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Autore: Puffardella    18/03/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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WILLIGIS
Sdraiato su un letto di foglie secche e muschio, le braccia sotto la testa e lo sguardo fisso nel vuoto, Willigis cercava di mettere ordine ai suoi pensieri. Sarebbe già stato di ritorno al covo, tra i boschi sulle pendici delle Montagne Azzurre, se non fosse stato che era costretto a viaggiare con una sola torcia e il carico pesante dei due uomini uccisi dal lupo, per altro entrambi in groppa ad un solo cavallo, visto che uno dei tre era riuscito a liberarsi durante l’attacco del lupo ed era fuggito via.
Continuava a sentire il fiato caldo e putrido di quella spaventosa belva sul viso, a rivedere quegli occhi colmi di selvaggia ferocia, le zanne scoperte imbrattate di sangue e brandelli di carne pronte a dilaniare anche lui. Avrebbe fatto compagnia ai suoi uomini se non fosse stato per l’intervento di Chrigel, e che gli avesse salvato la vita lo infastidiva e confondeva allo stesso tempo.
Perché lo aveva fatto? Anche se non era stato lui a pianificare l’attentato, avrebbe comunque avuto un valido motivo per ucciderlo. Quelli, in ogni caso, non erano i “suoi” uomini?
Istintivamente, Willigis sollevò lo sguardo sui due corpi ammucchiati uno sull’atro a pochi passi di distanza da lui.
«Razza di idioti…» sibilò a denti stretti.
Con la loro insubordinazione, tutto quello che erano riusciti a fare era mettere in evidenza quanto fosse debole, e un condottiero che non riusciva a farsi ubbidire dai suoi uomini non era credibile, né temibile.
Forse era proprio questa la ragione per cui il cugino non aveva ritenuto necessario ucciderlo: poteva giurare guerra quanto voleva, ma finché era a capo di un’accozzaglia di uomini ingestibili come quelli, le sue sembravano solo le farneticazioni di un povero pazzo.
Willigis ci rifletté sopra un lungo istante, poi scosse la testa. Probabilmente quella era davvero la conclusione a cui il cugino era arrivato, ma lo conosceva troppo bene per sapere che non gli aveva risparmiato la vita solo perché non lo riteneva una minaccia, e che, incline a perdere le staffe com’era, se al posto suo ci fosse stato qualcun altro non avrebbe certo aspettato che fosse il lupo ad attaccarlo: lo avrebbe ucciso da solo e usando quello che usava di solito quando la collera lo dilaniava: le nude mani.
No, Chrigel lo aveva risparmiato perché sentiva ancora il legame del sangue. Glielo aveva letto negli occhi quando, dopo aver subìto l’attacco, si erano riempiti di indignato stupore. Quegli occhi gli avevano chiesto, con tutta la loro loquace espressività, come aveva potuto suo cugino, che aveva amato più di qualsiasi altro essere vivente, arrivare al punto di commettere un atto così codardo e tentare di colpirlo alle spalle.
Willigis si portò a sedere e si prese la testa tra le mani. Era inutile negarlo, rivederlo lo aveva scosso intimamente più di quanto sarebbe stato disposto a credere prima di quel giorno. Un paio di volte era perfino tornato a provare per lui la stessa esaltata ammirazione dei tempi antichi, quando Chrigel era ancora il suo eroe e lo riteneva invincibile, forte e potente come nessun altro essere vivente, fatta eccezione per gli dei. Era successo quando gli era bastato un solo secco comando al lupo e un semplice sguardo a Wandrulf perché entrambi gli ubbidissero, seppur a malincuore. In quei frangenti, anche se per poco, la sua determinazione contro di lui era vacillata e si era chiesto se ucciderlo per prendere il suo posto era davvero quello che voleva. Ma, soprattutto, se sarebbe mai stato capace di colpirlo a morte.
Willigis sospirò a fondo scuotendo la testa. Come accidenti erano arrivati a provare tanto odio, l’uno per l’altro?
Ripensò al momento esatto in cui aveva perso definitivamente la fiducia in Chrigel. Era successo il giorno in cui il Romano era fuggito e lui, in preda ad un impulso rabbioso, aveva ucciso uno dei suoi uomini - un guerriero germanico che stava solo facendo quello che il suo re gli aveva comandato - per colpa della strega. Se lo avesse ascoltato anziché ucciderlo avrebbe trovato il Romano quel giorno stesso, perché quell’uomo diceva il vero: la Caledone lo aveva trovato e nascosto, e sempre lei lo aveva infine aiutato a scappare, a mettersi in salvo al di là del confine.
Ecco, quello era stato il giorno in cui Willigis aveva smesso di provare stima per suo cugino e la solidità del loro rapporto aveva iniziato a mostrare le prime crepe. Ma come erano arrivati al punto di dichiararsi perfino guerra? Qual era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso?
Chrigel lo aveva bandito dalle Terre del Nord dopo che lui gli aveva mandato, come regalo di nozze, il cadavere di suo figlio. Quell’atto apparentemente ignobile, in realtà, era stato un ultimo disperato tentativo di metterlo in guardia contro la donna che aveva il potere di annebbiargli la mente, fargli perdere il senno e spingerlo a compiere azioni contro la sua stessa volontà, a volte perfino terribili.
Eilish e Caitriona non erano forse sorelle, carne della stessa carne e sangue dello stesso sangue? Come poteva Chrigel sperare che fossero diverse?
Inevitabilmente, gli venne alla mente il giorno in cui Caitriona gli aveva fatto recapitare quel bauletto con dentro il corpicino del figlio morto. Il bauletto era accompagnato da un breve messaggio scritto su un foglio di pelle, il quale diceva: “Tu mi hai insegnato che bisogna sempre chinare la testa dinanzi a Chrigel. Faglielo sapere che ho ubbidito al suo comando di restituirti tuo figlio. Ho preferito ucciderlo con le mie stesse mani piuttosto che farlo crescere da un uomo senza spina dorsale, un Nessuno qualsiasi, come te. Che il suo sangue ricada sulle tue, e sue, mani.”
Come sempre gli accadeva quando ripensava a quel giorno, Willigis fu investito da un tremendo furore che lo fece tremare con violenza. Si alzò di scatto ed emise un urlo rabbioso, stringendo i pugni.
Da quel giorno, niente era più andato per il verso giusto. Chrigel lo aveva bandito dalle Terre del Nord, perfino suo padre lo aveva ripudiato, e Willigis, pieno di sdegno e rancore, non aveva avuto altra scelta se non fare quanto gli era stato ordinato: raccogliere le sue cose e andarsene.
Alcuni dei giovani del suo villaggio avevano deciso di seguirlo. Non era stato lui a chiederglielo, anzi, lui aveva cercato di fermarli. Non sapeva quale sorta di futuro lo attendeva, non aveva le idee chiare su cosa fare né dove andare, e non voleva che altri condividessero con lui le sue avversità. Quelli, tuttavia, si dimostrarono irremovibili: finché Chrigel non rinsaviva, loro non lo riconoscevano come re. Mentre procedevano verso il confine, molti altri si erano aggregati a loro. Le persone avevano continuato ad affluire anche dopo, quando avevano ormai oltrepassato il confine stabilendosi su suolo britannico, tra i boschi delle Montagne Azzurre.
A mano a mano che crescevano di numero, nella mente di Willigis aveva iniziato a prendere forma un’idea: quella di formare un esercito e tornare nelle Terre del Nord per affrontare l’Orso e tutti coloro che lo sostenevano. Era un progetto ambizioso, se ne rendeva conto, che richiedeva tempo e risorse.
Intanto, però, aveva dovuto fare fronte a problemi più urgenti: sfamare tutta quella gente. Willigis aveva ovviato al problema con la caccia, che non era servita solo a rifornire lui e i suoi uomini di carne da mangiare e pelli da indossare, ma anche a procurarsi merce da scambiare con gli abitanti dei villaggi vicini.
Una mattina, lui e un paio di altri guerrieri erano scesi nel villaggio di Trimontium per fare affari con i commercianti della zona. Era una giornata fredda, nevicava quasi ininterrottamente da due giorni. Ad affari conclusi, per riscaldarsi, avevano deciso di farsi una bevuta alla locanda del villaggio, prima di rientrare al covo. Mentre se ne stavano seduti a un tavolo, due tizi al bancone avevano iniziato ad alzare la voce. Litigavano per una banale questione di soldi. Uno doveva una grossa somma di denaro all’altro, ma si rifiutava di pagare il suo debito. I due uomini avevano continuato a insultarsi vicendevolmente per un bel po’, e quando la discussione era stata sul punto di degenerare, Willigis, infastidito da tutta quella confusione, era intervenuto.
«Perché non gli dai i suoi soldi e ti togli dalle palle?» aveva detto rivolto al debitore, rimanendo al suo posto ma guardandolo torvo. Il tizio aveva taciuto di colpo e si era voltato verso di lui.
«E tu perché non pensi a farti gli affari tuoi?» aveva replicato, con disappunto.
«Sono affari miei. Lo sono diventati dal momento in cui avete portato le vostre dannate discussioni in questo locale.»
L’uomo lo aveva studiato a lungo, per decidere se fosse il caso o meno di continuare quella disputa. Dopo un po’, ma senza metterci troppa convinzione, gli aveva voltato le spalle e gli aveva detto di andare a farsi fottere.
«Farmi fottere? No, grazie, preferisco fottere. Potrei farmi tua moglie, ad esempio. Che ne dici? A lei sono sicuro che non dispiacerebbe. E finito con lei potrei passare a tua figlia, ammesso che tu, con quell’inutile gingillo che ti ritrovi tra le gambe, ne abbia una. In caso contrario mi accontenterò di tua sorella, e se respira ancora e riesco ad ubriacarmi abbastanza da farmelo venire duro, magari poi mi faccio anche quella vacca di tua madre…»
L’uomo non aveva tollerato oltre. Aveva afferrato un pugnale che aveva alla cintola e si era scagliato su di lui urlando di rabbia. Willigis aveva scosso la testa, infastidito più che spaventato, e si era tirato in piedi giusto in tempo per scartare di lato ed evitare che il colpo andasse a segno. Aveva afferrato il polso del Britanno e lo aveva costretto a mollare la presa sul pugnale, battendogli ripetutamente la mano sul bordo del tavolo. Dopodiché gli aveva dato una gomitata sul naso e, dopo averlo afferrato e sollevato, lo aveva scagliato addosso alla parete di mattoni. Stava per tornare a mettersi seduto quando qualcuno lo aveva colpito con una sedia sulla schiena. Quello aveva dato il via ad una rissa, che comunque fu di breve durata. Allenati com’erano a combattere, Willigis e i suoi non ci avevano messo molto a ripristinare l’ordine, anche se a quel punto il locale era ormai a soqquadro e i danni notevoli.
Il padrone della taverna aveva cominciato a inveire contro tutti loro, prendendosela soprattutto con Willigis e i suoi uomini. Li riteneva i maggiori responsabili della rissa e dei relativi danni, e pretendeva di essere risarcito da loro.
«Smettila di frignare come una donna isterica, Britanno. Non è colpa mia se il tuo locale è affollato da gentaglia di merda come questo qui» aveva detto Willigis, dopodiché aveva afferrato l’uomo con cui aveva iniziato la disputa - semisvenuto sul pavimento - per il bavero della tunica. Gli aveva strappato la scarsella infilata nella cintola e, dopo aver nuovamente gettato a terra il tizio, vi aveva frugato dentro. Tra di loro, i Germani non usavano le monete come mezzo di pagamento - lo trovavano un sistema incongruo di fare affari - ma questo non voleva dire che non conoscessero il loro valore, e nella scarsella del tizio vi era una piccola fortuna.  
«Quanto ti deve quest’idiota?» aveva chiesto poi all’altro contendente, il creditore, il quale era rimasto tutto il tempo della rissa nascosto dietro il bancone.
«Seicento sesterzi…»
Willigis aveva tirato fuori dalla scarsella trenta denari e li aveva gettati sul bancone.
«La prossima volta che devi fare affari con qualcuno, assicurati che non sia più forte di te» lo aveva redarguito con disprezzo. Poi aveva lanciato la scarsella al locandiere, che l’aveva afferrata al volo. «C’è rimasto abbastanza per ripagarti i danni al locale» gli aveva detto.
«E se quello decidesse di denunciarmi di furto? Forse non lo sai, Germano, ma da queste parti i Romani puniscono severamente i ladri» aveva contestato il locandiere.
«Non oserà farlo» lo aveva assicurato Willigis. Poi aveva dato un colpetto con la punta dello stivale al fianco dell’uomo riverso a terra. «Vero, coglione, che non lo farai?» gli aveva chiesto. L’uomo, aspettandosi un calcio più forte, si era coperto la testa con le mani e si era rannicchiato su se stesso. «No, non lo farò. Ho pagato i miei debiti, siamo a posto così…» aveva piagnucolato.
A quel punto Willigis e i suoi si erano mossi verso l’uscita, ma l’uomo a cui Willigis aveva restituito i soldi li aveva fermati chiamandoli. Si era avvicinato a Willigis e lo aveva ringraziato per averlo aiutato.
«Non ti ho fatto nessun favore, mi ero solo rotto le palle delle vostre discussioni.»
«In ogni modo avevi ragione, non sono capace di farmi rispettare. Ci sono almeno altri quattro tizi che mi devono dei soldi. Ti pagherò profumatamente se mi aiuterai a farmi riavere il mio denaro.»
Willigis, fiutandoci un buon affare, aveva accettato. Era stato così che era divenuto un mercenario. Dall’intimidire singoli individui era passato ben presto a imprese di ogni sorta, dal risolvimento di faide familiari a conflitti tra villaggi. Non gli importava che le persone che lo ingaggiavano avessero ragione o meno, a lui interessava solo essere pagato, e bene.
Poi erano arrivate le prime navi onerarie e i Romani avevano iniziato a scaricare mattoni, pietre, attrezzature adatte per le costruzioni edili e uomini in gran quantità. La notizia che tutte quelle risorse di materiali e uomini erano destinate per la costruzione del vallo più imponente che Roma avesse mai progettato aveva sollevato gli animi di molti Britanni, che la vedevano come una nuova prepotente imposizione da parte del popolo invasore.
Ogni giorno si verificavano tentativi di ribellione da parte degli autoctoni, e questo costringeva l’esercito romano a rispondere agli attacchi a discapito dei lavori, che procedevano a rilento. Era stato allora che Willigis era stato mandato a chiamare dal decurione di cavalleria di Vindolanda.
Nonostante molti dei suoi uomini, che coi Romani non volevano averci niente a che fare, si erano mostrati contrari a quell’incontro, Willigis ci aveva visto invece un’ulteriore occasione per allargare gli affari e, perché no, portare a compimento i suoi propositi.
L’incontro era avvenuto nel fortino, in una piccola stanza che si trovava sotto uno dei tre porticati che circondavano un ampio cortile nel quale si stavano esercitando alcuni legionari.
«Mi hanno parlato molto bene di te, Germano. Dicono che tu e i tuoi uomini sappiate farvi rispettare e riusciate a farlo senza spargere troppo sangue» aveva esordito il comandante romano seduto dietro ad un tavolo, invitandolo ad accomodarsi sulla sedia di fronte a lui. Willigis, però, aveva preferito rimanere in piedi.
«È così» aveva confermato.
Il comandante si era alzato in piedi e gli si era messo di fronte, e sebbene Willigis lo superasse in altezza di almeno una spanna, il Romano, ai suoi occhi, non era parso per questo meno forte o imponente.
«Mmh… Mi è stato anche riferito che sei il cugino del re dei Germani. È così?» gli aveva chiesto, guardandolo freddamente con piccoli occhi scuri.
«È importante?»
«Sì, lo è» aveva risposto asciutto. «Dunque, siete davvero parenti?»
Willigis aveva riflettuto a lungo sulla risposta da dare. «Avevo un cugino, una volta. Una madre, un padre, una terra… Ora ho solo queste» aveva infine detto sollevando le mani.
«Non hai risposto alla mia domanda» aveva contestato il Romano.
«L’ho fatto, sei tu che non hai capito.»
Anche il decurione si era preso del tempo per riflettere. «Vedi, Germano, sto cercando di capire fino a che punto posso fidarmi di te. Chi mi dice che in futuro tu non torni ad avere una madre, un padre, un re?» aveva detto poi.
Willigis aveva riso sprezzante. «Non esiste una simile eventualità ma non hai altro che la mia parola, perciò no, non puoi sapere se ti conviene fidarti di me. Ma non è questo il punto, Romano. La questione non è se tu puoi fidarti o meno di me, piuttosto perché io e i miei uomini dovremmo metterci al servizio di Roma» aveva controbattuto.
«Perché potresti trarne un enorme vantaggio. Se servirai Roma, Roma saprà come ricompensarti.»
«Come?»
«Tu come vorresti essere ricompensato?»
Willigis aveva taciuto un lungo istante, poi aveva detto: «Ho un conto in sospeso con il re dei Germani.»
«Anche Roma ce l’ha.»
«Lo so, ed è a questo che mi affido. Vedi, non ho più madri, padri, cugini e re, ma ho ancora una terra e quella la rivoglio indietro. Ecco, questo è ciò che voglio. Intendi, Romano?»
Il Romano aveva ghignato compiaciuto. «Sei molto ambizioso» aveva constatato.
«È un problema?»
«Al contrario, per me è una garanzia.»
«Garanzia di cosa?»
«Che non mi tradirai, Germano. La tua ambizione è meglio di una firma su un contratto. Per quanto mi riguarda puoi conquistare tutte le terre che vuoi, a patto che non siano quelle a sud del confine. Intendi, Romano?» aveva concluso il decurione facendogli il verso.
Willigis aveva annuito brevemente. «Intendo» aveva risposto e, di fatto, quella risposta aveva siglato il loro accordo e messo fine al loro incontro.
Riuscire a convincere i suoi uomini ad accettare di mettersi alla mercé dei Romani, tuttavia, era stato tutt’altro che facile. In molti avevano deciso di andarsene spontaneamente, molti altri era stato costretto a cacciarli via lui nei giorni successivi, perché troppo nervosi o troppo inefficienti.
Ci era voluto un po’ di tempo perché questa nuova situazione trovasse un suo equilibrio e funzionasse, ma poi le cose avevano preso la giusta piega e allora tutto era proseguito come Willigis aveva sperato.
Questo fino a qualche ora prima.
Tornò a guardare i corpi riversi in maniera scomposta a terra e fu invaso da una rabbia smisurata. Che importanza aveva come lui e Chrigel erano arrivati al punto di dichiararsi guerra? Nolenti o volenti a quel punto ci erano arrivati e ora non si poteva più tornare indietro. Non aveva fatto tutta quella strada per tornare a sembrare un nessuno qualsiasi, un poveretto destinato a vivere per sempre all’ombra dell’Orso o di qualche fottuto Romano.
Serrò le mascelle e i pugni e decise che era giunto il momento di una nuova cernita. Sarebbe tornato al covo e avrebbe fatto appendere quei due idioti ad un palo intorno al quale avrebbe radunato tutti gli uomini, per metterli di fronte ad una scelta: o si sottomettevano a lui in maniera incondizionata, o potevano togliersi dalle palle. Chi decideva di restare avrebbe dovuto farlo accettando i rischi e le conseguenze, consapevole che, alla prima insubordinazione, avrebbe fatto la stessa fine dei due guerrieri uccisi dal lupo.
Solo che, a sgozzarli, ci avrebbe pensato lui. 
   
 
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