La porta, ad un tratto, si apre e appare Isamar.

− Alejandro… Entra, non stare sulla porta. − mi dice, gentile.

Con un cenno del capo silenzioso, annuisco e la seguo.

Percorriamo un breve tratto e lei mi invita a sedermi su un divano.

Appoggio la fronte sulla mano, cercando di mantenere un contegno. Il ricordo del corpo di mio fratello Reynaldo, distrutto da proiettili di mitra, è scolpito nella mia mente.

Ma non posso farmi vedere piangere da lei.

Anche Isamar, in questi momenti, sta sopportando di orribili sciagure e non posso opprimerla.

− Dimmi come sta Mercedes… − mormoro.

Lei sospira, sconfortata.

− Beh, te lo puoi immaginare poveretta… Sta molto, molto male. Perfino Argenis, adesso, è preoccupato. A suo parere, se la febbre continuerà a salire, c’è addirittura il rischio di una meningite. − mi dice.

Queste parole accorate accentuano il mio sconforto e la mia pena.

E, implacabili, ravvivano il ricordo della tragica fine di Reynaldo.

Povero fratello mio…

Le lacrime, impetuose, bagnano il mio viso, mentre i singhiozzi, ormai privi di controllo, serrano il mio petto.

− Reynaldo… Mio fratello… Rey… E’ morto… − sussurro. Quel sangue, così vivo, sembra precipitare dentro di me, fino a soffocarmi.

E, nella mia mente, risuonano le parole strazianti di Julio Cesar e Guillermo, davanti al corpo di Reynaldo.

Perché? Perché non sono riuscito a impedire la sua tragica fine?

Come fratello e uomo, sono un fallimento.

Non vorrei offendere Isamar con un simile spettacolo.

Sento le sue mani sottili tra i miei capelli e le sue braccia stringermi in un forte abbraccio.

No, non dovrebbe essere così.

Io dovrei mantenere un certo contegno e sostenere lei, che si sta consumando d’angoscia per la sua amica.

Ma sono stanco di questo sangue.

E, sopraffatto dalla disperazione, mi lascio cullare dal suo tocco gentile.