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Autore: Kimando714    15/03/2023    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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Prima di lasciarvi all'aggiornamento di stasera, il gran finale di Growing, volevamo ringraziare tutt* coloro che ci hanno seguito in questo nostro percorso. Quindi un grazie di cuore a tutte le persone che hanno votato i nostri capitoli, commentato, o anche solamente letto 💙
Abbiamo deciso di aprire le nostre pagine social, in modo da potervi tenere aggiornati con ciò che verrà e magari discutere su tutto quello che abbiamo pubblicato finora. 
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Non staremo molto lontane da questi lidi, in ogni caso: infatti, torneremo con Adulthood, la terza parte della trilogia dedicata a Walk of Life, il 3 Maggio!🔜
Detto ciò, ci rivediamo con il finale di Growing e con le note finali!



 
CAPITOLO 41 - BEFORE TOMORROW COMES

 

 
I couldn't sleep, I had to listen
To a conscience, knowing so well
That nothing comes from indifference
I look inside of myself
 
«Non so se è il momento giusto, ma vorrei davvero vederti. Lo vorrei davvero tanto».
Giulia cercò di reprimere l’ennesima smorfia che quelle parole le causavano. Era dalla sera prima che cercava di togliersele dalla testa, senza molti risultati: Lorenzo era riuscito a catalizzare su di sé i suoi pensieri con un unico, laconico quanto supplichevole messaggio.
Aveva riflettuto per tutta la sera su cosa rispondergli, come se la risposta fosse tutt’altro che semplice. Lorenzo le aveva chiesto di vederla nel momento più sbagliato possibile, anche se le cose con Filippo sembravano essere migliorate davvero negli ultimi tempi. Rimaneva comunque una di quelle settimane completamente no: i crampi che il ritorno del ciclo le stava causando non erano facili da ignorare.
Tornare a riabituarsi al proprio corpo dopo il parto si stava rivelando più difficile di quel che si sarebbe mai aspettata: c’erano giorni in cui si sentiva sformata, gonfia, al limite del riconoscersi. Trovava quasi ironico però che, nel giorno dell’anniversario del suo matrimonio, il suo corpo avesse deciso una volta per tutte di darle il segnale definitivo che la gravidanza era finita del tutto, che era ora di tornare ad abituarsi a com’era prima.
Si sedette stancamente sul divano, nel silenzio di casa sua. Filippo era uscito poco prima, assicurandole che quando sarebbe rientrato avrebbe avuto abbastanza pacchi di assorbenti per tutta la settimana. Giulia non aveva nemmeno dovuto insistere più di tanto per convincerlo a scendere nel primo negozio aperto per quell’emergenza: Filippo aveva accettato abbastanza quietamente, segno che, in fin dei conti, non si era del tutto dimenticato della promessa che le aveva fatto un mese prima.
Il campanello risuonò fragorosamente, riscuotendola di colpo. Giulia guardò rapidamente l’ora segnata sul display del proprio telefono, lasciato sul divano accanto a lei: Lorenzo sembrava essere in anticipo, ma non faceva alcuna differenza. L’importante era cercare di fargli evitare Filippo il più possibile.
Giulia si alzò, dolorante e con passo lento, per avvicinarsi al citofono. Premette il tasto per aprire il portone del palazzo senza nemmeno alzare la cornetta per controllare chi fosse, ben conscia di aspettare unicamente Lorenzo in quella giornata.
Rimase in piedi ad aspettare: si chiese, mordendosi il labbro inferiore, quanto si sarebbe trattenuto. Sperava fosse solo un saluto veloce, il suo. Non aveva idea di cosa potersi inventare nel caso Filippo fosse rientrato in anticipo: aveva preferito non dirgli nulla di Lorenzo, come se la cosa non lo riguardasse. In fin dei conti, era così: Lorenzo aveva scritto a lei, e per vedere solo lei. Continuava a ripeterselo per soffocare il senso di colpa che, inevitabilmente, la attanagliava ogni volta che ricordava di aver lasciato volontariamente Filippo all’oscuro di tutto.
Non passò più di qualche minuto prima che bussassero alla porta d’ingresso. Giulia si allungò per aprirla, rivelando Lorenzo oltre la soglia. Dal sorriso imbarazzato che aveva dipinto in viso non sembrava del tutto sicuro di ciò che stava facendo – e forse nemmeno lei lo era.
-Ciao- la salutò subito, mentre Giulia si faceva da parte per lasciarlo passare – Ti ho disturbata?-.
-No, non esattamente- mentì lei, richiudendo la porta. Si rese conto di sentirsi impacciata allo stesso modo di Lorenzo: non lo vedeva da un anno esatto, e ricordava perfettamente quanto fosse stato difficile stare con lui al matrimonio con Filippo. Cercò di ignorare quei ricordi ancora una volta.
-Hai una bella casa-.
Lorenzo avanzò di qualche passo nell’atrio, guardandosi intorno. Sembrava sinceramente incuriosito di scoprire e vedere per la prima volta il luogo in cui viveva Giulia.
-Già, non mi lamento- disse lei, semplicemente.
Si chiese se fosse il caso di seguire qualche regola di cortesia – magari chiedere se voleva un po’ d’acqua per rinfrescarsi, un caffè o una qualsiasi altra cosa-, prima di andare al sodo. C’era una domanda che continuava a ronzarle in testa da quando aveva ricevuto il suo messaggio, e alla quale non era riuscita a dare una risposta certa.
Alla fine, fregandosene di qualsiasi formalità, si piazzò davanti a Lorenzo a braccia incrociate, guardandolo dritto in faccia:
-Perché sei venuto qui?-.
Lorenzo non parve sorpreso di udire quella domanda: era un dubbio più che lecito, tanto quanto l’altro che Giulia si stava trascinando dietro da quando aveva accettato di farlo venire a casa sua.
“Perché l’ho fatto?”.
-Volevo solo sapere come stavi- le rispose, quasi a mezza voce – E visto che oggi ero di passaggio qui a Venezia, volevo sapere se potevo vederti-.
Giulia soppesò per un po’ quelle parole. Non era una vera risposta, di quello era certa: in un anno Lorenzo non s’era mai fatto vivo nemmeno per una chiamata. Decidere di andare a visitarla direttamente a casa continuava a non convincerla.
-Sto bene, come vedi. E tu?- gli rigirò la domanda, stringendosi nelle spalle. La situazione continuava ad imbarazzarla esattamente come nel primo secondo in cui si era ritrovata di fronte Lorenzo, a farla sentire a disagio per il modo intenso con cui continuava a guardarla, come se le cose che voleva dirle fossero ben diverse da quelle che invece le stava rivolgendo.
-Non mi lamento- sospirò lui, alzando le spalle. Rimase qualche secondo in silenzio, prima di aggrottare la fronte:
-Sicura di stare bene?-.
Per un attimo Giulia ebbe la tentazione di dirgli che no, non stava affatto bene – i dolori alla pancia continuavano a stringerla in una morsa, si sentiva le gambe stanche e la testa che rischiava di scoppiarle-, ma poi vi rinunciò:
-Sì. Cosa ti fa pensare il contrario?- disse, cercando di abbozzare un sorriso di circostanza. Dovette trattenersi dal prendere il cellulare dalla tasca dei pantaloni per controllare l’ora: non aveva idea per quanto ancora Filippo sarebbe rimasto fuori casa.
-Non lo so, solo un’impressione- le rispose Lorenzo, passandosi una mano sulla barba scura.
Prima che Giulia potesse farsi venire in mente qualcosa per portare avanti la conversazione – o per fargli capire che era meglio che se ne andasse-, il silenzio della casa venne interrotto dall’inizio di un pianto acuto, quasi disperato. Dopo pochi secondi quel primo strillo venne seguito anche da un secondo, segno che Caterina e Beatrice si erano svegliate entrambe e con qualche bisogno a cui Giulia doveva sopperire il prima possibile.
-Dio, le gemelle- Giulia chiuse gli occhi per un attimo, sentendosi ancora più stanca fisicamente al pensiero di dover badare ad entrambe contemporaneamente – Scusami, ma probabilmente dovrò cambiarle o allattarle-.
Vide Lorenzo abbassare gli occhi, stavolta palesemente a disagio. Per un attimo Giulia si chiese se si ricordasse del fatto che ora aveva delle figlie, e che non era solo più una questione riguardante il solo Filippo.
-Quasi mi ero scordato che ora sei una madre- mormorò lui, confermando implicitamente ciò che Giulia stava temendo. Le sembrò più in difficoltà che mai, in quel momento, tanto da farle quasi tenerezza e indurla ad addolcire il tono. Per un attimo accantonò persino l’idea di allontanarlo subito con la scusa di dover andare dalle figlie.
-Vuoi conoscerle?-.
Giulia si morse il labbro, ancora un po’ incerta se quella fosse stata una buona pensata. Era stata una domanda istintiva, su cui non aveva riflettuto molto.
Quando Lorenzo rialzò il viso, con un sorriso esitante dipinto sulle labbra, Giulia seppe già la risposta che stava per darle:
-Volentieri- annuì, gli occhi verdi più luminosi.


 
-Lei è Beatrice-.
Quando Giulia indicò la culla dove se ne stava la bambina bionda e urlante, il viso rosso per lo sforzo, Lorenzo sembrò quasi in panico. A lei venne quasi da ridere: era piuttosto evidente che non fosse abituato ai bambini piccoli. Dubitava persino che avesse rivisto Francesco qualche altra volta, dopo il giorno della sua nascita.
-E questa Caterina- proseguì, trattenendo una risata per l’espressione a disagio dell’altro.
Lorenzo si fermò davanti a Giulia, che ancora teneva saldamente tra le braccia Caterina, quella che tra le due sembrava aver preso più da Filippo: aveva gli stessi capelli scuri e ricci, e gli stessi occhi ambrati.
-Come mia sorella- disse, più tra sé e sé che a Giulia.
-Già- confermò lei, con un sorriso – Sono abbastanza buone, devo dire … Anche se stare dietro a due neonate è praticamente un’impresa-.
-Immagino che tuo marito ti dia una mano- le rispose Lorenzo, con una vena vagamente amareggiata ed ostile nella voce. Giulia cercò di ignorarla, anche se non poté reprimere del tutto il fastidio che provò nel sentirlo parlare di Filippo in quei toni. Rimase in silenzio anche perché non aveva intenzione di contraddirlo, né di alimentare quella discussione: l’ultima cosa che voleva era parlare della sua situazione con Filippo proprio con Lorenzo.
-Diciamo di sì- sospirò, senza troppa convinzione.
Prima che Lorenzo potesse aggiungere qualsiasi altra cosa, la serratura della porta d’ingresso scattò. Giulia avvertì il rumore fin troppo distintamente, e fin troppo all’improvviso.
Quando si rese conto, in mezzo secondo, che quello significava solo una cosa, si sentì raggelare nel sangue.
Lanciò un’occhiata a Lorenzo, e rimise nella culla Caterina in tutta fretta: si sentiva così nei guai che riuscì persino ad andare oltre gli strilli delle figlie, ripromettendosi di pensarci appena avrebbe capito quanto la situazione si era fatta grave.
Quando uscì dalla camera delle gemelle per avviarsi vero l’ingresso, Giulia non si stupì affatto di ritrovarsi di fronte Filippo.
Aveva appena richiuso la porta d’ingresso, tenendo ancora in mano le sporte di plastica contenenti la poca spesa che aveva fatto. Quando si voltò verso Giulia, lei non gli lasciò nemmeno il tempo di dire nulla:
-Ehi!- lo salutò, cercando di sorridergli il più convincente possibile – Guarda chi è venuto a farci visita-.
Sapeva, anche senza voltarsi indietro, che Lorenzo doveva essere poco dietro di lei. Vide Filippo spostare lo sguardo da Giulia a lui e poi di nuovo verso di lei in una frazione di secondo, cambiando espressione altrettanto velocemente.
-Ciao- disse, abbastanza indifferentemente. Rimase immobile davanti all’ingresso, appoggiando con la mano libera le chiavi di casa sul mobile all’entrata.
-Ciao- Lorenzo si fece avanti, affiancando Giulia – Ero qui a Venezia, ho chiesto a Giulia se potevo passare per dare un saluto-.
Anche Lorenzo aveva cambiato atteggiamento: il sorriso esitante che aveva rivolto a Giulia la maggior parte del tempo era sparito, lasciando spazio solamente ad un volto tirato e per niente conciliante. Giulia cominciava a sentirsi soffocare dall’aria tesa che iniziava a respirarsi in quello spazio ristretto.
-Certo, non c’è problema- liquidò la questione Filippo, con un gesto sbrigativo della mano. Aveva cercato di dirlo in tono cordiale, ma l’unico risultato che ebbe fu quello di sembrare frettoloso e tutt’altro che disponibile.
Prima che Giulia potesse farsi venire in mente qualcosa per mettere alla porta Lorenzo e porre fine a quella situazione d’imbarazzo, fu Lorenzo stesso a trovare la soluzione:
-Ora dovrei andare, però-.
Si voltò verso Giulia per un attimo, come a chiederle silenziosamente il permesso di avviarsi verso la porta. Lei si ritrovò ad annuire debolmente, mentre gli faceva strada. Filippo si scostò velocemente, tenendo ancora le borse saldamente in mano ed avviandosi velocemente verso la cucina, senza dire una parola.
Quando Giulia aprì la porta d’ingresso per lasciare uscire Lorenzo, ebbe l’impressione che, nonostante il suo andarsene, le cose in casa non sarebbero migliorate.
-Ci vediamo- Lorenzo le si rivolse un’ultima volta, uscendo sull’uscio del pianerottolo – Avrei voluto rimanere per più tempo, ma ho l’impressione che non sarebbe una buona idea-.
Ora, più che ostile, sembrava solo dispiaciuto. Giulia si morse il labbro, a disagio:
-Già, non lo sarebbe- sospirò, a mezza voce – Grazie della visita, sul serio-.
Osservò per un’ultima volta Lorenzo, prima di richiudere la porta, lasciandolo fuori. Per i primi secondi, dopo averla richiusa, rimase immobile, le mani ancora sulla maniglia, cercando di regolarizzare il respiro.
Si chiese quando l’avrebbe rivisto la prossima volta: aveva la sensazione che, prima che succedesse, sarebbe passato parecchio tempo.
Rimase lì ancora per un po’, prima di avere il coraggio di muoversi. Le gemelle piangevano ancora, ma prima di tornare da loro, Giulia si fece coraggio e decise di fermarsi prima in cucina, dove Filippo stava sistemando le cose appena comprate.
Quando varcò la soglia vide Filippo che le dava le spalle, intento a riporre alcuni pacchi di biscotti nella credenza. Aveva quasi finito: erano rimaste poche cose sulla tavola – gli assorbenti che lei gli aveva chiesto di comprare erano lì, messi da parte, in bella vista-, e Giulia non ebbe il coraggio di parlare fino a quando Filippo non si girò verso di lei, per recuperare altre cose da mettere via.
-Che ci faceva lui qui?-.
Poteva sembrare una domanda casuale, più che legittima per qualcuno che era rimasto all’oscuro della cosa fino a quando non se l’era trovata sotto il naso. Ma bastava ascoltare con più attenzione, percepire quella lieve nota di risentimento e rabbia che Filippo doveva star covando in sé da quando aveva visto Lorenzo accanto a lei, non appena rientrato.
Anche in quel momento poteva apparire esteriormente calmo, ma il fatto che non la stesse nemmeno guardando mentre le parlava, per Giulia non fu altro che una conferma di quanto si stesse sentendo ferito.
-Quello che ti ha detto: solo un saluto. È restato qui sì e no dieci minuti- mormorò, dopo alcuni secondi di puro silenzio.
Filippo continuò con la sua indifferenza verso di lei: si voltò ancora una volta, aprendo qualche altro cassetto della cucina per mettere via le ultime cose.
-Non mi hai neanche avvisato- disse ancora, stavolta lasciandosi sfuggire molto di più la nota di fastidio che prima, invece, era risultata quasi impercettibile.
Per la prima volta, in quel momento, Giulia si sentì in colpa. Si pentì di averlo tenuto all’oscuro, si pentì persino di aver accettato di vedere Lorenzo lì, in casa loro, proprio mentre Filippo era uscito. Il fatto che si trattasse proprio di Lorenzo, poi, era ancora peggio.
Si sentì sporca.
“Che cosa ho fatto?”.
-Te lo avrei detto se ne avessi avuto il tempo- tentò di dire, consapevole della debolezza di quella giustificazione – Non ho quasi pensato al fatto che sarebbe passato-.
Sentì le proprie parole vuote risuonare nella cucina, ed infrangersi contro gli occhi spenti di Filippo, che ora la stavano scrutando con un’indifferenza che Giulia non gli aveva visto nelle iridi nemmeno nei momenti peggiori dei mesi passati.
-Va bene, ho capito- Filippo si riscosse quasi subito, scuotendo il capo – Lasciamo perdere e basta-.
Per un attimo Giulia sperò che cambiasse idea. Sperò di sentirlo arrabbiarsi, di chiederle più spiegazioni, persino di urlarle addosso la sua frustrazione. Avrebbe preferito mille volte quello alla fredda indifferenza che le stava riservando.
Non accadde nulla del genere. Filippo proseguì a riordinare la spesa, ignorandola. Non la vedeva nemmeno: Giulia era lì, ancora di fronte a lui, come se ai suoi occhi fosse diventata invisibile.
 
*
 
Will I find some kind of conviction?
Or will I bid the hero farewell?
Or will I be defined by things that could've been?
I guess time will only tell
I guess time will only tell
 
L’aria salmastra della laguna gli riempì le narici e i polmoni. Per un attimo tenne gli occhi chiusi, mentre ripensava a quanto il mare e la sabbia dorata gli sarebbero mancati durante quell’estate in cui, molto probabilmente, non avrebbe messo piede nemmeno una volta  in una spiaggia.
Pietro dondolò appena il passeggino, dando un’occhiata a Giacomo, steso ed addormentato tra le lenzuola leggere. Gli venne spontaneo sorridere mentre osservava le guance lievemente arrossate del bambino, il viso paffuto contornato dai radi capelli castani che stavano diventando sempre più scuri.
-Scusa il ritardo-.
Pietro si voltò alla sua destra, la direzione dalla quale proveniva la voce che aveva appena parlato. Fernando si era leggermente piegato verso di lui, sorridendogli in un modo timoroso che a Pietro parve strano.
-Non fa niente- Pietro si spostò maggiormente verso l’estremità della panchina dove era seduto, lasciando posto all’amico – Tanto lo sapevo che saresti venuto-.
-Non potevo perdere l’occasione di conoscere questa meraviglia- Fernando si sporse verso il passeggino, il sorriso che si aprì maggiormente mentre osservava il volto dormiente di Giacomo – Un po’ ti assomiglia-.
Pietro sbuffò senza troppa convinzione, internamente parecchio compiaciuto dall’affermazione:
-È ancora presto per dirlo-.
Fernando tornò ad appoggiare la schiena contro la panchina, un sorrisetto astuto dipinto in faccia:
-Che colore degli occhi ha?-.
-Castani, per ora. Si stanno scurendo abbastanza-.
Pietro si lasciò sfuggire un sorriso divertito, quando Fernando allargò le braccia con fare di chi la sa lunga:
-E allora ho ragione: ti assomiglia-.
La risata di Fernando era leggera e non forzata, ma a Pietro parve strana in ogni caso: il suo sembrava un sorriso tirato, insolito per lui. Lo osservò meglio in viso, notando i cerchi scuri sotto gli occhi e il viso vagamente tirato, come se il sonno mancasse da diverso tempo.
-Speriamo che almeno nel carattere non sia così- mormorò infine, cercando di sorridere a sua volta e reprimere la voglia di chiedere a Fernando se stesse bene: aveva come l’impressione che, se glielo avesse chiesto, non avrebbe comunque avuto una risposta sincera.
Fernando gli rivolse un’occhiata malinconica, rimanendo in silenzio. L’unica cosa che fece, senza dire ancora una parola, fu poggiare una mano sulla spalla di Pietro, stringendo appena come a volergli ricordare ancor di più la sua presenza lì di fianco a lui.
-Non continuare a ritenerti una cattiva persona-.
A quell’ora del pomeriggio, quando ancora il sole picchiava sulla pelle e c’era solo la brezza lacustre a rendere il caldo più sopportabile, non c’era molta gente in giro. Fernando aveva parlato così piano che Pietro era sicuro che, se solo ci fossero stati schiamazzi o persone a passeggiare lì vicino, non sarebbe riuscito ad udire nemmeno una parola.
Per un attimo si pentì di non aver mantenuto un tono leggero nella conversazione: aveva chiesto a Fernando di vedersi per passare qualche ora in spensieratezza, senza dover rivangare ricordi che – ne era certo- dovevano ancora essere difficili da affrontare.
Fernando annuì, come se tra sé e sé avesse continuato a parlare:
-Nemmeno io l’ho fatto, anche se avrei potuto avere qualche motivo-.
Fece rimanere la sua mano sulla spalla di Pietro ancora per qualche secondo, prima di farla scivolare, lontana dal tessuto leggero della maglietta e dalla pelle accaldata.
Si ritrovò a pensare che anche in quell’ultimo mese passato gli era mancato il contatto con Fernando. Erano mesi che vedersi era diventata un’occasione saltuaria, che capitava raramente: Pietro era sicuro che il negargli di vedersi troppe volte fosse stata una decisione consapevole di Fernando, un meccanismo di protezione. Non riusciva a dargli torto: era la stessa cosa che aveva fatto lui con Alessio. Allontanarsi rendeva il dolore più sopportabile.
-Stavo pensando ad una cosa-.
Pietro guardò suo figlio, mentre pronunciava quelle parole. Si sentiva già in colpa per quello che stava per dire.
-Se le cose fossero andate diversamente, magari a quest’ora ci saremmo ritrovati sempre qui, sempre in questa giornata … Ma non da amici-.
Non era voltato verso Fernando, ma poteva comunque percepire il sorriso triste che doveva essersi disegnato sulle sue labbra. Riusciva ad immaginarselo, a sorridere mestamente mentre teneva gli occhi scuri puntati sulle acque scure della laguna, perso tra ricordi che sembravano appartenere ad una vita precedente.
-Rimuginarci su ora è solo un male gratuito che ti fai- mormorò infine, sospirando – Sono sicuro che più andrai avanti e meno ci penserai-.
Forse Fernando era nel giusto, forse un giorno avrebbe smesso di pensarci. Eppure era ancora fin troppo facile immaginare una vita diversa, più spensierata, con meno compromessi di quelli che si era ritrovato sulle spalle.
-Lo spero-.
Quasi riuscì a vedersi, un sé stesso diverso – meno occhiaie a rendergli il volto ancora più stanco alla vista, meno pensieri a riempirgli la testa-, in piedi accanto alla panchina dove invece se ne stava seduto. Riusciva perfettamente ad immaginarselo, ed anche Fernando era un’immagine nitida nella sua testa: in un universo parallelo, in cui le cose erano andate diversamente e Giacomo non era mai nato, Pietro era sicuro che quella stessa giornata d’agosto l’avrebbero passata insieme, liberi da limiti troppo stretti.
Fernando interruppe il flusso di pensieri rivolgendogli un sorriso timido, una rarità per qualcuno che Pietro aveva sempre visto come fin troppo vivace:
-Allora, dopo più di un mese hai capito meglio come sia avere un figlio?- gli chiese, quasi casualmente.
Pietro si ritrovò a ridere, cercando di trattenersi dal lasciarsi andare ad un “Un incubo!” troppo pessimistico. Non voleva certo terrorizzare Fernando dicendogli che la paternità poteva essere considerata una lenta tortura.
-Piuttosto impegnativo- disse invece, la vena d’ironia che non era del tutto scomparsa – Le occhiaie non sono lì per caso-.
“E mi domando come mai sono lì le tue”.
-Immagino- Fernando rise a sua volta, anche se più forzatamente – Ti ci vedo a cambiare pannolini-.
-Ho un talento naturale per quello-.
Pietro si morse il labbro inferiore, ad un passo dallo smettere di trattenersi e domandare definitivamente a cosa fosse dovuta l’aria tirata che aleggiava sul viso di Fernando. Nemmeno l’ultima volta che si erano incontrati l’aveva visto così trascurato, così stanco. Il pallore del volto non faceva altro che risaltare ancor di più le borse scure sotto gli occhi.
-Tu come stai?-.
Pietro seppe di aver sbagliato domanda nel momento esatto in cui Fernando scostò lo sguardo, contraendo solo per un attimo fugace i lineamenti:
-Tutto normale, nulla di che- mormorò, a bassa voce. Stava osservando la laguna, anche se doveva essere solo un pretesto per non ricambiare lo sguardo che Pietro gli teneva addosso.
Nella culla Giacomo sembrò risvegliarsi, gorgogliando e muovendo un braccio fuori dal lenzuolo; Pietro sperò con tutto se stesso che il suo sonno si prolungasse ancora solo per qualche minuto.
-Hai un’aria strana-.
Stavolta, se anche quell’osservazione doveva averlo messo con le spalle contro al muro, Fernando non lo dette a vedere. Rimase voltato verso la laguna, immobile con le mani abbandonate sul grembo, perso in chissà quali pensieri che voleva tenere per sé.
-È solo stress del periodo- disse ancora, alzando le spalle. Era sicuro nella voce, ma Pietro ebbe la sensazione di leggervi anche altro. Ormai era una sensazione che si portava dietro spesso, quando si vedevano.
Lo guardò ancora a lungo, in silenzio, senza riuscire a capire cosa potesse esserci dietro quelle strane  sensazioni che gli stava dando Fernando.
-Se ci fosse qualcosa che non va me lo diresti, vero?-.
Fernando si voltò verso di lui lentamente, senza rispondere subito. Gli sorrise, stavolta senza esitazioni, ma di nuovo in un modo che sembrava sottacere qualcosa. Prima ancora di ascoltare la risposta, Pietro ebbe la certezza che, nonostante tutto, da Fernando quel giorno non avrebbe saputo nulla.
Sapeva solo che, guardandolo sorridergli in quella maniera a tratti sincera e a tratti malinconica, la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava gli causò un groppo in gola.
-Certo- Fernando annuì, la voce quasi un sussurro che si perse nella brezza marina – Te lo direi-.
A Pietro non rimase altro che rimanere in silenzio.
 
*
 
I curse my worth and every comfort
That blinded me for way too long
 
Il cielo era terso e limpido, e Caterina si ritrovò a pensare che non avrebbe disdegnato qualche nuvola che coprisse un po’ il sole che ora, a quasi mezzogiorno, stava battendo al massimo su di loro.
Si sentiva il tessuto leggero del vestito incollato alla schiena, così come i capelli che – con stupidità- aveva deciso di non tenere legati prima di uscire, quella mattina stessa.
Nonostante fosse ora di pranzo, le strade del centro di Abano Terme brulicavano ancora di gente, turisti e abitanti allo stesso modo. La presenza del passeggino di Francesco, dove lui si era addormentato per la noia, con il volto all’ombra, non aiutava lei e Nicola a camminare un po’ più speditamente: c’era così tanto caos che erano costretti ad andare a passo lento, talmente lento che a tratti a Caterina sembrava quasi di essere costantemente ferma.
Stava cominciando a percepire i primi morsi della fame, ma si rese conto che cercare un bar con un tavolo ancora libero sarebbe stata un’impresa. Cominciava ad essersi pentita per aver insistito con Nicola di non essere passati per Abano alla sera, quando il caldo sarebbe diminuito almeno un po’ e non ci sarebbe stato il problema del cibo di mezzo. Forse, in fondo, si stava pentendo anche di aver deciso di passare quella giornata fuori casa.
Si era quasi stupita quando aveva appreso da Giulia che lei e Filippo non avrebbero dato alcuna festa d’anniversario per il loro matrimonio: quando ne avevano parlato, una settimana prima, Giulia glielo aveva detto con lo stesso tono con cui si annunciava un funerale. In fin dei conti, riflettendoci, Caterina non aveva trovato poi così strana quella scelta: sapendo di come se la passavano ultimamente lei e Filippo,  e calcolando che le gemelle erano ancora troppo piccole per passare una buona parte della giornata fuori con quel caldo, alla fine anche a lei era sembrata la scelta più saggia.
Nicola aveva insistito comunque per uscire, lasciandole la scelta del luogo. A Caterina non era rimasto altro che accettare e decidere di andarsene, almeno per quella giornata, lì ad Abano, in tranquillità.
Stavano quasi per oltrepassare il grande giardino del Grand Hotel Orologio, quando Caterina sentì vibrare il proprio cellulare nella sua borsa, appesa al passeggino. Lo tirò fuori un secondo dopo, aggrottando la fronte nel leggere il nome del mittente del messaggio che lampeggiava sul display.
«Tuo fratello ha volute vedermi, è venuto da me stamattina».
Caterina strabuzzò gli occhi per diversi secondi, ricordandosi a fatica di continuare a camminare. Rilesse le parole di Giulia diverse volte prima di comprenderne a fondo il significato, nonostante fossero chiare e messe nero su bianco.
Lorenzo non le aveva nemmeno accennato per sbaglio a quella stupida – folle, completamente folle- idea di passare da casa di Giulia a Venezia. Caterina non se ne stupiva affatto: era ben conscia del fatto che da suo fratello, sulla sua storia con Giulia, non avrebbe saputo più niente dopo la discussione che avevano avuto l’inverno prima. Era però rimasta fermamente convinta che si fosse finalmente tolto dalla testa quella pazzia. Evidentemente, da quel che le aveva appena scritto Giulia, si era sbagliata.
-Tutto ok?-.
Caterina non alzò gli occhi dallo schermo, anche se si sentiva addosso lo sguardo di Nicola. Digitò alcune parole sulla barra dei messaggi, per poi cancellarle subito. Si morse il labbro inferiore, cercando di formulare qualche altra frase, che però cancellò di nuovo subito dopo.
Con un sospiro scoraggiato abbassò per un attimo le braccia: le ci sarebbe voluto qualche minuto per riprendersi e scriverle qualcosa di razionale in risposta.
Si voltò verso Nicola, che ancora la scrutava in attesa:
-All’incirca- borbottò, scostandosi malamente un ciuffo di capelli dal viso – Era Giulia. Mi ha scritto appena adesso-.
Nicola la guardò ancora con più apprensione, senza capire:
-C’è qualche problema?- le domandò ancora, continuando a spingere in avanti il passeggino del figlio.
Per un attimo Caterina prese in considerazione l’idea di raccontargli ciò che era appena successo: si trattenne quando ricordò, in un secondo, che Nicola non sapeva nulla di Lorenzo, e che era meglio che continuasse a rimanerne all’oscuro.
-Non credo. Penso di no- rispose, alzando le spalle. Avrebbe davvero voluto sperare che fosse così, anche se da come Giulia aveva scritto quel messaggio sospettava che qualcosa doveva essere successo, durante quella visita.
-Dalla tua faccia non si direbbe- Nicola non sembrò così convinto come aveva sperato Caterina – Filippo lo vedo strano ultimamente … Anche Giulia-.
-Sono tutti strani, ultimamente- sospirò Caterina, sconsolata.
C’era da mettersi le mani nei capelli, nel guardare come stavano tutti nel loro gruppo: Giulia e Filippo erano praticamente sull’orlo della prima vera crisi coniugale, e per quel che ne sapeva nemmeno Alessio e Pietro se la stavano passando troppo bene, con i rispettivi figli nati da poco più di un mese. L’ultima volta che li aveva visti, Caterina aveva potuto constatare il conflitto personale che Pietro evidentemente stava vivendo, e la difficoltà di Alessio nel ritrovarsi a vivere in quelle nuove vesti da genitore.
Era un periodo turbolento come pochi altri.
-Giulia e Filippo stanno attraversando un momento difficile- convenne, annuendo – D’altro canto se già un figlio ti scombussola la vita, figuriamoci due insieme-.
Era piuttosto convinta che qualcosa fosse andato storto, dopo che le gemelle erano nate. Giulia non lo aveva mai confermato a voce, anche se da come le aveva sempre parlato dei conflitti che si erano venuti a creare con Filippo, sembrava essere sottinteso che il non essere più in due c’entrasse più di qualcosa.
-Noi non siamo andati così in crisi quando è nato lui- Nicola aggrottò la fronte, facendo un cenno verso Francesco, ancora scompostamente addormentato.
-Infatti ci siamo andati prima, a inizio gravidanza- gli rammentò Caterina, con un sorriso amaro. Troppo spesso Nicola tendeva a ricordare un po’ troppo ottimisticamente i primi tempi in cui lei aveva scoperto di essere incinta; era come se avesse cercato di dimenticare volontariamente il fatto di essersene andato di casa per un’intera giornata.
Nicola fece una smorfia, mentre cercava di superare con il passeggino una coppia di anziani che, davanti a loro, si era fermata all’improvviso.
-Però poi le cose sono andate bene- disse dopo un po’, quando Caterina era già convinta che avesse preferito lasciare cadere il discorso – Probabilmente anche loro si rimetteranno in sesto-.
Caterina alzò le spalle, molto meno disposta a cedere all’ottimismo che, invece, sembrava pervadere Nicola in quel momento.
-A meno che non vogliano spendere dei bei soldi per un divorzio piuttosto anticipato … -.
Caterina lasciò cadere la frase, mordendosi il labbro inferiore. Non credeva davvero che Filippo e Giulia sarebbero arrivati a quel punto – d’altro canto erano una delle coppie più solide che conosceva-, ma era altrettanto evidente che qualche problema se lo stessero trascinando da mesi.
Adocchiò, senza aspettarselo minimamente, un tavolo libero in uno dei bar della via: era piuttosto affollato, anche all’esterno, ma l’unico tavolo che rimaneva libero era in una posizione abbastanza defilata per non aver problemi con il passeggino. Caterina vi si avviò facendo cenno a Nicola di seguirla.
Qualche minuto più tardi, dopo aver chiesto conferma ad un cameriere se fosse effettivamente libero, si erano finalmente seduti. Nicola aveva destato dolcemente Francesco per farlo bere un po’, e anche Caterina aveva tirato fuori la bottiglietta d’acqua che teneva nella borsa per dissertarsi almeno in parte; in quel momento, seduta e ferma, si rese conto di essere davvero parecchio sudata.
-Comunque secondo me sei un po’ troppo pessimista su Filippo e Giulia-.
Nicola stava sistemato il cappellino sui capelli biondi di Francesco, mentre riprendeva quel discorso che Caterina credeva ormai chiuso. Si rimise composto, riponendo la bottiglietta d’acqua sul ripiano del tavolo e tornando a guardarla:
-I momenti difficili capitano, ma non per questo si deve mandare a monte un matrimonio-.
Non ne dubitava nemmeno lei, ma si ritrovò a pensare, ancora una volta, che quel voler minimizzare di Nicola fosse solamente da ciechi. O da ingenui.
-Rimango convinta del fatto che dovrò essere piuttosto ubriaca per accettare di sposarmi-.
Parlò d’istinto, senza rifletterci troppo su. Non era nulla di nuovo, nulla che non aveva mai detto e nulla che Nicola non sapesse già; nonostante quello, però, Caterina fu quasi del tutto sicura di vederlo adombrarsi non appena ascoltate quelle parole.
-È molto più semplice senza questo tipo di vincoli- aggiunse, mormorando, come a giustificarsi.
Nicola si lasciò ricadere indietro, con la schiena completamente appoggiata allo schienale della sedia, un sorriso amaro a stendergli le labbra:
-Quindi non mi sposeresti?- le chiese, la voce velata di delusione – Proprio mai?-.
Caterina si strinse nelle spalle: cominciava seriamente ad odiare quella conversazione. Cominciava a sentirsi in colpa ed in difetto, cosa che, se possibile, stava detestando ancor di più.
-Di certo non ora- gli rispose, duramente – Di problemi a cui pensare ne abbiamo già in abbondanza, direi-.
“E non ho nessuna intenzione di fare la fine di Giulia e Filippo”.
Afferrò il menu, che ancora non aveva guardato, abbassandovi gli occhi ed iniziando a sfogliarlo. Non stava leggendo davvero, ma sembrò bastare per far desistere Nicola da qualsiasi altro tentativo di insistere.
Lo rimise giù solo qualche minuto dopo, quando ebbe deciso cosa ordinare e quando fu del tutto sicura che la conversazione fosse chiusa. Solo in quel momento riprese in mano il cellulare, sbloccandolo velocemente.
Stavolta digitò velocemente le parole che avrebbe inviato in risposta a Giulia, senza cancellarle e senza ripensamenti.
«Sarà meglio vederci per parlarne, il prima possibile. Per il momento, se sentirò Lorenzo, farò finta di non saperne niente».
Prima che potesse venirle in mente di farle ulteriori domande, inviò il messaggio.
 
*
 
Damn it all I’ll make a difference from now on
Cause I’m wide awake to it all
Cause I’m wide awake to it al
 
Era stato strano rimettere piede a Villaborghese non da solo. Era stato piuttosto bizzarro ripercorrere la stessa strada che aveva sempre fatto da solo, nel silenzio tranquillo della sua auto, con Christian seduto e allacciato al sedile posteriore. Anche in quel momento, quando erano già arrivati a destinazione da almeno un’ora, Alessio continuava a sentirsi addosso la stessa ansia che l’aveva accompagnato per tutta l’ora d’auto che gli era servita per raggiungere Villaborghese da Venezia: aveva lanciato più occhiate allo specchietto retrovisore, per controllare suo figlio, in quell’ora che non in tutta la sua vita. Non che ce ne fosse stato davvero bisogno: il rombo dell’auto aveva contribuito a far calare il sonno a Christian più del dovuto, facendolo dormire praticamente per tutto il tempo, ben sistemato sul suo seggiolino.
Era sicuro che, se ci fosse stata anche Alice con loro, anche lei avrebbe passato il tempo del viaggio controllandolo, troppo apprensiva nelle vesti di madre ancora inesperta.
Era una bella giornata, quella del 25 agosto: calda quanto quella dell’anno precedente, anche se decisamente più rilassata. Alessio non sentiva particolarmente la mancanza del caos che aveva dovuto sopportare durante il matrimonio di Giulia e Filippo, aggravato dall’afa estiva.
Mancava ancora almeno mezz’ora al pranzo che sua madre stava preparando: per quanto Alessio avesse cercato di insistere per darle una mano, Eva era stata irremovibile nel lasciarlo libero di decidere come passare il tempo che li separava dal pranzo nel mondo in cui preferiva.
Alla fine aveva deciso di sistemarsi nella panca all’ombra dell’albero che si trovava nel giardino dell’abitazione – il giardino della sua infanzia, quello dove era cresciuto e che stava facendo conoscere a suo figlio per la prima volta-, cullando Christian tra le braccia, ora sveglio e incuriosito dalle farfalle che ogni tanto si avvicinavano per volare loro intorno.
C’era un’aura di tranquillità, lì fuori. Alessio si godette il filo di brezza leggera che si era alzata, più unico che raro in quei giorni di fine agosto. Abbassò lo sguardo sul volto di suo figlio: era appena arrossato, gli occhi grandi ed azzurri che si muovevano freneticamente per osservare quanto più possibile di quel nuovo scorcio di mondo.
Per un attimo Alessio si ritrovò ad invidiarlo: avrebbe voluto sapere anche lui cosa volesse dire vedere per la prima volta quella casa, senza nessuna coscienza dei significati e dei ricordi che vi erano legati.
-Posso unirmi a voi?-.
Alessio non si voltò, conscio che Irene gli si sarebbe seduta di fianco anche se le avesse detto di no. Le rispose comunque, in fin dei conti contento di poter passare qualche ora con sua sorella:
-Nessuno te lo vieta-.
Prima ancora che potesse finire la frase, Irene gli si era già sistemata di fianco. Con i pantaloncini corti, la canotta bianca e i lunghi capelli biondi che le ricadevano oltre le spalle ad Alessio sembrava ancora l’adolescente ribelle quale era stata. Faticava ancora a credere che sua sorella fosse ormai ad un passo dalla sua prima laurea, e che la maggior parte del tempo lo passasse a Bologna, dove studiava.
-Non fraintendere- Irene gli lanciò uno dei sorrisetti di sfida ai quali Alessio era abituato da sempre – Volevo solo vedere il mio nipotino, non certo te-.
-Non avevo dubbi su questo- le dette corda, trattenendo una risata.
Irene lo ignorò con nonchalance, abbassandosi su Christian ed iniziando a fargli linguacce con espressioni sempre più buffe: di fronte agli occhi curiosi del bambino, sembrava piuttosto intenzionata a non darsi per vinta fino a quando non avrebbe avuto almeno un sorriso da lui.
Il primo a ridere fu Alessio, anche se l’unico risultato che ebbe fu un’occhiataccia fulminante da sua sorella. Irene si rialzò, scostandosi i capelli biondi dal viso:
-Si può sapere cos’hai da ridere?- gli chiese, con tono fintamente offeso. Alessio la guardò stupito, come se la cosa fosse ovvia:
-Ridevo per le tue espressioni assurde- rise ancora, ignorando l’occhiata torva di Irene – Se avessi avuto uno specchio davanti avresti riso anche tu di te stessa-.
Irene sbuffò teatralmente, incrociando le braccia contro il petto ed accavallando le gambe con ampi movimenti, voltandosi dall’altra parte. Il suo fare offeso non durò comunque a lungo: quando calò il silenzio per alcuni secondi, tornò a girarsi verso Alessio, scrutandolo con le iridi verdi.
-Sei strano- disse infine di punto in bianco.
Alessio non rispose subito: passarono diversi secondi, prima che azzardasse a dire qualcosa:
-Lo stai dicendo come se fosse un dato di fatto di sempre, o come qualcosa di insolito?-.
-Sei più allegro del solito, e quindi è strano- Irene alzò le spalle, con noncuranza – Negli ultimi anni hai sempre tenuto il broncio-.
Alessio sospirò, a tratti seccato:
-Grazie per la considerazione-.
Irene ridacchiò soddisfatta, interrompendosi solo per guardare intenerita Christian, che aveva appena starnutito.
Per un po’ nessuno disse nulla. Era un silenzio rilassato, uno di quelli in cui non c’era per forza bisogno di dire qualcosa; Alessio chiuse gli occhi per un attimo, lasciandosi cullare dalla poca brezza e dal ronzio degli insetti proveniente dall’aiuola di fiori a qualche metro dalla panchina.
-A settembre dovrei laurearmi-.
Irene aveva parlato con noncuranza, come se avesse detto una cosa di poco peso. Non che fosse una novità, la sua laurea imminente: Alessio ricordava con certezza che la prima volta che gli aveva dato la notizia, anche se in maniera più vaga, era stata a luglio, quando Irene si era presentata a Venezia il giorno dopo la nascita di Christian.
-Se mi dici per tempo il giorno vedo di liberarmi per esserci- le disse, con serietà. Gli avrebbe fatto piacere esserci sul serio: da quando anche Irene non viveva più a Villaborghese le occasioni per incrociarsi erano irrimediabilmente diventate più che rare. Era l’ennesimo segno di quanto il tempo stesse passando in fretta: ad Alessio fece quasi venire un groppo in gola ripensare a quando, ancora troppo piccola anche solo per pensare di prendere la patente, Irene veniva a chiedergli passaggi in auto con la sua solita aria di sfida.
-Quale onore- gli rispose ironicamente lei, pur sorridendo. Senza nemmeno una mano libera per darle un pizzicotto, Alessio si limitò a darle una leggera gomitata:
-Smettila-.
Rimase per un istante in silenzio, indeciso se farle la domanda che gli era appena sorta. Si morse il labbro inferiore, ancora non del tutto convinto.
-Pensi di dirlo … Di dirlo anche a papà?-.
Non riusciva a vedere Irene direttamente in viso, non in quel momento: il volto di sua sorella non era girato verso di lui, rendendo la sua espressione sconosciuta ad Alessio.
-E che motivo avrei? Per sentirmi dire che sicuramente non potrebbe?- la voce di Irene non parve avere alcuna esitazione, anche se Alessio percepì un’incrinatura – E poi non lo sento da un sacco … E non lo vedo da anni-.
Si era del tutto aspettato una risposta del genere. D’altro canto nemmeno lui l’aveva mai invitato quando era stato il suo turno di laurearsi. Non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea, consapevole che, anche qualora lo avesse voluto lì con lui, in qualsiasi caso Riccardo non si sarebbe mai presentato.
Nemmeno Irene doveva essersi illusa del contrario. Per un attimo si sentì pervadere dalla tristezza e dal dispiacere nei confronti di sua sorella.
-L’ho incontrato-.
Alessio quasi si stupì di sé, quando si rese conto di aver detto quelle parole sul serio e di non averle solo pensate. Vide Irene voltarsi di scatto verso di lui, mentre aggiungeva velocemente:
-La settimana scorsa, intendo-.
Non aveva davvero preso in considerazione l’idea di dirglielo, né di accennare in alcun modo al perché aveva voluto vedere Riccardo. In quel momento, però, con sua sorella lì di fianco e con lo sguardo più preoccupato di quel che avrebbe lei stessa voluto mostrare, non gli sembrò così strano volerlo fare.
Sapeva che, in fondo, nonostante le loro profonde differenze, Irene non lo avrebbe giudicato.
-Sul serio? Dove?- gli chiese subito, velocemente.
-Era a Mestre per lavoro. L’ho incrociato per caso- rispose Alessio, pentendosi un po’ per averle detto solo quella mezza verità. Irene sembrava averlo già capito: lo guardava poco convinta, come se lo conoscesse troppo bene per capire che il discorso non poteva essere finito così.
Alessio rimase a riflettere per qualche secondo: era consapevole che, se le avesse rivelato anche l’altra parte del loro incontro, Irene avrebbe voluto sapere tutto. Una volta lanciato il sasso non avrebbe più potuto nascondere la mano.
-Però poi l’ho rivisto anche nel weekend, a Padova. Gli avevo chiesto di vederci-.
Sua sorella non sembrò affatto sorpresa di sentire quelle parole: doveva aver davvero intuito che ci fosse altro dietro. Alessio si chiese se dirglielo fosse stata la scelta più giusta.
-E lui ha davvero accettato?- gli chiese Irene, una nota d’amarezza nella voce.
Alessio alzò le spalle:
-Strano a dirsi, ma sì-.
Per un momento Irene non disse altro; tornò a distogliere lo sguardo, puntandolo in un qualche punto davanti a sé. Alessio temette per davvero di aver sbagliato a parlargliene: forse sua sorella non era così disposta ad ascoltarlo come aveva creduto.
Rimase in silenzio anche lui, abbassando gli occhi su Christian: lo osservò mentre muoveva le dita di una mano, gorgogliando appena.
-Perché volevi vederlo?-.
Irene parlò all’improvviso, tornando a guardarlo con sguardo duro.
Alessio si morse il labbro inferiore, consapevole di non avere una risposta pronta a quella domanda. Se l’aspettava, ma non aveva davvero pensato a cosa dire nel caso Irene glielo avesse chiesto sul serio.
Quando qualche giorno dopo aver incontrato Riccardo lo aveva raccontato ad Alice, lei non gli aveva chiesto spiegazioni sul motivo per cui aveva deciso di farlo: era come se per lei le sue ragioni fossero già lampanti, o come se non la riguardassero affatto. In quel momento avrebbe voluto averla lì vicino, chiamarla e dirle di lasciar perdere quel giorno di riposo che le si prospettava a Venezia, e raggiungerlo lì: era sicuro che lei avrebbe saputo quietare decisamente meglio di lui i nervosismi che sembravano far agitare Irene in quel momento.
-Gli dovevo parlare. Chiedere delle cose … - mormorò, insicuro – Non ero sicuro fosse una buona idea-.
Non era una vera spiegazione, ed Irene sembrava aver colto il suo tentativo di posticipare il momento dei perché. Non si dette comunque del tutto per vinta:
-Certo che non lo era!- replicò, alzando appena la voce e gesticolando nervosamente – Hai perso la testa, per caso?-.
“Forse un po’ sì”.
Riusciva a comprendere la furia di sua sorella. Non poteva darle torto se non riusciva a capire quei suoi gesti: era sempre stato consapevole che, tra loro due, era stata Irene a vivere meglio tutta quella situazione. Lei era andata avanti, quando lui si era limitato a cercare di sopravvivere per troppo tempo.
La osservò mentre scuoteva ancora il capo, contrariata, arrabbiata e chissà cos’altro tutto insieme:
-Non capirò mai questo tuo continuo bisogno di farti del male, fratello, sul serio-.
Irene non aggiunse altro a quelle parole dette quasi sottovoce, ma Alessio riuscì comunque a percepirvi talmente tanti non detti che quasi si sentì sollevato dal fatto che lei non disse nulla di più.
-Era un male necessario, stavolta- parlò anche lui a voce bassa, lanciando un’occhiata veloce verso la finestra socchiusa della cucina: sperava che Eva non ascoltasse nulla, nemmeno qualche parola udita per caso, di ciò che lui ed Irene stavano discutendo. Sapeva che farla venire a conoscenza di certe cose non avrebbe fatto altro che farle del male: l’ultima cosa che voleva era rovinare anche quell’unica giornata in cui sarebbero riusciti a stare tutti insieme, dopo troppo tempo che non succedeva.
-Davvero?- chiese scettica sua sorella.
-Sì. Mi è servito per riflettere su alcune cose-.
Alessio si rese conto di essere stato brusco nella risposta. Cercò di addolcire l’espressione, anche se in quel momento gli risultava difficile: cominciava a sentirsi così vulnerabile che ogni parola gli costava enormemente.
-Forse in fondo hai ragione, negli ultimi anni ho tenuto spesso il broncio- riprese, dopo alcuni secondi di silenzio – Negli ultimi mesi anche più del solito. È che non ero pronto a questo-.
Abbassò di nuovo lo sguardo su Christian, consapevole che anche sua sorella, ora, stava rivolgendo gli occhi su suo figlio. La sentì sospirare a fondo.
-Forse sarà stupido, ma volevo parlare con lui su come ci si sente a diventare genitori-.
Irene sbuffò debolmente, senza nemmeno cercare di nascondere il disappunto:
-Non è che forse è stupido, è certamente stupido. Sei andato a chiederlo all’ultima persona che potrebbe darti consigli sull’argomento- disse aspramente, incrociando le braccia contro il petto.
-Non gli ho chiesto consigli- rettificò lui, in difficoltà – Gli ho solo chiesto com’è stato per lui. Volevo cercare di capire una cosa-.
Irene lo precedette prima ancora che potesse decidere come spiegarglielo senza passare per pazzo:
-Tipo se anche tu avresti seguito le sue orme?- chiese, anche se da come lo disse Alessio capì subito che quella, più che una domanda, poteva essere altrettanto un’affermazione.
Rimase in silenzio, stringendosi nelle spalle e abbassano ancora una volta lo sguardo. Christian si era appena addormentato, lasciando calare le palpebre sulle iridi azzurre, inconsapevole di quello che stava venendo detto in quel momento attorno a lui. Per un attimo Alessio si ritrovò ad invidiargli quell’innocenza che avrebbe mantenuto ancora per anni.
-Non sono cose che puoi sapere in anticipo- sospirò Irene, lasciando perdere la durezza con la quale aveva parlato fino a quel momento – Non ho tanti ricordi di papà di quando eravamo piccoli … Ricordo solo che non era una passeggiata, certo, ma non era sempre così male. Di certo non avrei pensato che un giorno avrebbe preso e se ne sarebbe andato-.
Alessio cercò di ricordare, di riportare alla mente ricordi della sua infanzia vissuta lì, in quella casa: no, non era sempre stata terribile, su questo Irene aveva ragione. Riccardo era sempre stato sfuggente e poco incline alle dimostrazioni d’affetto, ma non aveva neanche mai fatto supporre di volersene andare e lasciarsi tutto alle spalle senza alcun rimorso.
-Non voglio essere come lui- mormorò a voce bassissima, come se stesse parlando più a se stesso che non a sua sorella.
-Solo perché sei suo figlio non vuol dire che devi per forza essere negato anche tu come padre- replicò Irene, girandosi verso di lui. Sembrava aver sbollito abbastanza velocemente la rabbia iniziale, lasciando posto a parole più comprensive. Alessio se ne sentì sollevato.
-Tu ti fai troppe pare per qualsiasi cosa, fratello- continuò ancora, senza lasciargli il tempo di rispondere – E poi dicono che siamo noi donne quelle complicate-.
Alessio rise, contro qualsiasi aspettativa da quando avevano iniziato quella conversazione. In un attimo, senza preavviso, Irene era riuscita a stemperare la tensione e il suo timore.
-Se vedessero te ci sarebbe proprio da disperarsi, altroché complicate- la prese in giro, voltandosi a sua volta verso sua sorella. La vide osservarlo con un cipiglio fintamente offeso:
-Ma allora qualcosa in comune lo abbiamo, fratellino- Irene fece finta di essere sorpresa, allargando gli occhi.
Alessio rise di nuovo per qualche secondo, prima che il silenzio tornasse a calare su di loro. Si rese conto, per la prima volta, di sentirsi un po’ più leggero.
-Non hai bisogno di lui. Ce la puoi fare benissimo da solo-.
Quando tornò a posare gli occhi su sua sorella, Irene lo stava guardando con intensità. Non era arrabbiata, non come prima, né preoccupata: aveva parlato con sicurezza e con forza, ed Alessio non poté fare a meno di esserle grato.
-Anche tu. E anche la mamma- mormorò in risposta, con un mezzo sorriso, lanciando una seconda occhiata verso la finestra della cucina: si immaginò Eva alle prese con le mille pentole e padelle che, poco prima che lui uscisse in giardino, stava tirando fuori per preparare chissà quali piatti.
Irene annuì, restituendogli il sorriso; si alzò un secondo dopo, portando le mani sui fianchi:
-In ogni caso, se mai ti dovesse venire la mezza idea di andartene e mollare mio nipote, sappi che la tua morte potrebbe diventare pericolosamente vicina- fece, con una vena velatamente minacciosa nella voce, prima di ridere ancora una volta.
-Lo terrò a mente, sorellina-.
Il domani sembrava essere un po’ meno buio di quanto non si sarebbe mai aspettato.
 
So don't let it be
Before tomorrow comes
Before you turn away
Take the hand in need
Before tomorrow comes
You can change everything
We could be so much more than we are
We could be so much more than we are
We could be so much more than we are
Oh this much I know*





 
*il copyright della canzone (Alter Bridge - "Before tomorrow comes") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Lo abbiamo ripetuto diverse volte, ma, nonostante ciò, fa ancora strano dirlo: Walk of Life - Growing è ufficialmente terminata!
Un ultimo capitolo molto diverso da quello di chiusura di Youth: stavolta abbiamo la mancanza di un incontro generale tra tutti i nostri 6 protagonisti, e un’atmosfera non propriamente serena per molti di loro.
Il gruppo dei nostri Fantastici sei sembra essere diviso, e rispecchia molto l'atmosfera che si respira ancora in casa Pagano-Barbieri. Troviamo Giulia, infatti, che, nonostante alcuni miglioramenti nel rapporto con Filippo, gli tiene nascosto della visita di Lorenzo (visita apparentemente disinteressata... ne siamo convinti?). Neanche Pietro se la passa troppo bene, e l’incontro con Fernando porta tante domande, insicurezze e dubbi su cosa sarebbe potuto essere se le cose fossero andate diversamente…
Non se la stavano cavando male, almeno in partenza, Nicola e Caterina: nella loro gita fuoriporta, durante la quale loro stessi parlano di come il loro gruppo di amici non se la stia passando al massimo in questi mesi, anche tra questi due sembra esserci traccia di qualche fulmine in lontananza ... Sarà davvero così?
E poi, infine, andiamo ad Alessio: anche lui non è a Venezia, ma nella sua vecchia casa, in compagnia di sua madre, sua sorella e di Christian. Proprio con questi ultimi due si ritrova a condividere qualche momento prima del pranzo ... E il finale di Growing è completamente affidato al buon Raggio di sole e che, in modo del tutto inaspettato, presenta una notta ottimista verso il futuro. Ve lo sareste mai aspettato da lui?
In attesa di scoprire, a partire dal 3 maggio, se in Walk of Life - Adulthood prevarrà un'atmosfera gioiosa e ottimista oppure una più cupa e pessimista, non esitare a dirci quali sono le vostre sensazioni in merito! 
Quindi... 3... 2... 1... Scatenatevi con i pronostici nei commenti e... A presto! 😊
Kiara & Greyjoy
 
 
 
   
 
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