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Autore: Gatto1967    22/02/2023    2 recensioni
Il periodo che Candy passa a Casa Legan non è proprio il più felice nella vita della nostra eroina. Nonostante riesca a farsi benvolere dalla servitù e dai ragazzi Andrew, Neal e Iriza spalleggiati dalla loro degna madre, sono una bella palla al piede per la povera orfana della Casa di Pony.
Il signor Legan poi, per quanto sembri addirittura prenderla in simpatia, è molto assente da casa, e non contribuisce certo al benessere di Candy.
E se... il signor Legan fosse intervenuto?
Se avesse messo in riga moglie e figli?
Sarebbe stato un bene per Candy?
Andiamolo a scoprire...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Terence non cenò a Casa Legan, ma partì quella sera stessa per New York. 

Candy, con la scusa di sentirsi poco bene si ritirò nella sua stanza e lì rimase senza neanche cenare, sdraiata sul suo letto a piangere finché non si addormentò.

 

Ormai rimanevano appena tre settimane da trascorrere lì a Casa Legan. Ai primi di settembre la famiglia Legan sarebbe tornata a Chicago e Candy li avrebbe seguiti, salvo notizie che le fossero giunte da Laporte.

Anche Casa Andrew ormai era vuota, fatta eccezione per la signora Elroy e pochi servitori.

Archie, Annie, Stear e Patty erano già rientrati a Chicago con tante promesse di rivedersi presto.

Quelle persone rappresentavano molto per la compassata e discreta cameriera di Casa Legan, rappresentavano non solo dei cari e preziosi amici, ma anche la possibilità per lei di vivere da normale ragazza adolescente, di vivere i suoi anni, la sua vita.

 

Quelle ultime settimane sarebbero state impiegate soprattutto a rimettere la casa a posto in vista dell’imminente chiusura. A governarla sarebbero rimasti solo i coniugi MacHane, due persone sulla sessantina che governavano quella casa da almeno vent’anni.

Candy e tutti gli altri servitori di Casa Legan sarebbero rientrati a Chicago al massimo pochi giorni dopo i signori.

 

Passò una settimana dalla partenza di Terence, e Candy ne sentiva la mancanza, ma anche volendo non aveva davvero idea di come contattarlo. Avrebbe dovuto aspettare di poter parlare con Stear una volta che lo avesse rivisto, per avere il suo indirizzo. 

Ma poi… era così sicura di rivedere Stear? Se quello che desiderava tanto fosse andato in porto, lei avrebbe potuto anche non andare a Chicago, e non aveva neanche l’indirizzo di Archie e Stear.

Però un appiglio ce l’aveva: l’indirizzo della sua cara Annie! Se l’erano scambiate il giorno stesso in cui si erano incontrate lì a Villa Andrew.

Quella sera stessa scrisse la sua lettera a Annie.

 

Il giorno dopo Candy ottenne il permesso di recarsi all’ufficio postale, a patto di ritirare un pacco da un negozio che poi avrebbe dovuto consegnare alla signora Elroy.

Si recò in città accompagnata dall’autista dei Legan che la portò prima all’ufficio postale e poi al negozio.

Sulla strada del ritorno si fermarono a Villa Andrew.

-Vai pure a casa Alfred, io tornerò a piedi, non è molta distanza e la signora potrebbe aver bisogno di te.-

-Va bene Candy, ci vediamo dopo.-

Entrata nella villa fu riconosciuta e salutata dalla signora Beadle.

-Ciao Candy. Stai cercando la signora Elroy?-

-Sì signora Beadle. Devo consegnarle questo pacco.-

-È in casa, vieni che ti annuncio a lei.-

 

Poco dopo Candy consegnava il pacco alla signora, e stava per accomiatarsi, ma la signora le disse inaspettatamente:

-Prego Candy, siediti.-

-Come dice signora?-

-Ti ho detto di sederti, sei sorda per caso?-

-No signora, ma…-

-E allora siediti! Non vorrai contrariarmi.-

Un cenno di assenso della signora Beadle, in piedi di fianco alla signora Elroy, convinse Candy che si sedette davanti all’austera matrona. 

-Signora Beadle, per cortesia: ci lasci sole.-

-Certo signora.-

La signora Beadle uscì dal salottino privato della signora Elroy lasciando quest’ultima da sola con una stupefatta Candy.

-Se non hai nulla in contrario Candy, verrei subito al dunque.-

-La ascolto signora.-

-Dunque, io non ho certo nulla in contrario alla tua amicizia con i miei nipoti. Gli Andrew saranno anche una famiglia molto in vista in società, ma diamine: non siamo mica nel medioevo!-

-Sono felice che la pensi così signora.-

-Devo però chiederti se c’è dell’altro Candy.-

-Non capisco: cosa dovrebbe esserci d’altro?-

La signora ebbe l’aria di chi stava per caricare un fucile a pallettoni prima di sparare

-Per quanta simpatia io possa possa provare per te Candy, devi capire che l’idea che una semplice cameriera per di più di dubbie origini, possa unirsi a un membro della famiglia Andrew, è semplicemente… intollerabile. Mi capisci?-

Candy si sentì ribollire dentro. Ma come si permetteva quella megera? Con chi credeva di avere a che fare? E poi, anche se fosse stato, cosa c’era di male?

Cominciava ad averne abbastanza di quei ricconi che la squadravano dall’alto al basso convinti di esserle superiori.

Si alzò e fece il suo canonico inchino.

-Con permesso signora!- 

Poi aprì la porta del salottino privato e se ne andò dirigendosi verso l’odiata Casa Legan dove arrivò in lacrime.

 

Passarono altri giorni e ormai in Casa Legan fervevano i preparativi per l’imminente chiusura della casa e il ritorno a Chicago dei signori. Neal Legan ormai si era ristabilito e la stecca al braccio gli era stata levata.

Ormai tanto valeva per il rampollo di Casa Legan, rimanere lì fino alla fine dell’Estate e rientrare a Chicago insieme alla madre e alla sorella. 

Le due donne ormai passavano tutte intere le loro giornate a spettegolare sugli intrighi dell’alta società di Chicago e Candy era impegnata nei lavori di pulizia e riordino della casa.

Un giorno mentre rientrava dall’ennesima commissione svolta per conto della signora, Candy si sentì chiamare da una voce maschile proveniente dalla stalla.

-Ma questo è… Neal.-

E in effetti era proprio il giovane Legan che la chiamava

-Candy. Per favore, vieni qui…-

-E che cavolo vuole da me quel debosciato?-

Comunque si avviò verso la stalla. Finché lavorava in Casa Legan quello era il suo dovere: rispondere alle chiamate dei suoi datori di lavoro.

 

-Ti ho sentita sai?- disse Neal una volta che Candy fu entrata nella stalla. -Mi hai chiamato “debosciato”.-

-Mi scuso per l’espressione signore, ma posso chiederle che cosa vuole da me?-

-Sei cresciuta dal giorno che sei arrivata qui, ricordi? Allora eri una bimbetta di dieci anni, ma già bella vispa…-

-Signore, se non ha bisogno di niente io tornerei al mio lavoro.-

-Non tanta fretta…-

Disse lui aggirandola e chiudendo velocemente l’ingresso della stalla.

-COSA VUOLE DA ME?- gridò lei esasperata. Prima quell’odiosa megera della signora Elroy e poi quel debosciato.

Lui le si avvicinò e le accarezzò la guancia

-Adesso di anni ne hai sedici, e sei ancora più vispa…-

Fu un istante: Candy appioppò una solenne ginocchiata in mezzo alle gambe, e il giovane Legan si piegò in due per il dolore.

-Maledetta! Io…-

Ma a Neal non fu concesso lo spazio per nessuna reazione: un’autentica pioggia di schiaffi si abbatté sul suo volto “da schiaffi” per l’appunto, finché un calcio sul mento non lo fece cadere in terra. Mentre il ragazzo si contorceva in terra dal dolore Candy prese il forcone che si usava per spostare le balle di fieno e lo puntò al petto di Neal.

-Stammi a sentire una volta per tutte schifoso bacarozzo! Io non resterò ancora a lungo in questa lercia casa, ma per tutto il tempo che ci starò tu non mi sfiorerai neanche con un dito. Anzi, terrai la tua puzzolente presenza, lontana da me!

Perché se non lo farai io ti passerò da parte a parte con questo forcone e ti appiccicherò al muro di questa stalla! SONO STATA CHIARA?-

-Tu… tu sei pazza…-

-Forse…- riconobbe lei fra le lacrime -…e la colpa è di tutti voi maledetti Legan!-

Poi buttò via il forcone e si diresse verso la porta della stalla. La aprì e si girò un’ultima volta verso Neal che ancora giaceva a terra.

-Con permesso… SIGNORE!-

 

Ormai Candy aveva deciso: sarebbe andata via subito da quella maledetta casa. Anche senza la risposta che attendeva da miss Pony. Entrò in casa decisa a recarsi dalla signora Legan, quando fu proprio lei a farlesi incontro.

-Candy, è arrivata questa lettera per te.-

-Grazie signora.-

Vide l’indirizzo del mittente e ne ebbe un colpo al cuore, in positivo però. Era una lettera della cara miss Pony.

-Signora, dopo che avrò letto questa lettera avrò bisogno di parlarle.-

-Va bene Candy. Mi troverai nel mio salottino privato.-

 

-Così hai deciso di andartene.-

-Sì signora. Partirò domani stesso.-

-Posso chiederti dove andrai e cosa pensi di fare?-

-Adesso tornerò alla Casa di Pony e poi a settembre mi trasferirò in Illinois, per frequentare una scuola per infermiere.-

-Certo, è un lavoro adatto a te. Ho visto quanto sei abile.-

-Mi sono informata a suo tempo: il primo treno utile per me partirà domani mattina molto presto, quindi uscirò da questa casa che tutti dormirete ancora.-

La signora sorrise tristemente

-Vuoi andartene così, in silenzio.-

-Sì signora, voglio andarmene in silenzio. Fino a stasera farò regolarmente il mio lavoro e saluterò i miei colleghi.-

-Ci mancherai Candy.-

Stavolta lei non rispose, fece il suo solito inchino dicendo:

-Con permesso signora.- 

 

Ritiratasi la ragazza, la signora Legan si portò la mano in volto e cominciò a piangere.

Era un rimpianto profondo quello che provava l’altezzosa signora, come se troppo tardi avesse compreso certe verità. 

Troppo tardi…

 

La mattina seguente di buon’ora Candy raccolse le sue poche cose in quella valigia che sembrava fatta di cartone. Quella valigia, quella stanza, quella casa l’avevano vista bambina e ora la vedevano ragazza e quasi donna.

Ebbe un attimo di esitazione prima di uscire da quella semplice e spoglia stanza che per sei lunghi anni l’aveva ospitata, ma poi si avviò lungo il corridoio.

 

I saluti con i suoi colleghi erano stati strazianti: a quelle persone lei voleva bene e le dispiaceva lasciarle, ma ormai aveva fatto la sua scelta.

Attraversò per l’ultima volta il salone di Casa Legan e aprì la porta.

Si diresse verso il cancello che veniva sempre lasciato aperto. 

Come ebbe varcato la soglia del cancello si girò e la vide.

La casa dove aveva vissuto per tanti anni, dove era cresciuta e aveva così duramente lavorato.

Aveva vissuto brutti momenti in quella casa, ma a tratti vi era stata anche felice.

E fu come se quei sei anni le scorressero tutti davanti agli occhi.

Si rivide bambina derisa e umiliata da quegli odiosi Neal e Iriza.

Si rivide sgridata e sfruttata dalla signora Legan, che pure a tratti aveva saputo essere una buona padrona.

Si rivide danzare e cantare in coro con gli altri membri della servitù.

E rivide lui, l’uomo di cui si era innamorata, e che aveva conosciuto proprio lì, in quella casa.

E tutti questi momenti li sintetizzò in una sola, semplice e lapidaria frase:

-Addio Casa Legan! Non mi mancherai!-

Poi si girò e si avviò sulla sua nuova strada, respirando a pieni polmoni quel venticello di una mattina di fine estate che le soffiava in faccia e le portava una nuova sensazione, un nuovo odore:
L’odore della libertà.

   
 
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