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Autore: Puffardella    22/03/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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LEANNA
La finestra aperta incorniciava un rettangolo di cielo corvino incredibilmente terso, senza luna, punteggiato di centinaia di migliaia di stelle. Il silenzio della notte era interrotto solo dal gorgoglìo del ruscello distante dal capanno poche centinaia di passi. L’aria profumava di foglie secche, legno umido e muschio, odori comuni in un bosco ma che in autunno si facevano più intensi.
Di solito, di notte Leanna provvedeva a sbarrare porta e finestre al calare delle tenebre, ma Adrian le aveva chiesto il permesso di tenerle aperte almeno fino a che non si fosse addormentato e lei, comprendendo il suo bisogno di aria fresca sulla pelle livida, aveva acconsentito. 
La tisana alle foglie di betulla nera che gli aveva somministrato ci aveva messo un po’ a fare effetto, ma poi, finalmente, il dolore alle costole si era attenuato e si era addormentato.
Leanna stette a lungo ad osservarlo alla debole luce di un lumino, il cuore stretto da una morsa dolorosa.
Quante altre volte sarebbe stata in pena, per lui? Quante altre volte, al minimo ritardo, si sarebbe sentita aggredire dall’angoscia e dal terrore che potesse essergli accaduto qualcosa? Ma, soprattutto, quante altre volte lo avrebbe visto ridotto in quel modo?
Si asciugò le lacrime con la punta delle dita, si alzò in piedi e sbarrò porta e finestre.
«Madre…» la chiamò a bassa voce Kayden, sdraiato ai piedi del fratello. Leanna sedette sul bordo del letto vicino a lui.
«Non riesci a dormire?»
Il ragazzino scosse la testa. «Perché lo odiano così tanto?» le chiese a bruciapelo. A Leanna si strinse il cuore. Kayden aveva per il fratellastro una premura che la commuoveva. 
«Non lo odiano, ne hanno paura» gli rispose.
«Ma perché?»
«La gente ha paura delle cose che non può spiegare.»
«Sono solo capelli, che cosa c’è da spiegare?» contestò il ragazzino, indignato.
«È vero, ma hai mai visto qualcuno tra la nostra gente con lo stesso colore dei capelli di tuo fratello?»
Kayden increspò la fronte. «Quindi, è tutto vero? Siamo davvero stati maledetti?» chiese.
«No, Kayden. Ho solo cercato di farti vedere le cose dal punto di vista della gente…» rispose lei con dolcezza. «Ora cerca di dormire. Domani dovrai fare anche il lavoro di tuo fratello, perciò hai bisogno di riposare» proseguì facendogli una carezza sui capelli. Stava per rimettersi in piedi quando Kayden la chiamò di nuovo.
«Madre… Tu lo hai mai visto lo spirito del druido di cui parla la gente del villaggio? Dicono che si aggiri tra questi boschi» le chiese abbassando ulteriormente la voce, quasi temendo di farsi udire dallo spirito stesso.
Leanna scosse la testa e sospirò a fondo.
«Non preoccuparti di ciò che vive nei boschi, Kayden. Tutti gli esseri che abitano queste foreste non possono nuocerti, a patto che tu rispetti il loro diritto di essere lasciati in pace. Non farti influenzare dalle stupide superstizioni della gente.»
Kayden ci rifletté sopra un istante, poi annuì brevemente. «Va bene, madre» disse, prima di chiudere gli occhi.
A quel punto, Leanna tirò la tenda e raggiunse il tavolo posto in un angolo della stanza sopra il quale si trovava il lumino acceso. Fece per spegnerlo ma poi cambiò idea. Lo prese e si diresse verso il suo letto, che era vicino a quello dei figli. Diede un’occhiata alla tenda per assicurarsi che nessuno dei due vi sbucasse fuori all’improvviso, poi, con la mano libera, afferrò una pietra della parete sulla quale era addossato il suo pagliericcio, diversa dalle altre in quanto leggermente sporgente, e la sfilò dalla sua sede. Fece un lungo respiro per farsi coraggio, infine infilò la mano nel buco e vi estrasse un oggetto dalle piccole dimensioni avvolto in un sottile foglio di pelle. Sedette sul materasso, poggiò la candela sul pavimento e mise l’involto sulle gambe.
Con le mani tremanti liberò l’oggetto dall’involucro, scoprendo un pugnale con il manico in osso sul quale erano incisi simboli runici e tribali.
Il ricordo del giorno in cui aveva trovato Adrian si riaffacciò prepotente nella sua mente.
Era all’ottavo mese di gravidanza e si stava recando a Eboracum - che distava da Trimontium tre giorni di cammino - per il censimento indetto dai Romani. Lungo la strada era stata colta da doglie improvvise che l’avevano costretta a fermarsi in un ostello, e qui aveva dato alla luce Kayden. Una volta recuperate le forze si era rimessa in viaggio, ma a quel punto aveva deciso di affittare un carretto trainato da un mulo.
Era arrivata a Eboracum al tramonto, troppo tardi per recarsi all’ufficio preposto per il censimento. Aveva quindi fermato il carretto sulla cima di una bassa collina boscosa e vi si era coricata, stringendo il suo piccolo al seno.
A notte fonda era stata svegliata dal pianto di un neonato, che però non era di Kayden. Sul carretto, infatti, qualcuno le aveva lasciato Adrian, completamente avvolto in un panno di lana. Leanna si era guardata intorno in cerca della persona che le aveva affidato quel neonato, sopraffatta dallo sgomento. Lei non era nemmeno sicura di riuscire a prendersi cura del suo bambino, come poteva allevare anche il figlio di qualcun altro?
All’improvviso, aveva scorto tra gli alberi il baluginare di una fiammella. Era quindi scesa dal carretto e l’aveva inseguita, e quando l’aveva raggiunta si era meravigliata di trovarsi di fronte un druido. E non un druido qualsiasi ma il Druido Caledone, l’ultimo della sua gente, di cui aveva tanto sentito parlare dal padre.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa, chiedergli del bambino, ma lo stupore le aveva congelato le parole e la sua gola non era riuscita a produrre alcun suono. Il druido l’aveva fissata per un po’, con una luce rassicurante nei piccoli occhi del colore del ghiaccio seminascosti dalle folte sopracciglia. Infine era stato lui a parlarle per primo, dicendo: «Glielo darai quando capirai che è arrivato il momento.»
«Dargli… cosa?»
«Il pugnale. Non lo hai visto?» le aveva chiesto lui indicando con la testa il carretto. Lei aveva seguito d’istinto quel gesto con gli occhi, e quando si era di nuovo voltata verso il Druido, egli non c’era più.
Era tornata al carretto più confusa e disorientata che mai. Il piccolo piangeva affamato e lei se l’era attaccato al seno per farlo calmare.
Mentre lo allattava, aveva iniziato a esaminarlo. Aveva la pelle violacea e una fitta peluria nera ricopriva gran parte del suo viso. Leanna aveva pensato che era il bambino più brutto che avesse mai visto, ma poi si era dispiaciuta di averlo pensato e aveva iniziato ad accarezzarlo piano sulla guancia. Era stato in quel momento che, dal fagotto, era scivolato il pugnale di cui le aveva fatto menzione il Druido, lo stesso pugnale che ora teneva tra le sue mani.
Leanna conosceva i segni incisi sul manico in osso, simboli runici e tribali che i Germani avevano l’abitudine di tatuarsi anche sul corpo. Tuttavia, Adrian non aveva l’aspetto di un Germano, i suoi tratti somatici le suggerivano piuttosto che potesse essere figlio di un Romano, quindi la conclusione alla quale era pervenuta, quella che più le era sembrata ovvia, era che fosse il figlio illegittimo di una donna germanica. La cosa più rilevante, però, quella che secondo lei più faceva luce sull’identità di Adrian, era che delle sue sorti si fosse interessato addirittura un druido, e questo indicava che non fosse figlio di gente comune. Oppure, semplicemente, che il piccolo fosse destinato a qualcosa di grandioso, a prescindere dal sangue che gli scorreva nelle vene.
Leanna non poteva saperlo con certezza, e in fondo nemmeno le importava. Adrian era suo figlio. Lei lo aveva allevato e lo aveva fatto con amore e dedizione. Mai e poi mai si era pentita di averlo cresciuto come un figlio suo, nonostante tutte le difficoltà che questo aveva comportato.
Al suo rientro, la gente del villaggio aveva accolto il piccolo dai capelli neri e la carnagione scura con una iniziale e tutto sommato innocua diffidenza. Le cose erano drasticamente cambiate quando erano iniziate le apparizioni del druido, che evidentemente continuava a interessarsi del piccolo seguendolo a distanza. A quel punto, la gente, spaventata, aveva messo in relazione quelle improvvise e veloci apparizioni con la nascita di Adrian. Presto si era diffusa l’idea che quello fosse uno spirito e che appartenesse a suo padre - anch’egli un druido - tornato dall’aldilà per punirla del fatto che avesse rinunciato al “dono”, concedendosi carnalmente ad un uomo prima di essersi consacrata agli dei.
Da semplice diffidenza, la gente aveva quindi iniziato a comportarsi in maniera ostile con lei, soprattutto quando si mostrava in pubblico con Adrian.
Prima del compimento di un anno dei suoi bambini, Leanna aveva deciso di occupare la capanna abbandonata nei boschi per proteggere se stessa e i suoi figli dagli attacchi sempre più feroci della gente.
Ora, però, dopo l’ennesima aggressione, le parole del druido cominciavano ad assumere per lei un significato di natura prettamente personale.
Fino ad allora aveva cercato di ignorarle, per puro egoismo. Sapeva che il giorno in cui avrebbe consegnato ad Adrian il pugnale rivelandogli che non era sua madre lo avrebbe perso, perché avrebbe inevitabilmente cercato di sapere di più circa se stesso e la sua identità, e solo l’idea di separarsi da uno dei suoi due figli la addolorava. Ma ora, per il bene di Adrian, non poteva più far finta che le cose si sarebbero potute sistemare, che sarebbe stata in grado di proteggerlo per sempre. 
Strinse forte il pugnale e se lo portò al cuore, mentre calde lacrime le rigavano le guance.

Quando Fionn arrivò arrancando sul sentiero con la sua solita andatura, pesante e un po’ goffa, Leanna stava raccogliendo bacche di rosa canina nei boschi, non troppo lontano dal punto in cui Kayden tagliava legna da ardere.
Fionn e Kayden si salutarono con un breve cenno del capo, poi il fabbro si diresse verso di lei. Leanna sospirò. Sapeva già che le avrebbe fatto la solita ramanzina e si preparò a subirla.
«Come sta Adrian?» le chiese, per prima cosa.
«È un ragazzino forte, guarirà presto» rispose lei, cercando di essere il più persuasiva possibile.
Fionn la guardò in maniera indefinibile, poi serrò le mascelle e fece un piccolo gesto stizzito del capo sbuffando lievemente, per niente convinto dalle sue parole. Però non ribatté nulla. Invece si sfilò dal collo una piccola sacca di pelle e Leanna ebbe un tuffo al cuore nel riconoscerla.
«Le monete ci sono tutte» disse porgendogliela.
Leanna lo guardò riconoscente. Anche lavorando sodo per tutto l’autunno non  sarebbe mai riuscita a recuperare il denaro perduto.
«Ma come hai fatto?» chiese, prendendo la sacca.
Fionn fece un sorriso sghembo e le mostrò la mano destra chiusa a pugno. «Diciamo che ho usato argomenti convincenti. Quei tre non daranno più fastidio né ad Adrian né a Kayden, te lo posso garantire.»
L’espressione nel volto di Leanna mutò da riconoscente a preoccupata. «Fionn, tu ti esponi sempre troppo. Sai che non devi farlo, che rischi di essere ostracizzato, che tutta la tua famiglia rischia di esserlo…»
Fionn si fece serio e le si avvicinò sensibilmente, per sibilarle all’orecchio:
«E cosa dovrei fare, secondo te? Stare a guardare mentre i miei figli vengono massacrati per colpa della durezza di cuore della loro propria madre?»
Leanna sospirò rassegnata. «Fionn, basta, ti prego. Non riprendere l’argomento. Ne abbiamo già parlato decine di altre volte» replicò asciutta. Raccolse da terra la cesta colma di bacche e cercò di scartarlo nel tentativo di evitare il solito discorso, ma Fionn le sbarrò la strada allargando le braccia.
«Sì, come no, prova a ripetermelo un’altra volta che quelli non sono figli miei. Guarda Kayden, maledizione, e dimmi che non è mio figlio!»
«Sì, ti somiglia, come somiglia a tanti altri uomini nel villaggio. Smettila di torturarti con questi dubbi, Fionn. E smettila di sentirti in obbligo nei nostri riguardi. Noi ce la caviamo benissimo da soli.»
«Cavarvela da soli? Ma se non riesci nemmeno a farti ubbidire dai tuoi figli, Leanna! A te manca un uomo e a loro un padre. Sei stata tu a non volermi e guarda qual è il risultato. Continuano a infilarsi nei guai perché abbandonati a loro stessi. Se tu non mi avessi rifiutato anni fa, se tu mi avessi sposato, ora non ci troveremmo in questa situazione!» la rimproverò con astio.
«Come te lo devo dire perché tu capisca, Fionn? Non sono figli tuoi, non sei tu il padre!»
Fionn stette a lungo a osservarla, rimuginando dentro di sé. Poi disse: «E se ti dicessi che mia figlia e tuo figlio cominciano a guardarsi in maniera diversa dal solito?»
Leanna si irrigidì. «Enya e Kayden?» indagò, cercando di mantenere un tono di voce compassato per nascondere il disagio che quella affermazione le aveva causato.
«Enya e Adrian» precisò Fionn.
«Sono ancora dei bambini, Fionn…» cercò di sdrammatizzare lei a quel punto.
«Sono bambini che stanno crescendo, e lo sai che le femmine iniziano presto a scegliersi il marito. Enya in proposito sembra avere già le idee molto chiare. Ha detto alla madre che sposerà Adrian, con o senza il nostro beneplacito.»
Leanna si lasciò sfuggire una risata e questo irritò ulteriormente Fionn.
«Enya ha solo dieci anni, non essere sciocco» disse. Di nuovo cercò di scartarlo e di nuovo le fu impedito.
«Ma se succedesse? Se quei due, crescendo, si infilassero davvero in testa di avere una relazione, tu glielo lasceresti fare?» incalzò lui.
«Se questo è quello che desiderano, perché dovrei impedirglielo? Tu non lo vuoi proprio capire, Fionn: Adrian non è figlio tuo! Smettila di torturarti per questa cosa!» ribadì lei irritata, spintonandolo e riuscendo finalmente a scavalcarlo.
Per un po’ Fionn non replicò nulla, troppo turbato dall’ennesima smentita per trovare la forza anche solo di parlare. Poi, però, la seguì e le gridò dietro: «Sì che lo è. Lo è, e prima o poi dovrai ammetterlo!»
Leanna si voltò a guardare preoccupata in direzione di Kayden e raggelò nel trovarlo immobile, concentrato ad ascoltare la loro conversazione.
«Per tutti gli dei, abbassa il tono della voce, Fionn!» lo ammonì sottovoce.
«Maledetta te, donna. Perché continui a farmi questo? Continui a respingermi, a negarmi la verità…» disse lui raggiungendola e afferrandole con dolcezza un braccio, guardandola in maniera supplichevole. Leanna chinò la testa, incapace di sostenere il suo sguardo. Kayden sopraggiunse in quel momento, spaventato dalle loro urla.
«Madre, Fionn… Va tutto bene?» chiese.
«Va tutto bene, Kayden. Stavo dicendo a tua madre che dovrebbe iniziare a disciplinare te e tuo fratello in maniera più vigorosa, visto che le semplici ammonizioni non servono a tenervi fuori dai guai» rispose l’uomo in tono di rimprovero e Kayden abbassò lo sguardo, mortificato.
«Se vostra madre vi dice di fare, o di non fare, una cosa, voi dovete ubbidirle. C’è un motivo se non vuole che entriate nel villaggio da soli, o se vi dice di rientrare prima del tramonto. A maggior ragione ora, visto che qualcuno giura di aver visto un lupo tra questi boschi» proseguì Fionn.
Leanna scosse la testa sghignazzando. Stava per ribattere in tono sarcastico a quella nuova fantasiosa diceria della gente del villaggio, quando si accorse dell’espressione di terrore calata sul volto di suo figlio.
«Un lupo?» gli fece eco Kayden.
Fionn annuì deciso. «Dicono di averlo visto talvolta in compagnia dello spirito del druido, talvolta da solo. In genere non do retta alle chiacchiere della gente, però stavolta qualcosa di vero potrebbe esserci» asserì.
«Perché?» chiese Leanna, ora allarmata.
Fionn estrasse dalla scarsella che aveva appesa alla cintola un oggetto di piccole dimensioni avvolto nelle foglie. Lo scoprì, mettendo alla luce lo sterco di un animale. Era lungo, pieno di peli e frammenti di ossa.
«L’ho trovata nei paraggi, l’ho raccolta per mostrarvela e incitarvi a stare in guardia. Non ho mai visto un lupo in vita mia ma una cosa la so per certa: gli animali di questi boschi non mangiano altri animali, a parte le volpi. E questa non è la loro merda.»

KAYDEN
Adrian ronfava piano nel sonno. Ogni tanto si agitava in preda ai dolori alle costole, ma poi ripiombava in uno stato di profondo torpore.
«Adrian… Adrian, dormi?» lo chiamò Kayden sottovoce. Quando ebbe la certezza che il fratello non fosse vigile, si alzò con circospezione dal giaciglio.
Scostò la tenda, stando attento a non fare il benché minimo rumore, e rimase immobile per un po’ di tempo con le orecchie tese, per essere sicuro che anche la madre stesse dormendo profondamente. Dopodiché, si avviò verso l’uscio con passi felpati, sollevò con estrema attenzione il paletto che bloccava la porta e l’aprì.
Era notte di luna piena e la visibilità era discreta. Kayden indugiò un attimo davanti alla porta. Stava per disubbidire nuovamente a sua madre e si chiese se stesse facendo la cosa giusta. Si voltò a guardare la tenda che nascondeva il giaciglio della madre, indeciso.
Quando Fionn aveva mostrato le prove della presenza di un lupo in quei boschi, Kayden aveva avuto una sensazione precisa: che quello fosse lo stesso lupo che da anni cercava di attribuire ai sogni con la donna dai capelli rossi di Adrian. Solo che, ora lo ricordava, non era stato Adrian a sognarlo, ma lui. Li aveva sognati entrambi, a dire il vero: il lupo e la donna dai capelli rossi.
Sembrava esserci una relazione tra tutti loro - la donna, il lupo, il druido, Adrian e perfino lui - ecco perché sentiva la necessità di avventurarsi nei boschi in cerca dello spirito del druido. Sperava di trovare le risposte sul perché erano stati maledetti e intervenire in qualche modo prima che fosse troppo tardi, prima che Adrian ci rimettesse la vita. Non era una cosa che voleva fare, ma che doveva fare.
«Scusami, madre…» bisbigliò, e uscì richiudendosi la porta alle spalle.
Non sapeva bene quale direzione prendere, ma qualcosa gli diceva che sarebbe stato il druido a trovare lui, che lui non doveva fare altro che spingersi verso il fitto della selva.
Raggiunse il torrente, che si snodava tra gli alberi sbrilluccicando alla luce della luna come un nastro argentato, e decise di proseguire costeggiando il corso d’acqua verso nord. 
Di notte, il bosco sembrava essere un mondo completamente diverso da quello che conosceva lui, perché abitato da esseri diversi, esseri che trovavano nell’oscurità la loro dimensione ideale e si muovevano nell’ombra con discrezione e naturalezza. Kayden avvertì uno strano entusiasmo, e all’improvviso ebbe la certezza che lui apparteneva a quel mondo, proprio come i gufi, le volpi, i pipistrelli. E gli spiriti.
Mentre si faceva quella considerazione, gli parve di vedere una fiammella muoversi piano tra gli alberi. Strinse gli occhi per acuire la vista, mentre una forte emozione si agitava dentro di lui. Dopo un breve istante, la vide riapparire di nuovo. Kayden abbandonò il fianco del torrente e si inoltrò nel fitto degli alberi. Più rincorreva la fiammella, più quella sembrava irraggiungibile, fino a che si trovò di colpo in uno strano luogo, di cui non conosceva l’esistenza. Grosse pietre dell’altezza di un uomo erano disposte una vicino all’altra, in cerchio. Sulla superficie delle pietre erano incisi segni a lui sconosciuti.
La fiammella si era fermata proprio nel centro di questo misterioso circolo, quasi all’altezza del terreno. Kayden si avvicinò al muro di pietre col cuore che gli tamburellava vivace nel petto. Quando lo raggiunse, la fiammella si alzò lentamente, rivelando infine il volto rugoso di un anziano signore.
Indossava una tunica logora lunga fino ai piedi e stretta in vita da un cordoncino di un colore reso indefinibile dal tempo. Aveva tre piccole trecce sulla punta della lunga barba, e sopracciglia folte che nascondevano due piccoli occhi talmente chiari da sembrare trasparenti.
Kayden tremava dall’eccitazione e dallo spavento. Per un istante fu sopraffatto dall’impulso di fuggire via. Stava quasi per farlo, quando l’anziano gli sorrise benevolmente e disse, in tono giulivo: «Ti stavo aspettando, Cumhachdach

 
   
 
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