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Autore: Kiira_kun    20/03/2023    1 recensioni
saudade - (n.) sentimento di malinconia accompagnato da un intenso desiderio di qualcosa di assente.
Dopo l'incidente avvenuto su quella strada diroccata verso la Città Vecchia, Tetsuo e Kaneda non si sono rivolti la parola per un mese.
Perché Kaneda se ne esce con le parole sbagliate al momento sbagliato e Tetsuo si porta croci sulle spalle finché non si stanca.
[kanetetsu ; established relationship ; angst with happy ending]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shotaro Kaneda, Tetsuo Shima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voglio fare una doverosa premessa.
Ho visto Akira praticamente una settimana fa, e dato che ho questa brutta abitudine di crearmi delle iperfissazioni su quello che guardo o leggo, ho pensato di scrivere questa oneshot di getto, senza troppi pensieri. È stato anche una buona scusa per sperimentare, dato che non ho mai scritto qualcosa interamente al presente, quindi potrebbero esserci refusi o errori. Nel caso dovessi aver sbagliato qualcosa, non fatevi problemi a segnalarmelo, così lo correggo!
Un grazie speciale e doveroso va fatto a ester_potter (potete trovare il suo profilo EFP qui), che ho conosciuto bazzicando nel tag di Akira di questo sito <3


 

Di noi resteranno soltanto ricordi confusi
Pezzi di vetro
Mi spegni le luci se solo tieni gli occhi chiusi
Mi rendi cieco
Ti penso con me per rialzarmi
Sto silenzio potrebbe ammazzarmi


- Lazza, Cenere
 
Spifferi freddi serpeggiano tra le fessure di quell’appartamento trasandato e spartano. Sembrano quasi sussurrare lamenti di un tempo andato perduto, di persone appartenenti a un’epoca dimenticata.
Tetsuo odia quel rumore, trova sempre un modo di insinuarsi nelle pareti di quelle quattro mura che Dio solo sa come facessero a stare ancora in piedi. Per quanto nastro adesivo provi ad applicare sulle fessure che riesce a scovare, c’è sempre un punto che trascura e da lì il freddo penetra indisturbato.
Avrebbe dovuto cominciare a rassegnarsi, se lo ripete tutte le volte che si rigira tra le lenzuola nel tentativo di prendere sonno. Non che avesse un’alternativa, e comunque gli appartamenti nella parte bassa di Neo-Tokyo sono tutti così malridotti e decadenti che in confronto il suo è una villa.
Gli spifferi non smettono di tormentarlo e Tetsuo, imprecando stizzito rivolto al soffitto, perde definitivamente la pazienza e la speranza di riprendere sonno.
Si tira su a sedere, sbuffa e poi si passa entrambe le mani secche e costellate di piccoli tagli sul volto per strofinarsi gli occhi.
Ha bisogno di dormire, non dà ascolto a quella vocina che lo implora di riposare, ma lui lo sa.
Non ha un sonno decente da giorni e ciò non è dovuto agli spifferi che gli infestano casa. Non è nemmeno colpa dell’inferno che le proteste contro il governo scatenano nelle strade un giorno sì e l’altro pure. Ormai per lui il rumore dei vetri infranti e dei botti, degli spari e delle intimidazioni sono quasi una ninnananna.
Niente del genere. Se deve dare la colpa a qualcuno del suo ciclo di sonno andato a farsi benedire, quel qualcuno è Kaneda.

 
[Un mese prima…]
 

«Porca puttana, Tetsuo!»

Kaneda era entrato nella stanza dove lo tenevano ricoverato in ospedale quasi sfondando la porta, un uragano in grado di radere al suolo qualsiasi cosa si sovrapponesse tra lui e il suo compagno.
La sua espressione era un misto di preoccupazione e rabbia. Fu solo un istante fugace, ma Tetsuo era riuscito a vedere come il suo sguardo mutò nell’arco di niente: i suoi occhi scuri dapprima erano come in balia di una tempesta, poi si infiammarono, accesi da una collera improvvisa.
«Maledetto, stupido, idiota!» berciò, le parole scandite a ogni passo mentre si avvicinava a grandi falcate al suo letto.
Tetsuo rimase alquanto perplesso da quella reazione irruenta, ma non per quello osò mettere da parte la propria maschera strafottente.
«Che fine hanno fatto i tuoi insulti creativi?» si accigliò, mentre incrociava le braccia al petto.
Kaneda gli si piantò proprio di fronte e Tetsuo stava quasi per lasciarsi sfuggire una risata: Kaneda era così rosso in viso che sembrava gli stesse uscendo il fumo dalle orecchie. Una scena assolutamente impagabile.
«Oggi non è giornata.»
Tenne lo sguardo fisso su Tetsuo come se avesse voluto incenerirlo lì in quel preciso istante, mentre l’altro non mutò proprio espressione: «Però quando non è giornata per gli altri ti impegni un sacco per rompere i coglioni.»
«Al diavolo, Tetsuo!» la voce di Kaneda tuonò per l’esasperazione. «Ti sembra che ho voglia di scherzare? Potevi essere morto a quest’ora!»
«E invece rifatti gli occhi, perché sono vivo e vegeto.»
«Ma che cazzo ti è saltato in mente? La tua moto è andata in pezzi, tu fra poco rimanevi spiattellato sulla strada. Hai almeno idea del rischio che hai corso? Lo vedi cosa succede quando non mi dai retta?!»
Tetsuo lo aveva lasciato parlare, ma ogni parola era una pugnalata nel cuore e una goccia di veleno che gli anneriva il sangue.
Si era aspettato un “Per fortuna stai bene” o un “Meno male che sei ancora qui” o, perché no, un abbraccio – di solito quando scampi da un incidente che può risultare fatale, quello sarebbe il minimo. Invece niente, Kaneda si era messo a blaterare come al solito di quanto fosse un incosciente, una zucca vuota, un bamboccio che non si poteva lasciare solo per più di mezzo secondo senza che combinasse qualche disastro. Disastro che, ovviamente, Kaneda sistemava sempre in qualità di leader e in quanto responsabile della vita di Tetsuo. In quei momenti non davano nemmeno l’impressione di stare insieme.
Attese che Kaneda riprendesse fiato dopo tutto il suo sproloquiare e poi parlò di nuovo, con un velo di freddezza nella voce: «Se sei venuto qui solo per farmi la predica, ne ho già avuto abbastanza. Mi stai facendo venire il mal di testa a furia di sentirti starnazzare.»
«Io non sto starnazzando.» ribatté Kaneda, quasi offeso. «Sto cercando di ficcarti un po’ di sale in zucca.»
«Deve essere molto dura per te.»
«Sì, perché tu rendi tutto fottutamente più difficile.»
Quello Tetsuo lo sapeva bene, ma in quel momento gli importava meno di zero. Si era visto passare tutta la vita davanti agli occhi dopo aver sbattuto la testa contro l’asfalto – e già quello non era stato un bello spettacolo, se poi doveva anche sorbirsi i rimproveri di Kaneda preferiva essere morto.
«Se lo trovi così difficile, risparmia il fiato, gira i tacchi e vattene.»
Tetsuo aveva voltato la testa per non guardarlo negli occhi. Non ce la faceva più a reggere il suo sguardo, benché fossero passati pochi minuti da quando era piombato in ospedale.
Lo sentì andare via, pestando i piedi e sbattendo la porta dietro di sé.
Le imprecazioni di Kaneda riecheggiarono nel corridoio finché non ci fu di nuovo silenzio.

 
Tetsuo ripensa a quanto successo quel mesetto fa, mentre rimane seduto in contemplazione del soffitto.
La rabbia di Kaneda si sostituisce agli spifferi e per reazione corruga la fronte, una piccola vena gli si ingrossa su una tempia.
“Tu rendi tutto fottutamente più difficile”, al pensiero sente pura e cieca collera travolgerlo.
Stringe le lenzuola nei pugni delle mani, così forte che le nocche diventano bianche, e serra i denti per non dare sfogo al bruciore che sente dentro – d’altronde, con chi può prendersela? C’è solo il muro davanti a sé e in quel momento pensa che non troverebbe per nulla soddisfacente vomitare tutto il proprio sdegno contro una parete.
Kaneda se lo meriterebbe, dalla prima all’ultima ingiuria, ma il simpaticone ha ben deciso di nascondersi chissà dove facendo perdere ogni traccia.
Tetsuo è venuto a saperlo dagli altri membri del gruppo, che tengono aggiornato il leader sulle condizioni del minore. Una volta Tetsuo ha provato a chiedere se sapessero dove diavolo fosse andato a cacciarsi Kaneda, ma nessuno gli ha dato una risposta. Perché nemmeno loro lo sanno.
Diamine, è dovuto pure impazzire per cercare Kei e domandarle la stessa cosa, invano. A quel punto non gli è rimasto altro se non gettare la spugna.
Kaneda sarebbe saltato fuori di nuovo totalmente a caso così com’era scomparso e lo avrebbe fatto con un sorriso a trentadue denti, come se nulla fosse accaduto.
Solo che Tetsuo non è capace di fare finta di niente, né riesce, per quanto ci provi, a nascondere la propria preoccupazione. È raro che qualcuno si preoccupi di Kaneda: tutti sanno che in un modo o nell’altro lui riesce a venir fuori da ogni situazione e ogni inghippo, se la cava sempre – anche se nei modi più assurdi, a volte.
Per Tetsuo è diverso, perché per quanto voglia mostrarsi indipendente agli occhi del maggiore, non riesce proprio a ignorare la sua assenza, che lo attanaglia, lo assilla e lo innervosisce. E questo gli dà fastidio, perché quello stronzo non meriterebbe proprio un briciolo della sua preoccupazione dopo che gli ha sbottato contro in malo modo in ospedale la prima volta che si sono rivisti in seguito all’incidente.
Il fatto che poi chiedesse agli altri di monitorare la salute di Tetsuo in sua assenza invece di farsi vivo lui gli fa saltare i nervi, di brutto anche.
Prima gli sbraita conto, poi non si fa più vedere e ha pure la faccia tosta di continuare a preoccuparsi. Inaccettabile.
Inaccettabile, se non fosse che da qualche settimana a quella parte il peso di quell’assenza non ha fatto altro che crescere e crescere fino a diventare un fardello sempre più opprimente.
Lungi da lui ammettere che ha sbagliato il modo di porsi con Kaneda quella volta in ospedale, ma non si sente completamente in torto: ha dato lui in escandescenze per primo, tutto perché deve sempre e per forza comportarsi da fratellone nei suoi confronti.
È in quei momenti che Tetsuo pensa che Kaneda non prenda la loro relazione seriamente e che al posto di trattarlo come un suo pari, lo pone sempre a un gradino più sotto. Non sono più bambini, non deve più corrergli dietro in ogni vicolo di Neo-Tokyo per sistemare i suoi guai. Ha la testa sulle spalle, Tetsuo, ma questo Kaneda non lo capisce. Non lo capisce e si arrabbia, come se si trovasse davanti a un poppante che ha appena combinato una marachella e qualcuno di più grande deve rimetterlo al suo posto con una bella lavata di capo.

«Perché invece non può vedermi per come sono e basta?»

È una domanda che si pone spesso da quando ha cominciato ad agognare la sua indipendenza.
A forza di continuare a provare e riprovare che può farcela da solo e che non ha bisogno di qualcuno che lo sorregga sempre, non sa nemmeno quanto ne valga la pena.
Forse perché quel desiderio di indipendenza cozza terribilmente con quella ferita ancora aperta che Kaneda gli ha inflitto in ospedale. In quel frangente, quando si sono guardati negli occhi e lui ha cercato un velo, anche sottile, di preoccupazione negli occhi del maggiore, ha visto solo rabbia.
E lui si è sentito ferito e contrariato, perché mentre si è trovato in bilico tra la vita e la morte con le voci dei medici come sua unica compagnia, ha avuto seriamente paura di non fare ritorno a casa, di non tornare da Kaneda. Ma lui, quel borioso, col cavolo che se lo immagina.
«Devi proprio andare a farti fottere, Kaneda.» impreca, fissando il muro.
Immagina Kaneda proprio lì, dove sta guardando. E immagina pure che gli risponde, con quella sua solita aria da strafottente, pronta anche a insultarti la famiglia fino al parente di terzo grado: «Non ci pensi già tu, Tetsuo?»
Nella sua testa replica in maniera così fedele la sua voce che sente la rabbia aumentare dentro di lui.
Deve autoinfliggersi quel tormento, altrimenti non riesce a dare un senso alla stretta che lo soffoca dall’interno, alle fiamme che lentamente lo bruciano
E in un momento in cui la tempesta dentro di lui si placa, lo attraversa il pensiero che se Kaneda si presentasse davanti alla porta di casa sua, lo farebbe entrare e lo abbraccerebbe, diamine, lo bacerebbe pure, perché la mancanza è sempre più forte e insopportabile. Ma quel proposito non dura che un momento, perché il suo orgoglio ha la meglio e gli ricorda che non può dargliela vinta in quel modo. Kaneda deve penare prima che lui lo accolga di nuovo, non può permettergli di giocare con i suoi sentimenti come se non ci fossero conseguenze.
In quelle quattro mura è cascato il silenzio da un pezzo e quando Tetsuo se ne accorge, un vuoto profondo lo ingloba. Il letto si fa all’improvviso gigantesco, un’illusione partorita dalla sua mente per fargli notare quanto quella solitudine non fa altro che peggiorare.
Tetsuo vuole polverizzare quella sensazione, incenerirla e spazzarla via come cenere al vento.
Quei sentimenti così contrastanti lo schiacciano come se si trovasse in mezzo a una pressa.
Dove finisse la colpa di Kaneda e dove iniziasse la sua, non ne aveva idea.
Uno dei due sarebbe stato costretto a scendere dal fottuto piedistallo, ne è consapevole. Quella situazione si è presentata così tante volte che ormai sa come va a finire ogni volta.
Solo, non è mai durata così tanto. E Kaneda non si è mai nascosto, al massimo quando litigano si scansano, si evitano manco avessero la lebbra.
«Forse si è reso conto di aver fatto una cazzata.» pensa Tetsuo ad alta voce. Vorrebbe sogghignare vittorioso, ma non ci riesce. Al posto di un sorriso, sul suo volto si accentua un’espressione corrucciata. «Che aspetta a chiedermi scusa, allora?»
È anche vero che nell’arco di quel mese non aveva pensato nemmeno una volta di chiamarlo, o scrivergli un messaggio. Forse una sera, mentre si ubriacava da Haruki-ya, gli è balenata in testa l’idea, ma si è concluso tutto con un nulla di fatto.
Non ha mai avuto un motivo per cercarlo, né Kaneda ci ha pensato per tutto questo tempo. Se fosse lui a cedere per primo, significherebbe ammettere la sconfitta e Tetsuo col cavolo che depone l’ascia di guerra di sua iniziativa, dovesse crollargli in testa l’intero complesso condominiale dove vive.
Però quella vocina nella testa con ancora un briciolo di ragione lo esorta a farlo.
«Hai tenuto il broncio abbastanza.» dice. «Chiamalo e togliti ‘sto peso di dosso.»
Il cellulare è sul comodino accanto al letto e sembra attirare Tetsuo a sé come un magnete.
Lui oppone ancora resistenza. È l’orgoglio a tirarlo in tutt’altra direzione.
Conteso tra quelle due forze, non si accorge che qualcuno sta battendo con insistenza alla sua porta da parecchi secondi.

Gli basta il suono di una voce per riportarlo coi piedi per terra: «Oi, Tetsuo!»

Scatta in piedi come una molla, con un movimento quasi istintivo, e corre a piedi scalzi all’ingresso.
Apre la porta, assicurata dal catenaccio. Quando vede Kaneda che si regge a malapena in piedi sullo stipite e con un’espressione devastata in volto, pensa di aver visto un fantasma.
«Era ora, cazzo.» impreca Kaneda. I suoi occhi sono vacui e arrossati e Tetsuo percepisce anche un forte odore di alcool provenire da lui. Ha bevuto, e pure tanto.
«Fammi entra-…»
Tetsuo con un gesto secco sbatte la porta e la richiude.
Dapprima c’è un silenzio assordante, poi sente Kaneda protestare: «Tetsuo, per la miseria, non fare il difficile.»
La rabbia gli monta di nuovo in corpo. “Come osa?”, pensa a denti stretti.
Come se riuscisse a leggere i suoi stessi pensieri, il maggiore cerca di darsi un tono mentre continua: «Senti, hai tutte le buone ragioni del mondo per essere incazzato, ma ho bisogno che tu mi faccia entrare.»
Tetsuo deglutisce, combattuto tra una parte di lui che gli dice di aprire la porta senza fare ulteriori domande e un’altra che gli impone di non cedere, non subito. Vince la seconda.
«Perché?» domanda.
«Perché non trovo più le chiavi del mio appartamento e sto congelando qui fuori.»
Altro silenzio. Kaneda insiste, la sua voce si incrina per l’esasperazione: «Per favore, non so dove altro stare.»
Il catenaccio caccia uno stridulo metallico. Tetsuo ha deciso che si è divertito abbastanza e apre la porta.
Si ritrova davanti un Kaneda barcollante, ha un tanfo insopportabile di fumo e alcolici addosso e il suo volto è così rosso che sembra abbia preso un colpo di sole.
«Grazie.» biascica con una pallida imitazione di un sorriso riconoscente. Non appena fa un passo per entrare però incespica e Tetsuo di riflesso si muove per sorreggerlo prima che cada di faccia sul pavimento dell’ingresso.
«Facciamo che ti accompagno io.» sentenzia, solo per sentire quell’altro ridere in risposta.
«Ce la faccio, non serve.»
«E io sono l’arcangelo Gabriele. Si vede da lontano un miglio che non riesci a stare in piedi da solo.»
«L’arcangelo Gabriele? Guarda che hai sbagliato, mica sono io quello incinto.»
Kaneda inizia a ridere a crepapelle, mentre Tetsuo è tentato di caricarlo di peso sulla moto e accompagnarlo a casa lui stesso. Chissene frega se non ha le chiavi, lo avrebbe mollato in qualche cassonetto lì vicino. “Dove del resto meriterebbe di stare.”, aggiunge nella sua testa.
Si arma di pazienza e trascina Kaneda sul divano. Adagiarlo lì sopra gli richiede uno sforzo maggiore, perché l’altro, ubriaco com’è, non collabora ed è una zavorra.
Quando finalmente ci riesce, Kaneda sembra darsi una calmata. Si porta una mano alla fronte e fa una smorfia di dolore.
«Ti fa male la testa?» chiede Tetsuo, conoscendo ormai fin troppo bene quel genere di situazioni. Lui e Kaneda avevano bevuto insieme un sufficiente numero di volte per capire gli effetti della sbronza sui rispettivi corpi.
«Poi passa.» mormora l’altro. Tiene gli occhi chiusi nel tentativo di rilassarsi, ma la testa gli martella troppo forte.
«Scherzo, dammi qualcosa.» cambia idea molto in fretta.
Tetsuo inarca un sopracciglio. Crede di presentarsi a casa sua in quel modo e comportarsi come se fosse il padrone assoluto? Non se ne parla proprio.
«Cosa ti fa credere che io abbia qualcosa da darti?»
«Non ti sono avanzati i farmaci che ti hanno dato i medici dell’ospedale per le tue emicranie?»
Si rende di compassione e va a setacciare il bagno alla ricerca delle pillole che i medici gli avevano prescritto tempo fa.
«Tieni.»
Gli porge una capsula insieme a un bicchiere d’acqua.
Kaneda lo guarda e gli rivolge un sorriso scaltro. «Mi imbocchi, Tetsuo-kun?»
«Te la caccio in gola e ti ci faccio strozzare.»
«Uh, eccitante.»
La tentazione di rifilargli un calcio dritto nei denti è forte, ma Tetsuo è troppo stanco e incazzato per spingersi a tanto. E, in più, c’è qualcosa di più importante che dovrebbe fare.
«È da un po’ che non ti si vede in giro.» dice vago, fingendo disinteresse, come se la sua assenza fino a quel momento non lo avesse toccato nemmeno un po’.
«Ho avuto da fare.» Kaneda risponde con una scrollata di spalle. Tetsuo non se la beve, sa che sotto quella patina di reciproca diffidenza si cela ben altro, ma preferisce non rigirare il dito nella piaga.
Fino a che una domanda di Kaneda non lo prende in contropiede.
«Stai meglio?»
Il suo cuore fa una capriola e al tempo stesso sente che sta per scoppiare. È la prima volta da quando ha avuto l’incidente che Kaneda gli rivolge quelle due parole, così semplici da pronunciare, eppure per qualche motivo gli ci è voluto un mese per cacciarle fuori. Da ubriaco, per giunta.
«Sì.» sospira profondamente, nel tentativo di trovare qualcosa con cui distrarsi per non cadere preda dell’agitazione. All’improvviso trova la pila di piatti abbandonati nel lavandino da tre giorni una priorità che non può più rimandare e si mette a pulire.
«Sono felice che tu stia bene.» continua Kaneda, la sua voce sovrasta il rumore dell’acqua che scorre.
Tetsuo si blocca. Quelle parole dovrebbero renderlo felice, invece sono come pugnalate nella schiena.
«Quanto hai bevuto?» tenta di cambiare argomento, ma la voce si incrina.
Kaneda sembra non notarlo. «Ho perso il conto, ad un certo punto credo di non aver più distinto un alcolico dall’altro.»
«Il solito ubriacone.»
«Senti chi parla! Sono sempre io quello che ti accompagna a casa quando sei ubriaco marcio!»
«Devi avere la memoria abbastanza confusa, perché di solito succede il contrario.»
«Non rivolgerti a me in quel modo, irriconoscente che non sei altro!»
Si lascia scivolare addosso quell’ultima invettiva con un sorriso amaro. Quel botta e risposta tutto loro gli è mancato da morire, ma non può lasciare che Kaneda lo capisca. Deve bollire ancora un po’ nel suo brodo, anche se forse passata la sbronza non ricorderà più nulla.
Ma va bene così, si convince Tetsuo. Non si aspetta nulla da quella serata, è solo un po’ diversa dalle altre.
«Ehi.» Kaneda lo chiama dal soggiorno. «Non ignorarmi, Tetsuo.»
«Non vedi che sono occupato?» sbuffa lui.
«Avevi tutto il tempo per lavare i piatti, ma probabilmente hai preferito trastullarti con i tuoi adorati manga.»
Anche da ubriaco aveva lo stesso tono che usava per rimproverarlo. Lo urtava.
Gli si palesa davanti il ricordo di quella volta all’ospedale e vede rosso.
«Perché devi sempre sfracassarmi le palle con questo tuo atteggiamento?» sbotta.
Kaneda si gira e lo guarda contrariato: «Sto solo dicendo le cose come stanno, non ti sto sfracassando un bel niente!»
«Non cambi mai, nemmeno da ubriaco.» sputa velenoso Tetsuo. È sul punto di perdere le staffe e vomitargli addosso tutto il dolore e la rabbia repressa dell’ultimo mese, ormai sa che è solo questione di pochi attimi. Una parola sbagliata, e si sarebbe innescata la miccia.
«Noto che neppure tu sei cambiato di una virgola in quest’ultimo periodo.»
«Se bastasse un mese per cambiare una persona, a quest’ora vivremmo nel tremila.»
«Avanti Cristo o dopo Cristo? Perché sai, se si cambia in peggio c’è il rischio di regredire.»
«Sei tornato solo per rompermi i coglioni o cosa?!»
«Sono tornato perché volevo sapere come stavi!»
Kaneda si è alzato dal divano. A separarlo da Tetsuo c’è solo il piccolo tavolo rotondo della cucina.
Tetsuo assottiglia lo sguardo e si fa ancora più velenoso: «Potevi pensarci prima un mese fa invece di rimproverarmi come se avessi combinato la cazzata del secolo.»
«Perché hai combinato la cazzata del secolo!» ora Kaneda è ancora più paonazzo, ma non per la sbronza. «Hai disobbedito ai miei ordini e ci sei quasi rimasto secco. Potevo non rivederti mai più, ho rischiato di perderti, hai almeno idea di quanto mi sia spaventato?!»
«No, non ne ho idea.» ringhia Tetsuo, con il sangue che gli ribolle dentro. «Non ne ho idea perché invece di mostrarmi la tua preoccupazione hai preferito urlarmi addosso.»
Kaneda apre bocca per ribattere, ma le parole gli muoiono in gola. E il panico a quel punto comincia a salire, perché non vuole uscirne sconfitto.
Tetsuo si pregusta la vittoria, contento di avere l’ultima parola, ma di nuovo, quella sensazione di conquista non arriva. Sente solo amarezza, ha il sangue così avvelenato da non provare nemmeno un briciolo di soddisfazione.
A volte vorrebbe solo che non si urlassero addosso in quel modo, che entrambi mettessero da parte il loro orgoglio e provassero a venirsi incontro, una volta tanto. Invece deve sempre esserci dell’attrito, devono per forza difendere le loro ragioni fino alla morte, o fino a che uno dei due non cede; vuoi perché Kaneda ha sempre questa smania di sentirsi il numero uno, l’invincibile, o perché Tetsuo ha un complesso di inferiorità grande come un fottuto palazzo. Forse anche di più.
In quel momento però, nessuno dei due ha veramente vinto, né ha veramente perso. Perché nemmeno Tetsuo riesce a parlare, benché abbia una marea di cose da potergli schiaffare in faccia.
Non ce la fa. Non per la stanchezza, ma perché fino a quel momento ha desiderato una singola cosa, pur non ammettendolo a se stesso.
È Kaneda a rompere il silenzio, con sua enorme sorpresa.
Il maggiore si passa una mano dietro la nuca, sviando il suo sguardo, per poi sbuffare: «Ho sbagliato. Sei contento adesso?»
Tetsuo sulle prime non sa cosa rispondergli, non capisce se essere lusingato o irritato dalla sua ammissione.
Si limita a fissarlo, in attesa che dica ancora qualcosa. A quel punto, Kaneda alza lo sguardo a sua volta per guardarlo e insiste: «Non dovevo sbottare, lo so, ma non avevo alternative! Avevo paura, una paura fottuta di perderti, Tetsuo.»
È la sbronza a lasciarlo a briglie sciolte o si è effettivamente reso conto dei suoi errori? Il dubbio assale Tetsuo, nonostante dentro di lui sa benissimo che Kaneda non ha mai avuto ragione di mentirgli, nemmeno una singola volta.
Perché la prima volta che si sono baciati lui gli ha fatto una promessa, ovvero non raccontargli mai bugie. Kaneda sa quanto siano importanti le promesse per Tetsuo, può ferirlo in tantissimi altri modi, ma con una bugia non riuscirebbe mai.
«Non mi hai ancora spiegato perché sei scomparso.» sibila il minore.
«Mi hai chiesto di andarmene e l’ho fatto.» la risposta di Kaneda è semplice, diretta e senza troppi fronzoli, terribilmente onesta.
«Non ti ho chiesto di sparire, però.»
«Dovevi essere più specifico.»
Kaneda gli rivolge un sorriso che ha dell’amaro, sembra non essere nemmeno in vena di ridere né di continuare quel teatrino.
Durante l’arco di tutto quel mese ha dovuto lottare con tutte le sue forze per non farsi trovare sotto casa sua. Tetsuo, il suo Tetsuo, gli è mancato più dell’aria, ma sono tutte cose che non avrebbe mai ammesso. Forse, però, Tetsuo avrebbe potuto arrivarci da solo.
In cuor suo Kaneda è cosciente di quanto il suo sguardo lasci trasparire quando è perso nei suoi pensieri e in quel momento, ancora in balia della sbronza, la cosa non è tanto differente.
Tetsuo nota un baluginio negli occhi dell’altro che sembra invitarlo ad avvicinarsi, ad abbandonare ogni difesa.
Sono sempre stati due forze distruttive, che quando si scontrano producono un’immane quantità di danni. Due tempeste sempre in rotta di collisione.
Eppure, quando non sono impegnati a bisticciare e urlarsi contro, in presenza l’uno dell’altro si sciolgono. Come in quel momento, quando Tetsuo si decide e fa il giro del tavolo per stringere Kaneda tra le sue braccia.
Il maggiore sente una presa forte cingerlo al corpo dell’altro e per un attimo strabuzza gli occhi, perché deve realizzare, deve elaborare quella sensazione. Poi, quasi all’istante, ricambia quell’abbraccio affondando la testa tra il collo e la spalla di Tetsuo.
Sente il calore della sua pelle, leggermente tiepido, ma lo scalda lo stesso come se fosse a contatto diretto con una fiamma.
Inspira forte, inebriandosi del suo odore, che gli è mancato tanto quanto il calore del suo corpo.
Non lo ha mai dimenticato, per questo quando lo abbraccia cerca di pressarlo conto il proprio petto per evitare che gli scivoli via un’altra volta, tanto ha mal sopportato la sua lontananza.
«Kaneda, mi spezzi le costole così.» protesta Tetsuo, stritolato da quelle braccia giusto un po’ più forti delle sue. Braccia che vorrebbe lo tenessero inchiodato lì dov’è, nel silenzio di una casa senza spifferi e con le lancette dell’orologio fossilizzate in quel preciso momento.
L’altro allenta la presa, ma non si stacca. Rimane con la testa poggiata sulla spalla del minore mentre inizia a ridere, prima in tono sommesso, poi si fa più manifesto.
«Mi sei mancato.» si lascia andare, Kaneda, e lo fa sentire così bene. Forse è ancora merito dell’effetto dell’alcool, ma il sorriso genuino che si allarga sulle sue labbra quando alza la testa a guardare Tetsuo è la prova di una rinnovata felicità.
Tetsuo non riesce a resistere e lo bacia, con una tenerezza che aveva quasi dimenticato. Non toccava le labbra di Kaneda da un mese e quando il loro sapore si mischia al suo, riaffiorano i bei momenti passati.
È sempre così che va a finire tra loro due, in un modo o nell’altro. Si feriscono, rimangono con il broncio per un po’ finché non sentono di nuovo il bisogno di ritrovarsi, leccarsi le ferite e rimettere tutto a posto.
«Tetsuo.» Kaneda mormora sulle sue labbra, sembra un gatto che fa le fusa.
«Mh?»
«Mi gira la testa, andiamo a letto?»
Non c’è malizia in quella richiesta. Kaneda vuole solo accoccolarsi tra le braccia di Tetsuo fino al sorgere del sole.
Tetsuo acconsente. Guida il maggiore nella sua stanza, lo adagia sul letto per poi recuperare un altro pigiama, così da non respirare odore di alcolico e sigarette per tutta notte.
Mentre fruga nei cassetti del settimanale sente Kaneda chiamare il suo nome quasi biascicando e allora si affretta.
«Ti ho portato un cambio.» dice, porgendogli i vestiti.
L’altro cinguetta: «Mi aiuti a cambiarmi?»
Un velo di rossore colora le guance di Tetsuo mentre ribatte: «Puoi farcela anche da solo.»
«No, per nulla!» Kaneda mette il broncio. «Ti chiedo solo questo piccolo favore, dai.»
Alla fine Tetsuo cede. Si avvicina al compagno e gli sfila la giacca, poi afferra i lembi della maglietta per toglierla, facendo lo stesso con pantaloni e scarpe.
Per qualche motivo mentre lo fa è concentratissimo, sembra quasi che non respiri neppure.
Le sue dita sfiorano la pelle di Kaneda e lui si sente avvampare. Per quanto gli riguarda, potrebbero anche dormire senza vestiti, così da sentire i propri corpi uniti.
Anche il suo corpo gli è mancato, ma non da un punto di vista del mero bisogno fisico – non che avesse avuto bisogno di soddisfarlo in altro modo nell’arco dell’assenza di Kaneda. Voleva davvero solo stringerlo, sentire i loro odori mescolarsi e il reciproco calore.
Tetsuo si limita ad assaporare quel pensiero, per poi baciare l’altro sulla fronte prima di porgergli il pigiama.
«Questo puoi mettertelo anche da solo.»
«D’accordo, d’accordo.»
Kaneda impiega pochissimi minuti prima di crollare sfinito sul suo petto. Di solito accade il contrario, ma Tetsuo non disprezza affatto quella condizione.
Sente la testa del maggiore alzarsi e abbassarsi un poco al ritmo del suo respiro.
Il mondo fuori è avvolto nel silenzio e finalmente, almeno per quel momento, ritrova un po’ di pace.
   
 
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