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Autore: hypnosflight    12/09/2009    2 recensioni
Sarebbe stato tutto nettamente meno complicato, se solo avesse posseduto la capacità di addormentarsi semplicemente abbassando le palpebre ancore ricoperte da una malinconica traccia di trucco, ma dopo numerose notti insonni sembrava evidente che quella fosse una capacità che non possedeva, almeno non nel momento in cui una nova ma ormai vecchia tipologia di tranquillanti smetteva di esercitare il proprio effetto, lasciandolo progressivamente a naufragare verso l'inquietudine e il senso di abbandono che stava percependo e che percepiva in quegli attimi esistenti a ricordargli che lui e la rovina erano sempre stati nutriti dallo stesso cordone ombelicale, nello stesso utero, come siamesi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Questo racconto non ha alcuno scopo di lucro e i personaggi in esso coinvolti non sono di mia proprietà, né intendo in alcun modo rappresentarli in maniera veritiera o tanto meno offensiva.

 

 

~ I'll Be Yours

 

 

 

Mancava la luna, mancavano le stelle, riusciva a vedere che non c'era niente in quel pezzo di cielo scuro, opacizzato da una vaporosa e densa coltre di nubi che, nel suo fluttuare, si stava divertendo a far scomparire le luci della notte, esercitando un crudele e perverso gioco di prestigio, beffando gli esseri umani, guardandoli dall'alto senza aspettarsi un applauso. 

Ancora una volta il calare delle tenebre non aveva portato con sé nient'altro se non l'oscurità e la solitudine.

Il buio era rotto dal chiarore nebuloso provocato dai lampioni della strada sottostante il quale, dopo aver attraversato la trasparenza dei vetri, andava a solcare la superficie dello scuro armadio come una statica cicatrice senza spessore; dal posacenre pieno si alzavano intermittenti sbuffi di fumo grigio, preannunciandosi nella loro sfumata debolezza come i restanti di una lunga serie che li avevano preceduti dallo spegnimento dell'ultima sigaretta, inebriando l'aria di un'altra dose di quel leggero odore che aveva ormai impregnato tutta la stanza; intanto, in sostituzione ad un adeguato sottofondo musicale, il silenzio riempiva ogni angolo con suoni che il suo orecchio si era sforzato di captare, senza però riuscirci.

Ciò che in modo particolare lo spaventava non era la mancanza di lucidità, almeno non quanto il fatto che, una volta svanita, portava inevitabilmente con sé un momento di lucidità, durante il quale prendeva il sopravvento la consapevolezza che la mancanza di lucidità c'era stata e lì, disteso su di un materasso dalla consistenza così anonima e così poco confortante, non poteva impedirsi di odiare quegli istanti, mentre odiava sé stesso.

Non che avesse bevuto così tanti bicchieri di troppo, solo due o tre, quelli necessari a renderlo simpatico ed attraente, immemore per qualche ora di ciò che era, per fargli dimenticare tutte quelle assillanti domande che adesso come sempre erano ritornate vive nella sua mente, una ad una, moltiplicandosi e diventando ancora più soffocanti di prima. Pensava troppo e probabilmente, se non fosse stato in grado di farlo, non avrebbe sentito il bisogno di estraniarsi dalla sua mente in maniera così drastica, quando essa diventava troppo affollata di pensieri e sensazioni.

Sarebbe stato tutto nettamente meno complicato, se solo avesse posseduto la capacità di addormentarsi semplicemente abbassando le palpebre ancore ricoperte da una malinconica traccia di trucco, ma dopo numerose notti insonni sembrava evidente che quella fosse una capacità che non possedeva, almeno non nel momento in cui una nova ma ormai vecchia tipologia di tranquillanti smetteva di esercitare il proprio effetto, lasciandolo progressivamente a naufragare verso l'inquietudine e il senso di abbandono che stava percependo e che percepiva in quegli attimi esistenti a ricordargli che lui e la rovina erano sempre stati nutriti dallo stesso cordone ombelicale, nello stesso utero, come siamesi.

Quella sera non si era curato nemmeno di procurarsi una qualsiasi forma di vita con la quale riempire il vuoto che gli stava accanto, con lo scopo sfocato di illudersi giusto per qualche ora, abbandonato alla finta convinzione di avere davvero qualcuno al proprio fianco, per stringersi con sensualità tra braccia estranee, per dare la propria persona elemosinando un po' di amore, o semplicemente per annientare la noia e divertirsi senza scrupoli, crogiolandosi nella messa in scena di una felicità sbiadita e squallida che, seppur non autentica, si sforzava di credere tale per sopravvivere, ferendo e ferendosi. 

A quel pensiero alzò il braccio e, nel preciso momento in cui la sua mano ricadde sull'assenza di materia che regnava nella porzione di materasso adiacente, venne invaso da pura ansia, che da un punto non ben definito del suo petto iniziò un crudele percorso di espansione asfissiando mano a mano ogni parte del corpo che si trovava sul suo cammino, come accade con una nota uscita sbagliata dall'amplificatore, che va propagandosi nell'atmosfera sempre per più tempo del dovuto... 

Solo, maledettamente solo, si trovava solo.

Improvvisamente gli sembrò di respirare catrame liquido.

Con un improvviso scatto si alzo, l'istinto gli diceva dal profondo che se non si fosse mosso avrebbe rischiato di morire soffocato tra quelle lenzuola perciò, al termine di un lungo attimo di staticità, si incammino verso la porta privo di altre vie d'uscita, senza impedirsi di ascoltare il terrore riecheggiare ancora, facendogli tremare di un fremito impercettibile le mani.  

 

 

Appoggiò la pianta dei piedi sulla moquette del corridoio e, quando iniziò a sprofondarvi, venne aggredito dall'invadente morbidezza del tessuto sintetico, che stava lì a fungere da isolante tra le sue capacità di percezione e la consistenza del sottostante pavimento, regalando l'illusione dell'assenza di un duro e reale suolo al di sotto di essa.

Passo dopo passo iniziò a farsi vivo in lui il pensiero che, in un certo senso, la moquette gli assomigliasse più di quanto fosse disposto ad ammettere, con le sue fattezze ingannatrici, la presenza confortante e comoda, il suo modo di offrirsi con maestria tale da assuefarti a irreali convinzioni per camuffare e celare lo stato delle cose.

Quando fu finalmente giunto davanti alla giusta porta tra tutte quelle del corridoio, si guardò attorno e penetrò inutilmente con lo sguardo nella semioscurità come se quel gesto lo rassicurasse, perchè far sapere in giro che aveva passato una nottata a divertirsi aveva un sapore totalmente differente dall'ammettere la propria incondizionata ricerca d'affetto.

Osservò il legno lucido che gli stava innanzi: non contemplò nemmeno per un attimo la possibilità di bussare, non lo aveva mai fatto, non aveva mai chiesto il permesso per paura di ricevere un rifiuto, al contrario si era sempre imposto senza possibilità di replica ed anche questa volta appoggio la mano sulla maniglia, esercitò la dovuta pressione fino a giungere al punto che separa il vuoto dalla serratura, per poi portarla del tutto giù servendosi di un unico e secco movimento, uno scatto indolore, e rendersi conto che non era stata chiusa.

Detestava trovarsi davanti ad una barriera sapendo di non poterla oltrepassare, da quando sua madre aveva iniziato a chiudere la stanza dei libri non consentendogli l'accesso ai quei volumi da lei considerati inadatti per un bambino di undici anni, e proprio per questo aveva severamente vietato a lui di dare sfogo alla sua meticolosa abitudine di chiudere ogni porta, ricordandogli che avrebbe sempre potuto trovare il modo di possederne le chiavi.

Così entrò, spostò previdentemente la presa sulla maniglia interna ma, mentre stava cautamente trascinando la porta verso di sé, il vetro della finestra sbatté contro il muro e le tende si alzarono a causa di un'improvvisa corrente d'aria che si contrappose alla forza che stava esercitando, facendo chiudere la porta alle sue spalle con un sonoro boato, al quale sobbalzarono entrambi, lui e la figura avvolta tra le coperte del letto poco distante.

-Vaffanculo!- imprecò istintivamente, non curandosi ormai più della portata del rumore che stava provocando.

La figura tra le coperte si voltò dandogli le spalle -Alex, no- mormorò con voce impastata dal sonno -almeno oggi che non è venuto fammi dormine ancora un po'-

Poi, percependo un movimento verso la propria direzione, si sforzò tanto da voltarsi e socchiudere gli occhi.

-Cazzo Brian!- si lamentò, ormai scivolato al di fuori del roseo mondo dei sogni, ma nonostante ciò l'intruso non esitò un momento e senza chiedere il permesso si appoggio lentamente sul materasso, per poi abbracciare il corpo che ancora una volta gli aveva dato le spalle nella speranza di potere continuare un sonno tranquillo.

-Stef?- il silenzio venne spezzato da un mormorio insistente -...Stef?-

-Cazzo!- biascicò, imprecando ancora una volta -Ho bisogno di dormire io alla notte!-

Uno sbadiglio, poi l'assenza di rumori tornò ad essere padrona della stanza...

-Ste_-

-Brian che cosa vuoi?!- tuonò esasperato, coprendosi in un gesto disperato la testa con il lenzuolo.

-Non riesco a dormire- rispose Brian con estrema ovvietà, quesi monocorde.

-E tu mi svegli a quest'ora perchè non riesci a dormire?- si spiaccicò sonoramente una mano sulla fronte, con l'aria di un educatore insoddisfatto del lavoro compiuto per lunghi e duri anni -e dove sono andate a finire le tisane per riconciliare il sonno che ti avevo regalo lo scorso Natale?-

In risposta l'altro appoggiò la testa contro la sua spalla, poi si strinse maggiormente a lui, alla ricerca di un calore che nemmeno una notte di piena estate riusciva a donargli e Stefan comprese che ignorarlo non avrebbe portato a niente di più di una successiva giornata di lavoro in compagnia di una persona tanto irritata da arrivare al punto di pulire accuratamente con studiato disgusto il manico di ogni strumento da te impugnato in precedenza.

Munendosi di tutta la sua forza di volontà, si sistemò allora rivolto verso di lui e gli chiese pazientemente -Quanto hai bevuto, tesoro?- 

-Tanto da smaltire la sbornia così in fretta- sbuffò l'altro.

-Se non stai male dove sta il problema?- continuò il bassista, tentando di portare un po' razionalità in una situazione al limite dell'assurdo, anche se aveva imparato già da molto tempo che quello era uno dei suoi tanti e svariati modi di stare male, come sapeva, ancor prima di farlo, che non avrebbe mai dovuto pronunciare quelle parole.

Gli occhi di Brian scivolarono con disperata prepotenza in quelli di Stefan e, mentre le sue labbra serrate si increspavano percorse da un tremito, iniziarono lentamente a colmarsi di tristezza liquida, fino a quando le palpebre cedettero alla straziante pressione e il suo corpo fu scosso dai primi silenziosi singhiozzi.

Era sempre stato così, da quando lo aveva conosciuto, da quando aveva notato quanto fosse inutile ed infantile il suo modo di stringersi le mani e grattarsi via lo smalto nero dalle unghie in segno di irrequietudine, da quando aveva perso lo sguardo nel colore delle sue iridi che andava intensificando per via delle lacrime, da quando lo aveva visto piangere per la prima volta e in quel momento, come allora, tutto ciò lo fece sentire in dovere di prenderlo tra le braccia e stringerlo quel tanto che bastava a non spezzarlo.

-Shhh- gli sussurrò, scacciando via una lacrima intenta a percorre la sua guancia -E' tutto apposto...-

Era impensabile che quella persona, ora tanto fragile, tanto bisognosa d'attenzioni, fosse la stessa che la mattina seguente si sarebbe presentata con molte probabilità pronta per iniziare ad esercitare la propria forma di controllo con la fermezza e la determinazione di un individuo estremamente sicuro, oppure si sarebbe limitato a chiudersi nel proprio guscio di depressione, con la noncuranza di chi è disposto ad ignorare il mondo, tutto a seconda della maschere che l'attore che era in lui si sentiva pronto ad indossare, senza esserne pienamente consapevole, gli veniva naturale recitare.

D'altronde sembrava che il privilegio di essere capito lo lasciasse solo a Stefan, per quanto sano o malsano fosse ciò.

-Posso restare qui con te?- gli sussurrò quella domanda nell'orecchio e sfregò la propria guancia contro il viso.

A tale richiesta Stefan non riuscì a trattenere una risata e l'impulso materno di baciargli il capo, per poi affondare tra i suoi capelli -Tanto lo sai che non ti direi mai di no, perchè se te lo dicessi rimarrei tutta la notte sveglio con la gastrite e il rimorso di averti fatto attaccare alla bottiglia di chissà quale scadente alcolico...-

-Te l'ho chiesto proprio perchè sapevo avresti risposto così- 

-Ecco, lo immaginavo, sono troppo debole e tu ormai lo sai...- scherzò tentando di alleggerire un'atmosfera troppo malinconica perfino per lui.

-Non voglio rimanere solo- sussurrò all'improvviso Brian, sprofondò il capo nel cuscino e fisso l'intonaco bianco con uno sguardo assente -non voglio rimanere solo al buoi, non quando arrivano gli incubi-

Quella confessione flebile, degna di un bambino impaurito nel passaggio dall'asilo alle scuole elementari, fece incuriosire Stefan, il quale gli domandò tranquillamente -vuoi dirmi cosa c'è nei tuoi incubi?-

L'altro aprì la bocca, per poi richiuderla, scuotendo la testa in in segno di disapprovazione nei confronti del proprio essere -Ogni padre si occupa dello sonno del proprio figlio, mentre io sto qui ad occuparmi del mio senza sapere se mio figlio stia dormendo o no- si sbatté un pugno sulla fronte -mi faccio schifo- lo ripeté di nuovo -schifo- ed una volta ancora -schifo!-

-No, non far così- una mano bloccò la sua, stringendola per impedirgli di sfondarsi la scatola cranica e il suo possessore, deciso a farlo sfogare una volta per tutte, gli chiese nuovamente -raccontami, che cosa c'è nei tuoi incubi?-

Dopo un frangente di esitazione, Brian deglutì e, aiutato dal movimento della mano di Stefan sulla sua schiena, disse con il tono più distaccato e atono che riuscì a procurarsi -Ci sono oggetti collocati troppo in alto per essere afferrati, è inutile saltare non ci arrivo, non ci sono scale in grado di sollevarmi, c'è solo il senso di impotenza- si voltò ad osservarlo, ricevendo in cambio un cenno che lo fece proseguire.

-Ci sono specchi immensi dalla superficie rilucente e cristallina ma che non riescono a riflettere la mia immagine, una volta che mi ci posiziono davanti vedo tutto quello che mi sta attorno ma non riesco a vedere la mia figura. Poi...poi ci sono i microfoni che non funzionano, o è addirittura la mia voce a non funzionare, dato che io parlo, alzo il tono, urlo, urlo sempre più forte per farmi sentire ma non esce nessun suono dalla mia bocca-

Si fermò ancora, ostentando impassibilità lancinante -non l'ho mai detto a nessuno-

-Ci credo allora che Alex è disperata- Stefan sorrise -se non hai mai raccontato tutto questo a nessuno degli psicologi dai quali ti ha mandato-

-Che vadano a farsi fottere, io racconto quel che voglio a chi voglio...- affermò indifferente.

-Ma io non posso risolvere i tuoi problemi- tentò di spiegargli.

-No, certamente no, ma mi hai tenuto in vita per tutto questo tempo-

Era vero, forse una cura definitiva non esisteva, perciò si era ritrovato ad andare avanti ad analgesici, provandone un po' di tutti i generi.

Stefan, colto alla sprovvista da quella dichiarazione, deviò il discorso su di un argomento che avrebbe dovuto avere un sapore decisamente più piacevole -E che cosa c'è invece nei bei sogni-

-Ma i sogni belli sono quelli che non si ricordano mai- asserì con furbizia.

-Non rompere le palle, te ne ricorderai pure uno no?- gli sembrava strano dovere incitare a parlare lui, che aveva sempre la frase giusta da spiaccicare in faccia a chiunque, simpatica o non simpatica che fosse.

-Beh- attacco Brian sostenendo quel costante atteggiamento di impassibilità dietro al quale si era nascosto per sviscerare tanta debolezza -alcune volte capita che sogni il sapore delle sigarette-

-Quello vuol dire che hai una forte dipendenza dalla nicotina, non c'è bisogno di Freud per capirlo- non era abile a sdrammatizzare ed in generale non era abile nemmeno a risultare simpatico, ma in quel momento ne sentì un bisogno talmente forte da non rendersene nemmeno conto.

-Ma il sapore delle sigarette è buono- iniziò a gesticolare per quanto potesse, stretto nello spazio tra il suo petto e quello di Stefan -è stato piacevole sognarlo!-

Poi i suoi occhi brillarono per un momento prima di iniziare a parlare.

-E mi ricordo anche di aver sognato le luci di Parigi riflesse nella Senna- continuò, avendo preso la parlantina -e l'odore dell'umidità londinese, hai presente quello quello che ti entra nelle viscere una volta uscito di casa alla mattina dopo una notte di pioggia?- domandò inutilmente -alla fine a forza di odiarla, quella fottuta pioggia inglese che mi arriccia i capelli, sono finito per adorarla!-

-Peccato che non hai ancora smesso di trascorrere ore in bagno a passarti la piastra- gli ricordò in un misto tra il rimprovero e la presa in giro -ci siamo tutti stancati di dovere fare la fila fin fuori dal Tour Bus...-

-Ah!- esclamò come se gli fosse venuta in mente la rivelazione della sua vita, ignorando le lamentele dell'altro -mi capita anche di sognare la morbidezza dei capelli di Cody, o la ruvidità delle corde della chitarra, poi...- si fermò, arrestando il flusso di pensieri al quale aveva dato voce, ritornando a portare lo sguardo contro l'intonaco del soffitto.

-Poi?- chiese Stefan incitandolo.

Brian rimase in silenzio per quello che sarebbe potuto essere un minuto abbondante, al termine del quale con un'indifferenza calcata affermò -Poi sogno te-

Ci vollero svariati secondi prima che il diretto interessato, il rappresentante di quel "te", comprendesse il significato di quelle parole e, non appena lo ebbe afferrato, spostò lo sguardo sul ragazzo accanto a sé senza dire nulla; lasciò il proprio cuore perdere un battito, mentre pensava che lui non era mai riuscito a portare il ricordo di un sogno al di là di quel momento che sta tra l'udire il suono della sveglia e alzarsi in piedi con un metodico scatto, ancora assonnato e con la mente annebbiata.

Quando l'altro aprì nuovamente gli occhi, sgusciando via dalla situazione di tranquillità frenetica che si era creata e si fermandosi ad osservarlo a sua volta, Stefan capì che non sarebbe potuto rimanere in silenzio ancora per molto, perciò face uscire dalla propria bocca le prime parole che gli risultarono logiche -dormi adesso-

-Non ci riesco- 

-Chiudi gli occhi- Stefan gli baciò prima una palpebra, poi l'altra e iniziò a cullarlo lentamente, intonando a voce bassa -I'll be your father

I'll be your mother

I'll be your lover

I'll be yours.*-

Un sorriso leggero prese forma sulle labbra di Brian , mentre pensava che quella ninnananna la conosceva già...


 

 

 

 

*estratto da "I'll Be Yours" - Placebo 

 

 

  
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