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Autore: Scarlett Queen    25/02/2023    2 recensioni
In un mondo magico, popolato d uomini, elfi, orchi, draghi e creature magiche, dove la musica ha un profondo significato e un impero e un regno si combattono in feroci campi di battaglia, c'è spazio per due giovani di razze diverse, due giovani che s'incontrano al chiaro di luna. Lui, un giovane mercenario e lei una guardiana, una cantante.
Così diversi eppure sarà la foresta a farli incontrare, sarà la musica degli alberi a far sbocciare in loro un dolce sentimento.
Una semplice storia in un vasto mondo, un piccolo ritaglio di una grande realtà, un dolce amore in un'amara guerra. la storia di Parsifal e di Ahilya consumata fra gli alberi, i fiumi e le fronde della foresta.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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La foresta di Uggӱrd era silenziosa quella notte stellata, un vento lieve soffiava fra i rami degli alberi e le foglie frusciavano con un suono basso, carezzevole e morbido. I fiumiciattoli scorrevano come venature d’argento fra le muschiose radici degli alberi  passando attorno ai massi che sporgevano dai letti di ciottoli e rametti trasportati dalla corrente. Un cervo si avvicinò ad uno dei corsi d’acqua, il grande palco di corna si sollevava dalla sua bella testa dagli occhi brillanti e abbassò il collo, abbeverandosi.
D’improvviso sentì della musica, una musica provenire da qualche parte in mezzo ai tronchi ora diritti e ora contorti e rizzò le orecchie, sollevando la testa e annusando l’aria; conosceva la musica, tutti gli animali della foresta la conoscevano e sapevano distinguere note e sfumature di suoni. Balzò via, piegandosi appena di lato e sparendo nel folto della boscaglia, lasciandosi alle spalle pochi rumori fruscianti mentre s’inoltrava fra i cespugli.
La musica si fermò poco dopo e dopo poco ancora una figura raggiunse quello stesso fiume, ammantata di verde e col cappuccio celato sul capo. Si guardò attorno, quindi si piegò sulle ginocchia, immerse le mani raccolte a coppa nel fiume e si portò l’acqua fresca alle belle, pallide labbra. Un colpo di vento fece ricadere il cappuccio, vistose orecchie a punta fecero capolino fra le ciocche dorate, grandi occhi azzurri e un nasino delicato, lievemente all’insù coronavano un viso sottile, dai lineamenti gentili e raffinati.
La femmina di elfo si guardò attorno, si gettò un’occhiata alle spalle e tornò a sollevarsi sulle gambe. La foresta era silenziosa, non vi erano rumori o passi o alcun suono estraneo alla natura rigogliosa che la circondava. Emise un sospiro di sollievo, si sedette con la schiena contro un albero e trasse da sotto il mantello un’arpa d’oro dalle fine corde d’argento e iniziò a suonarla, pizzicandone appena le corde con i polpastrelli e accompagnò quelle note cristalline con la voce, intonando una dolce, malinconica melodia che andava levandosi verso il cielo. Ma la musica non era fine a sé stessa e dall’arpa prese forma un fascio luminoso del colore del cielo, del fuoco e della terra e parve che il mondo attorno a lei rispondesse con le chiome che si piegarono come per ascoltare e il vento si fermò, lasciando che la musica fosse l’unico suono.
Ma si fermò di scatto quando sentì dei passi alle sue spalle, si voltò spaventata, con i grandi occhi sgranati e pronti allo scatto, ma il sollievo scese rapido sul suo volto quando distinse il rumore dei passi, quando riconobbe la cadenza dei movimenti e sentì quella goffa attenzione. Con un piccolo sorriso si sollevò in piedi, riponendo l’arpa contro l’albero e si voltò nella direzione del nuovo arrivato, con tono divertito. «Ti sei perso ancora, giovane Parsifal?» chiese nella sua lingua, lenta e armoniosa come lo scorrere dei fiumi. I passi si fermarono un attimo, poi ripresero, più veloci e una seconda figura, coperta da una corazza in cuoio borchiato emerse dalla vegetazione.
I corti capelli castani, gli occhi verdi e le labbra di un rosa pallido spiccavano nella luce della luna e delle stelle, al fianco sinistro portava una spada, gli spallacci in pelle erano ornati col simbolo della Fenice e della Spada e quando incontrò il suo sguardo, il giovane arrossì, grattandosi la nuca. «Non riesco mai ad orientarmi in questo posto – disse in tono di scusa la seconda voce, rispondendo nella stessa lingua, anche se nella sua bocca risuonava meno gradevole, più…forzata – mi aspettavi da molto, Ahilya?». La femmina di elfo scosse il capo e si sedette nei pressi del fiume, imitata dal ragazzo che si portò al suo fianco.
«Anche io sono appena arrivata e la Notte è giovane, Parsifal, non hai bisogno di scusarti». Il ragazzo la guardò in viso, sentendosi arrossare e puntò gli occhi verdi sul fiume, intrecciando le gambe e incerto di cosa dire. Quella situazione era del tutto strana e, se doveva essere sincero, trovarsi lì con lei, in un territorio non ancora facente parte delle mappe dell’Impero Aalthar lo rendeva nervoso, inquieto.
 
*
 
Erano trascorse trenta lune da quando si erano incontrati la prima volta, da quando la carovana che stava scortando con gli altri mercenari era stata attaccata da una viverna delle rocce. La sua tana doveva essere nei pressi del loro percorso e questo l’aveva fatta infuriare.
Era piombata su di loro battendo le grandi ali, stridendo e facendo schioccare il becco acuminato e lucido prima di vomitare loro addosso un torrente di fiamme. I carri avevano preso immediatamente fuoco e prima che gli arcieri potessero incoccare le frecce la bestia era in mezzo a loro, afferrando gli uomini con gli artigli e schiantandoli al suolo, sollevando i cavalli col becco e lasciandoli a terra, morti e spaccati in due. Dal canto suo, Parsifal si era lanciato in avanti con la spada i  mano, ma la coda, irta di aculei, lo aveva colpito in pieno petto, sollevandolo in aria per tre metri prima di farlo finire disteso sulla schiena, privo di sensi.
Questo avveniva al confine meridionale con al foresta, il sentiero della carovana avrebbe poi curvato prima di inoltrarsi fra gli alberi per arrivare all’avamposto imperiale di Ironguard da dove l’impero organizzava le missioni cartografiche per trovare un sentiero che permettesse loro di attraversare la grande macchia boscosa. O quello, o si sarebbero dovuti far strada con le asce, ma sarebbe stato un percorso lento e Aalthar non voleva inimicarsi il popolo degli elfi di Bellomia, non quando erano già impegnati col regno occidentale di Morana. Ma in mezzo ai disordini diplomatici e alle esigenze dell’Impero, Parsifal si era ritrovato solo, in mezzo alle macerie fumanti dei carri, unico superstite di settanta soldati e centoventi mercanti e sarebbe morto se il fumo che si sollevava e il fragore del massacro non avesse attirato Ahilya.
Si erano conosciuti così, con lui che si risvegliava in una capanna nel folto della foresta, a torso nudo e il petto avvolto in strette fasciature lì dove le spine velenose della coda della viverna avevano squarciato il suo pettorale, riversando il proprio siero mortale nelle sue vene. Si era agitato debolmente nel piccolo caldo ambiente; stava su di un pagliericcio, morbido e confortevole. Alla sua sinistra stava una coppa in legno finemente lavorato contenente ciò che restava di una mistura curativa, il pestello poggiato contro l’orlo e davanti a lui, scavato nel terreno, c’era un piccolo fosso per il fuoco. «Non muoverti – disse una voce femminile – o il veleno circolerà ancora».
Sollevando gli occhi, Parsifal vide la femmina di elfo entrare da un pesante tendaggio che chiudeva l’ingresso e sentì le guance imporporarsi. Portava un vestito in due pezzi, un bizzarro bikini di foglie e tessuto con lacci stretti attorno al busto e all’inguine. La sua pelle era sudata e profumata e i capelli dorati ricadevano abbondanti attorno alla vita sottile. Il ragazzo balbettò qualche parola in quella lingua che aveva imparato all’accademia prima di essere destinato alla frontiera settentrionale. «Io… scusa, grazie per… avermi salvato». La femmina di elfo levò gli occhi di un limpido azzurro su quelli verdi di lui e sorrise con dolcezza, portandosi le sottili dita alle labbra color pesca.
«Parli la lingua della foresta – disse con una nota di lieve sorpresa nella voce – sei il primo straniero che sento pronunciarla» e gli si avvicinò, piegando la punta dei piedi nudi e sedendosi sui talloni, sporgendosi verso di lui e poggiando una mano sulle fasciature. Parsifal deglutì a vuoto e si sforzò di puntare lo sguardo altrove che non fosse sul solco di un seno chiaro come il latte e si sentì avvampare percependo il respiro della ragazza sulla propria pelle. «Sei stato fortunato, dopo che ti ha colpito hai perso i sensi e sei rimasto immobile questo ne ha rallentato notevolmente la diffusione e la tua corazza ha impedito che andassero troppo a fondo. Le femmine di viverna sono più piccole e aggressive dei maschi, probabilmente proteggeva le uova».
«Non se ne sono salvati altri, vero?» nel momento stesso in cui poneva quella domanda, Parsifal sapeva già la risposta ed emise un sospiro quando la femmina negò col capo, aiutandolo a stendersi nuovamente.
«Ora riposa, sei qui da due giorni e una notte, domattina starai bene, io vado a cercare del cibo… non contavo di avere ospiti» aggiunse con un fugace occhiolino prima di sollevarsi, mettersi un lungo arco a tracolla, prendere una faretra colma di frecce e correre fuori dalla capanna. Parsifal ebbe appena il tempo di vedere come il pezzo inferiore aderisse alla curva delle sue natiche prima di sentire un invitante tepore diffondersi in tutto il corpo e in breve cadde nuovamente addormentato, senza sogni e senza incubi. Venne svegliato molte ore più tardi, quando fuori dalla circolare capanna la notte era scesa sulla foresta. «Ben svegliato – disse la voce della ragazzaora dovresti poterti muovere tranquillamente, il veleno è stato neutralizzato con effetto».
Lentamente, Parsifal si rimise seduto, portandosi una mano al petto e batté le palpebre, mettendo a fuoco l’immagine della giovane china sul fuoco mentre faceva girare in un paio di spiedi due grassi conigli mentre le interiora cuocevano su di una lastra di pietra bollente. «Credevo che gli elfi non mangiassero carne» disse sentendo lo stomaco brontolare e incapace di non spiare il suo corpo, così tonico e formoso, giovane e flessuoso, si sentì nuovamente arrossare. Lei emise uno sbuffo di risa e si sedette sulle natiche, intrecciando le gambe e sollevandosi col busto gli porse uno dei conigli, sorridendo gentile e chiudendo gli occhi, inclinando appena la testa da una parte.
«Dipende dalla tribù – spiegò con tono pratico – alcuni si rifiutano, altri sono carnivori, ma la mia gente mangia un po’ di tutto» e addentò la sua carne. Parsifal notò che aveva i canini più pronunciati di quelli umani e la vide strappare ampi bocconi, riempirsi le guance come un criceto e masticare deliziata. Lui mangiò lentamente, lo stomaco gli faceva ancora male e voleva gustarsi dell’autentica cucina elfica… era abbastanza sicuro di essere forse l’unico a potersi vantare di aver fatto quell’esperienza. «Vedi – disse lei dopo aver deglutito – tutti noi elfi discendiamo dalle bestie di questa foresta, bestie che furono benedette dalla conoscenza e che superarono il proprio stadio ferale. Tuttavia alcuni fra noi hanno conservato più di altri le caratteristiche animali, altri invece si sono del tutto distaccati da quel passato… io e la mia gente siamo nel mezzo» spiegò con semplicità tornando a mangiare.
«Capisco» rispose il ragazzo, sentendo il grasso colargli dal mento e osservandola; sembrava tuttavia, nonostante le sue parole, che anche lei avesse conservato qualche tratti dei suoi antenati e se non nell’aspetto, nelle movenze. Parsifal ebbe come l’impressione di trovarsi davanti una pantera, sensuale, sinuosa…letale. «C’è una cosa che voglio chiederti… il tuo popolo si rifiuta di aiutare l’Impero a passare attraverso la foresta perché credono che debbano essere gli alberi a farci passare. Allora perché tu mi hai portato qui e non ad Ironguard? Chiaro, ti sono immensamente riconoscente!» esclamò subito dopo piegandosi in avanti e poggiando la fronte a terra, temendo di averla offesa, ma la sentì ridacchiare e sollevò confuso la testa, facendo brillare la luce del fuoco nei propri occhi verdi.
«Tu non volevi attraversare la foresta, prima di tutto, e poi Ironguard distava ancora un’intera giornata di cammino mentre sono riuscita a portarti qui in un paio d’ore. Ho rifugi sparsi in tutta la foresta, direi che per te è stata una fortuna, non credi
«Si però… portarmi sin qui deve essere stato difficile – tubò lui rialzandosi imbarazzato – voglio dire, mi avrai dovuto spostare e il veleno sarebbe entrato in circolo e allora io…».
«Certo che te ne fai di problemi – sbuffò la ragazza – porto sempre con me una pozione di guarigione, in caso servisse. Certo, non ha potuto arrestare la diffusione del veleno ma l’ha rallentata abbastanza da permettermi di salvarti la vita. Sembra quasi che ti dispiaccia» ma alla fine sorrise e Parsifal sbuffò, tornando a mangiare. Quando conigli e interiora sparirono, quando la notte si era fitta e totale e il sonno s’impadronì nuovamente di lui, Parsifal si sedette contro uno dei pilastri in legno che sorreggevano la tenda e la femmina di elfo, dopo essersi lavata le mani in un bacile pieno di acqua e menta portò mano ad un fagotto che sciolse, rivelando una splendida arpa d’oro e argento.
Si mise seduta a sua volta, ne sfiorò appena le corde e, chiudendo gli occhi, iniziò a suonare e un attimo dopo anche a cantare. Parsifal sgranò gli occhi sentendo quella musica e osservò a lungo la sua salvatrice destreggiarsi in quell’arti, osservando come i suoi si trasformavano in colori e come i colori si sollevassero a spirale verso il cielo. Prima che potesse rendersene conto, le palpebre si erano fatte pesanti, il suo corpo cadde sul fianco sinistro e, con la bocca dischiusa e russando, si addormentò e stavolta la sua mente sognò, sognò portandolo a fluttuare da variopinti astri celesti immersi nel lucente buio dello spazio. Arrivò così la terza alba dall’attacco della viverna, Parsifal si svegliò sbadigliando scorgendo la femmina di elfo che preparava un fagotto mettendoci dentro qualche provvista.
Portava, stavolta, lunghi pantaloni sino alle cosce, un corpetto in pelle del colore del legno e una cinta in cuoio, con stivaletti dalle cinghie strette in fibbie dorate a forma di foglie. «Stavo per svegliarti – gli disse alzandosi in piedi e mettendosi un mantello verde sulle spalle – ti accompagno al confine meridionale della foresta, sulla strada per Ironguard. Ecco, qui trovi le tue cose, le ho sistemate mentre dormivi» e gli passò un sacco nel quale stava la sua armatura borchiata. Parsifal la ringraziò più volte prima di indossare la sottoveste, le braghe e il farsetto, strinse le fibbie degli stivali d’armi e snudò la spada dal fodero, ancora non aveva ferito nessuno con quella… la scorta alla carovana era stata la sua prima missione, un fiasco totale.
«Quanto tempo credi che ci vorrà per arrivarci?» chiese Parsifal assicurandosi il fodero al fianco, ma lei scosse le spalle, mettendosi il sacco in spalla e prendendo il proprio arco, facendogli cenno di seguirlo fuori dalla capanna.
«Dipende da te…andiamo». Il ragazzo non ebbe bisogno di chiederle cosa intendeva. Scoprì che la capanna si trovava in una piccola radura circondata da alberi alti e fitti e che la femmina di elfo correva agilmente in mezzo alla boscaglia, muovendosi sinuosa fra radici, tronchi, cespugli e avvallamenti. Dal canto suo, Parsifal appariva molto più goffo, incespicava ad ogni passo, tentava di emulare i suoi balzi ma finiva con l’inciampare e lottare per riprendere l’equilibrio e, soprattutto, sembrava che lei non si stancasse mentre lui, dopo qualche miglio iniziò a sentire la sete e la fatica. Dopotutto erano nel bel mezzo dell’estate, il sole filtrava a fiotti ardenti fra le fronde degli alberi. Il sudore gli scorreva sul collo, sulla fronte, gli incollava i capelli al visto facendogli sbattere continuamente gli occhi. Corsero per quelle che dovevano essere ore prima che gli alberi iniziassero a diradarsi e giunsero in vista di una vallata verde, sconfinata e con una striscia di terra battuta che correva verso il Vallo del Grifone, incastrato fra i Monti Erônd. Il sole era ora proteso a occidente e le ombre si allungavano verso est. La femmina di elfo gli lasciò il sacco con le provviste e sorrise dolcemente, prendendo fiato. «Seguendo la strada – disse – dovresti arrivare entro domattina».
«Io… davvero, grazie. Non eri tenuta a salvarmi ma. Grazie – ripeté Parsifal mettendosi in spalla il sacco e fece qualche passo in avanti, prima di voltarsi – scusa, non te l’ho ancora chiesto ma… come ti chiami?». Lei si fermò, era già nei pressi della foresta prima di voltarsi e gli sorrise ancora, facendogli un gioviale cenno di saluto inclinando appena il capo prima di correre, lasciandosi dietro di sé queste parole “Trovami e forse te lo dirò”. Lui rimase a fissare il punto dove lei era scomparsa prima di scuotere il capo, sistemarsi il sacco sulla schiena e avviarsi lungo la strada, occhieggiando di quando in quando la foresta. Fu fortunato, prima del tramonto una carovana di mercanti proveniente dalla miniera sul versante orientale delle montagne e trasportante il ferro per Ironguard gli concesse un passaggio e lui poté stendersi assieme ai minatori, tutti orchi e con braccia grosse come tronchi di quercia. I due immensi tori attaccati al giogo ripresero il cammino e Parsifal si addormentò cullato dal cigolio delle ruote e dallo schioccare del telo scuro.
 
*
 
I ricordi erano stati cullati dalla musica, Ahilya si era messa a suonare per animare il silenzio fra di loro e lui era caduto in quella specie di sonno che lo coglieva ogni volta che lei faceva suonare la propria arpa. Ironia volle che l’essersi riaddormentato in quella carrozza lo avesse fatto risvegliare nei pressi del fiume, con Uggӱrd ancora sonnolenta tutto attorno a loro e la luna ancora alta. Forse erano passate un paio d’ore, non di più. «Scusami – sussurrò quando lei riaprì gli occhi e lo guardò, le mani ancora poggiate sulle corde d’argento – mi addormento ogni volta e non riesco mai ad essere di buona compagnia… in effetti è alquanto patetico» ma lei scosse il capo e ripose lo strumento, facendo brillare i denti bianchi.
«La musica degli elfi è magica – sussurrò mettendosi gattoni e sporgendosi verso di lui – non tutti possono ascoltarla, e ancora meno solo quelli per i quali suoniamo. In effetti le nostre note non sono per le orecchie dei mortali quanto per gli alberi, il cielo…la terra» e si sporse in avanti, verso il suo volto. Parsifal quasi cadde all’indietro, si poggiò sui palmi coperti dai quanti dalle borchie metalliche in corrispondenza delle nocche e la guardò negli occhi, grandi, azzurri e languidi. Vedeva i pori sulla sua pelle chiara, le lunghe ciglia che si curvavano e sentì il suo profumo silvestre risalirgli le narici. «Poi ci sono quelli per i quali scegliamo di suonare» aggiunse in un sussurro.
Parsifal sentì il proprio cuore mancare un battito, sollevò lentamente la mano destra sul suo volto, sfiorandole una guancia e lei rispose, avanzando appena, sfiorandogli la punta del naso con il proprio e piegò appena la testa da una parte. Fu un battito di ciglia, le loro labbra si sfiorarono, quelle calde di lui e fresche di lei e si separarono un attimo dopo, senza smettere di guardarsi. Lo spadaccino spostò lentamente la mano dalla guancia alla sua nuca, la attirò a sé e stavolta la baciò sul serio, lasciandosi trasportare, chiudendo gli occhi, abbandonandosi alla sensazione del suo dolce peso contro il proprio corpo e cadde di schiena sull’erba morbida che si piegò sotto la sua schiena, senza smettere di baciarla.
Ahilya prese un sospiro, spostò la bocca sul suo collo, mordendolo fino a far zampillare il sangue che prese sul pollice destro portandoselo alla bocca, gustando il sapore del ragazzo «Gli elfi si scelgono il compagno con la musica – gli disse – coloro che sognano ascoltando sono legati dal destino, Parsifal…tu sei il mio destino» e così dicendo si sedette sui suoi fianchi, sciogliendo i legacci del corpetto e lo lasciò cadere a terra, coprendosi la florida, giovane curva dei seni con le braccia intrecciate, sul volto un lieve rossore di imbarazzo. Parsifal rimase in silenzio un attino, poi portò le mani ai suoi polsi, scostandoli gentilmente e la contemplò con tanto d’occhi, mettendosi seduto ed abbracciandola, affondando il volto in quel solco bianco, fresco, invitante, morbido.
«Ma io non ho mai suonato per te – sussurrò – come fai a sapere che sono io?» e lei gli accarezzò i capelli, portandogli le mani al volto e lo guardò negli occhi e Parsifal vide che piangeva, ma erano lacrime di giubilo che lui raccolse sulle labbra e le trovò dolci come nettare, come miele. Il suo cuore pulsò lentamente, anche dopo che le dita di Ahilya gli ebbero tolto il farsetto e la sottoveste, allungandosi sui suoi muscoli definiti dall’allenamento, passando sui pettorali sudati e sulle braccia, fasci di nervi tesi.
«Perché mi hai trovata, perché sei qui… perché sei tu» e non disse altro, si limitò a baciarlo, a fargli sentire che lei era lì, a portare la propria pelle contro la sua e Parsifal rispose, toccandola a fondo, portando i suoi polpastrelli contro il suo corpo, affondando nei suoi soffici seni, afferrandole le sode natiche, baciandola sulle labbra tremanti, gonfie, arrossate. Fecero l’amore a lungo, teneramente, fra baci e graffi fugaci, parole sussurrate, carezzandosi con lo sguardo, bramandosi e desiderandosi a vicenda, tendendo le cosce, irrigidendo i muscoli, ricercando ora il piacere, ora la dolcezza. Si rotolarono abbracciati sull’erba spruzzata di lucida rugiada. Qualche spirito minore si sollevò dai prati boschivi in scie d’argento, l’acqua s’illuminò per il passaggio di qualche pesce notturno e in una tana, una viverna osservava stanca i cuccioli che rompevano le uova con i becchi, ciechi, senza scaglie e chiamandola a gran voce.
Parsifal vide tutto questo nel momento in cui l’orgasmo lo colse, quando lui e Ahilya si unirono nell’intenso spasmo che li attraversò entrambi e la femmina di elfo strinse le gambe per tenerlo dentro di sé, guardandolo dal basso finché non sentì l’ultima goccia di seme nel proprio ventre e allora si rilassò, lasciando che il ragazzo si allungasse contro di lei, prendendole i capezzoli color ciliegia, dalle aureole piccole e chiare fra le labbra, con la delicatezza di un neonato. Stettero così per del tempo mentre la notte passava, sussurrando parole a bassa voce, con l’aria fresca della notte che si mutava in quella della mattina e il blu scuro del cielo che sfumava in un grigiore freddo prima di mutare in un rosa dorato che da oriente illuminava il mondo.
Si salutarono con un lungo bacio, ma prima di lasciarlo, Ahilya si strinse a lui, baciandolo anche sulle guance prima di separarsi, sentendo già la sua mancanza «Questa notte ci sarai?». Lui annuì, senza esitare e le sfiorò le labbra con un ultimo bacio fugace prima di tornare sui propri passi. E quella notte, Parsifal tornò e anche quella successiva e quella dopo ancora e ogni notte, lì nel cuore di Uggӱrd consumavano il loro dolce amore. Cosa ne sarebbe stato di loro in futuro non importava, cosa sarebbe successo non erano affari che li riguardavano, esistevano solo l’uno per l’altra, per quegli amplessi passionali che ripetevano, tramonto dopo tramonto dopo aver ascoltato le note che Ahilya suonava per lui. Del futuro non c’era certezza, ma il presente, quei momenti di felicità senza pensieri sarebbero stati lì, ad attenderli dopo ogni giornata, fra gli alberi, i cespugli e i baci che facevano loro battere così forte il cuore.

Note dell'autrice:
Beh, questa one shot è stata una sorpresa anche per me. Mi ero messa a scrivere più che altro perchè non riuscivo a continuare le altre storie ma alla fine è nata questa...cosa. Praticamente un JRPG, o almeno, la mia intenzione era quella, scrivere qualcosa che lo ricordasse. Ammetto che molto, molto lo devo al gioco "Shining Resonance Re: frain" che mi ha dato l'idea sull'importanza della musica e sull'aspetto della protagonista Ahilya che è modellata sull'elfa Kirika del gioco, anche se sono molto diverse come personalità. E niente, spero che questo piccolo esperimento vi piaccia, stavolta non volevo andare troppo sull'esplicito e anzi, restare il più "vaga" possibile, spero di esserci riuscita!



 
 Kirika Towa Alma
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