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Autore: The Blue Devil    12/03/2023    2 recensioni
Tempo, ultima frontiera: eccovi i suoi viaggi durante la sua missione ultradecennale diretta all’esplorazione di nuove interpretazioni, alla ricerca del proprio posto nel mucchio, fino ad arrivare là dove nessuno è mai giunto prima. Sono le straordinarie avventure senza tempo de: La lettera misteriosa.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Neal Leagan, Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è uno scritto a scopo di lucro alcuno per cui non si infrangono Copyrights.
I personaggi presentati, nomi e situazioni, sono di proprietà degli aventi diritto: Kyoko Mizuki (Keiko Nagita) per il soggetto; Yumiko Igarashi per la resa grafica dei personaggi; Toei Animation Co., Ltd, per la serie TV e Kappalab per l'edizione italiana dei romanzi di Kyoko Mizuki/Keiko Nagita.


Buona lettura
 
Tempo, ultima frontiera: eccovi i suoi viaggi durante la sua missione ultradecennale diretta all’esplorazione di nuove interpretazioni, alla ricerca del proprio posto nel mucchio, fino ad arrivare là dove nessuno è mai giunto prima. Sono le straordinarie avventure senza tempo de:


LA LETTERA MISTERIOSA
 
 
«Bentornato!», esclamò Candy, rivolta all’uomo che era appena rientrato a casa.
«Tesoro, sei bellissima; ma che fai al buio?», chiese lui, una volta chiusa la porta di casa.
Candy, facendo frusciare la vestaglia da camera azzurra che indossava, si avvicinò a suo marito, lo abbracciò e lo baciò, come era solita fare ogni sera.
«Niente di speciale… oggi mi ha preso una strana malinconia e me ne sono stata tutto il pomeriggio a rileggere vecchie lettere, ricordando il passato; neanche mi ero accorta che fosse già buio».
«E come potevi leggere al buio?».
«Eh, alcune lettere non esistono, o meglio esistono solo nella mia mente, nel mio cuore… non so se mi capisci…».
Toltosi il soprabito e riposta la sciarpa, lui le disse di aver capito: la capiva sempre al volo, indovinava sempre cosa si agitasse nella sua anima.
«Fa un freddo fuori… perché non ce ne stiamo acquattati tranquilli, con una coperta, vicino al caminetto acceso? Il fuoco scoppiettante ci scalderà. Ti piace l’idea, amore?».
«Direi che l’adoro. Mi è sempre piaciuto stare tranquilla davanti al caminetto, accanto al mio amore».
«Già», intervenne lui, «come quella volta in Scozia, durante le vacanze estive».
«O anche quando, anni fa, decidesti di mettere ordine nelle tue carte e… nelle nostre lettere», lo interruppe lei.
«A proposito di lettere», disse l’uomo, afferrando un mucchietto di missive poggiate su un tavolino, «sono quelle che hai riletto nel pomeriggio?».
«Proprio quelle».
Candy s’era già acquattata, come aveva detto lui, vicino al caminetto e attendeva solo che suo marito la raggiungesse; nello spostare le lettere, per sedersi, lui ne fece cadere una, che si trovava in fondo al mucchietto; la raccolse e si accigliò:
«Strano, ero sicuro di averle catalogate tutte per data, ma questa… ne è priva».
«Da’ un po’ qua», disse Candy, facendosi passare la missiva, «Ah, non ricordi? Questa è la famosa lettera…».
«Quella in cui c’è scritto "Per me non è cambiato niente"? Sai che non ricordo neanche quando è stata scritta? Non c’è la data; e allora perché l’ho messa in fondo?».
Candy gli sorrise.
«Non ricordavi neanche chi l’avesse scritta; è una lunga storia e, se vieni qui vicino a me, te la racconto. Dai amore, non farti pregare, vieni qui».
«Volo! Che stranezza, stai per raccontarmi una storia che dovrei già conoscere. Sono curioso, dai racconta!».
Si strinsero l’uno all’altra, si coprirono le gambe con un plaid e Candy incominciò il suo racconto.
 
Questo è quanto lui apprese dal racconto di Candy:
 
Candy camminava nervosamente, avanti e indietro, nel salone della villa che Terence aveva acquistato a Chicago, quasi a volerne misurare l’ampiezza. Attendeva il suo rientro a casa, poiché lui si era assentato per un paio di giorni a causa di problemi relativi ai possedimenti di famiglia in Inghilterra e Scozia; lei non lo aveva potuto accompagnare, poiché i bambini erano stati poco bene: non aveva trovato qualcuno a cui affidarli e, anche se l’avesse trovato, non li avrebbe lasciati comunque.
D’un tratto la porta si aprì e Terence comparve sulla soglia: Candy corse ad abbracciarlo e, dopo averlo baciato, gli disse:
«Bentornato, amore!».
Nessuno poteva sapere quanto lei fosse felice di pronunciare quelle parole, ogni volta che suo marito rientrava a casa, e quanto fosse felice di poterle pronunciare ancora.
Fuori pioveva. Pioveva sulla zona dei Grandi Laghi; pioveva su Chicago; pioveva su un minuscolo puntino in una vallata ai piedi di una collina, sulla quale pure pioveva. Pioveva su Chicago, sulle sue strade, sulle ville, sui giardini, sui frutteti; e pioveva sulle teste dei passanti. Quindi era piovuto anche sulla testa di Terence che, a causa di ciò, si infilò in camera, si rinfrescò e si vestì "da casa". Al suo rientro nel salone, Candy lo accolse così:
«Terence, oggi, finora, è stata una giornata uggiosa; ma che colore ha una giornata uggiosa? E che sapore ha? Chi vorresti accanto in una giornata uggiosa?».
Terence la guardava sorpreso, ma non rispondeva, quindi lei poté proseguire:
«Perché non la coloriamo? Perché non le diamo un sapore? Vorrei evitare di trasformarla in un pezzo di vita mal spesa!».
«Mi incuriosisci, continua».
«I bambini ora stanno bene e sono con zia Annie e Zia Patty, la servitù, dato che ero sola, l’ho liberata… perché non facciamo qualcosa noi due, insieme? Siamo soli in casa…».
Candy sottolineò, con particolare enfasi, le parole "qualcosa" e "insieme".
Terence rispose, convinto:
«Hai ragione, è ora e tempo che noi lo facciamo, dato che non l’abbiamo mai fatto».
Candy sussurrò:
«Oddio, mai fatto non direi… abbiamo due figli…».
Terence, come se non l’avesse udita, proseguì:
«Sì, dobbiamo farlo e adesso andiamo a farlo nel mio studio».
«Ah! Questo sì che non l’abbiamo mai fatto! Wow, che impeto, che passione, che bello! Mi piace farlo in posti inusuali! Lo facciamo sul tavolo?».
«Certo, e dove sennò? Comunque, non è affatto un posto inusuale… vieni, andiamo nel mio studio».
«Vai avanti tu», gongolò Candy, «Io ti raggiungo tra un po’: vado a prepararmi».
Terence, entrando nello studio, pensò:
«Cosa avrà voluto dire con "Vado a prepararmi"? Boh? Certo che oggi è strana!».
 
Circa venti minuti dopo, Candy si presentò nello studio: era senza scarpe e indossava una vestaglietta cortissima, completamente trasparente, che metteva bene in risalto le sue forme generose.
Appena vide Terence, sbottò:
«Ma, Terence, amore, non ti pare di essere… un po’ troppo vestito? Ah! Ho capito, vuoi che ti spogli io?».
Terence aggrottò la fronte e rispose:
«Come? E perché dovresti spogliarmi? Tu, piuttosto, ma come ti sei conciata?».
«Ho indossato la mia lingerie nuova… dato che ci troviamo a Chicago, sono passata da Madame Bourges, giorni fa. Non ti piace? È nera, traforata e di pizzo!».
«Sì, ammetto che ti sta a meraviglia, ma… a che serve presentarsi così, mezza nuda, in mutandine, reggiseno, reggicalze e calze nere, per catalogare?».
«Per ca… catalogare?», biascicò lei.
«Per questo siamo qui: dobbiamo mettere ordine in quella massa di carta che c’è sullo scrittoio; ordinare le lettere e separarle dai documenti sulle proprietà immobiliari e terriere; non l’abbiamo mai fatto e dobbiamo farlo», rispose lui, indicando il cartame sulla sua scrivania e andando a sedersi.
Una grande goccia di sudore si disegnò sulla nuca di Candy e i suoi occhi di smeraldo andarono in pezzi, insieme ai suoi sogni di gloria. Ma non si demoralizzò: si tirò sopra il capo, a due mani, la massa dorata che possedeva e poi se la fece ricadere sulle spalle, ondeggiando la testa a destra e a sinistra e raggiunse il marito, sedendosi sulla scrivania con le gambe accavallate – in questo modo gli metteva una coscia sotto il naso.
Terence iniziò a esaminare le carte, mentre il delizioso piedino di sua moglie, inguainato nella calza, andava a cercare le sue parti sensibili.
Pochi istanti e la bionda propose:
«Perché non facciamo una pausa?».
«Una pausa? Ma se non abbiamo nemmeno cominciato!».
«Beh, cominciamo con una pausa…».
«Non essere sciocca, che non abbiamo molto tempo, dai».
Candy lo osservava allibita: con tutto quel ben di Dio davanti, lui se ne restava impassibile a guardare lettere e documenti?
«Questa è di Carson; questa è del dottor Leonard; qui ce n’è una di Annie Brighton…».
Dopo un po’, Candy disse a Terence che si stava annoiando e, con l’intenzione di andare a soddisfarsi da sola, fece per scendere dal tavolo; lui la bloccò, afferrandole un polso:
«E questa cos’è?», le chiese, porgendole una lettera – che sembrava più un bigliettino – che, essendo senza busta, non portava la data, «E chi è questo T. G.?».
Esaminatala, inizialmente Candy disse di non saperne niente, ma poi, incalzata da lui, ammise:
«Sì, T. G, significa Theodore Glastonbury… è uno dei miei amanti…».
Terence accennò a una protesta, ma lei lo bloccò:
«No, T. G. vuol dire Ti Gonfio, se non la smetti di dire cretinate!», ora il suo delizioso piedino si trovava conficcato nel costato dell’uomo, «Sei tu T. G.!»
«L’ho scritta io? E perché non me la ricordo? E perché l’ho firmata in quel modo?».
«E che ne so io? Forse l’hai scritta di fretta e non hai avuto il tempo di scrivere il tuo nome e cognome per esteso. Un po’ come quello che è accaduto alla madre di Harrison con il fazzoletto firmato H. G.*».
«E quando l’avrei scritta? Dopo Rocktown?».
«Sì, per dirmi: Candy, non è cambiato niente, so’ sempre ‘mbriago e recito in teatrucoli di provincia! Ma ti pare?».
«Allora… dopo che ti ho mollata alla Saint Paul?».
«Sì, intendevi: io voglio sempre far l’attore e tu continui ad andare a quel paese! Non è credibile».
«Chicago?».
«Non è cambiato niente: non ci incontriamo mai e buonanotte! Ma va’».
«Dopo che tu mi hai mollato, come un pesce lesso, a New York?».
Candy, che sapeva la verità, cominciava a spazientirsi.
«E poi perché avrei scritto: è passato un anno e poi altri sei mesi?».
«Qui ho un’ipotesi: l’hai scritta alla nascita dei gemelli; nove mesi a testa, uguale diciotto. E significava: non volevo cambiare i pannolini e far le nottate allora e non voglio farlo ora».
«Mi prendi in giro? I nove mesi valgono per tutti e due, e sono solo nove…».
«Ma certo, tesoro mio. Hai scritto così perché hai fatto male i conti e sei pignolo, oppure hai cominciato a scriverla un anno dopo un certo evento e poi ti sei dimenticato; sei mesi più tardi hai ritrovato il foglio e l’hai continuata, correggendo».
«Continua a non convincermi…».
A quel punto, Candy saltò giù dal tavolo e si diresse alla porta:
«Mi sto annoiando, ti saluto».
Terence ribatté:
«Se ti stai annoiando, chiama il vecchio Bert e fate una bella briscola insieme».
«No, lo sai che ti dico?», sbraitò Candy, stizzita, «Ora esco e vado col primo che incontro! Tiè! Come è successo a Lynn, alla fine di "Ken il Guerriero"».
«Eh, no! Lynn era sotto incantesimo e tu non lo sei, e poi Kaio dice a Ken che si sarebbe innamorata del primo essere vivente che avesse visto al suo risveglio. Tu sei sposata con me, quindi sei già innamorata di qualcuno e non puoi innamorarti di un altro».
«Questo è vero…».
«Pensa alla povera Lynn, se avesse visto Re Nero al risveglio…».
«Penso che si sarebbe divertita! Uno stallone così, e per giunta nero!», chiuse Candy, sbattendo la porta.
«Cosa avrà voluto dire? Boh?», pensò Terence.
 
Non erano passati neanche cinque minuti da che Candy aveva lasciato lo studio di suo marito, che qualcuno bussò alla porta di casa. Candy aprì e si trovò davanti niente po’ po’ di meno che Sarah Legan, che si presentò così, con un tono leggermente lamentoso:
«Buonasera».
La bionda impallidì e, d’impulso, chiuse la porta, sbattendogliela in faccia e pensando:
«Ma… porco mondo! Con tutti i fusti che ci sono sul pianeta, proprio questa dovevo incontrare! Oddio, non è che sia malaccio, ma non è il mio genere… magari se si fosse presentata Eleanor… ma che vado a pensare?».
Serrò i pugni, trasse un gran respiro, si sforzò di esibire una parvenza di sorriso e riaprì la porta: la signora Legan era ancora lì, impietrita. Pareva furiosa.
«Buonasera Signora Legan. Volete accomodarvi?».
«È inaudito! Come hai osato sbattermi la porta in faccia? Tu un’orfana! No che non voglio entrare in una casa di villani! E poi guardati, come sei… svestita! Sembri proprio una… una sgualdrina!».
«Ehi, piano con le offese! Sembrerò pure una sgualdrina, ma io me la godo! Dovreste spogliarvi un po’ anche voi e godervela, ché il vostro tempo è allo scadere. Guardatevi, sembrate un baccalà imbalsamato! E vi ricordo che non sono più un’orfana».
«Non ti permettere…».
La donna alzò una mano per colpirla, ma poi pensò alle nefaste conseguenze, che quel gesto avrebbe comportato, e si fermò.
Candy ne approfittò:
«Cosa desiderate allora? Perché siete venuta?».
«Il prozio mi ha incaricata – neanche fossi la sua serva – di informarti che darà un grande pranzo domenica prossima: tu e tuo marito siete invitati».
Alla parola "serva", Candy commentò, sottovoce:
«Beh, qualcosa che ci assomiglia lo siete diventata…».
«Cos’hai detto, Candy?».
«Niente, pensavo ad alta voce. Dato che siete qui, potreste farmi un favore? Sì, dai».
Candy si diresse ad un tavolino, strappò un foglio da un blocchetto, vergò due righe e lo porse alla signora.
«Potreste consegnare al prozio questo biglietto, oltre a dirgli che ci saremo al pranzo?».
«Candy, non te la caverai così. Informerò il prozio del tuo comportamento e del tuo modo di vestire, a dir poco, imbarazzante e discinto! E se ti vuoi presentare domenica, mettiti qualcosa addosso!».
«Va bene, ora andate e portate i miei saluti al prozio! Addio», e le sbatté di nuovo la porta in faccia, sentendola sbraitare, attraverso di essa, qualcosa sull’essere trattata da serva anche da un’orfana!
 
Finito di "conversare" con la signora Legan, Candy si riaffacciò nello studio di Terence:
«Ti comunico che ho invitato il prozio a giocare a scopone».
«Bene, così non ti annoi».
Dopo aver sbattuto nuovamente la porta, si riaffacciò di nuovo:
«Anzi, ho cambiato idea: giocheremo a scopa all’asso con l’asso pigliatutto, magari di bastoni».
E ancora una volta chiuse la porta con violenza.
Terence, rimasto solo, dopo essersi scervellato su quella lettera, o biglietto che fosse, decise che il suo posto fosse in fondo al pacchetto.
«È giusto stia lì, senza data, e qualcosa mi dice che ho ragione».
Contento per aver trovato una soluzione, si stiracchiò sulla poltrona e decise di andare a vedere chi stesse vincendo tra Candy e il vecchio Bert a scopa all’asso.
Quando entrò nel salone, ciò che vide lo fece trasalire.
 
«Che sta succedendo qui?», chiese, osservando la strana compagnia riunita intorno al tavolo.
Albert, Archie, Neal e Candy se ne stavano lì seduti con delle carte in mano.
Fu Candy a rispondere:
«Stiamo giocando a scopa all’asso pigliatutto. Si sono uniti a noi anche Archie e Neal, come vedi».
«Vedo, vedo… e… chi sta vincendo?».
«Non abbiamo ancora finito, ma ti dico la regola che abbiamo stabilito: chi becca l’asso di bastoni si piglia tutto. Ma proprio tutto!».
«Che strana regola», protestò Terence.
«Lei ti ha detto abbiamo, ma in realtà è una regola che ha voluto lei», intervenne Albert.
«Capisco: tre uomini, una donna e un asso di bastoni…».
Terence passò dietro ai giocatori per vedere le loro carte e notò una cosa alquanto strana: nessuno dei tre uomini aveva un asso, mentre Candy ne aveva tre, compreso quello di bastoni.
Terence annunciò:
«Cari amici, nessuno di voi tre piglia un bel niente: la signora ha tre assi».
«Infatti è la signora che piglierà tutto», azzardò Neal, che da dieci minuti deglutiva a fatica ogniqualvolta Candy manifestava di avere caldo, come fece in quel momento.
«Fa un po’ troppo caldo qua dentro non trovi, caro?», si lamentò allargando l’apertura sul petto della vestaglia con cui si era coperta, per ricevere i giocatori.
Una mossa abile e la vestaglietta si aprì anche sotto, scoprendo una coscia, alla sola vista del marito.
«Un attimo, signori: in questo gioco, in questa casa, c’è un’altra regola», attaccò il padrone di casa, cominciando a rivoltare tutte le carte del mazzo, «Io sono Duca e quindi posseggo una spada, ergo l’asso di spade batte quello di bastoni e si piglia tutto! Eccolo, ce l’ho io!», esclamò poi, gettando la carta sul tavolo.
«Quindi piglio tutto io. La partita è finita, potete andare, ci vediamo domenica al pranzo dagli Andrew».
Usciti i tre ospiti, Terence si rivolse a sua moglie, sempre più accaldata:
«Di’ la verità, tu la conoscevi questa regola dei Grancester e hai truccato le carte».
«Può darsi e… a proposito di carte… hai risolto?».
Cogliendola di sorpresa, Terence sollevò la moglie dalla sedia e la prese in braccio:
«Certamente, e ho compreso che non ci serve una data o una stupida lettera per stabilire che ci amiamo: ci amiamo e basta!».
«E adesso che intenzioni hai? Cosa mi farai?».
«Mmm… adesso andiamo a farlo nel mio studio, sul tavolo…».
«A fare quello? Proprio quello?».
«Esatto», rispose lui, mentre lei si abbarbicava al suo collo e si gustava ancora una volta il sapore della sua lingua.


 
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«E questo è tutto», sentenziò Candy.
Terence le sorrise.
«Secondo me, ti sei inventata tutto! Dai è una storia ridicola, sei terribile».
«È possibile che ci abbia ricamato un po’ sopra, ma… anche tu dai, vorresti farmi credere che neanche ti ricordavi di averla scritta tu, quella lettera?».
Terence si difese dicendole che, avendola scritta nel periodo più triste della sua vita e dopo un evento traumatico, l’aveva rimossa.
«Periodo triste?», si sorprese Candy.
«So a cosa stai pensando e, in effetti, devo spiegartelo meglio il mio ragionamento».
«Ti ascolto».
«È vero, il periodo triste stava finendo, ma io non ero del tutto sicuro che tu mi volessi ancora e poi, non ci crederai, ma la morte di Susanna è stata un trauma pure per me, anche se non ho detto niente, dopo la sua morte».
Candy lo guardò di traverso e lui precisò:
«Sebbene fosse diventata cattiva, Susanna restava sempre una ragazza fragile e insicura, vittima della propria ossessione per me; l’ho vista morire e ti assicuro che non è stata una bella esperienza, non mi ha dato alcuna gioia, come qualcuno potrebbe credere: non dimentico che sono vivo grazie a lei, che ha pagato, forse, il prezzo più alto. Inoltre, ho visto il dolore di sua madre… straziante».
«Ma non parliamo più di lei… è passato tanto tempo…».
 
Restarono accoccolati ad ascoltare il crepitio delle fiamme nel camino, ancora per un po’, senza fiatare, cullati dal dolce tepore, e poi Terence si alzò e fece alzare anche lei: le aprì la vestaglia e, passandogliela sopra le spalle, gliela fece scivolare lungo le braccia e la lasciò cadere a terra; con un dito seguì il contorno delle sue labbra, prima di baciarle.
«Questa lingerie bianca ti sta d’incanto. Anche questa è di Madame Bourges?».
Senza attendere risposta la sollevò, prendendola in braccio, e le chiese:
«Vedi, non sono ancora tanto vecchio da non riuscire a sollevarti… facciamo il bis?»
«Intendi… nello studio? Sul tavolo?».
«Penso che il Terence del tuo racconto avesse ragione: non ci serve una stupida lettera per amarci».
«Ma… dimentichi che ci ha fatto riavvicinare».
«No, non è vero: è stato solo il nostro amore a riunirci. Non dimenticarlo mai».
La risposta di Candy fu un bacio profondo e appassionato.
«Mi piace il sapore della tua lingua, ma ora vorrei… vorrei gustare qualcos’altro di tuo. Sì, voglio fare il bis, come a teatro…».
Tenendola sempre in braccio, Terence varcò la soglia del suo studio e, colpendola con un piede, chiuse la porta alle sue spalle.
 
Nessuno dei due si era accorto che, a causa dello spostamento d’aria, creatosi quando Terence aveva preso Candy in braccio, la lettera misteriosa, esaurito il suo compito, aveva intrapreso il suo ultimo viaggio e ora si consumava, felice, tra le fiamme del camino…

 
FINE
 
 
* Harrison e sua madre sono due personaggi, da me inventati, presenti in una FF pubblicata in questo sito, così come la situazione del ricamo sul  fazzoletto.
 
 
 
 
© 2023, The Blue Devil
 
   
 
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