"Com'è il tuo sangue?" domanda Tron, sardonico.
Four non ha risposte. Abbassa lo sguardo, si guarda le mani, come se lì ci fosse scritta la risposta e sospira.
Una parte di lui vorrebbe dire normale.
Rosso, di un rosso scuro, intenso. Lo ha visto tante volte, al punto che ha smesso di sorprenderlo: il suo, quello di altri, ma il suo in particolare.
Britannico, specificherebbe Five con una punta di sussiego. Non sangue blu, certo, ma comunque inglese.
Ma la realtà è che non c'è niente di normale, nel suo sangue.
Non è rosso, perché ormai ha fatto troppi danni per avere il lusso di pensare – sperare – che sia ancora rosso. È nero, riflette lo sporco che ha dentro, il male che ha fatto – e che continuerà a fare, perché è la sua natura. Inchiostro.
Non è puro, perché non c'è niente di puro nel sangue, suo padre glielo aveva insegnato molto tempo prima, facendogli vedere strani oggetti, ciambelle che viaggiano in quel flusso e palle appuntite e biancastre e di conseguenza non è puro, come può esserlo?
E in ultimo, non è nemmeno inglese, o britannico, o quel che è.
Tron glielo ha detto una sera, quando è tornato, l'ennesimo fallimento da riportare e quella rivelazione gettata lì, che gli ha tolto la terra da sotto i piedi. Non è inglese, non è figlio di suo padre – quale padre, vorrebbe domandarsi, quale dei due, di chi è figlio, di chi è mai stato – e non è fratello delle persone con cui per tutta la vita ha condiviso tutto, con cui credeva di condividere il sangue e la vita stessa.
Ma Tron ribadisce, seccamente, che lui non è nulla.
E a lui sta bene così. Non ha nemmeno più sangue nelle vene e nelle arterie, è figlio di nessuno e non è più nulla.

Sorride, ripensandoci, anni dopo.
Del resto, chi non è più nulla può essere qualsiasi cosa.