietiche.-
-Su questo credo che siamo d'accordo.- disse lei.
-Partiremo domani,- decisi- ormai non c'è più tempo da perdere.-
-E se nevica, e soprattutto nelle tue condizioni?- fece Yelena.
-Le ferite non sono gravi, in ogni caso se nevica durante il tragitto improvviseremo.- dissi.
Ci fu un lungo momento di silenzio.
-Mi piace come lo dici al plurale,- disse Yelena cambiando timbro di voce, -credevo che avrei sempre dovuto cavarmela da sola fino a non molto tempo fa.-
Era la prima volta che la sentivo parlare così.
-Se non fossi arrivata tu, probabilmente sarei stato perduto.- le dissi.
Silenzio.
Nel buio la sua mano cercò la mia intrecciando le mie dita tra le sue.
Guardai il suo viso, illuminato dalla luce ocra del fuoco. Le fiamme nel caminetto facevano risplendere i suoi lunghi capelli in parte ramati in parte biondo dorato.
I suoi occhi blu-turchese si fissarono nei miei.
Poi il suo viso venne incontro al mio.
Accostandomi verso di lei per un istante vidi le sue labbra schiudersi prima che la sua bocca incontrasse la mia.
Un bacio lento. Illuminato dal bagliore del fuoco. Intimo.
Un silenzio totale a tratti rotto solo dallo scoppiettio del fuoco, dello sfrigolare della legna umida e da intimi sciocchi liquidi, nella sua bocca tra la mia.
La stretta della sua mano tra le mie dita si fece più forte. Desiderio.
Il suo corpo si spinse contro il mio sdraiandoci sul divano mentre sopra di me il suo viso scese sul mio annegandomi in una selvatica tempesta di capelli dorati e ramati.
Dopo un interminabile momento le sue labbra si staccarono dalla mia bocca e vicinissimi ci guardammo negli occhi.
Ci spogliammo. Feci attenzione ai punti in cui ero stato morso dai lupi.
Sdraiandoci sul divano tornammo a perderci l'uno nell'altra.
Quella sarebbe stata la nostra ultima notte lì in quella che per un po era stata la nostra casa.
Con le sue dita tra i miei ricci scuri affogai tra quelle labbra schiuse tra le mie, mi strinsi ancora di più a lei sentendo i suoi seni contro il mio petto nudo.
Ci stringemmo l'uno all'altra come due letargiche creature in cerca di calore nella notte invernale.
Il bagliore delle fiamme poco alla volta si fece più debole illuminando a malapena quei momenti fatti di baci, lente carezze, spinte e respiri nei sospiri.
I nostri corpi si muovevano l'uno nell'altro in un sudato amplesso di passione quanto disperazione.
Disperazione per dimenticare la fine delle nostre certezze.
Disperazione per ciò che avevamo perso.
Passione per ciò che ora eravamo.
Poi le fiamme si affievolirono diventando braci e tutto come era iniziato si esaurì.
Completamente nudi, ci addormentammo confortati dal nostro stesso calore.

Il giorno successivo come un monito per il futuro il sole sorse con una nuova alba rossa.
Nonostante il gelo polare, probabilmente sotto i meno trenta gradi, la luce rossastra si rifletteva sul paesaggio innevato creando delle sfumature cristalline nella neve.
Con il fucile in spalla, intabarrato di indumenti pesanti come Yelena, ci avviammo in quel paesaggio invernale rossastro allontanandoci sempre più da quella che fino a pochi minuti fa era stata casa nostra.
Le fitte dove i lupi mi avevano morso erano costanti, mi rallentavano un po, ma erano sopportabili.
Mi guardai intorno con sospetto, dei lupi neanche l'ombra.
La neve ghiacciata scricchiolava sotto i nostri piedi mentre allontanandoci dalla baita mano nella mano io e Yelena ci stavamo dirigendo verso un futuro incerto.
Saremmo tornati a Murmansk poi solo il destino avrebbe voluto cosa sarebbe successo.
Mi voltai a guardare in lontananza la baita per l'ultima volta. Quel posto mi sarebbe mancato.
Yelena sembrò intuire il perché mi fossi fermato. Si abbassò la sciarpa.
Lo feci pure io credendo volesse dirmi qualcosa, invece per tutta risposta mi si avvicinò portando le sue labbra sulle mie.
-Mancherà anche a me.- mi disse quando si separò.
Riprendemmo a camminare nella neve alta.
La foresta era molto cambiata dopo le recenti nevicate e ora con l'effetto di rifrazione della neve, quella luce rossa le dava un effetto ancora più strano.
Sicuramente la "nebbia secca" sarebbe stata parte della nostra vita ancora per molto tempo.
Alzai lo sguardo e appollaiata sul ramo di un albero coperto di neve vidi una civetta delle nevi.





   
 
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