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Autore: Hime Elsa    23/03/2023    0 recensioni
Meredith Rose è una ragazza irlandese di origini italiane di 24 anni che lavora in una focacceria gestita dai suoi genitori, occupandosi della preparazione delle focacce. Adora cucinarle ed ha chiamato il negozio "Rose e Focacce" proprio perché adora le focacce ed allo stesso tempo anche le rose, tant'è che la focacceria si distingue per essere abbellita di rose, scelta inusuale essendo un locale rustico.
Da sempre oggetto di bullismo da parte dei suoi coetanei a causa di un handicap di cui non le permette di parlare come gli altri, a causa di ciò non riesce ad instaurare un rapporto sociale con le persone, può solo contare l'appoggio e l'aiuto dei suoi genitori. Le cose iniziano a cambiare quando un certo Micheal viene assunto come fattorino del negozio e tramite questo ragazzo, conoscerà alcuni suoi amici e nuove persone, tra cui Anthony Pitton, un ragazzo dal carattere un po' tenebroso e dal passato tumultuoso. Come lei, anche Anthony si fida ben poco delle persone...
- IL RATING POTREBBE CAMBIARE DIVENTANDO UNA STORIA EROTICA!
- La storia verrà accompagnata da degli artwork disegnati dalla sottoscritta. (solo su wattpad)
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Perché, ma dico perché non avevo provato il vestito nel camerino prima di comprarlo?

Ero così entusiasta di aver trovato il vestito che mi piaceva tanto a buon prezzo, della mia taglia tra l'altro per poi scoprire che di busto mi andava largo ed avevo il seno piuttosto scoperto.

Che facevo? Ormai il fatidico giorno era arrivato, mancava giusto un'ora all'appuntamento ed io ancora più sciocca, non avevo neanche provato il vestito a casa per vedere come mi calzava, in modo che se ci fosse stato un dettaglio fuori posto, lo avrei modificato... come in questo caso. Troppo tardi.

Il pub era a 5 km da casa mia, non sapevo se andare a piedi oppure prendere un bus anche se con quella scollatura mi sentivo a disagio e avrei attirato occhiate molto indiscrete.

Cercai nel mio armadio una giacchetta per coprire la parte superiore anche se avevo piuttosto caldo per tenermelo addosso. Pazienza, che mi serviva di lezione la prossima volta.

Nella borsa portai con me la mia inseparabile lavagnetta per comunicare con loro; non che non avessi voglia di parlare ma ci avrei messo un'eternità quando si trattava di argomentare e quindi scrivere ciò che pensavo su una lavagnetta era la scelta migliore.

Uscii di casa ma nonostante fossero le 19:00, c'era ancora molto sole. Adoravo l'estate proprio per questo.

All'improvviso una persona non fece attenzione e per poco mi diede addosso, facendomi spaventare un botto. Per la paura, caddi all'indietro ed il mio sedere fece un bel tonfo. Magnifico, vestito nuovo e già si era appena sporcato.

La persona in questione si girò per vedere la situazione e rimase stupefatto. Era un ragazzo.

«Meredith Rose?!»

Mi girai di scatto verso l'alto; questo ragazzo mi conosceva? E chi mai poteva essere?

Aveva dei lineamenti asiatici ed era molto alto, molto alto. Superava di sicuro i 190 cm. Poi guardai come era vestito ed aveva una tenuta sportiva, scarpe da ginnastica per giocare a basket e scalda muscoli. Aveva occhi e capelli neri ed un fisico da paura, tuttavia continuai a domandarmi nella mente chi fosse dal momento che lui mi doveva conoscere molto bene.

Il ragazzo molto gentilmente mi aiutò a farmi rialzare e continuò a parlare.

«Non ti ricordi di me? Sono Hitoya!»

«Ehhh...?»

«Certo, sono passati diversi anni e poi non eravamo in classe insieme. Tuttavia mi ricordo che spesso venivi a trovarmi in palestra per guardare i miei allenamenti di basket, insieme alla squadra...»

Basket, Hitoya, classe... quale classe poi? Ma dopo un po' finalmente mi si accese la lampadina.

Hitoya Brown. Il ragazzo più famoso del liceo che frequentavo. Bravo a scuola, bravo nel basket (o forse dovrei dire una stella, bravo non era ancora un complimento), bello, affascinante, desiderato da tutti e lo ammetto, lui fu la mia prima cotta anche se il mio era solo un amore platonico, nulla di serio.

Tuttavia, mi rimase un dubbio: durante al liceo, non ebbi mai l'occasione di parlare con lui, quando lo vedevo agli allenamenti non ero sola, anzi, c'era una miriade di ragazze pronte ad elogiarlo e fare il tifo per lui in stile cheerleader e per giunta manco tra le prime file in modo da farmi notare, in più non eravamo neanche in classe insieme... il fatto che lui addirittura sapesse il mio nome e cognome mi fece uno strano effetto. Cavolo, addirittura esistevo per la mia prima cotta.

A questo punto mi domandai se lui sapeva della mia condizione e sinceramente non avevo il coraggio di parlare.

«Effettivamente non ci siamo mai parlati al liceo...» incominciò lui grattandosi imbarazzato. Oh no, è lo stesso gesto che faceva di solito Anthony.

«Però mi ricordo del tuo regalo di San Valentino che mi avevi fatto all'ultimo anno di liceo: quei biscotti erano davvero buonissimi!»

Cosa?! Come aveva fatto a capire che quel regalo era opera mia?! Non lo avevo consegnato di persona (figuriamoci, non lo avrei mai fatto!), c'era un biglietto ma non lo avevo neanche firmato, quindi... come e quando lo avrebbe saputo?!

Forse mi aveva vista quando avevo messo il regalo nel suo zaino... no, impossibile. Ne approfittai nel momento in cui era in palestra ad allenarsi, quindi qualcuno che passava di lì mi aveva vista e spifferato tutto ad Hitoya.

«È stato un mio compagno di classe a rivelarmelo: ti vide mentre stavi mettendo il regalo nel mio zaino»

Ecco, appunto.

Ma se lo sapeva, perché non me lo aveva mai detto? Perché mi stava dicendo tutto questo ADESSO?

«Piuttosto, dove vai di bello?»

Lo guardai piccata: non era per cattiveria ma il fatto che lui sapesse del regalo non mi andò a genio. È vero che non glielo consegnai di persona ma se non lo feci, è perché ero troppo timida ed insicura. Anzi, il mio obbiettivo era che lui in qualche modo potesse capire chi fosse stato, così magari lui si sarebbe avvicinato a me. Invece lo sapeva ed in più non mi disse nulla. Fantastico. Adesso dopo tanti anni, voleva pure fare l'amicone domandami fatti che non erano suoi.

Presi penna e lavagnetta e gli scrissi questo: "me lo potevi dire per quanto riguarda il regalo di San Valentino"

Lesse il messaggio e ci rimase un po' male.

«Hai ragione, scusami. Però dal momento che non me lo avevi dato di persona, pensavo che tu non volessi proprio farmelo sapere e così avevo contribuito anch'io a questo gran segreto. Del resto sul biglietto non c'era neanche il tuo nome!»

Non potevo dargli torto effettivamente.

Facendo così, avevo ottenuto l'effetto opposto, cioè quello di non farmi proprio cercare. Avrei dovuto firmare il bigliettino, maledizione. Ma pazienza, era una storia ormai vecchia e di lui avevo addirittura rimosso nella mia mente.

Scrissi sulla lavagnetta questo: "Scuse accettate! Vado comunque al pub The King con degli amici, tu invece che fai, ti stai allenando?"

«Si, sono appena tornato in Irlanda dopo la vittoria della mia squadra anche se comunque continuo sempre ad allenarmi. Dopo il liceo sono stato ammesso alla NBA ed ora gioco nel Chicago Bulls, non è fantastico?»

Cavolo se lo era, lui era sempre stato un asso nel basket ed ero contenta del suo sogno ormai raggiunto.

Se lo meritava tanto.

«Però il pub The King è un pochino distante, vuoi un passaggio? Ho parcheggiato la macchina qui nei dintorni e se vuoi posso accompagnarti!»

Feci no con le mani segnata dall'imbarazzo.

«Sicura? Dai non farti pregare, lo faccio con piacere!»

Un passaggio mi sarebbe servito ma non volevo fare la parte della principessa viziata ed approfittatrice.

«Voglio farmi perdonare per il fatto di San Valentino!» disse lui risoluto.

Dal momento che la stava prendendo come una questione di principio, accettai di buon grado.

Una cosa che notai è che lui non fosse scettico del fatto che io comunicassi con la lavagnetta. Quindi lui sapeva della mia disabilità, però tutto ciò non lo trovava ripugnante.

«A che ora devi andare al pub?»

Erano le sette e l'appuntamento era per le otto.

«Se è ancora presto, puoi fare un salto a casa mia... giusto da offrirti qualcosa e fare una doccia che puzzo come una pecora»

   
 
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