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Autore: Quebec    05/03/2023    2 recensioni
L'archeologo Martin Valen approda su una cupa isola al largo dell'oceano atlantico per scoprire qualcosa sull'antica e misteriosa civiltà scomparsa nel nulla tremila anni fa.
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un imponente montagna si ergeva cupa e solitaria su un'isola nell'oceano atlantico. Era ammantata da una sottile nebbia malsana e circondata da una fitta vegetazione esotica. Le onde sbattevano e schiumavano contro gli scogli. Il vascello oscillava un poco tra i flutti che urtavano lo scafo e spruzzi d'acqua bagnavano il mio viso. Profumo di salsedine.
Io e il capitano Derrick osservavamo l'unica lingua di spiaggia bianca semisommersa dall'oscurità con la pallida luna alle nostre spalle.
— Sei sicuro che l'isola sia disabitata? — chiesi
— Certo, signor Valen. I miei uomini sono approdati ieri mattina e hanno perlustrato un po' la foresta. Non hanno trovato nessuno. Solo animali.
— Quanto lontano si sono spinti i tuoi uomini?
— Non saprei. Forse due chilometri.
— Un po' pochi, non credi?
— Sì, ma era tutto calmo. Non correte pericolo, ve l'assicuro.
All'alba calammo giù una scialuppa e due marinai vogarono verso la spiaggia. Quando posai gli stivali sulla sabbia, un fruscio di vento mi sferzò la faccia. Finalmente ero sull'isola di Valhana.
Derrick puntò il dito verso il sentiero che si arrampicava su una scarpata. — Quella è l'unica strada.
— Dove conduce? — domandai, curioso.
— A un tempio, credo. È una costruzione strana, quindi non so dirvi se è davvero un tempio.
— Certamente è un tempio antico. Quest'isola era popolata dai Diuni, una tribù scomparsa tre millenni fa. Quando Dio creò la Terra, donò quest'isola ai Diuni, la sua specie preferita. Poi il Diavolo corruppe due giovani Diuni innamorati e li aiutò a fuggire dall'isola in cambio delle loro anime. Grazie a queste, il Diavolo poté creare l'uomo a sua immagine e somiglianza.
— Ma non è stato Dio a creare l'uomo a sua immagine e somiglianza? — domandò Derrick, confuso.
— No, è stato il Diavolo. Come può Dio creare una specie così corrotta, meschina e subdola? Noi dai Diuni abbiamo ereditato la bontà, l'amicizia, l'amore, la solidarietà. Insomma, tutte le emozioni positive. Nemmeno il Diavolo è riuscito a corrompere del tutto le due anime da cui l'uomo è stato plasmato.
Derrick mi guardò, perplesso. Non era convinto dal mio ragionamento. Forse pensava di ascoltare un pazzo. — Hai detto che questi Diuni sono scomparsi nel nulla? È una leggenda, giusto?
— Non proprio — risposi. — Le leggenda hanno sempre qualcosa di vero. Si dice che siano stati spazzati via da una malattia a noi sconosciuta, ma nessuno ha mai trovato i loro resti. Alcuni dicono che siano emigrati altrove. Altri che si siano uccisi tra loro e tante altre fantastiche storie. Io credo che si siano nascosti dall'Uomo.
— Ci dipingi come il male supremo — disse Derrick. — Non tutti sono brutte persone.
— Le brave persone sono poche, capitano, così poche che saresti fortunato a incontrarne una.


I due marinai portarono in riva la scialuppa e imbracciarono due fucili Carcano mod. 91. Poi proseguimmo lungo il sentiero sterrato. L'odore dell'erba mi pervase i polmoni e il suo dolce aroma mi fece quasi svenire.
Una decina di muniti dopo arrivammo in cima.
Il tempio era infestata da numerosi arrampicanti e gli uccelli avevano nidificato sul tetto. Erano volatili mai visti prima. Erano neri come corvi e grossi come aquile, il becco simile a quello di un picchio, gli occhi di un arancione acceso, ipnotico, guardingo.
— Maestose, vero? — domandò Derrick.
— Creature meravigliose — risposi, incantato.
Il più grosso planò al suolo e ci scrutò con la testa inclinata. Quando mi avvicinai, Derrick mi fermò per un braccio. — Non lo toccherei, se fossi in voi.
— Perché?
— Ieri hanno quasi staccato un dito a un mio uomo.
Chissà quali altri animali e volatili popolavano quest'isola. Guardai l'enorme tempio. Pareti percorse da crepe, una lunga e larga scalinata spaccata in più punti che saliva per ottanta metri. Era una costruzione strana, arcaica. Il materiale con cui era stata costruita era troppo liscio per essere pietra lavorata. Sembrava simile al marmo con venature grigio oro.
Salimmo e ci fermammo sotto l'arco d'entrata su cui erano intagliate strane forme geometriche. Oltre, l'oscurità era così densa da poterla toccare.
— Ci servono delle torce — dissi.
Derrick si voltò verso Joey. — Sono nella scialuppa. Valle a prendere.
Il marinaio annuì e scese rapidamente i gradini.
Poggiai una mano sull'arco e guizzai la vista verso il buio.
— Credete che viva qualcuno qui? — chiese Derrick.
— Non lo so, ma spero sia un Diuno.
— E se ci fosse un tesoro?
— Fantastichi troppo, capitano. Nel 1698 il pirata Simon Horn è approdato su quest'isola insieme al suo equipaggio per stabilire un campo base da cui fare le sue incursioni. Indovina un po'? Lui e il suo equipaggio sono scomparsi nel nulla. Un anno dopo la sua nave fu ritrovata incagliata tra gli scogli. Qui non c'è nessun tesoro.
— È lo stesso relitto che abbiamo visto ieri?
— Sì, proprio quello.
Derrick e il marinaio si scambiarono uno sguardo, turbati.
Joey ritornò e accese le torce con la pietra focaia.
Ne presi una e varcai l'entrata con fare guardingo. La luce proiettava strane ombre sulle mura crepate e invase dalle piante. Camminammo in silenzio per un lungo momento e giungemmo a una scala che scendeva in profondità.
— Io non scendo lì sotto — disse Victor, il marinaio più giovane. Non aveva più di diciassette anni.
— Non fare la femminuccia — rispose Joey.
— Sarai tu una femminuccia!
— Smettila di fare il codardo, o la prossima volta ti lasciamo a terra!
Victor lo spintonò e Joey gli mollò un calcio nel sedere.
— Finitela voi due! — disse il capitano, serio. — O quanto è vero Iddio, vi lascio a marcire su quest'isola!
Li ignorai. Scesi i gradini e seguii un corto corridoio intervallato da strane nicchie in cui erano posti busti raffiguranti uomini con facce deformi e mostruose.
Il giovane Victor si strinse a Joey, che lo cacciò con una manata. — Levati, moccioso!
Svoltammo a destra e proseguimmo tra altre facce deformi che ci fissavano con i loro occhi vacui, antichi. Il corridoio ci condusse in una grande sala illuminata da sfere verdi e viola sospese a pochi centimetri dal suolo. Fuochi fatui? Impossibile. Non erano azzurrognole e non c'era traccia di corpi in decomposizione. Dovevano essere forme di luci a me sconosciute.
Proseguimmo.
Un ruscello spaccava in due il pavimento roccioso. Ci crescevano piante e alberi dalle chiome rosso sangue che mandavano vividi bagliori. Altra stranezza. Mi sembrava di essere in un sogno, o in un incubo.
— Cos'è questo posto? — chiese il capitano Derrick, spaventato.
Un laghetto circondava una scarpata rocciosa da cui rivolava acqua da una fessura nella parete.
Poi un gridò disumano riverberò nella sala e trasalimmo.
— Cos'è stato? — domandò Joey, ansioso.
Victor tremava, il fucile puntato in ogni direzione.
— Forse è un animale — disse Derrick. — Magari uno di quegli uccelli strani.
Superai il ruscello e giunsi davanti a una piattaforma rettangolare. Al centro c'era un altare di granito e oltre una statua alta dieci metri. Raffigurava una donna nuda dai lunghi capelli ricci che le coprivano i seni. Il suo bellissimo viso fiero e solenne guardava in alto. Aveva un uccello sulla spalla sinistra e un teschio umano nella mano destra. Era lo stesso volatile che nidificava sul tempio.
Un altro grido echeggiò tra le pareti rocciose. Victor si precipitò verso l'uscita.
— Torna qui! È un ordine! — gridò Derrick. Ma l'altro sparì nel corridoio. — Joey, vai a riprenderlo.
Il marinaio obbedì, riluttante.
Sfiorai la superficie dell'altare con un dito e accarezzai i piedi ruvidi della statua. Ero estasiato. Ero a tu per tu con un'antica opera Diunana. Nessun archeologo o esploratore ci era andato mai vicino. Mi sembrava un sogno. Ero il primo. Sarei diventato ricco e famoso.
Uno strillo mi destò dalle mie fantasie.
— Comincia a darmi sui nervi — disse Derrick, spazientito.
Dietro la statua c'era uno stretto cunicolo da cui giungeva la fioca luce di un fuoco.
— Credo che ci sia qualcun altro, qui — dissi.
— Chi? — ripose Derrick.
— Non lo so.
— Aspettiamo Victor e Joey. Hanno loro i fucili.
Mi avvicinai cautamente al cunicolo.
— Signor Valen, si fermi, la prego.
Proseguii nel cunicolo per una decina di metri e uscii in una stanza dal soffitto basso e puntellato da stalattiti. Un piccolo bivacco ardeva accanto al muro. La carcassa di un animale a me sconosciuto giaceva affianco. Assomigliava vagamente a un bisonte americano. Aveva due piccole corna ai lati della grossa testa e una piccola coda. L'addome sventrato, le budella sul terreno insanguinato.
Un'ombra si allungò da dietro un piccolo ammasso roccioso.
Buttai la torcia a terra, la calpestai per spegnerla e mi nascosi dietro una roccia.
La strana creatura alta mezzo metro raggiunse la carcassa e tirò fuori gli organi. Aveva la pelle grigia, un ciuffo di capelli bianchi in testa e la faccia deforme. Era molto simile ai busti visti nelle nicchie. L'iride gialla, mani e piedi grandi e una pancia gonfia come quella dei neonati.
— Aleo oladas dalaire — bisbigliò con voce acuta, da bambino. — Farlen ludas! Ludas! Aleana Malvas.
Ero così affascinato che il cuore mi martellava nel petto.
La creatura strappò un morso al cuore della bestia. — Alea Dolas... dolas kaladia... — Buttò il cuore nel bivacco e una vampata di fuoco si alzò in aria per un attimo. Poi afferrò l'intestino dell'animale e lo divorò.
Joey e Derrick entrarono nella stanza. La piccola creatura gettò a terra l'intestino e strillò verso di loro, i denti aguzzi in vista.
Joey trasalì e sparò. Il proiettile squarciò mezza faccia della creatura.
— No! — urlai, uscendo da dietro la roccia. — Che cosa hai fatto?!
Joey mi puntò il fucile spaventato, ma l'abbassò subito. — Che cazzo era quella cosa?
Mi chinai e accarezzai delicatamente il viso squarciato e insanguinato della creatura. — Doveva essere un Diuno o una sua progenie... E tu lo hai ucciso!
— Era un mostro! — rispose Joey, nervoso. Sudava copiosamente e si guardava ossessivamente attorno.
Scattai in piedi e gli sferrai un pugno in faccia.
Joey resse il colpo e scattò verso di me per colpirmi, ma Derrick ci divise. — Basta! Finitela! Finitela!
Guardai Joey in cagnesco. — Perché l'hai ucciso? Non ha fatto niente!
— È un mostro! Ci avrebbe uccisi!
— Non potevi saperlo!
— L'avrebbe fatto!
— No!
Una moltitudine di piccoli passi echeggiarono tra le pareti. Guardammo verso l'ammasso roccioso da cui era spuntata la creatura.
— Che cos'è questo rumore? — chiese Joey, spaventato.
Una dozzina di creature uscirono allo scoperto e altre continuarono ad arrivare alle loro spalle. Erano identici alla creatura che Joey aveva ucciso. Strillarono, mostrarono i denti aguzzi, ci circondarono.
Joey alzò il fucile per fare fuoco, ma una creatura gli saltò sulle spalle, gli strappò un pezzo di collo con un morso e balzò giù. Il marinaio lasciò cadere il fucile, indietreggiò con la mano sullo squarcio da cui zampillava sangue e crollò a terra. Gorgogliava, spuntava sangue e ci fissava in preda al terrore. Poi sei creature lo trascinarono dietro l'ammasso roccioso.
Io e Derrick eravamo paralizzati dal terrore.
Le creature avanzarono verso di noi, il cerchio che diventava sempre più piccolo. Poi si fermarono e smisero di strillare.
Una figura si fece largo fra loro. Era poco più bassa di me e aveva una corporatura minuta. Indossava una lunga veste blu notte e un uccello era appollaiato sulla sua spalla sinistra. Si fermò a due passi da noi e si abbassò il cappuccio.
Era una donna.
Pallida, occhi grigi e lunghi capelli corvino che scendevano abbondanti sulle spalle. Due piccole corna spuntavano ai lati della fronte. Gli occhi e le labbra macchiati di nero. Non potevo credere ai miei occhi, una Diuna.
La donna ci fissava con fare grave e solenne. — Siete entrati in un luogo sacro e lo avete profanato. — La sua voce era la più dolce melodia che avessi mai sentito in vita mia. Era quieta e minacciosa. Era meravigliosa.
— Non volevamo nuocere a nessuno — dissi.
— Il male non può mettere radici su questa terra. Quell'uomo ha ucciso uno dei miei figli. Il suo corpo verrà condotto a Leonas e lavato dall'impurità.
Una dozzina di basse creature scortarono Victor davanti alla Diuna e lo costrinsero a prostrarsi ai suoi piedi. Era vivo.
— Non voglio morire — disse il giovane marinaio in lacrime. — Non ho fatto niente. Lasciatemi andare, vi prego. Non ho fatto niente. Non salirò più su una nave, non viaggerò più. Tornerò a lavorare alla fattoria dei miei genitori. Ti prego, ti prego... Mamma! Mamma! — Scoppiò a piangere, le spalle che sussultavano a ogni singhiozzo.
La Diuna gli posò una mano sulla testa e lui perse i sensi. Poi allungò le sue lunghe dita affilate verso me e Derrick. Lui cercò di scappare, ma le creature gli saltarono addosso e lui gridò, si dimenò e gridò ancora, terrorizzato. La Diuna posò una mano sul suo capo e roteò gli occhi all'indietro. Derrick perse i sensi e crollò a terra.
Lei voltò lo sguardo nella mia direzione. Toccava a me. Non potevo fuggire, ma non volevo nemmeno morire. Che altro poteva fare? Posò la sua mano gelida sulla mia fronte e i suoi occhi grigi mi penetrarono fin dentro l'anima e ci scrutarono in profondità.
Svenni.


Ripresi i sensi in piedi sulla spiaggia, il vascello che ondeggiava in mezzo al mare mosso. Derrick e Victor trascinavano la scialuppa in acqua sotto un cielo rosso arancio.
— Salite a bordo, signor Valen — disse il capitano.
Ero confuso. Mi voltai a guardare il sentiero che saliva sulla scarpata.
— Qualcosa non va? — chiese Derrick
Corsi verso il sentiero, lo percorsi a tutta velocità e arrivai in cima. Il tempio era scomparso. Un grande albero dalla folta chioma rossa si ergeva al centro dello spiazzo.
Dov'era finito il tempio?
Mi guardai intorno, solo alberi e cespugli. La montagna solitaria troneggiava sulla mia testa avvolta da una fittissima nebbia.
— Signor Valen, vi sentite bene? — chiese Derrick alle mie spalle con il fiatone.
— Qui... qui c'era un tempio.
— Un tempio?
— Sì, un tempio. Era proprio qui, ricordi?
Derrick mi fissò, turbato. — Non c'è mai stato un tempio, qui.
— Sì, che c'era! Era qui davanti. Siamo entrati insieme. Tu, io, Joey e Victor.
— Joey?
— Sì, Joey. Ha ucciso il figlio di una Diuna. E loro hanno ucciso lui. Non ricordi nulla? Eravamo lì per i Diuni. Volevo trovare delle risposte, qualcosa che potesse essere utile ai miei studi. E l'ho trovato. È in quel tempio. Ma ora non c'è più!
Derrick mi fissava con fare perplesso. — Conosco tutti i miei uomini e non c'è mai stato nessun Joey a bordo. E riguardo al tempio... — Corrugò la fronte, pensieroso. — Mi avete pagato per portarvi a visitare questo albero millenario. Siete sicuro di stare bene, signor Valen?
Com'era possibile che non ricordava niente? Io ricordavo tutto. Forse la Diuna gli aveva rimosso i ricordi? Anche a Victor? E che fine aveva fatto Joey?
Una manciata di minuti dopo lasciammo l'isola.
Mentre Victor vogava verso la nave, la Diuna emerse dalla vegetazione assieme a una decina di suoi piccoli figli e raggiunsero la battigia.
— Guardate! — dissi.
I due guardarono verso la spiaggia.
Victor si voltò verso di me. — Cosa hai visto?
Derrick mi lanciò uno sguardo, preoccupato.
La Diuna e i suoi figli erano fermi sulla spiaggia bianca sotto la luna nascente. Fissavo il suo solenne e pallido viso farsi sempre più distante e mi maledicevo. Per quale motivo non mi aveva cancellato la memoria? Voleva farmi impazzire? Era la punizione per aver disturbato Valhana? E se mi buttassi in mare, se nuotassi fino alla spiaggia, cosa mi accadrebbe? Mi ucciderebbe o mi accoglierebbe?
Lanciai uno sguardo a Derrick e Victor e mi gettai nelle acque increspate.
   
 
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