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Autore: muffin12    24/03/2023    1 recensioni
Non ci si poteva fidare di Dazai-san.
Quella era una delle lezioni più importanti che Atsushi aveva imparato nel modo più duro. Inutilmente.
Perché Dazai-san era Dazai-san e riusciva sempre a trovare il modo per farti dubitare delle tue sicurezze e farsi vedere sotto una luce da saggio mentore altruista.
Per Akutagawa, invece, Dazai-san era il modello da raggiungere e rendere fiero e avrebbe accettato qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca bugiarda.
Anche una fandonia per farli presentare allo stadio senza motivo.
Pairing: shin-Soukoku, Soukoku
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kiss Cam
 
 
Da quando Atsushi era stato assunto nell’Agenzia dei Detective Armati – con l’inganno più ingannevole ad opera di colui che, all’epoca, pensava fosse una persona di sani principi. Quanta innocenza … -, le settimane si erano svolte in maniera per lo più uguale, senza avvenimenti sorprendenti degni di nota.
 
(Almeno per quanto poteva riguardare routine esterne agli eventi clamorosi e catastrofici che facevano sempre capo ai Ratti in generale e Fëdor Dostoevskij nel particolare, ma quel singolare problema sembrava essere stato felicemente accantonato dopo l’ultimo tentativo di Apocalisse Zombie/Succhiasangue andato male, con un po’ di ottimismo non ne avrebbero sentito parlare per un bel po’.)
 
Come ogni giorno, il primo ad arrivare fu Kunikida-san.
 
Con la sempiterna aura di competenza e fiducia che più di confaceva al prossimo in carica di capo dell’Agenzia – e che comunque sarebbe sempre stata presente indipendentemente da tutto in quanto insita nel DNA di Kunikida-san, con somma gioia di Dazai-san e i suoi riuscitissimi tentativi di dargli il tormento -, si premurava di aprire l’ufficio al pubblico, controllando ogni stanza per essere sicuro che nulla di spiacevole fosse successo durante la notte o, peggio, che nessuna seccatura nullafacente dell’agenzia avesse deciso di fare dispetti non richiesti – ogni riferimento a Dazai-san non era sfortunatamente casuale –, spalancando le finestre per il cambio d’aria ed assaporando il fresco della prima mattina, sperando che il resto della giornata potesse continuare ad essere tranquilla e piacevole come quei perfetti minuti di solitudine.
 
Inutilmente, ma la speranza era sempre l’ultima a morire.
 
Dopo di lui, piano piano come piccole formiche operaie, gli altri membri dell’Agenzia cominciavano ad arrivare, chi portando caffè per tutti, chi snack per sé stesso, chi solo il proprio sorriso luminoso o broncio scocciato.
 
Se Kenji-kun e Tanizaki-kun trasudavano un’aura di solare calma, sedendosi alle proprie postazioni e cominciando a lavorare con più o meno contentezza ed efficienza, Yosano-san si limitava a chiudersi nel suo studio, comparendo solamente quando era troppo annoiata nella speranza che qualcuno fosse in fin di vita per passare qualche minuto di sadico divertimento. Rampo-san, dal canto suo, si stabiliva come sempre seduto alla scrivania più lontana, davanti la finestra, profondamente occupato ad onorare chiunque del rumore delle sue fauci impegnate a fagocitare ogni tipo di snack.
 
Dazai-san non compariva se non dopo mezzogiorno, se erano particolarmente fortunati. Se non lo erano, lo avrebbero visto solamente quando avrebbe deciso di degnare tutti della propria pigra presenza con l’unico scopo di raggirare qualcuno, rubare cibo, tormentare Kunikida-san e fare scherzi telefonici al centralino della Port Mafia, giusto per passare il tempo.
 
Anche sforzandosi, Atsushi non riusciva a ricordare un momento in cui, varcata la porta dell’ufficio, Dazai-san fosse già alla sua postazione intento a bighellonare come suo solito – nemmeno nei suoi sogni più sfrenati il suo mentore avrebbe fatto qualcosa di effettivamente utile e propedeutico per il meritato conseguimento di uno stipendio.
 
Dazai-san giurava che sì, invece, succedeva tutti i giorni, raccontando anche diversi episodi in merito con una dovizia di particolari che portò Atsushi e credere di essere affetto da seri cali di memoria, ma anche spremendo le meningi e venendo colpito da emicranie bestiali per lo sforzo e la concentrazione ancora non riusciva a rievocare eventi di tale portata.
 
Kunikida-san che cominciava ad urlare improperi e Dazai-san che metteva le cuffie iniziando a canticchiare la sua canzone preferita confermavano l’assoluta menzogna in merito.
 
Ogni settimana inoltre, in giornate completamente casuali e non legate da alcun tipo di abitudine, venivano onorati della presenza di qualcuno.
 
Non qualche cliente interessato ad assumerli per un lavoro, sfortunatamente. E non si trattava mai della stessa persona, anche se la sede principale era comune a tutte.
 
Gli episodi erano diventati così tristemente puntuali che, ogni week-end, la chat dell’Agenzia veniva intasata di messaggi riguardanti le scommesse sull’identità che si sarebbe infiltrata la settimana successiva.
 
Se Dazai-san parlava di cappelliere e cani pastori, mandando audio solamente per canticchiare orrende rime su tormenti violenti e persone basse e rendendo palese un sorriso lascivo che faceva venire i brividi, Kyouka-chan sognava crepes, spade e piatti di tofu orribilmente costosi con un accostamento che Atsushi capì presto fosse di pura speranza più che di vera certezza.
 
Atsushi provava sempre a partecipare, ma Ranpo-san indovinava costantemente e il gioco era presto diventato noioso, nonostante ricominciassero la domenica successiva.
 
Tuttavia, benché il soggetto e le motivazioni fossero sempre diverse, le modalità d’entrata erano tristemente comuni.
 
Quella volta non fu un’eccezione.
 
Con un’abitudine amaramente comprovata, la porta dell’ufficio esplose.
 
I cardini saltarono, i vetri scoppiarono e Ranpo-san fece appena in tempo ad abbassarsi e salvare le sue caramelle frizzanti che la finestra dietro di lui venne spaccata dalla forza con cui i pezzi di legno schizzarono in mille direzioni, colpendola senza pietà e facendo sperare tutti che nessun civile fosse stato colpito da schegge randagie al di sotto, salvandoli per una volta dalle denunce più arrabbiate.
 
“Jinko.”
 
Il tono di Akutagawa nel rivolgersi a lui aveva sempre questo retrogusto disgustato che Atsushi non capiva pienamente, soprattutto a seguito di alcuni brevi incontri terminati con troppo rossore e mani che si sfioravano quasi per caso, ma Rashoumon ancora attivo dietro di lui lo fece desistere dal sospirare per l’ennesima porta spazzata via e concentrarsi invece sulla sua presenza non preventivata.
 
I suoi colleghi non ebbero lo stesso riserbo.
 
“Ah! Sapevo che sarebbe stato il tizio senza sopracciglia!” Esclamò Ranpo-san aprendo un pacchetto di patatine aromatizzate al katsudon e cominciando a trangugiarle sorridente, il pensiero di cominciare a ripulire da vetri rotti, pezzi di legno e polvere ben lontano dal sfiorare la sua mente geniale.
 
“Oh …” Sussurrò delusa Kyouka-chan, i suoi sogni di complicate crepes dai costi assurdi tragicamente sfumati.
 
“È possibile che voi della Port Mafia non sappiate bussare?” Borbottò Yosano-san, sistemandosi meglio sulla sedia e socchiudendo gli occhi, la noia accostata al leggero fastidio di non aver vinto la scommessa nemmeno quella volta.
 
“È un saluto di città?” Domandò Kenji-kun sorridente. Troppo sorridente. “Voglio farlo anch’io!”
 
Tanizaki-kun si limitò a sospirare, guardando l’ufficio con la triste consapevolezza che sarebbe toccato a lui rimettere a posto tutto.
 
Kunikida-san, sempre molto efficiente, prese il cellulare e schiacciò il tasto di chiamata rapida. “Informate il Capo che verrà inoltrato un nuovo preventivo del falegname alla Port Mafia.” Portò il telefono all’orecchio e si sistemò gli occhiali sul naso con un movimento secco e deciso. “Li avevamo avvertiti, stavolta non baderemo a spese.” 
 
Akutagawa era rimasto imperturbabile a tutti quei commenti e guardava Atsushi come se potesse dargli fuoco con la sola forza di volontà.
 
Sinceramente, Atsushi era anche felice di avere l’attenzione di Akutagawa su di lui. Avrebbe preferito uno sguardo meno omicida, ad essere completamente onesti, ma a conti fatti si sarebbe accontentato di tutto quello che poteva offrirgli.
 
Capì ben presto che i suoi colleghi erano troppo occupati ad ignorare l’ospite in questione – stranamente non vestito da pipistrello come suo solito, optando curiosamente per uno stile molto casual e accessibile che non aiutava i neuroni di Atsushi. “Ehm …” Balbettò, battendo le palpebre verso la figura incazzata di Akutagawa, cercando di capire come chiedere cosa diavolo ci facesse lì e perché avesse sentito il bisogno di distruggere beni privati invece di alzare la mano e bussare come ogni persona normale senza inasprirlo ulteriormente. “… posso aiutarti?”
 
“Andiamo allo stadio.”
 
Secco, asciutto, veloce.
 
Akutagawa non lasciava spazio a dubbi: il suo tono prometteva profonda sofferenza se Atsushi non si fosse mosso in quel momento preciso, estremamente chiaro nelle sue intenzioni.
 
Atsushi però, a dispetto di tutto e contro ogni logica, sentì la faccia riempirsi di calore non preventivato.
 
Occhieggiò di nuovo i vestiti di Akutagawa – cardigan morbido e pantaloni stretti. Una maglietta semplice, a collo largo, verde.
 
Non sapeva in realtà perché il colore fosse così importante.
 
Forse perché non aveva mai visto Akutagawa con palette diverse dall’unico tono di nero che gli piaceva indossare, quello oscuro e misterioso che sicuramente pensava lo rendesse malignamente figo e che invece lo sbatteva come se fosse a una goccia di sangue di distanza dall’anemia cronica e svenimenti improvvisi.
 
Forse perché aveva finalmente capito che un appuntamento avrebbe potuto essere differente da una missione obbligata congiunta decisa dai piani alti o da uno dei cervellotici tentativi di Dazai-san di forzarli nel suo intimo progetto di shin-Soukoku – e Atsushi non era molto sicuro di volerlo: il Soukoku originale era una foriera di mal di testa, orrore, pianti isterici e terrore puro per ogni persona avesse la sfortuna di passare loro accanto. Non si sentiva all’altezza delle aspettative.
 
Forse perché, più semplicemente, puntava a fargli esplodere i neuroni.
 
Ma era importante, ne era sicuro.
 
Inoltre, ordini del genere erano il modo sottile con cui Akutagawa richiedeva la sua compagnia e Atsushi non poteva credere che potesse essere così audace da affrontare l’intera Agenzia per invitarlo ad un appuntamento. Allo stadio, poi, per quella partita di baseball pubblicizzata su ogni canale in televisione – gli era capitato di vederne spezzoni al di fuori delle vetrine di negozi di elettronica. Atsushi non possedeva nemmeno una camera tutta per sé, figurarsi un televisore.
 
Akutagawa aveva la pessima abitudine di attivare Rashoumon ogni qualvolta Atsushi provava a stringere il mignolo con il suo sotto gli strati tenebrosi del suo trench svolazzante da Dracula quando erano loro due soli, quella situazione era qualcosa per cui nessuno sarebbe stato pronto.
 
“Perché?!?” Si ritrovò quindi a chiedere, voce strozzata che fece aggrottare le – inesistenti – sopracciglia di Akutagawa. “Voglio dire … ehm … perché ora?”
 
“Dazai-san ha bisogno di noi.”
 
Ah.
 
Dazai-san.
 
Beh, pensò con una punta di delusione, quello spiegava tutto.
 
Atsushi non capì se il sospiro che seguì, a seguito del repentino raffreddamento della sua faccia, fosse di sollievo per non dover indagare sull’alterazione di personalità di Akutagawa o lo sconforto per … tutto, in realtà, ma ormai conosceva il suo mentore e difficilmente si trattava di una questione di vita o di morte.
 
O, almeno, poteva anche essere, ma non come credeva Akutagawa.
 
Infatti, Kunikida-san terminò la chiamata con il falegname e cominciò a fumare di rabbia, iniziandone una completamente nuova sicuramente con Dazai-san e sicuramente destinata a morire con mille squilli ignorati.
 
“Sei stato ingannato.” Si intromise anche Yosano-san, guardando Akutagawa sorniona e sogghignandogli in faccia con molto poco tatto. Kyouka-chan annuì decisa, confermando. Ranpo-san ridacchiò.
 
Akutagawa non gradì. Rashoumon si agitò leggermente e non abbandonò la sua posizione di attacco quando sibilò “Dazai-san non lo farebbe mai.”
 
Oh dolce angelo.
 
Atsushi, quando aveva incontrato per la prima volta Akutagawa, non avrebbe mai creduto di poter provare per lui una tenerezza così cruda da sfociare nella pena, ma Dazai-san poteva fregiarsi del merito di compiere miracoli ogni giorno. Mai buoni.
 
“Ti ha mentito.” Intervenne Atsushi con tono già stanco.
 
Akutagawa riportò l’attenzione su di lui e il suo sguardo si fece più pizzicato. “Dazai-san non mente.”
 
“Sì, lo fa.” Borbottò Atsushi, alzandosi dalla sedia e raggiungendolo con passo lento. “Sei solo troppo stupido per credergli ogni volta.”
 
“È urgente.” Sibilò Akutagawa con un colpo di tosse più stizzito che malato. “Ha bisogno di noi.” Il noi era tanto simile a un me che Atsushi si strofinò forte la fronte per non cedere alla voglia di distruggere quelle innocenti speranze, superando il varco a pezzi di quella che poco prima era la porta della loro agenzia e sperando che Akutagawa lo seguisse senza distruggere altre cose inanimate.
 
Non fecero in tempo nemmeno a raggiungere le scale che Ranpo-san si premurò di urlare loro, con molto divertimento non richiesto “Portatemi qualche snack particolare e crepes anche per Kyoka-chan! E salutatemi Mr. Fancy Hat!”
 
 
*
 
 
Il problema principale, pensò Atsushi rassegnato, non era tanto l’essere stato praticamente prelevato di peso e obbligato a partecipare a … qualsiasi cosa avesse deciso di architettare Dazai-san quel giorno.
 
Succedeva anche troppo spesso, in verità, l’unica sorprendente differenza era che almeno questa volta era consapevole di essere al centro di un raggiro in piena regola.
 
No, la cosa strana era … tutto il resto.
 
Ad esempio, quando uscirono dall’edificio dell’Agenzia, Atsushi cominciò a procedere in direzione della metropolitana. Lo stadio non era proprio dietro l’angolo e se avessero camminato sarebbero arrivati sicuramente a partita terminata – non potevano esplicare le loro abilità tra civili, in pieno giorno, senza alcun motivo se non quello di essere veloci. O, meglio, Atsushi aveva dei limiti civici in merito, sperava che per Akutagawa fosse lo stesso ma non ne era così sicuro: la foga con cui fece esplodere la porta raccontava di un pipistrello ragno con un’aura rossastra e lunghe zampe nastrate terrificanti che saltava sulle coperture dei palazzi col solo scopo di distruggere cose.
 
Non riuscì a scoprirlo in realtà, perché lo vide osservarlo da sotto le sue sopracciglia inesistenti e borbottare “Non puoi venire così.” con una sfumatura schifata nella voce.
 
“Così come?” Si ritrovò infatti a chiedere Atsushi, battendo le palpebre confuso.
 
Akutagawa corrucciò la fronte. “Vestito in quel modo deprimente.” Atsushi occhieggiò i suoi pantaloni e le sue scarpe, non riuscendo a capire. “Cosa c’è che non va?”
 
“Dazai-san ha ordinato di indossare qualcosa di adeguato.” Sibilò secco, cominciando a camminare verso tutt’altra direzione dalla metro senza aspettarlo. “Confonderci tra le persone è la regola di base.”
 
Atsushi non sapeva perché non andasse bene il suo modo di vestire, non era certo lui che aveva l’abitudine di andare in giro con cappotti svolazzanti e personalità omicida, ma per il bene di una tregua fortemente voluta decise di sospirare e seguire Akutagawa, anche solo per capire cosa avesse intenzione di fare.
 
(Gli comprò dei vestiti. Tanti vestiti.
 
Atsushi non aveva mai posseduto così tante varietà di pantaloni e di magliette, per non parlare delle scarpe.
 
L’iniziale terrore nel vedere Akutagawa tirare fuori la sua carta di credito, già prevedendo di vendere un rene o due o ventotto per poterlo ripagare – doveva esserci un prezzo speciale per rene di tigre no? Doveva! –, era stato soffocato dall’assoluta nonchalance con cui veniva strisciata, come se non stesse spendendo fior fiori di yen per qualcosa di non richiesto e stesse invece soffiando bolle di sapone.
 
Atsushi lo pregò di smettere.
 
Akutagawa aggrottò lo sguardo e commentò “Le tue finanze sono più pietose della tua vita.” e continuò ad accumulare capi di abbigliamento senza nemmeno guardare il cartellino del prezzo.
 
Atsushi capì che quella era una delle poche guerre che avrebbe accettato felicemente di perdere.)
 
(Dovettero passare anche nel dormitorio, perché Atsushi non sarebbe potuto andare in giro con tutti quei pacchi pieni di vestiti.
 
Quando aprì l’armadio per cercare di capire come riempirlo e riuscire a dormire allo stesso tempo, Akutagawa domandò “Perché lì c’è un futon?”
 
“È il mio letto.” Rispose distrattamente Atsushi, occhieggiando eventuali angoli in cui stipare le sue nuove cose.
 
“Perché qui ce n’è un altro?”
 
“È il letto di Kyouka-chan.” L’improvvisa ondata maligna gli colpì la schiena e Atsushi batté le palpebre, voltandosi verso Akutagawa con gesti scattanti. “Che succede?” Domandò, attivando i sensi di tigre. “Ci stanno attaccando?”
 
“…”
 
Akutagawa se ne andò senza dire altro.)
 
Un’altra cosa che avrebbe potuto essere strana, ma che dopo un serio esame di coscienza Atsushi avrebbe dovuto vederla arrivare da chilometri, era che la missione di Dazai-san non era una missione nemmeno nelle più rosee fantasie da cercatore di approvazione di Akutagawa.
 
Atsushi lo capì quando arrivarono – dopo milioni di giri tra gli spalti per capire dove fosse il loro mentore/guida spirituale fasulla, il naso completamente andato con tutti quegli odori – e si ritrovarono davanti un Chuuya-san decisamente scocciato, il classico cappello che lo contraddistingueva assente a favore del cappuccio della felpa. Atsushi si chiese quasi che problema avesse la sua testa per avere il bisogno di coprirla in continuazione.
 
“Ah?” Salutò il Dirigente della Port Mafia guardandoli arrabbiato, braccia incrociate e posa scomposta e spazientita. “Che ci fate anche voi qua?”
 
Anche.
 
Troppi pensieri nacquero da quella semplice parola e Atsushi non si sentiva affatto pronto ad affrontarli, in tutta sincerità. Vide comunque Akutagawa stringere le labbra in una linea sottile e biancastra, forse capendo finalmente che Dazai-san si era preso gioco di lui una volta di troppo ma accettando comunque il suo destino in una sorta di stoica espiazione senza senso. Dazai-san faceva proprio magie.
 
Dazai-san, ovviamente, era accanto a Chuuya-san. L’unico vestito al solito modo di bende e trench leggermente spiegazzato. “Finalmente siete arrivati.” Bofonchiò mellifluo e Akutagawa raddrizzò la schiena, non capendo che il rimprovero non aveva senso di esistere a prescindere.
 
Dazai-san, sfoggiando inclinazioni suicide molto luminose per quella nuvolosa giornata di primavera, accarezzò il capo coperto di Chuuya-san con un pat-pat irritante per tutti e spiegò “Il Chibi è troppo basso per vedere la partita, ha bisogno di salire sulle spalle di qualcuno.”
 
Atsushi non dovette nemmeno aspettare il tempo di un respiro per vedere Chuuya-san prendere Dazai-san per il bavero della camicia e minacciarlo con un pugno, sbraitando “POSSO ANCORA CRESCERE BASTARDO!” cosa che, biologicamente parlando, era quanto di più impossibile potesse succedere a un corpo ad un certo punto.
 
“Oh! Sento una vocina minuscola ma non vedo alcun cappello orribile!” Dazai-san aveva quell’espressione angelica e stupita di chi chiedeva di essere picchiato e Chuuya-san si alzò in piedi di scatto, ancora trattenendo Dazai-san per il collo e sicuramente esaudendo questo suo forte desiderio se Atsushi non si fosse intromesso.
 
“Ehm …” Balbettò, facendosi guardare male da entrambi i membri della Port Mafia. Rimase un attimo interdetto, perché farsi uccidere con lo sguardo da Akutagawa aveva da tempo finito di essere terrificante ed era diventato carino, ma Chuuya-san aveva questa irritazione per l’essere stato interrotto che gli fece quasi bagnare i pantaloni. “… dove sono i nostri posti?”
 
Chuuya-san fece un verso di scherno. “Devi guadagnarteli, uomo tigre. Akutagawa ti sta avanti di mille passi.” L’evidente orgoglio nella sua voce portò Atsushi a guardarsi attorno, scoprendo Akutagawa già seduto accanto una signora attaccata al cellulare appena prima dei due “mentori”.
 
Atsushi non riusciva a capire quando si fosse mosso, ma Akutagawa alternava occhiate seccate verso di lui a quelle adoranti nella direzione di Dazai-san, chiaramente aspettando di essere elogiato.
 
“Fu fu fu, Atsushi-kun ha chiaramente capito che la cosa migliore da fare era rimanere in piedi.” Dazai-san si vantò davanti uno sbuffante Chuuya-san cantilenando nel suo solito modo, toccando il gomito di Chuuya-san con il suo e facendo sprofondare l’umore di Akutagawa nei meandri del centro della terra. “Solo così potrebbe avere una buona vista di tutto lo stadio.”
 
“… Ma questa missione è finta …”
 
“Per questo rimane lì impalato?” Attaccò Chuuya-san con una mira molto precisa. “Capisco che in quell’Agenzia andiate avanti con il cervello di una persona sola, ma sta bloccando la fila.”
 
Effettivamente c’erano persone che dovevano passare. Atsushi saltò e si inchinò profondamente di scuse, facendo ridere malignamente Chuuya-san.
 
“È chiaramente un inganno.” Dazai-san sospirò. “Qualcuno con un evidenti problemi di calvizie non potrebbe mai capire qualcosa di così sottile.”
 
“I MIEI CAPELLI SONO PERFETTI!”
 
“Dazai-san,” Akutagawa parlò per la prima volta da quando erano arrivati. C’era una sottile tonalità adorante e Atsushi poté giurare che la sua voce aveva tremato di emozione all’ultima sillaba. “qual è il piano?”
 
Ah.
 
Era un’ottima domanda, in effetti, anche solo per capire cosa ci facessero lì.
 
Chuuya-san assunse un’espressione seria, piantando il gomito nel fianco di Dazai-san – e facendolo piangere per il dolore – e sistemandosi di nuovo sulla sedia, il sedere a scivolare in basso e una mano a sistemarsi il cappuccio sulla testa, cercando di non far sfuggire alcun capello rosso. “Osserviamo.” Mormorò, incrociando le braccia al petto. Dazai-san toccò il piede con il suo e cominciarono una battaglia a terra che poteva tranquillamente essere scambiata per un piedino aggressivo. “E aspettiamo.”
 
Atsushi annuì, occhieggiando la signora con il cellulare accanto Akutagawa alzarsi per andarsene e impossessandosi del posto con scatto felino. Akutagawa lo guardò schifato.
 
Ovviamente il suo sedere era appena riuscito a toccare la sedia quando Dazai-san parlò “Oh Atsushi-kun, vai a comprare qualcosa da mangiare per tutti.” Il suo sorriso era pieno di calore e Atsushi fu pervaso da affetto e gratitudine, pieno di orgoglio che sorse per il proprio mentore.
 
Era in quei momenti che riusciva a comprendere il bisogno di Akutagawa di farsi notare, di essere accettati. Era bellissimo sapere di avere la sua attenzione. “Consideralo un regalo da parte mia.”
 
 
*
 
 
Dazai-san non offrì nulla, in realtà.
 
Il portafogli era di Chuuya-san che, quando lo vide tra le mani di Dazai-san, si limitò ad arricciare il naso e commentare “Vagabondo di merda.” con tono disinteressato, come se farsi borseggiare da Dazai-san fosse all’ordine del giorno.
 
Atsushi non voleva scoprirlo.
 
Atsushi, in realtà, non voleva sapere nulla dello strano rapporto tra il suo mentore e il dirigente della Port Mafia, riconoscendo che anche solo comprendere una loro dinamica lo avrebbe portato dritto filato a piangere da qualche psicologo – che non poteva permettersi di pagare.
 
Sospirò, sentendo accanto a sé l’aura cupa di Akutagawa che non riusciva ad essere poi così minacciosa con quella maglietta verde pallido che gli scopriva le clavicole in modo illegale. “Potevi rimanere giù.” Borbottò Atsushi, guardando un signore in giacca e cravatta impallidire davanti l’aria truce di Akutagawa. “Stai spaventando le persone.”
 
Il signore girò su sé stesso e corse via, troppo velocemente per qualcuno con delle gambe corte come quelle. Akutagawa corrucciò la fronte e non rispose.
 
Atsushi non capiva perché fosse venuto con lui se non voleva farlo, ma poi pensò a chi avessero lasciato a litigare e sì, effettivamente era la decisione più sensata.
 
Il venditore di hot dog sudava, notò distrattamente. Beh, uscivano fumi bollenti da quel cucinotto quindi era anche naturale, ma non capì perfettamente perché strabuzzò gli occhi quando li vide. “Prova a sorridere.” Sussurrò Atsushi ad Akutagawa, stirando le labbra in qualcosa che sperò non fosse una smorfia.
 
“Jinko.” Venne fuori come una parolaccia e Atsushi era sicurissimo di non meritarselo.
 
Decise di ignorarlo. “Vuoi senape? O ketchup? Oooh, chissà com’è con la salsa di soia!” Batté le palpebre, ignorando un uomo sulla quarantina che si bloccò appena li scorse e cominciò a parlare al telefono con urgenza. “Come lo preferisce Chuuya-san? Dazai-san ruberà sicuramente il suo per farlo arrabbiare, devo prendergliene due?”
 
“Jinko, dobbiamo tornare indietro.”
 
“Ma ancora non ho le mie patatine!” Non sarebbe più capitata una fortuna come quella! Atsushi avrebbe assolutamente preferito del chazuke, ma avrebbe accettato felicemente qualunque cibo gli venisse regalato. “Oh guarda, i gelati!”
 
Jinko.” Akutagawa aggrottò sue sopracciglia inesistenti e lo afferrò per un braccio così forte che avrebbe potuto staccarglielo, portandolo via dalla fila e spezzandogli il cuore come nemmeno un tradimento avrebbe potuto fare. “Non farmi rimpiangere la decisione di non ucciderti in questo momento.”
 
“Ma c’erano i dango!” Atsushi pianse, venendo trascinato con il capo girato verso il fantastico mondo del cibo che stava abbandonando. “Volevo vedere se vendevano i pop-corn.”
 
“La tua vita è insulsa.” Akutagawa non riusciva a capire che più lo ripeteva più l’effetto diminuiva. Ormai Atsushi l’aveva sentito così tante volte che continuò a piagnucolare la sua perdita senza effettivamente ascoltarlo, finché non si ritrovò seduto vicino ad un Chuuya-san stranamente silenzioso.
 
“Dove sono i miei snack?” Si lamentò Dazai-san, una postura rilassata e un’espressione troppo tranquilla per non far suonare campanelli di allarme nella mente di Atsushi.
 
“I miei snack, vorresti dire.” Chuuya-san inspirò lentamente e rilassò le spalle. Un sogghigno nacque sul suo viso e non preannunciava nulla di buono. “Se quegli inutili scappano mentre tu mangi le tue porcherie e mi rallenti, ho ordini di poter agire come ritengo adeguato.”
 
Akutagawa accanto a lui divenne un fascio di concentrazione.
 
Atsushi finalmente comprese il perché fossero tornati in postazione, cominciando a guardarsi attorno ed attivando i suoi sensi, cercando di captare qualsiasi anomalia, maledicendosi per non essersi fidato del suo mentore e non aver capito si trattasse di una missione vera.
 
Dazai-san sorrise tagliente, un bordo leggermente affettuoso quando si inclinò per poggiarsi sulla spalla di Chuuya-san e spingere per infastidirlo. “E dimmi, come vorresti agire?”
 
Chuuya-san lo colpì con una spallata di rimando. “Ti lancerei fuori dallo stadio, per prima cosa.”
 
“Uff, quei cappelli hanno ristretto il poco cervello che avevi.” Atsushi vide Dazai-san agitare la mano, ma Chuuya-san abbassò le palpebre e alzò il mento, come per prepararsi ad un attacco. “Così facendo mi farai solo molto male e io odio il dolore.”
 
“Dopodiché ti raggiungerò e ti picchierò di più.”
 
“Solo perché sono mooolto più alto di te e non riesci a guardare la partita non devi dire cose così cattive.”
 
“Posso vedere perfettamente questa partita schifosa, Dazai di merda!”
 
“Guarda, fai così pena che ti hanno messo anche sul maxischermo.”
 
A quello, Atsushi batté le palpebre ed alzò gli occhi.
 
Enorme su uno schermo che prendeva almeno un terzo di stadio, un Chuuya-san pixellato sbuffava con fare scocciato, la testa coperta dal cappuccio della felpa e i capelli rossi che non riuscivano ad essere nascosti in alcun modo. Accanto a lui, ben visibile a tutti con i suoi occhi spalancati e un vago rossore che gli colorava le guance, Atsushi sembrava un bambino terrorizzato.
 
A ragione, in effetti.
 
Erano incorniciati da un cuore pulsante francamente osceno e la scritta a cartone animato KISS CAM non poteva essere in alcun modo fraintesa nemmeno se avesse parlato in un’altra lingua.
 
La folla esplose, incitando al bacio.
 
Atsushi ebbe seriamente paura.
 
“Tsk.” Chuuya-san indurì solo il suo sguardo, scivolando sulla sedia e sogghignando di sfida, sordo a qualsiasi tifo intorno a loro. “Credono di potermi depistare con queste stronzate.”
 
Con Atsushi ebbero effettivamente successo.
 
Non gli piaceva essere al centro dell’attenzione in quel modo. La gente urlava e urlava e cominciava cori per spingerli ad accontentare la Kiss Cam e Atsushi non era abbastanza forte per un’esperienza del genere: non era felice che la sua vita fosse appesa ad un filo sottile per qualcosa che non era una sua decisione.
 
Cominciò ad agitare le mani e urlare “No, è tutto sbagliato!” con una foga terrorizzata che fece roteare gli occhi di Chuuya-san di pena e fargli borbottare “Pappamolle.” senza nemmeno pensare di abbassare la voce.
 
Ma Chuuya-san non capiva.
 
Non voleva capire, aveva gli occhi tappati da troppo orgoglio per capire!
 
Sempre sullo schermo, Dazai-san era visibile per metà e le palpebre abbassate e il sorriso spento di cupa vendetta avrebbero infestato gli incubi di Atsushi per i prossimi due anni.
 
“Non posso baciarlo!” La voce di Atsushi uscì fuori stridula e Chuuya-san si indispettì. “Che significa?” Gracchiò, profondamente offeso. “La gente fa la fila per baciarmi!”
 
Atsushi quasi pianse, perché ovviamente Chuuya-san si sarebbe concentrato su qualcosa che esisteva solo nella sua testa.
 
“Probabilmente nemmeno riescono a vederti.” Mormorò piacevolmente Dazai-san, un tono di voce che prometteva di prendere nota di nome e cognome di chiunque avesse avuto il coraggio anche solo di pensare di avvicinarsi a Chuuya-san e fargli fare una fine orribile.
 
Chuuya-san si girò verso di lui quasi esplodendo. “SONO MOLTO RICERCATO!”
 
“Certo che sì, non possono trovarti se non sali su una sedia.” Ma la risposta suicida di Dazai-san, benché liscia e molto sonora, fu oscurata alle sue orecchie da un “Quindi baceresti Chuuya-san, se potessi.” irato che fece girare la testa di Atsushi così velocemente che il collo schioccò.
 
Akutagawa non guardava lui direttamente, ma i suoi occhi erano fissi sul maxischermo con un’intensità che Atsushi non si sarebbe stupito se avesse preso fuoco spontaneamente. “Eh?!?”
 
“Voglio ucciderti.” Sibilò solo prima di prendergli il mento alla cieca, inclinarlo e poggiare sofficemente le labbra sulla sua guancia, il tutto senza staccare gli occhi dalla Kiss Cam.
 
Atsushi era pietrificato. E rosso.
 
Poteva quasi sentire la sua testa fumare da quanto era bollente, ma la cosa peggiore era potersi vedere.
 
Enorme, su quello schermo che prendeva mezza città, in mezzo a fischi e applausi che gli fecero solo girare la testa dall’imbarazzo, come se quelle labbra fredde e morbide non stessero facendo qualcosa di orribile alla sua mente e Dio santissimo, aveva bisogno di più e di meno in egual maniera!
 
Certo, non erano nulla in confronto a Dazai-san e Chuuya-san.
 
Atsushi si era perso un pezzo molto grosso di sviluppo, ma in qualche modo Dazai-san era entrato quasi del tutto nel raggio di azione di Chuuya-san e nell’obiettivo della telecamera, baciando Chuuya-san come se intorno a loro non ci fosse nessuno e coprendolo con la sua schiena per non farlo vedere ad anima viva.
 
Nel vero senso della parola e ringraziando la naturale gelosia del Soukoku originale, perché Atsushi era sicuro potesse accadere qualcosa di indecente in qualsiasi momento.
 
Chuuya-san stringeva il trench di Dazai-san tra i pugni, non capiva perfettamente se per spingerlo via o tirarselo di più addosso, ma il cappuccio della sua felpa aveva camminato fin sulla nuca rivelando i capelli stretti nella coda e la mano di Dazai-san vagava sul suo addome, salendo su al di sotto della maglia e no, davvero, dovevano fermarsi!
 
Fu solo con la sua vista di tigre che riuscì a vedere delle persone stranamente familiari e il venditore di hot dog correre verso le uscite di sicurezza, dividendosi in modo molto sospetto.
 
“Stanno scappando!” Urlò, non fidandosi di toccare Dazai-san o Chuuya-san per avvertirli ma spingendo via Akutagawa, che entrò immediatamente nella sua modalità omicida da combattimento e analizzando la situazione in un millisecondo. “Noi copriamo le uscite sud, voi …” Dazai-san gli fece il gesto di andarsene, senza volersi staccare da Chuuya-san e Atsushi eseguì di fretta, Akutagawa già con Rashoumon attivato.
 
Tra Chuuya-san che brontolò con voce affaticata “Fai le tue cose da stronzo e non crepare, troverò il traditore prima di te.”, Dazai-san che si limitò a ridacchiare e rispondere “Scommetto che riesco a sparargli prima io.” e Akutagawa che lo salutò con un “Ti infilzerò se mi sarai tra i piedi.” prima di farsi portare via da Rashoumon e riempire il cuore di Atsushi di miele – perché ovviamente era un modo molto personale di pregarlo che non si facesse male -, Atsushi saltò fin fuori dallo stadio, lieto di allontanarsi il più possibile.
 
 
*
 
 
Un forte boato e fumo. Tanto fumo.
 
Non capiva se dovuto a una bomba o al crollo di un edificio, in realtà, ma Elise alzò gli occhi per guardare fuori dalle enormi finestre dell’ufficio di Rintarou. Il pennarello rosso indelebile tra le sue mani subì una battuta d’arresto e rimase fermo sul pavimento in marmo lucido che aveva utilizzato come sua tela personale aspettando che altro potesse aiutarla a capire.
 
“Elise-chan, vuoi provare questo vestito? Guarda, ha anche i fiori!”
 
Elise nemmeno guardò verso Rintarou, troppo presa a battere le palpebre verso la catastrofe che stava accadendo verso la periferia urbana della città.
 
“O forse questo? Ci sono le bretelle, ti piacciono le bretelle!”
 
“Fanno schifo.” Si limitò a rispondere con tono secco, abbassando gli occhi e ricominciando a colorare.
 
Sul pavimento, in bella mostra tra le venature naturali e una lucentezza molto costosa, lei e uno stilizzato Chuuya Nakahara mangiavano un dolce dall’aria molto golosa, mentre Dazai moriva avvelenato lì vicino. “Sembra che Chuuya-kun abbia terminato il suo appuntamento.” Mormorò pensosa, continuando a colorare il sangue che usciva copioso dalla bocca di Dazai, aumentandone la quantità per il fastidio.
 
Guardò Rintarou raddrizzarsi, scrutando la nuvola di fumo all’orizzonte e sorridendo largo e maligno. “La missione è stata un successo, vedo.” Gongolò soddisfatto.
 
“Già.” Elise bloccò la punta del colore sul disegno di Dazai. Un attimo di immobilità statica prima di pasticciare completamente la sua faccia e lanciare il pennarello via, alzandosi di scatto. “Spero che Chuuya-kun mi porti la torta al cioccolato di quella pasticceria vicino lo stadio.”
 
“Non penso sia rimasta intatta, mi spiace.”
 
Ci fu un secondo di furia cieca che le invase la mente. Rintarou aveva quell’espressione dispiaciuta che puntava sempre ad accontentarla, quindi si calmò, pensando a come ottenere nuovi favori.
 
“Se vuoi ordino qualcosa nella tua pasticceria preferita.” Chiocciò Rintarou, alzando il vestito in aria per farglielo vedere meglio. “Prima però devi provare questo!”
 
“Non c’è bisogno.” Elise si chinò, afferrando un pennarello rosa e cominciando un nuovo disegno sul pavimento, tanti cuori e tanti ciuffi di panna rosata. “Vorrà solo dire che Chuuya-kun avrà un appuntamento anche con me. E il maledetto Dazai morirà di gelosia.”
 
 
 
_______________
 
Salve a tutti!
 
Questa fic è nata da una fan art spammata efficientemente da Loras Weasley, che è una sorta di Snasa per i prompt più vari che riesce a far nascere da letteralmente qualsiasi cosa.
 
Luv u <3
 
Grazie mille per aver letto, spero vi siate divertiti!!!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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