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Autore: Josy_98    23/03/2023    0 recensioni
Quando Chirone la costrinse ad iscriversi alla Yancy Academy per aiutarlo a tenere d'occhio un probabile mezzosangue particolarmente potente, Avalon sapeva già che fosse una pessima idea. Ne era certa. E glielo disse, convinta più che mai che fosse una mossa totalmente sbagliata e che tutto sarebbe cambiato. Non necessariamente in meglio.
Da anni, infatti, tentava in tutti i modi di restare nell'ombra, lasciando ad altri il compito di occuparsi dei problemi divini, far avverare profezie e compiere imprese, limitandosi ad osservare il tempo scorrere senza interferire e rimanendo in disparte nonostante i diversi tentativi degli altri - mortali e divini - di coinvolgerla in ogni modo.
Purtroppo, però, quella volta non riuscì a restarne fuori come avrebbe voluto.
E, quando le cose si complicheranno, Avalon tenterà in tutti i modi di non distruggere quell'intricato lavoro che ha portato avanti in quegli anni, cercando inevitabilmente di salvare quel flebile e incerto futuro in cui lui sopravvive. Con la paura di non riuscirci.
Perchè, Avalon lo sapeva, lei aveva sempre ragione. Finchè non prendeva una decisione.
|Riscritta!|
|Allerta Spoiler!!|
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fu un'idea di Annabeth. Ci fece salire su un taxi di Las Vegas, come se avessimo davvero i soldi per permettercelo, e disse all'autista: «Los Angeles, prego.»
Il tassista masticò il suo sigaro e ci soppesò con lo sguardo. «Sono duecento chilometri. Pagamento anticipato.»
«Accetta le carte di debito dei casinò?» chiese Annabeth.
Lui alzò le spalle. «Dipende. Come le carte di credito. Prima le devo strisciare.»
Annabeth gli passò la sua carta Lotus verde e io compresi subito cosa voleva fare. Degno di una figlia di Atena e di un figlio di Ermes messi insieme. Il tipo la guardò, scettico.
«La strisci.» lo invitò Annabeth. Lui lo fece.
Il tassametro prese a vibrare. Le luci lampeggiarono. Alla fine, dopo il segno del dollaro, comparve il simbolo dell'infinito.
Dopo che il sigaro gli fu caduto di bocca, il tassista si voltò a guardarci con tanto d'occhi. «Da che parte di Los Angeles, di preciso... Vostra Altezza?»
«Il molo di Santa Monica.» Annabeth drizzò un po' la schiena. Capii che la storia dell’“Altezza” le era piaciuta. «Si sbrighi, e potrà tenere il resto.»
Il tassista partì a razzo, e io mi ritrovai schiacciata sul sedile del passeggero come se stessimo decollando.
«Non avresti dovuto dirlo…» mormorai voltandomi verso i sedili dietro, dove gli altri fissavano l’uomo sconcertati.
Il tachimetro del taxi non scese mai sotto i centocinquanta per tutto il deserto del Mojave.
Lungo la strada, avemmo un sacco di tempo per parlare, ignorando completamente il tassista e il fatto che potesse sentirci. Percy ci raccontò il suo ultimo sogno, affermando che più tentava di ricordarne i particolari, più si facevano vaghi. A quanto pareva, il Casinò Lotus gli aveva mandato in corto circuito la memoria. Non riusciva a rievocare il suono della voce del servo invisibile, anche se era sicuro che si trattasse di qualcuno che conosceva. Il servo aveva chiamato il mostro nel baratro in un modo diverso, oltre a "mio signore"... aveva usato un nome o un titolo speciale...
Io mi rabbuiai, ripensando a ciò che avevo visto e che sapevo.
«Il Silente?» suggerì Annabeth. «Il Ricco? Sono entrambi degli appellativi di Ade.»
«Forse...» rispose Percy. Ma non sembrava molto convinto.
«Quella sala del trono però somiglia proprio a quella di Ade.» commentò Grover. «È così che di solito la descrivono.»
Percy scosse la testa. «C'è qualcosa che non torna. La sala del trono non è stata la parte principale del sogno. E la voce del baratro... non lo so. Solo che non sembrava la voce di un dio.»
Annabeth sgranò gli occhi. Io non emisi un fiato.
«Che c'è?» chiese Percy.
«Oh... niente. Stavo solo... No, deve essere Ade. Forse ha mandato questo ladro, questa persona invisibile, a rubare la Folgore, e qualcosa è andato storto...»
«Tipo cosa?»
«Io non lo so.» rispose lei. «Ma se ha sottratto il simbolo del potere di Zeus dall'Olimpo e aveva gli dei alle calcagna, beh, un sacco di cose potevano andare storte. Perciò forse ha dovuto nascondere la Folgore o magari l'ha persa. Comunque sia, non è riuscito a portarla ad Ade. Non è questo che ha detto la voce del tuo sogno? Il tizio ha fallito. Questo spiegherebbe cosa stavano cercando le Furie quando ci hanno assalito sull'autobus. Forse pensavano che avessimo recuperato la Folgore.»
Era diventata pallida tutto d’un colpo e continuava a spostare lo sguardo su di me, come in cerca di qualcosa. Aveva dei dubbi sulla storia di Ade. Me ne resi conto all’istante. Forse stava iniziando a capire la verità. Ma probabilmente aveva troppa paura per prendere davvero in considerazione quell’ipotesi.
«Ma se avessi davvero recuperato la Folgore» obiettò Percy «perché starei andando negli Inferi, adesso?»
«Per minacciare Ade.» suggerì Grover. «Per corromperlo o ricattarlo e farti restituire tua madre.»
Percy fischiò. «Certo che sei sveglio per essere una capra.»
«Oh beh, grazie.»
«Ma la cosa nel baratro ha parlato di due oggetti.» aggiunse. «Se uno è la Folgore, l'altro che cos'è?»
Grover scosse la testa, chiaramente disorientato. Annabeth continuava a passare lo sguardo da me a Percy, come a leggermi dentro e allo stesso tempo convincere lui a non chiederle quello che entrambe sapevamo avrebbe chiesto.
«Tu ti sei fatta un'idea sulla cosa che c'è in quel baratro, vero?» le domandò infatti. «Cioè, nel caso in cui non si trattasse di Ade?»
«Percy, lasciamo stare. Perché se non si tratta di Ade...» mi fissò, visibilmente terrorizzata. «No. Deve essere Ade per forza.»
Percy si voltò verso di me. «Tu lo sai, vero? Cos’è quella cosa.»
Io non risposi. Non ci riuscii. Non gli dissi nemmeno che sì, io sapevo cosa fosse nascosto nel baratro. Fui in grado semplicemente di lanciargli uno sguardo desolato e voltarmi in avanti, poggiando la fronte al finestrino e osservando il paesaggio all’esterno.
Il deserto ci scorreva accanto in tutta la sua desolazione. Superammo un cartello che diceva: CONFINE DELLA CALIFORNIA, 12 MIGLIA.
Per un attimo il deserto scomparve, sostituito da una distesa di corpi in putrefazione e fiumi di sangue.
Chiusi gli occhi, strizzandoli fino a farmi male, e quando li riaprii il deserto era tornato al suo posto, i corpi non c’erano più.
«La risposta è negli Inferi.» tentò di rassicurarlo Annabeth. «Hai visto gli spiriti dei morti, Percy. Ed esiste un solo posto in cui questo è possibile. Stiamo facendo la cosa giusta.»
Cercò di tirarci su di morale suggerendo una serie di ingegnose strategie per entrare nel Regno dei Morti, ma io non riuscivo a prestarle attenzione. Continuavo a ripensare a ciò che mi era successo mentre dormivo, a quello che avevo visto, e non riuscivo a capire come avessi fatto a uscirne. L’unica cosa di cui ero certa era che qualcuno mi avesse aiutato. Chi, però, non ne avevo idea.
Il taxi sfrecciava verso ovest. Ogni folata di vento nella Valle della Morte suonava come uno spettro. Ogni volta che sentivo fischiare i freni di un autotreno dovevo trattenermi dal portare le mani sulle orecchie, ricordando a me stessa che non era il sibilo di una frusta infuocata che infieriva su qualcuno.
«Avie, posso farti una domanda?» la voce di Grover mi riscosse da quelle tetre elucubrazioni.
Mi voltai verso di lui, seduto nel posto dietro il tassista. Mi osservava con espressione preoccupata. Probabilmente stava cercando di leggere il groviglio oscuro che avevo al posto delle emozioni in quel momento.
Gli feci un cenno per incoraggiarlo a parlare, in attesa.
«Cosa ti è successo?»
Alzai un sopracciglio, sperando che si spiegasse. Lo fece.
«Voglio dire: quando il Tir si è fermato abbiamo provato a svegliarti ma non ci siamo riusciti. Abbiamo davvero provato di tutto, ma tu non davi segni di vita. Non fosse stato che respiravi ti avremmo creduta morta.» disse, scambiando delle occhiate con gli altri. «Ci hai davvero spaventati. Non riuscivamo a capire perché non ti svegliassi, così abbiamo cercato un posto in cui rifugiarci e siamo finiti al Casinò Lotus. Poi sei comparsa davanti a noi come se niente fosse e ci hai tirati fuori da lì. Come se non avessi appena dormito per sei giorni infilati ma solo per un paio d’ore.» feci per fargli notare che il Casinò Lotus scombinava il senso del tempo, ma lui mi anticipò. «E non venirmi a dire che sono state davvero un paio d’ore perché non ci credo. Si vede benissimo che ti è successo qualcosa mentre dormivi. Te lo si legge in faccia.» osservò. «E anche il fatto che prima hai risposto a Percy solo con quell’occhiata è molto indicativo del fatto che c’è qualcosa che non va.»
«Io… non…» mi passai una mano sugli occhi, scacciando l’immagine del volto scarnificato di Grover che aveva preso il posto della realtà. «Devo ancora metabolizzare quello che ho visto.» mormorai, alla fine.
«Puoi parlarcene, lo sai.» disse Annie.
«Devi.» aggiunse Percy, tentando di smorzare l’atmosfera. «I tuoi sogni non possono essere peggio dei miei.»
Feci una smorfia. «Non esserne così sicuro.»
Il mezzo sorriso che aveva sulle labbra scomparve e, per un attimo, lo vidi ricoperto di sangue con gli occhi privi di vita. Scossi la testa per scacciare quell’immagine.
«Cosa può esserci di peggio?» domandò, serio.
«La fine.» sussurrai. «La fine di tutto.» mi voltai in avanti, non riuscendo più a sostenere il loro sguardo. «Vi prego, non voglio parlarne.»
Una ventina di minuti dopo il taxi ci scaricò sulla spiaggia di Santa Monica, che era identica alle spiagge californiane dei film, tranne che per la puzza. C'erano giostre sul molo, palme lungo i marciapiedi, barboni che dormivano sulle dune di sabbia e surfisti in attesa dell'onda perfetta. Ci avvicinammo alla riva, con il mare illuminato dai raggi del tramonto che, nonostante il sole estivo, non riuscivano a scaldarmi come avrei voluto. I ricordi di quei giorni sprofondata nel sonno cercavano continuamente di risucchiarmi, e io sentivo sempre più freddo. E faticavo ancora di più a non perdere contatto con la realtà.
«E adesso?» chiese Annabeth, facendomi voltare verso di lei.
Il Pacifico si stava tingendo d'oro alla luce del tramonto.
Percy entrò con i piedi nel mare.
«Percy?» lo chiamò Annabeth. «Che stai facendo?»
Lui la ignorò, continuando a camminare, con l'acqua fino alla vita, poi fino al petto.
Lei gli gridò dietro: «Sai quant'è inquinata quell'acqua? C'è ogni genere di rifiuto toss...»
La fermai con una mano, stringendole appena il braccio.
In quel momento, Percy immerse la testa e sparì.
Annie e Grover mi fissavano ad occhi spalancati in attesa che dicessi qualcosa, che spiegassi perché l’avessi fermata dall’impedire a Percy di scomparire in mare. Mi limitai a scuotere lentamente la testa, preda di una nausea che non ero certa di sapere da dove venisse, prima di sospirare e sedermi con calma sulla sabbia.
Girava tutto.
«Sei verde.» se ne uscì Grover, scrutandomi attentamente in volto. «Molto verde. Fin troppo, per qualcuno che non è una driade.» si accovacciò davanti a me, seguito da Annabeth. «Stai bene?»
Chiusi gli occhi, cercando di compiere dei respiri profondi.
Annie mi passò una mano sulla fronte, asciugando alcune goccioline che la percorrevano.
«Stai sudando.» disse, preoccupata.
«Sto bene.» mormorai, cercando invano di controllarmi. «Datemi solo qualche minuto.»
Avevo una gran voglia di vomitare ma, ancora di più, desideravo poter bere dal Lete e dimenticarmi di tutto quello che avevo visto. Disperatamente.
Non avrei mai pensato che la puzza di quel posto mi avrebbe rimandata con la mente a quelle immagini e sensazioni orribili che avevo provato quegli ultimi giorni.
Volevo solamente aprirmi la testa e rimuoverle a tutti i costi, ma non riuscivo nemmeno a separarle dalla realtà. Cominciai a tremare senza controllo.
Rimasi lì, per minuti interminabili, a dondolarmi avanti e indietro con le mai sulle orecchie e il volto nascosto fra le ginocchia sotto gli sguardi preoccupati e impotenti dei miei amici, nella disperata attesa di un miracolo che mi separasse da quell’incubo che non riuscivo ad accantonare.
Una leggera quanto fresca brezza ci avvolse, mentre i raggi del sole si facevano più caldi e luminosi, con il trascorrere del tempo. La nausea scemò, così come era arrivata, e i tremori si placarono. Con stanca lentezza smisi di dondolarmi, e alzai la testa, accogliendo sul volto gli ultimi fasci ardenti di quel tramonto e inebriandomi del profumo del mare.
Aprii piano gli occhi, che avevo inevitabilmente chiuso con la vana speranza di non vedere più quegli orrori, e mi sentii bene. Per la prima volta da quando mi ero svegliata. Un vero e proprio miracolo divino che quasi mi fece piangere dalla gioia.
Sorrisi ai miei amici per tranquillizzarli e vidi entrambi sospirare di sollievo. Dovevo averli spaventati parecchio.
Prima che potessero domandarmi alcunchè, però, vidi Percy spuntare dall’acqua e feci loro un cenno nella sua direzione. Quando ci raggiunse aveva i vestiti asciutti, potere fortunati di chi poteva controllare il mare.
Ci raccontò dell’incontro con la Nereide, di ciò che gli aveva detto e ci mostrò quattro perle che avrebbero dovuto aiutarlo nel momento del bisogno.
Annabeth fece una smorfia. «Ogni dono ha un prezzo.»
«Questo è gratis.»
«No.» scosse la testa, lanciandomi un’occhiata. «Nessuno dà niente per niente. È un vecchio detto greco che si traduce molto bene nella nostra lingua. Ci sarà un prezzo da pagare. Aspetta e vedrai.»
Mi diede una mano ad alzarmi, poi ci voltammo e ci incamminammo verso la prima fermata degli autobus che trovammo. Pagammo quattro biglietti che ci portassero fino a West Hollywood e Percy si spacciò per una famosa controfigura, in modo da evitare che l’autista lo riconoscesse come “il ragazzo schizzato che aveva fatto sparire sua madre” e bla bla bla.
Fummo costretti a scendere alla prima fermata e vagammo a piedi per chilometri, alla ricerca degli Studi di Registrazione R.I.P., ma sembrava che nessuno sapesse dove fossero. E nell'elenco del telefono non comparivano.
Per due volte, fummo costretti a infilarci in un vicolo per evitare un'auto della polizia.
Poi, davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici, per poco non mi venne un colpo. Strattonai Percy per un braccio, costringendolo a fermarsi per osservare la televisione accesa al di là del vetro che stava mandando in onda un'intervista con qualcuno dall'aria molto familiare: Gabe il Puzzone, il patrigno di Percy.
Parlava con Barbara Walters, neanche fosse una celebrità. Lei lo stava intervistando nell’appartamento di Percy, nel bel mezzo di una partita a poker, e seduta accanto a lui c'era una biondina che gli faceva coraggio con dei colpetti sulla mano. Disgustoso.
Sulla guancia di Gabe luccicava una lacrima finta.
Stava dicendo: «Onestamente, signora Walters, se non fosse per il sostegno di Miss Sugar, la mia terapeuta per il superamento del dolore, sarei uno straccio. Il mio figliastro si è preso quanto di più caro avessi al mondo. Mia moglie... la mia Camaro... mi dispiace, non ci riesco.»
Cone no!
«Ecco, America!» Barbara Walters si voltò verso la telecamera. «Un uomo distrutto. Un adolescente seriamente disturbato. Lasciate che vi mostri, di nuovo, l'ultima foto nota di questo giovane ricercato, scattata a Denver una settimana fa.»
Sullo schermo comparve una foto sfocata di Percy, Annabeth e Grover fuori dal ristorante in Colorado, mentre parlavamo con Ares.
«Chi sono gli altri ragazzi nella foto?» si chiese Barbara Walters in tono drammatico. «Chi è l'uomo con loro? Chi è Percy Jackson: un delinquente, un terrorista o la vittima di uno spaventoso, nuovo culto che l'ha sottoposto al lavaggio del cervello? Dopo la pubblicità, parleremo con un rinomato psicologo infantile. Resta con noi, America!»
«Andiamo.» incitò Grover, trascinandoci via prima che Percy sfondasse la vetrina con un pugno.
Io non mi opposi, troppo concentrata a cercare di capire come fosse possibile che in quella foto io non ci fossi. Ero esattamente nello spazio tra Percy e Ares, in quel momento, quindi perfettamente visibile dal punto in cui avevano scattato quell’immagine, ma era come se fossi stata invisibile. Com’era possibile? Che gli dei, per chissà quale ragione, continuassero a tenermi celata ai mortali? Ma, se era veramente così, perché mai avrebbero dovuto farlo? E, se invece loro non centravano niente, chi era che impediva ai mortali di notare la mia presenza? Chi mi nascondeva agli occhi del mondo? E perché?
Si fece buio e molti personaggi dall'aria affamata cominciarono a uscire in strada, pronti a entrare in scena. Ora, non fraintendetemi. Ho visto ogni cosa possibile e immaginabile con il mio potere, non sono il tipo di persona che si spaventa facilmente. Ma Los Angeles era un vero e proprio labirinto stradale, tentacolare, caotico e intricato. Mi ricordava Ares, in un qualche modo. Senza nessun senso logico. E io volevo che, almeno per una volta, un senso logico ci fosse. Sarebbe stato tutto estremamente più semplice. Non sapevo proprio come avrei fatto a far trovare l'ingresso degli Inferi agli altri entro il solstizio d'estate, ovvero entro un giorno, senza dirgli apertamente dove fosse per non intromettermi e modificare irrimediabilmente il futuro.
Superammo balordi, barboni e venditori di ogni genere che ci squadrarono con aria scaltra, come per valutare se valesse la pena rapinarci. Decisamente era meglio che evitassero anche solo di provarci. Ero stanca, e non avrei accettato altre intromissioni indesiderate.
Davanti all'ingresso di un vicolo, una voce nel buio disse: «Ehi, voi.»
E, come un idiota, Percy si fermò.
Ero talmente immersa nei miei pensieri che gli andai addosso, sbattendo la fronte sul retro del suo cranio. Me la massaggiai con una smorfia confermando quello che pensavo di lui: aveva proprio la testa dura.
Prima che me ne rendessi conto, fummo circondati da una banda di ragazzini. Erano sei in tutto: dei ragazzini bianchi con i vestiti costosi e la faccia cattiva. Mi ricordavano quelli della Yancy: marmocchi pieni di soldi che giocavano a fare i duri. Patetici.
Percy tolse il cappuccio a Vortice.
Io mi diedi una manata sulla fronte ancora dolorante, provocandomi una smorfia infastidita.
Poteva avere la testa dura quanto voleva, ma il cervello al suo interno doveva essere parecchio scadente.
Quando la spada apparve dal nulla, i bulletti arretrarono, ma il loro capo doveva essere il mortale più stupido sul pianeta, perché continuò a farsi avanti con un coltello a serramanico in mano.
Percy, da bravo idiota quale è, commise l'errore di sferrare un colpo.
Il tipo gridò. Ma dato che era un completo mortale, oltre che imbecille al pari del mio amico, la lama gli oltrepassò il petto senza lasciargli un graffio. Abbassò lo sguardo.
«Ma che diavolo...»
Con un rapido calcolo, intuii che avevamo all'incirca tre secondi prima che lo shock si trasformasse in rabbia e lo spingesse a saltarci addosso insieme ai suoi compari. E io non avevo la minima voglia di fare l’ennesima scazzottata. Perciò feci l’unica cosa sensata per evitare quella rissa imminente.
«Scappiamo!» gridai ad Annabeth e Grover tirando Percy per un braccio.
Togliemmo di mezzo due della banda con una spinta e ci precipitammo in strada, senza sapere dove andare. Svoltammo bruscamente in un vicolo.
«Laggiù!» esclamò Annabeth.
Solo un negozio dell'isolato sembrava aperto, le vetrine sfolgoranti di luci al neon. L'insegna sopra la porta diceva qualcosa tipo DA CRSTUY, LAERGGIA DLE ATMERASOS ADCUQAA.
«Da Crusty, la reggia del materasso ad acqua?» tradusse Grover.
Mi piantai nel bel mezzo della strada, incapace di proseguire oltre. Se per ciò che sapevo di quel posto o se per l’ennesima sovrapposizione della realtà non mi fu molto chiaro.
Fatto sta che, quando in parte mi ripresi, mi ritrovai all’interno del negozio, nascosti dietro un letto, contro le mie silenziose preghiere più disperate.
Mezzo secondo più tardi, la banda di ragazzini passò di corsa davanti alla vetrina.
«Penso che li abbiamo seminati.» disse Grover con il fiato grosso.
Una voce dietro di noi tuonò: «Seminato chi?»
Sobbalzammo per lo spavento.
Alle nostre spalle, c'era un tizio che somigliava a un rapace con un completo casual indosso. Era alto almeno due metri ed era totalmente calvo. Aveva la pelle grigia, ruvida, gli occhi dalle palpebre spesse e un sorriso freddo, da rettile. Si avvicinò lentamente, ma sapevo che avrebbe potuto muoversi in fretta se lo avesse ritenuto necessario.
Con quel completo avrebbe fatto un figurone al Casinò Lotus. Risaliva decisamente ai gloriosi anni Settanta. La camicia era di seta a motivi cachemire, lasciata per metà aperta a scoprire il petto glabro. I risvolti della giacca di velluto erano larghi come piste d'atterraggio, e le catene d'argento che portava attorno al collo... erano fin troppe perché qualcuno riuscisse a contarle. Io sapevo quante erano solo perché sapevo. E avrei volentieri evitato.
«Sono Crusty.» si presentò, con un sorriso giallo tartaro.
Un conato di vomito mi impedì di reagire.
«Ci scusi per come siamo entrati.» gli disse Percy come se niente fosse. «Stavamo solo, ehm, dando un'occhiata.»
«Vuoi dire che vi stavate nascondendo da quei poco di buono.» rettificò. «Girano da queste parti tutte le sere. Mi arriva un sacco di gente, grazie a loro. Che ne dite di dare un'occhiata a uno dei miei letti?»
Stavo per dire: “No, grazie”, quando lui mise la sua grossa zampa su una spalla di Percy e lo spinse all'interno del salone. Grover e Annabeth lo seguirono, lei lanciandomi un’occhiata di sottecchi.
Io, invece, non fui in grado di muovermi dal punto in cui mi avevano fatta accovacciare prima. Stavo ancora cercando di non vomitare qualsiasi cosa mi fosse rimasta nello stomaco dopo praticamente sei giorni di digiuno.
Arresa alla mia momentanea incapacità di rialzarmi, mi sedetti per terra cercando di respirare dalla bocca, nel tentativo di far passare quella inspiegabile nausea e di tornare, allo stesso tempo, con i piedi per terra, nella realtà. Contemporaneamente osservai gli altri girovagare nel negozio sotto la guida del proprietario.
C'era ogni genere di letto che si possa immaginare, tutti ovviamente muniti di materasso ad acqua: diversi tipi di legno, diverse fantasie di lenzuola; di taglia grande, grandissima, colossale.
«Questo è il mio modello più popolare.» Crusty allargò le mani, mostrando con orgoglio un letto coperto di lenzuola di raso nero, con delle lava lamp incassate nella testiera. Con il materasso che vibrava, sembrava un budino al petrolio. Non sarei mai stata in grado di dormirci sopra. «È come il massaggio di un milione di mani!» ci spiegò Crusty. «Coraggio, provatelo. Fatevi un sonnellino. Non è un problema, tanto oggi non c'è gente.»
«Ehm» obiettò Percy «non credo che...»
«Il massaggio di un milione di mani!» esclamò Grover e si tuffò. «Oh, ragazzi! Forte.»
«Mmh.» disse Crusty, accarezzandosi la pelle ruvida. «Quasi quasi...»
«Quasi, cosa?» chiese Percy.
Lui guardò Annabeth. «Fammi un favore, dolcezza, prova quello laggiù. Dovrebbe andare.»
Dolcezza.
Repressi un brivido.
Doveva solo provarci, lo schifoso, a chiamare me in quel modo.
Annabeth replicò: «Ma cosa...»
Lui la rassicurò con delle lievi pacche sulle spalle e l'accompagnò davanti al modello Safari Deluxe, con dei leoni scolpiti sul telaio in tek e una trapunta leopardata. Quando Annabeth si rifiutò di stendersi, lui la spinse.
«Ehi» protestò lei.
Crusty schioccò le dita. «Ergo
Dai lati del letto, spuntarono delle corde sferzanti, che si attorcigliarono attorno ad Annabeth, legandola al materasso.
Grover cercò di alzarsi, ma le corde spuntarono anche dal suo letto di raso nero, immobilizzandolo.
«N-non è f-f-o-o-orte!» gemette, la voce che vibrava per via del massaggio da un milione di mani. «N-non è p-per ni-e-e-ente f-f-o-oorte!»
Il gigante guardò Annabeth, poi si girò verso Percy e sorrise. «Quasi, maledizione!»
Lui cercò di venire verso di me, ma la mano dell’essere schizzò in avanti e gli si strinse attorno al collo. «Diamine, ragazzo. Non preoccuparti. Te ne troveremo uno fra un secondo.»
«Lasci andare i miei amici!»
«Oh, sicuro. Lo farò. Ma prima devo aggiustarli.»
«In che senso?»
«Tutti i letti sono lunghi esattamente un metro e ottanta, vedi? I tuoi amici sono troppo bassi. Devo aggiustarli.»
Annabeth e Grover continuavano a divincolarsi.
«Non sopporto le misure imperfette.» borbottò Crusty. «Ergo
Una nuova serie di corde balzò fuori dalle testiere e dai piedi dei letti, avvolgendosi attorno alle caviglie e alle ascelle di Grover e Annabeth. Le corde cominciarono a tendersi, tirando i miei amici per le estremità.
«Non vi preoccupate.» ci disse Crusty. «È solo uno stiramento. Sette, otto centimetri in più sulla spina dorsale. Potrebbero perfino sopravvivere. Ora perché non troviamo un letto anche per te, ragazzo, che ne dici? Mi è stato proibito di fare lo stesso alla tua dolce amichetta e, seppur contro i miei principi, farò come mi è stato detto.» continuò verso Percy, riferendosi a me. «In ogni caso, temo che lei abbia altri problemi di cui preoccuparsi. Problemi che, incredibilmente, sono decisamente più gravi dell’altezza sbagliata.» si voltò verso di me. «Alcune realtà con cui dover fare i conti.»
Il Mollusco mi fissò confuso e spaventato allo stesso tempo, rendendosi conto solo in quel momento delle mie condizioni. Dovevo essere tornata di nuovo verde.
«Percy!» gridò Grover.
Scossi la testa, per fargli capire che non ero in grado di aiutarlo, al momento. Ero troppo debole anche solo per tentare di rimettermi in piedi, figurarsi uccidere quel mostro.
Lo vidi ragionare in fretta. Sapeva di non potercela fare da solo contro quel venditore gigante. Gli avrebbe spezzato il collo prima ancora di riuscire ad estrarre la spada.
«Il suo vero nome non è Crusty, vero?» gli chiese.
«Legalmente, è Procuste.» ammise.
«Lo Stiratore.» aggiunsi, il tono debole.
Ricordavo la storia: il gigante che aveva cercato di uccidere Teseo con un eccesso di ospitalità durante il suo viaggio verso Atene. Certe immagini avrei volentieri preferito non vederle, nei miei sogni.
«Già.» confermò il venditore. «Ma chi se lo ricorda un nome del genere? Una cosa pessima per gli affari. Crusty, invece, funziona molto meglio.»
«Ha ragione. Suona proprio bene.» concordò Percy lanciandomi un’occhiata.
A Procuste brillarono gli occhi. «Lo pensi davvero?»
«Oh, assolutamente.» ribadì il mio amico. «E la fattura di questi letti? Favolosa!»
Il gigante fece un largo sorriso, senza però allentare la presa sul suo collo. «È quello che dico ai miei clienti. Tutte le volte. Nessuno che si prenda mai la briga di osservare la fattura! Quanti letti con lava lamp incassate nella testiera hai mai visto?»
«Non molti.»
«Esatto!»
«Percy!» strillò Annabeth. «Che stai facendo? Avie fa qualcosa.»
«La ignori.» consigliò lui a Procuste. «È una rompiscatole.»
Crusty rise. «Come tutti i miei clienti. Mai che misurassero un metro e ottanta esatto! Che sconsiderati. E poi si lamentano se devo dargli un'aggiustatina.»
«Che cosa fa se sono più lunghi di un metro e ottanta?»
Procuste gli liberò il collo ma, prima che Percy potesse reagire, allungò il braccio dietro a un bancone vicino e tirò fuori un'enorme ascia di bronzo a doppio taglio. «Centro il soggetto il più possibile e mozzo tutto ciò che sporge alle due estremità.
«Ah.» fece Percy, deglutendo e lanciandomi un’altra occhiata. «Mi sembra ragionevole.»
«Finalmente un cliente con un po' di cervello! Ne sono lieto.»
Le corde adesso cominciavano a stirare i miei amici davvero troppo.
Annabeth era sempre più pallida. Grover gorgogliava come un'oca strangolata.
«Allora, Crusty...» continuò Percy, cercando di mantenere un tono spensierato. Lanciò un'occhiata alla targhetta del letto LUNA DI MIELE SPECIAL, a forma di cuore. «Questo qui ha davvero degli stabilizzatori dinamici per fermare il movimento ondulatorio?» mi lanciò un’occhiata di sottecchi, una muta domanda, spostando ripetutamente l’attenzione da Procuste al letto in questione.
«Assolutamente. Provalo.»
«Sì, forse lo farò. Ma funziona anche con un tizio grande e grosso come lei? Neanche un'onda?» feci un lento cenno con la testa a Percy, confermando quello che mi aveva appena chiesto.
Ora dovevo solo sperare che andasse tutto come una qualunque delle visioni migliori che avevo avuto su quel momento.
«Garantito.»
«Impossibile.» disse Percy.
«Possibile.» Procuste si sedette con entusiasmo sul letto, dando dei colpetti con la mano al materasso. «Neanche un'onda. Visto?»
Percy schioccò le dita. «Ergo
Le corde avvilupparono Crusty e lo schiacciarono contro il materasso.
«Ehi!»
«Centratelo al punto giusto.» ordinò Percy.
Le corde si regolarono al suo comando. La testa e i piedi di Crusty sporgevano per intero alle due estremità.
«No!» gridò. «Aspetta! Era solo una dimostrazione.»
Percy tolse il cappuccio a Vortice. «Qualche piccola modifica...»
«Mi vuoi prendere per il collo.» disse Procuste. «Facciamo così: ti faccio il trenta per cento di sconto sui modelli più esclusivi!»
«Penso che comincerò dall'alto.» Percy sollevò la spada.
«Senza anticipo! Senza interessi per i primi sei mesi!»
Percy abbassò la spada. Crusty smise di fare offerte. Il Mollusco tagliò le corde degli altri letti.
Annabeth e Grover si rimisero in piedi, senza smettere di lamentarsi, contorcersi e insultarci.
«Sembrate più alti.» considerò Percy.
«Molto divertente.» sbuffò Annabeth. «La prossima volta, datti una mossa.»
«Muoviamoci.» disse lui, venendo verso di me per aiutarmi ad alzarmi.
«Dacci ancora un minuto.» si lamentò Grover. «Siamo stati quasi stirati a morte!»
«Allora siete pronti per gli Inferi.» annunciò Percy, sostenendomi con un braccio intorno alle spalle. Solo in quel momento Annabeth e Grover notarono il mio stato. «Sono soltanto a un isolato da qui.»
   
 
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