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Autore: lainil    27/02/2023    0 recensioni
"Mio amato Takashi,
Quando questa lettera ti giungerà tra le mani, io potrei non esistere più, almeno nella tua memoria.
Questa guerra ci ha devastato e io non riesco ad andare avanti e a dimenticarti.
Sono l'ombra di me stesso e l'orrore vivente di questi anni.
La nostra storia rimarrà oltre le nostre tombe, anche quando i nostri corpi diverranno scheletri.
Le nostre anime saranno legate in eterno.
Tuo per sempre,
Ran Haitani
"
Genere: Angst, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haitani Ran, Hajime Kokonoi, Izana Kurokawa, Kazutora Hanemiya, Takashi Mitsuya
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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(Fishermen at Sea by Joseph Mallord William Turner (1796))

 

1957

Non si riconosce. Non sa più chi sia.

Quando il treno riparte e lui rimane in stazione a osservarlo, non prova niente.

La terra è ferma sotto ai suoi piedi, il cielo silenzioso, l’atmosfera tranquilla.

Non se ne potrà mai davvero abituare.

I suoi capelli non sono più tornati lunghi. Ci ha sperato, ma più ha provato a mantenerli lunghi, più in fretta sono caduti. È come una maledizione, come se non potesse ricordare i giorni in cui stava bene, come se non appartenesse a quel passato e quel passato non gli appartenesse.

Non esistono foto di quegli anni, sono andate tutte perse tra le fiamme che ricorda mangiarlo vivo. Non sono rimaste cicatrici evidenti causate da quegli scontri, è un favorito lui, intoccabile; si era creduto, da sempre, un prescelto agli occhi di Dio.

Fino a pochi anni prima avrebbe potuto commettere un qualunque errore, di una qualsiasi gravità, le sue spalle sarebbero state sempre coperte, ma erano serviti anni per capirlo, era stato necessario perderla questa opportunità per comprendere di averla avuta.

Sospira, alzando gli occhi verso il cielo azzurro e soleggiato.

Sono passati molti anni dalla fine dei bombardamenti, ma il terrore di rivedere il cielo grigio, pieno di aerei di guerra con i loro fischi così forti da spaccare i timpani, da impedirgli di sentire per giorni, è sempre lì, a martellargli la testa.

Forse sta impazzendo, lo ha pensato a lungo, ma non ha mai voluto convincersene, sa che se cascasse in quei pensieri, ne è certo, non ne uscirebbe più. Il suo cuore è più vuoto, ma pesante di un ricordo che non riesce a perdere, incapace di lasciarlo andare, nonostante le cose che ha perduto siano numerose e quella sarebbe sono l’ennesima.

Quella luce che bruciava, scaldandogli il cuore, si è spenta ormai da anni. Nel giugno di tredici anni prima era ancora calda; ad agosto, però, si era già indebolita. Infine, tre anni dopo, il gelo si era fatto spazio in lui e non era mai passato.

Non ci aveva messo molto a capire.

Era morto.

Si era ucciso tre anni dopo, due dalla fine della guerra.

Se n’era andato silenziosamente perché l’avevano scoperto nei giorni successivi: un colpo di pistola gli era passato da orecchio a orecchio attraversandogli il cranio e perforandogli il cervello.

La sua morte avrebbe dovuto far rumore, a causa dell’esecuzione che si era auto inflitto, invece, alle orecchie di tutti, era solo l’ennesimo giovane che non era sopravvissuto agli orrori di quegli anni. Aveva lasciato il mondo in modo silenzioso, ma nel suo cuore aveva fatto rumore, gelandolo per sempre, non dandogli possibilità di continuare o reagire a tale sofferenza, non riuscendo mai realmente a guarire.

Ma d’altronde, come l’altro non era guarito da quegli anni di scontri e morte, come sarebbe potuto guarire lui dall’assenza che, egoisticamente, l’altro aveva lasciato nella sua vita?

Prima della sua morte, la speranza era rimasta; la speranza di rivederlo e di averlo ancora suo come in quel periodo. La pazienza, il desiderio, l’attesa lo avevano tenuto sveglio, gli avevano fatto vivere le giornate con trepidante impazienza e immortale illusione.

Quando il freddo si era fatto strada in lui, però, quella felicità era scomparsa per sempre e non era stato l’unico elemento a finire in quel modo.

Lui stesso si era perso nella sua mente e non c’era modo di recuperarlo. Era scomparso dalla vita delle persone per poi scomparire da se stesso non riconoscendosi più.

Chi era?

Chi è diventato? Se lo chiede ancora, e lo fa spesso.

Perché riguardandosi indietro gli sembra di essere spettatore di una vita non sua?

Non riconosce più chi è stato durante gli anni della guerra e durante quelli subito prima, dove vivere appariva così fattibile e, soprattutto, equilibrato. Non che stesse bene, in fondo non lo era mai stato, erano tutte maschere per evitare di affrontare la realtà. Eppure un equilibrio c’era, l’aveva trovato e, nel brodo della sua noia, aveva imparato a starci bene.

Poi era arrivato lui e tutto si era ridimensionato, distruggendosi e ricostruendosi in nuove forme, nuovi ordini, stravolgendo le giornate che avevano iniziato a sapere di monotonia. Aveva dato loro colore, riempiendole di luce, e facendogliene scoprire di nuovi. Era stato intenso quel rapporto, lo aveva svuotato e riempito di dolori e piaceri; aveva vissuto ogni sfumatura di ogni singola emozione sulla sua pelle e lui, in cambio, lo aveva fatto danzare sui suoi ritmi, sulla sua musica, immergendolo in un mondo che non gli era appartenuto fino a quel momento.

Era stato un equilibrio che aveva disperatamente cercato in tanti anni di solitudine, dove aveva sperimentato tutto da solo, ma era allo stesso tempo esausto di quella solitudine.

Lui era arrivato da un giorno all’altro a dare un senso a quella monotonia con la quale stava imparando, contro la sua volontà, a convivere, seppur soffocato.

Era stato un rapporto burrascoso, che lo aveva fatto sentire vivo come mai aveva sperimentato e poi, come un ciclo che si chiudeva, lo aveva ucciso allo stesso modo.

Perderlo era stato un modo per tornare alla realtà, per comprendere che quella non fosse una fiaba, non esistevano finali felici, ma solo la cruda quotidianità di un periodo successivo alla guerra.

Perderlo è il motivo per cui ha attraversato l’oceano, passando da un continente all’altro, impiegando dieci giorni di viaggio per raggiungere l’amata terra dove l’altro lo aspetta.

Entrando dal cancello bianco lasciato socchiuso, pensa che tutto non appaia così diverso dalla sua città e apprezza che la sua croce non sia in fila insieme alle altre vittime della guerra, perché, d’altronde, lui non lo è stato. È stato vittima della solitudine, vittima dei suoi pensieri e, immagina, vittima dei ricordi che gli hanno annebbiato la mente, al punto da impedirgli di favorire la ragione che, è sicuro, abbia sempre avuto, facendogli prendere tra le mani tremanti quella pistola, forse l’ennesima, puntandosela alla tempia e sparandosi.

Ha esitato? Si domanda. Ha esitato come lui quando è salito sulla nave per raggiungere quello stato, o è andato diretto con la stessa convinzione con cui lui ora sta affrontando la sua tomba?

Legge il nome, tracciandolo con le dita, e osservando la data di nascita e quella di morte, troppo vicine per essere reali, troppo simili per poterle accettare.

Fa un respiro profondo, socchiudendo gli occhi e lasciandosi andare a un sorriso malinconico, mentre la sua mano allevia la stretta, lasciando che il foglio che tiene in mano si stiri, non più costretto in quella presa decisa.

“Ho fatto tardi, scusami.”

Un sospiro esausto lascia le sue labbra sofferenti, mentre osserva la lapide bianca e pulita che sembra osservarlo, chiedendogli di più, di parlare ancora, che desidera sentire la sua voce dopo tutti quegli anni in cui gli è stata negata, in cui lo ha atteso speranzoso, illudendosi di poter essere un suo porto sicuro in un mare burrascoso.

Ma forse non tutti i viaggiatori bramano un porto e, allo stesso tempo, non tutti i sedentari desiderano partire all’avventura. Forse sono due figure troppo diverse perché il loro mondo possa mescolarsi senza avere una conclusione profondamente triste e dolorosa.

Si offende ogni volta che deve realizzare e accettare quella verità e soffre ancora di più all’idea che quei fogli di carta siano l’unica testimonianza che qualcosa sia successo, che qualcosa sia rimasto di quegli anni che sembrano talmente lontani da essere inesistenti, da essere stati un grande sogno, a metà tra il Big Crash di New York del 1929 e la Guerra d'Indocina, finita pochi anni prima, che ha coinvolto le colonie francesi.

Quando pensava a come sarebbe finito nel momento in cui la sua mente ha iniziato a vagare fuori dalle mura di casa, non credeva che tutto quello sarebbe potuto accadere.

Non desiderava obbligatoriamente la pace, non ambiva alla felicità eterna, sapendo fosse un sogno troppo utopico per essere realizzato. Ma desiderava un po’ di serenità, la mente tranquilla, il corpo leggero che galleggiasse in pensieri positivi.

La guerra lo aveva devastato, la sua morte aveva fatto il resto. La sua anima aveva finito per errare, vagabondare solitaria in terre sconosciute. Anche casa, tra le macerie dei suoi ricordi, appariva come un luogo misterioso, che non rispondeva più a quel nome, ma solo a un’ennesima incognita.

Era possibile perdere così tanto la bussola della propria vita? Solo a causa della morte di qualcuno?

Il suo respiro fatica a uscire dalle labbra, sente un freddo interno che ogni tanto prova quando lo ripensa. Si stringe tra le braccia e aumenta l’espirazione, cercando di scaldarsi, temendo di soffocare, di non trovare più aria. Crolla sulle ginocchia di fronte a quella croce che non ha smesso di guardarlo e si appoggia a lei con il viso, sussurrando un flebile: “Scusami…” Che non ha mai saputo dire a voce e che contiene tutto il dolore che si porta dentro da così tanto tempo da averne persa la consapevolezza.

Non c’è nulla che rimane di loro. Non ci sono foto, non ci sono canzoni, perché i dischi sono bruciati, persi in mare e nessun venditore vuole avere a che fare con musica che ricordi quei giorni; non ci sono persone che li conoscano e che possano raccontare la loro vita, non ci sono indirizzi a cui tornare. Non c’è nulla che possa dimostrare il loro amore, nulla che possa testimoniare che loro, durante quegli anni si siano amati aspettandosi come se la vittoria, per loro, dipendesse unicamente da quello e non dalla morte di Hitler, non dalla resa del Giappone. Solo dal loro ritrovarsi nonostante il tempo e la lontananza non desiderata, ma obbligata.

Solo quelle lettere che, inaspettatamente, sono riuscite a sopravvivere a ogni tempo, a ogni luogo e a ogni intemperia. Alcune sono stracciate, strappate, rovinate e ingiallite, ma sono leggibili e quello è tutto ciò che conta.

Quando estrae a fatica quel pazzo di fogli legati da dello spago, le sue mani tremano di rabbia nel vederle tutte insieme, nel contare quante ne siano state scritte, nel sapere che ognuna porta sentimenti diversi, tutti uniti da una forte sofferenza e tanto pentimento per non esserci stato com’era stato promesso.

Sente male mentre le libera da quei nodi confusi. Non ha desiderio di soffrirci di nuovo ripercorrendo quei giorni, ma non ha storie più interessanti da raccontare, non sa cosa dire a quella tomba che continua a osservarlo, impaziente, nello stesso modo in cui i suoi occhi lo guardavano, desideroso di sapere, di scoprire. Trema prima d’iniziare a leggere.

< Mio amato Takashi > Recita la lettera a memoria < Il mondo potrà oscurare la nostra storia, potrà mentire sul nostro rapporto, potrà vergognarsi dei nostri sentimenti e rifiutare ciò che siamo stati, ma non potrà privarmi di ciò che provo per te. Queste lettere sono destinate a rimanere oltre le nostre vite terrene. La mia anima ti apparterà per sempre, Ran Haitani >


Ciao a tutti!
Sono così felice di pubblicare anche su questo sito il prologo di questa storia che mi sta tenendo occupata da agosto. Sono molto fiera di come sta proseguendo e non vedo l'ora di poterla pubblicare tutta.
Come anticipato, questa storia è presente anche su Ao3 e su Wattpad.
L'aggiornamento avverrà una volta a settimana, probabilmente la domenica verso sera o il lunedì nel primo pomeriggio, anche se potrebbe diventare doppio, a seconda di quanto in fretta riuscirò a correggere i capitoli.

Intanto vi ringrazio per aver dedicato del tempo a questo breve prologo, ci vediamo al prossimo capitolo ♡
   
 
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