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Autore: Redferne    29/03/2023    3 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 88

 

 

 

 

 

 

 

LAST MAMMAL STANDING – L' ULTIMO, A RIMANERE IN PIEDI

 

 

 

 

(PRIMA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ehi, voialtri! Dite che questa sarà la volta buona?”

“Ma certo! Stà pur sicuro, amico. Ci puoi scommettere tutto quello che vuoi, stavolta!!”

“E infatti non scommetto.”

“Ne sei sicuro?”

“Più che sicuro. Scordatelo.”

“E invece io dico che una puntata sopra tu ce la fai.”

“Te lo puoi scordare, ho detto.”

“Scommettiamo?”

“Ho detto di no.”

“Veramente mi riferivo alla scommessa...scommettiamo che cambi idea e che riesco a convincerti, alla fine? Scommettiamo che SCOMMETTI?!”

“Grr! Piantala! Piantala una buona volta, tu e le tue battute sceme del cavolo. Ti ho detto di no. Non insistere.”

“Beh, é un gran peccato. Pensavo di poterti scroccare tranquillamente un'altra bella cena, come ho fatto l'ultima volta...”

“E infatti é proprio quello il motivo per cui ho deciso di lasciar perdere, razza di brutto...”

“Ehi, voi due! La vogliamo smettere? State iniziando a dar fastidio. E se non ve lo dice nessuno, allora ve lo dico io!!”

“La colpa é sua. Sembra quasi che io sia obbligato a scommettere su tutto! Ma io ne ho piene le tasche di vederlo ingrassare e mettere su circonferenza attorno allo stomaco a mie spese, é chiaro?!”

“In ogni caso vedete di farla finita comunque. Piuttosto...non c'é nessuno che ha ancora voluto rispondere alla domanda.”

“Quale domanda?!”

“La domanda di prima. E che per giunta hai fatto tu stesso idiota. Secondo voi é la volta buona?”

“Oh, sicuro che lo é.”

“Dici? L'ultima volta si é interrotto tutto proprio sul più bello, e ancora a desso non ho mica capito il perché. Se lo lasciava a noi, ridotto com'era...ci mettevamo un attimo.”

“E tu saresti così pazzo da metterti in mezzo per voler negare il divertimento al nostro grande capo, per caso? O a voler contestare le sue decisioni? No, perché non so te, ma io...non ho alcuna intenzione di morire, sappilo.”

“N – no! C – certo che no! M – ma...ma per chi mi hai preso?!”

“Ah, ecco. Volevo ben dire. Se ci tieni così tanto a farti ammazzare, fatti ammazzare da solo. Sappi che io non ci tengo affatto, a seguirti all'altro mondo in tua pessima compagnia.”

“E comunque, visto che ancora nessuno si é degnato di rispondere...ve lo dico io che é la volta buona, questa. Fidatevi.”

“Oh, sì. Finalmente assisteremo a un gran bel spettacolo! Al gran finale che attendiamo da tre giorni! Da tre ben lunghi e interminabili giorni!!”

“Sììì! Yeah! Puoi proprio dirlo!!”

“Già! Puoi dirlo davvero forte! Finalmente vedremo cosa c'é dentro la lurida pancia di una volpe!!”

“Finalmente vedremo cos'ha dentro la pancia quella dannata volpe!!”

“Sapete una cosa? Una volta dicevano che quei demoni contenessero dentro alle loro pance addirittura il segreto della vita eterna! Che dentro ai loro stomaci ci stava nientemeno che l'elisir dell'eterna giovinezza! Ma ci pensate? Era per questo che ne sventravano così tante, tempo addietro...”

“Senti, senti! E questa dove l'hai tirata fuori, eh? La verità é che non sono altro che stupide frottole, amico. Tutte baggianate, e basta. Pure storielle e leggende di paese. Me lo raccontava sempre il mio vecchio, tra una bevuta e l'altra. E quando non era abbastanza sbronzo da aver voglia di muovere le mani e basta. E pure il padre del mio vecchio, le poche volte in cui l'arteriosclerosi non lo faceva rimbambire del tutto. L'unica cosa che potevi ottenere in regalo da quelle bestiacce schifose era la rabbia. Al massimo la rogna, se eri abbastanza fortunato. Se pigliavi un morso o un graffio da quei fetenti te ne finivi a grattarti, a ringhiare e a schiumare bava per il resto dei tuoi giorni. Fino a impazzire del tutto. Tanto che alla fine non rimaneva che doverti abbattere. Questo é il motivo per cui le uccidevano, una volta. Beh...sapete che vi dico? Che se davvero era così...quei ladroni rossastri avevano quel che si meritavano!!”

“Oh, beh...in fin dei conti le volpi non si meritano altro. Se c'é una razza di mammiferi che non son buoni che da morti, quelli sono proprio loro! Ah, ah, ah!!”

“Ben detto, fratello. Amen. E lo stesso vale per quello schifoso che hanno avuto la bella idea di scegliersi come sceriffo. Tra non molto farà a stessa fine di tutti i suoi simili. Ma dico io...ve lo immaginate? Vi immaginate cosa accadrà quando il nostro capo lo piglierà e lo squarterà in due con le sue stesse mani? Come minimo gli schizzi arriveranno fino al cielo! No, fino alle stelle, per me!!”

“Proprio così! Una bella fontana di sangue e budella rosso scuro! Ah, ah, ah!!”

Quel frenetico quanto animato chiacchiericcio era talmente denso e fitto da coprire persino il rumore delle macchine in movimento.

Lo si poteva sentire col rombo e col ruggire dei motori in azione e al massimo dei giri. E infatti Zed non poteva fare a meno di sentirlo.

Per loro fortuna e a differenza del loro compagno a cui era stata riservata una ben più grama e sanguinosa sorte, visto che ormai non faceva parte più a nessun diritto di questo dannato mondo, il gran capo di tutta quella masnada di spostati aveva deciso di non fare altro. Di non fare altro che rimanere in ascolto e basta.

Di fare praticamente da spettatore, a udire quel mucchio e cumulo di scempiaggini senza senso che ve ne fosse uno, anche a volersi sforzare a cercarlo.

Di incaponirsi a ogni costo a volerlo cercare.

Quegli imbecilli che si ritrovavano attualmente a rivestire e a ricoprire il ruolo di accoliti stavano dando veramente il meglio del meglio.

Sì. Quella sera stavano superando veramente sé stessi, in quanto a fantasia macabra.

Purtroppo soltanto a parole, però. Perché lì, in quel posto e in quel dato e preciso momento, di persona capace e in grado di dar corpo a simili quanto immondi pensieri ed intenzioni non ve n'era che uno. E uno soltanto.

Lui. Zed. In carne, ossa, muscoli e cicatrici.

E pure pelliccia. O almeno quel che ve n'era rimasto tra uno sbrego e l'altro. Fra l'insieme e la summa delle varie ferite inflitte ed auto – inflitte.

Com'erano carini. Facevano e ispiravano quasi tenerezza. Se non fosse per il fatto che uno come lui la tenerezza non sapeva nemmeno dove avesse residenza o stesse di casa.

Quei sentimenti non avevano pretesa di cittadinanza, dentro al suo cuore.

No. Il suo animo non rappresentava certo terra di conquista, per quel genere di sciocchezze.

Era e si considerava talmente freddo e spietato da non riuscire a provare nemmeno compassione o compatimento, che in genere vengono considerate le versioni e i lati più dolci del disprezzo. O per lo meno i risvolti e i versanti meno negativi.

Lui condannava. Condannava e basta. Per poi distruggere tutto quel che condannava, e che non rientrava nel suo ordine di idee.

Patetici, ecco cos'erano. Tutti lì a farsi forza e a tentare di inorgoglirsi dandosi coraggio e pacche fittizie sulle spalle l'un l'altro a suon di fesserie ripetute e reiterate fino all'ossessione.

Proprio come un branco di bulli che si vantano e millantano imprese che in realtà appartengono solamente a chi sta in cima e al primo posto di tutta quanta la banda e compagine, in quanto vero teppista.

Poiché é lui, l'unico e il solo ad essere genuinamente portato a essere violento. Mentre gli altri non sono che comparse. Che dal canto e da parte loro non hanno né il coraggio né l'iniziativa di provare o di mettersi a fare mai nulla di davvero concreto o reale.

Uno come Zed era proprio come il capo dei delinquenti che si possono trovare e rimediare in qualunque istituto, vicolo o quartiere tacciati di essere malfamati. E che quasi sempre e spesso lo sono.

Quelli come lui bastano e avanzano a sé stessi. Da sempre. Mentre tutti gli altri...sono inutili.

Esatto. Inutili. Inutili e superflui.

Nient'altro che accessori.

Che continuassero pure a ridere e a sghignazzare senza sosta e senza freni, mentre seguitavano a cantarsela e a suonarsela per contro proprio, quel branco di emeriti idioti. Che tanto, una volta giunto il momento giusto...si sarebbe sbarazzato anche di quelli.

Di punto in bianco. Senza tante cerimonie, complimenti e salamelecchi. E men che meno rimorsi, rimpianti o dispiaceri vari o di sorta. Eppure...

Eppure Zed se ne rimaneva lì, nonostante tutto.

Anche se, a prima vista, sembrava non prestargli alcun tipo o genere di ascolto. Almeno in apparenza.

Benché apparisse come disinteressato e poco propenso a degnarli o a riservarli della più minima attenzione, in realtà si stava limitando ad ascoltare tutta quella ridda di macabre quanto orride descrizioni. Perché c'era da dire che, per quanto limitato e settoriale che fosse, quegli idioti il loro misero e miserabile compito lo stavano svolgendo alla grande.

Anzi alla grandissima, proprio. Questo doveva ammetterlo, e gliene doveva rendere per forza atto.

Perché giusto a quello servivano, e avrebbero dovuto servire.

A fare soltanto da eco. Da riverbero e da cassa di risonanza alle sue gesta, per tramandarne e ingigantirne adeguatamente l'effetto. In modo che potessero sentirle tutti quanti.

Che le sentissero. E che si mettessero a tremare, al solo udirne.

Dopotutto, quando i mammiferi ancora camminavano per la giungla e per la savana a quattro zampe, i predatori non erano di certo tutti uguali. E si dividevano grossomodo in due categorie, volendoli separare a grandi linee.

C'erano i Re. Che cacciavano, depredavano e si cibavano. E poi vi erano i becchini.

I beccai, i cassamortari e i netturbini. Per spazzare via e restituire alla polvere tutto quello che non occorreva più alla sua continuazione e prosecuzione. E nutrendosi e vivificandosi con gli avanzi, i rimasugli e i resti che il sovrano gli cedeva e lasciava prendere. E a cui concedeva di appropriarsi.

Vi erano i leoni. E poi le iene, gli sciacalli e i licaoni.

Era il leone il Re, almeno stando a detta di tutti e in particolar modo degli esperti di storia, di scienza e di biologia.

E per ogni Re leone o presunto tale devono esistere almeno un tot di iene.

Nel numero minimo e sindacale di tre, almeno. O così pare.

Il leone era il Re. Ma solo perché la tigre non batteva i suoi stessi territori.

Per alcuni sarebbe dovuta diventare la tigre il vero Re, se solo si fosse decisa un giorno ad invadere il suo regno e i suoi possedimenti.

Ma per una sparuta quanto ristretta minoranza, c'era un altro felino che era superiore a loro due.

La pantera. La pantera nera. Solo che ne esistevano poche.

Davvero troppo poche, per venire animate da desideri di conquista.

Servivano anche loro, adesso. Per aumentargli l'eccitazione e la bramosia di emoglobina da far sgorgare dalle vene altrui che gli stava scorrendo nelle sue, di vene.

Insieme all'adrenalina e al posto del sangue che certe volte sentiva di non avere nemmeno più.

Tutta roba che lo aveva come invaso da dentro, e pure da parecchie ore almeno. E che sentiva come sul punto di esplodere, da un momento all'altro.

Si sentiva come gonfio, costipato d'ira in ogni dove all'interno del suo corpo.

Pazienza. Perché in fin dei conti e alla fine della fiera, non la trovava affatto una sensazione così sgradevole. Perché era unita alla consapevolezza che tanto, tra non molto e da lì a poco, avrebbe potuto sfogarla come voleva. E come meglio credeva e riteneva.

Farla straripare fuori senza limiti né barriere. Fino ad inondare, allagare e far annegare tutto e tutti.

E questo lo considerava un autentico sollievo. Il più inebriante tra i palliativi.

Una vera liberazione.

Gli era sempre piaciuto distruggere e massacrare. E da come la vedeva lui, in passato non vi era stata soluzione più pratica e sicura che compiere tutto ciò in nome e sotto l'egida del vecchio idiota.

Di quel vecchio idiota di suo padre. Di cui non aveva mai avuto voglia o desiderio di pronunciare nemmeno il nome.

E sia, comunque. Cyrus. Che lo dicesse pure. Tanto, ormai...non aveva più paura di lui.

Non ne aveva mai avuta. Quella volta lo aveva battuto solo per pura e semplice fortuna.

O forse era successo solo perché allora non gli era ancora riuscito di cancellare completamente il legame che li univa. E il carico di sentimenti che quel legame comportava e che trascinava con sé.

Sentimenti e sensazioni che ancora provava. Anche se probabilmente in maniera del tutto inconscia, e senza rendersene minimamente conto.

Comunque, da quel giorno in poi ci aveva lavorato su parecchio. Perché quel poco di sentimenti che gli faceva ancora da peso e che lo rallentava e frenava aveva tutta l'intenzione di eliminarlo al più presto.

E ora...alla fine ce l'aveva fatta, finalmente.

Aveva preso sempre tutto ciò che gli serviva, dal vecchio. Tutto, tranne i principi. E la forza.

Perché dei primi non aveva mai saputo cosa farsene. E in quanto alla seconda...già allora, ai tempi, aveva sempre pensato ed era più che razionalmente convinto di essere molto più forte e potente del vecchio idiota.

Il vecchio idiota era allo stremo, anche se faceva di tutto per dimostrare il contrario. E si riduceva a inscenare e mostrare assurdi duelli, esibizioni e dimostrazioni di forza nel disperato tentativo di mantenere il controllo su tutto e su tutti.

Un controllo che ormai non aveva e di cui non disponeva più, anche se continuava e si ostinava a non volersene rendere minimamente conto.

E quella messinscena e gran baracconata che aveva piantato in piedi sotto forma di lotta per l'ascensione tra loro due rientrava a pieno titolo nella sua ridicola strategia atta a convincere gli altri che fosse ancora inarrivabile. E imbattibile, per chiunque.

Decisamente e letteralmente fuori scala, per tutti loro. Lui compreso.

Lui in primis. Lui, che era suo figlio. Anche se il solo considerare l'idea e l'ipotesi in questione lo disgustava e nauseava oltremodo.

Ma in verità il vecchio idiota aveva da tempo la sua vita appesa a un filo. Il suo corpo decrepito e le sue ossa ormai ridotte ad un ammasso di calcio non lo reggevano né sostenevano manco a morire o pregare o a piangere in cinese o in ostrogoto.

I suoi limiti fisici li aveva raggiunti da un pezzo. E persino superati e sorpassati da un pezzo.

A destra, in piena corsia di emergenza e a più di trecento miglia orarie. Oltre la velocità del suono.

Continuava a rimanersene cocciutamente su questa terra e sul suolo di questo pianeta solo per un semplice fatto. E cioé che non accettava la sconfitta.

No, non avrebbe mai accettato di veder miseramente crollare tutto quello che aveva costruito con le sue zampe e con tanti sforzi, e a prezzo di innumerevoli battaglie. Quello per cui aveva lavorato così tanto.

Era proprio appeso a un filo. E quella sciocca speranza di mantenere tutto in piedi era l'unico filo che gli doveva essere rimasto.

Un filo consunto, sflacciato e malridotto. Non doveva essergli rimasto a malapena che quello.

Ma non c'era assolutamente alcuna fretta di tagliarlo o di strapparlo. E nel frattempo, la bandiera e il vessillo che agitava inutilmente al vento, rappresentante di un regno in rovina e destinato a cadere per sempre, aveva costituito per lui una calda, soffice e confortevole coperta.

Un nascondiglio ottimale, perfetto. In attesa di prendere il suo posto. Insieme a ciò che sentiva di spettargli per diritto.

Per diritto assoluto, legittimo e sacrosanto.

Il migliore tra i giacigli disponibili e possibili. Dove dormire tra quattro guanciali. E aspettare che si compisse il loro destino. Il destino di entrambi.

Gloria per lui. E oblio eterno per il vecchio idiota. E intanto...ammazzare la gente così, giusto per ammazzare il tempo. E per ingannare la noia dell'esistenza.

Vivere aspettando quel giorno. E uccidere per puro divertimento. Per il solo gusto di farlo.

Cosa ci può essere di meglio per uno come lui che é nato nel mezzo della battaglia, e che esiste solo e unicamente per fare la guerra?

E tanto meglio se poteva fare tutto questo nel nome del vecchio idiota. E soprattutto a sua insaputa.

Del resto, non che gliene fosse mai importato qualcosa o alcunché. Sia del suo parere che della sua approvazione, in merito e a riguardo di quel che faceva.

Per un po' andò bene così, e le cose filarono liscie come l'olio e senza alcun genere di intoppo o impedimento. Né da parte del vecchio, né di nessun altro. Perché tutti gli altri esseri inutili che osavano definirsi guerrieri non erano alla sua altezza o al sua livello.

Non era in grado di affrontarlo o di contrastarlo. E in virtù di ciò...avevano troppa paura di lui.

Provavano troppa paura e i timore nei suoi confronti, per provare a fermarlo o anche solo per poterci pensare di provare.

Ma come suol dire il vecchio adagio...un gioco, per quanto bello che sia, é destinato a durare sempre poco. Troppo poco.

Finisce sempre così, immancabilmente e invariabilmente. Perché i sotterfugi e i segreti per loro intima natura sono fatti per essere scoperti. E smascherati. Sempre.

Vivono negli angusti recessi di un sottoscala, oppure nell'oscuro sottosuolo di un individuo.

Di ogni individuo. Però bramano ardentemente la luce del sole, e sotto di essa vogliono uscire. Per il semplice fatto che in fondo non sono altro che desideri, sogni e aspirazioni anche loro. Se pur di natura spesso tutta sghemba, distorta e deviata.

Si, lo si doveva proprio ammettere. Per forza.

Era stato tutto quanto un bel gioco, per lo meno finché era durato. Ma poi era finito. E proprio come detto in precedenza, alla stregua di tutti quanti i bei giochi divertenti era durato ben poco.

Troppo poco.

Avevano aperto quella porta. E potuto così dare un'occhiata alla stanza, per quanto rapida e fugace che era stata. E soprattutto, avevano acceso la lampadina e visto cosa conteneva, cosa vi si trovava al suo interno. E alla luce di quel che avevano scoperto, non si poteva più seguitare a far finta di nulla.

Non si poteva spegnere e poi richiudere tutto ed infine far finta che non fosse successo e che non si fosse visto niente.

Era stato smascherato, i suo misfatti e le sue nefandezze rese ben note e conosciute. E aveva quindi dovuto terminare di fare quel che amava e che prediligeva così tanto.

E in più, come se non bastasse, bene presto avrebbe dovuto rendere debito conto di tutto ciò a chi di dovere.

Al capo. Al capo tra i capi che comunque era e restava pari tra i suoi pari.

Pazienza. Neanche di quello gli era importato poi questo gran che. Anzi, a volerla dir tutta e sincera sino in fondo avrebbe avuto finalmente il pretesto e la ragione per giungere al cospetto del vecchio idiota, per cantargliele finalmente dritte in faccia. E poi subito dopo suonargliele di santa ragione, in modo da potergli mostrare giusto quelle due o tre fondamentali rettifiche su come andasse gestita tutta quanta la banda e la baracca.

Era e si considerava ormai pronto a prendere il posto che gli spettava di diritto sul trono. E a spezzargli sia le zanne che gli artigli, una volta per tutte. In modo che si capisse e che fosse ben chiaro a lui e a tutti quanto gli altri branchi di balordi che teneva al giogo e al guinzaglio chi dovesse tenere e detenere lo scettro e comandare, lì dentro.

Del resto era lui il più forte, laggiù. E questo lo sapevano tutti, no?

E invece...le cose non andarono propro così. Non si svolsero come aveva predetto e pronosticato.

Non andò bene nulla. Niente di quel che aveva progettato e che aveva in mente avvenne.

Niente di quel che voleva che accadesse e succedesse. Proprio niente.

Un bel niente di niente.

Non andò come sarebbe dovuta andare. Come doveva andare. E la cosa gli bruciava, tuttora, e ancora parecchio.

Abbattere il comandante supremo nel corso e nel bel mezzo di una lotta per l'ascensione, per poi così diventare il nuovo capo davanti a tutti...era il solo e unico modo per poter dimostrare ai loro occhi di essere il più grande.

Il migliore. Perché anche se ne si è più che certi e ne si ha la piena consapevolezza, a riguardo, l'approvazione e il riconoscimento da parte degli altri é a dir poco fondamentale.

Il vecchio idiota aveva sempre detto e sostenuto che se sei davvero il più forte lo sai e basta. E preghi ogni giorno di non dover mai essere costretto a doverlo dimostrare ad anima viva.

Tsk. Eccone un'altra. L'ennesima fesseria da parte e per bocca del vecchio rimbambito.

Che idiozie. Soltanto un nugolo di scemenze buone per lui e tutti i fessi come lui.

Se sei il più forte te lo devono dire gli altri. Perché se gli altri non ti vedono e non ti sentono...allora anche se sei vivo é come e tu fossi morto.

Morto stecchito. Anzi, più e peggio che morto.

Perché se non ti vede e non ti sente nessuno e nessuno parla di te...tu semplicemente NON ESISTI.

Lo sai già e basta, di essere il più forte? No, no, no.

No. Te lo devono dire gli altri. Te lo devono dire proprio gli altri.

Col loro sangue, che gli riempie la bocca facendoli farfugliare per poi portarli a soffocare dopo avergli invaso ed essersi infilato dentro ai polmoni, nell'istante successivo a quello dove li hai sbattuti a terra e a mangiare la polvere dopo avergli frollato le carni. E rotto e spezzato tutte le ossa.

Quindi, per forza di cose...quel posto era suo.

Era sempre stato suo, e gli spettava di assoluto diritto. Ma il vecchio aveva osato mettersi in mezzo tra lui e il compiersi del suo giusto quanto legittimo destino.

Aveva rimediato una sonora quanto cocente e umiliante sconfitta, per sua zampa.

E quel che era peggio, non era mai riuscito a restituirgli adeguatamente il favore per vendicare e lavare così nel suo sangue la tremenda onta della disfatta subita.

Stando alle informazioni in suo possesso e a quel poco che ne sapeva, pare che il vecchio idiota fosse malato ormai marcio. E che in seguito, molto in seguito, fosse persino schiattato.

Non ne era certo. Non aveva più voluto saperne nulla, dopo il suo esilio. Dopo che lo avevano costretto ad abbandonare la grande città.

Non gli interessava più. Anche perché ormai le cose erano definitivamente cambiate, a Zootropolis.

E su questo, almeno su questo, non aveva dubbi.

Alcun dubbio di genere o di sorta. Anche perché gli era stato sufficiente leggere distrattamente e di sfuggita la testata principale di un qualunque giornale o quotidiano preso e raccattato a caso e in giro per rendersene conto.

Che il vecchio idiota fosse morto o meno, aveva deciso in merito che la faccenda non lo avrebbe dovuto interessare né riguardare minimamente.

Quel che invece gli interessava per davvero era un'altra cosa.

E cioé che ormai laggiù, da quelle parti non vi era rimasto ormai più niente da potere, da dovere e da saper conquistare.

Niente più NNT. Più nessuna NO NAME TERRITORY, SHANGRI – LA, KUN – LUN o DREAMLAND di sorta, o che dir si voglia,

Più nessuna Terra di Nessuno, a voler utilizzare ed impiegare l'ennesimo quanto ormai stra – abusato gioco di parole. Che sempre volentieri torna, da codeste parti.

Più nessun regno, né trono. Né scettro, né mantello. E neppure più bastone o corona.

Disdetta. Tremenda disdetta, davvero.

Quale terribile sfortuna e sorte avversa.

Ma il bello della vendetta é che la si può sempre servire e gustare fredda, come piatto e pietanza.

Addirittura congelata, in certi casi. A patto di avere il necessario stomaco di ferro unito a budella praticamente d'amianto.

E lui, Zed...disponeva in egual misura di entrambi.

Ce li aveva sempre avuti e non gli erano mai mancati. In quel senso non aveva mai difettato, per sua fortuna.

Non te le puoi prendere con chi di dovere? Pazienza. Non ti resta che sforgarti e prendertela con l'intero schifo di mondo.

C'era laggiù e là fuori un intero globo terracqueo su cui potersi liberamente rivalere ed accanire senza alcun freno o remora casomai il diretto responsabile non fosse più reperibile, disponibile o a portata di zampa.

Ognuno poteva tranquillamente e comdamente farne le veci, di volta in volta. Per venire punito al posto di quello che ormai gli era definitivamente e per sempre sfuggito.

E tra poco, tanto per voler fare un esempio...tra non molto sarebbe toccato a Wilde. A quella volpe idiota che altri ancora più idioti di lui avevano avuto come bella pensata di eleggere a sceriffo di quell'insulso sputo di paese.

Poi, subito dopo lo sceriffo, sarebbe toccato al fennec. A quel nanerottolo con le grosse orecchie che si era messo in testa nientemeno che di sfidarlo. E che soprattutto aveva osato farlo davanti a tutti quanti.

Lui a maggior ragione, visto che gli aveva dimostrato di conoscere a menadito i vecchi riti e le antiche usanze delle bande e delle gangs di una volta.

Chissà chi diavolo era, comunque. Proprio non gli riusciva di capire di chi si potesse trattare, per quanto si sforzasse con la propria memoria.

E dire che i capi e i comandanti li aveva conosciuti e se li ricordava tutti ma proprio tutti.

Tutti quanti.

Chissà. Vai a sapere, o rimembrare.

Con tutta probabilità era stato in passato un galoppino di scarsa importanza, destinato a compiti, mansioni ed incarichi di ancor più scarso e minore rilievo. E che proprio in virtù di questo riteneva quel poco che aveva fatto, visto e compiuto più che sufficiente a farne un guerriero.

Un ragazzino che imitiva, scimmiottava e che faceva il verso ai più grandi, ai maggiori di lui e agli adulti. E che doveva considerare tutto quello che aveva passato come un gioco, o giù di lì.

Nient'altro che un gioco, o poco più.

Beh, aveva deciso che gli avrebbe fatto scoprire a sue spese che si sbagliava. E di grosso, anche. E che non gli avrebbe nemmeno dato il modo o il tempo necessari a rammaricarsene, di quel suo grave errore di valutazione e di attribuzione.

In ultimo restava la daina. Ma in quanto a quella...bah, forse non ne valeva neanche e nemmeno la pena, per una misera quanto insignificante femmina.

Era pur vero che anche su di lei Carrington gli aveva dato pressoché libera scelta e arbitrio.

Proprio così. Il maiale non gli aveva detto né lasciato intendere nulla, sul suo conto.

Proprio un bel niente di niente. Il che, per uno come lui, era e rappresentava da sempre l'equivalente di dargli e concedergli completa, totale e assoluta carta bianca sul da farsi.

A riguardo avrebbe potuto agire come meglio credeva e riteneva. Ma...

Ma restava e rimaneva il fatto che lei era pur sempre un'agente. Un'agente vera.

E vice – sceriffo, per giunta. Con tanto di regolare nomina.

La sola quanto unica agente laggiù, per lo meno in base alle informazioni in suo possesso.

Stando a quel che gli aveva detto in proposito il suino, Wilde non era da considerarsi un autentico sceriffo in quanto non era stato nemmeno scelto o proposto mediante e tramite regolari votazioni, scrutini ed elezioni.

Il vero sceriffo, secondo la legge e la costituzione, era ancora un certo Ricketts o qualcosa del genere.

Quello precedente. Ed era stato proprio lui a piazzarlo lì, al suo posto.

Come momentaneo sostituto, rimpiazzo o qualcosa del genere.

I bravi, pezzenti e miserabili cittadini di Haunted Creek si erano praticamente ritrovati quel predone di volpe tra i piedi dal giorno alla notte. Da una giorno all'altro. E senza nemmeno poter ribattere o esprimere il proprio parere o contributo, riguardo e in proposito alla cosa.

Pertanto, capendo e comprendendo di non aver di fatto alcuna voce in capitolo...avevano fatto l'unica cosa, sclelta e decisione che era loro rimasta. Quella più naturale, essendo ormai la sola che il vero sceriffo aveva loro concesso e lasciato a disposizione.

Avevano incassato la novità senza batter ciglio, e si erano quindi limitati a farsela andar bene.

Tutto qui. Che lo volessero oppure no.

Bene. Molto meglio così. Perché voleva dire e stava a significare che altrettanto avrebbero fatto nel caso che, sempre da un giorno all'altro o giù di lì, la novità sarebbe sparita. E che non se lo fossero trovato più intorno e tra i piedi.

Nessun problema, dunque. Almeno sotto a quell'aspetto. Ma andare a toccare e a sporcarsi direttamente la mani con una divisa, beh...quello era tutto un altro paio di maniche.

Le divise si dovevano lasciar stare. Soprattutto di questi tempi.

Forse era davvero il caso di ripensare al consiglio spassionato che gli aveva fornito in precedenza Crusher, quel verme del suo vice.

Ma si badi bene, però. Si é detto di RIPENSARCI. E se mai di rivalutarlo. Non certo di ASCOLTARLO, ci mancherebbe.

Ma nemmeno lei doveva rimanersene impunita, per la sua arroganza. Non del tutto, perlomeno.

Ma ancora non aveva le idee troppo chiare. E stava cominciando a pensare che magari, al momento giusto, avrebbe seguito e dato spazio all'improvvisazione, dedicendo così su due zampe.

Chissà...forse, trattandosi di una preda, l'avrebbe gettata e buttata ai suoi sottoposti per dargliela in pasto. Ma non certo in senso letterale.

Si sentiva particolarmente magnanimo e generoso, quella sera. O forse voleva soltanto premiarli per essere rimasti con lui a compiere e continuare quella scorribanda notturna, dopo l'orrido spettacolo a cui li aveva di fatto obbligati e costretti ad assistere.

Certe esecuzioni sono necessarie per guadagnarsi il rispetto, l'obbedienza e la paura. Ma possono avere e generare conseguenze talvolta imprevedibili, e in paricolar modo sul legame di fiducia.

Non che gli servissero, eh. Era chiaro e lo si era già detto e ribadito.

Non aveva e non aveva mai avuto bisogno di soldati.

Al miglior soldato al mondo non ne serve un altro oppure altri in più, perché in genere si basta e si fa bastare da solo e per proprio conto.

Ma a lui servivano spettatori, non combattenti.

Pubblico, non di certo eserciti.

A lui servivano ed erano sempre servite persone che vedessero e che narrassero le sue gesta. E che fossero e rimanessro avvolti dal più puro, autentuco e concentrato di terrore, mentre ne parlavano o si accingevano a discorrerne con chiunque.

Si meritavano un regalo, dopotutto. Anche se in fin dei conti era tanto che non li avesse già uccisi tutti, uno ad uno.

Si dovevano solo considerare fortunati. Nati con la camicia.

Gliene avrebbe fatto dono, di quella là. E tutti loro se la sarebbero spassata a dovere con lei, passandosela a turno o magari tutti insieme in una volta sola.

Preferiva non indagare, in merito. Lo disgustava, la cosa.

Le avrebbero dato una bella quanto decisa lucidata alla carrozzeria. E se quella daina non era troppo castigata o resa definitivamene istupidita dall'eccessiva educazione a base di rigoroso timore per l'atto biblico che implica il piacere fisico fine a sé stesso, avrebbe fatto quel che conviene a qualunque insulsa esponente del genere femminile che si viene a trovare in una situazione come la sua.

Quelle di buon senso, principalmente.

Se ne sarebbe dovuta stare buona. E muta.

Stare zitta, rilassarsi, concentrarsi e intrattenere tutti i maschi presenti e a disposizione fino a che non rimanessero soddisfatti. E per intero.

Fare tutto questo. E se ascoltava e accettava un ulteriore consiglio, a differenza di lui con quello del suo vice...tentare di vederci pure un lato positivo, in tutto quello che le sarebbe accaduto.

Tentare di godersela, già che c'era e per quel che valeva. Perché no?

Dopotutto era la sua unica possibilità per uscirsene fuori viva e tutta intera. La sola carta da giocare per poter arrivare a vedere sorgere il sole della mattinata dopo.

Forse forse non le sarebbe neppure dispiaciuto. E avrebbe avuto l'occasione di scoprire qualcosa di più su sé stessa. Qualche talento nascosto e recondito, ma soprattutto di genere e indole lasciva di cui non era nemmeno a conoscenza.

Tsk. Ma finiamola. Era chiaro che le sarebbe piaciuto senz'altro, che la prendessero con la forza e contro al sua volontà o meno.

Alla fine sono tutte uguali. E non vogliono e non pensano che a una sola cosa.

Una cosa soltanto, tutto il santo giorno. Sempre e solo a quella.

Tutte uguali, dalla prima all'ultima.

Ma la sua sorte non lo interessava né lo riguardava più di tanto, avolerla dir tutta e sincera sino in fondo. Perché quella era e restava l'ultima delle questioni.

Era talmente indifferente alla cosa che forse non gli andava nemmeno di riservarsi l'ultimo giro di giostra e di valzer con la vice – sceriffo indisponente e tutto pepe, come in genere era solito fare durante quei momenti di svago e di spasso collettivo e in compagnia.

Aveva già dato modo di far capire a tutti quanti che lui si divertiva in altri modi. E gli altri facevano in modo di non insistere più di tanto.

Rimanevano lì, in un angolo, ad accontentarsi degli avanzi. Delle carcasse e delle carogne che talvolta e di tanto in tanto gli gettava.

Perché lui, Zed, si divertiva in tutt'altre maniere e generi. Ecco la verità.

Tipo fare quel che stava per accingersi a fare. Che avrebbe fatto da lì a poco e che già pregustava.

Lui si divertiva così. Punto.

La voce a fianco proveniente dal suo vice al volante pose fine a quelle astrazioni, riportandolo alla realtà. Anche se c'era da dire che lui detestava oltremodo venire ripreso quando si distraeva.

Un po' come l'alunno indisciplinato e svogliato che veniva richiamato e punito con una nota dall'insegnante di turno, e soltanto perché aveva semplicemente commesso il torto ed il peccato di farsi gli affari suoi mentre quest'ultimo era intento a spiegare una senza alcuna ombra di dubbio noiosissima lezione.

Lo studente, per non venire mandato dal preside e sospeso subito oppure bocciato o rimandato a Settembre più in avanti, é purtroppo costretto gicoforza e controvoglia a scusarsi, e a ripromettere che in futuro starà più attento e concentrato, e che non lo farà mai più. Il tutto sotto lo sguardo severo, rancoroso e accusatore del docente e tra le risate, i lazzi e gli sfottò dei compagni sempre pronti a sbeffeggiare il malcapitato di turno, quando hanno la splendida quanto magnifica possibilità e opportunità di farlo senza dover subire alcuna ritorsione o conseguenza.

Deve farlo, punto. Lo impongono le regole e la convenienza.

Deve farlo, e il professore lo sa.

Deve farlo, anche quando in realtà vorrebbe fare tutt'altro. E tutto l'opposto.

Come ad esempio dare fuoco alla cattedra col maestro tenuto legato e incatenato alla sedia, in modo che non possa fuggire. E da lì passare al resto della classe e della scuola, dopo aver pestato e riempito di botte tutte quelle maledette carogne dei suoi compagni, uno dopo l'altro, fino a far perdere loro i sensi. Per poi rinchiuderli dentro alle classi sprangando la porta, e rimanersene infine appena dietro l'uscio o lì nelle vicinanze, a godersi le loro urla disperate mentre bruciano.

Fino a che non si affievoliscono per poi spegnersi del tutto, alla stregua delle alte e intense fiamme che li stanno divorando vivi fino a consumarne le carni, come la cera e gli stoppini delle candele.

“Ehi, c – capo!!” gli disse il leopardo, mentre era intento a guidare. “Che, per caso...p – per caso hai già in mente c – come sistemare a dovere quella d – dannata volpe?”

Zed fece una smorfia simile a un ghigno beffardo, senza nemmeno prendersi la briga e il disturbo di guardarlo dritto in faccia.

Ma guarda. Il suo vice, oltre che avere delle opinioni proprie in merito, adesso si permetteva pure l'azzardo di essere curioso.

Si stava cominciando ad allargare un po' troppo, per i suoi gusti.

Ma pensa un po' te. A quanto pare doveva avere anche lui una gran voglia di parlare, di discorrere e di chiacchierare, quella sera.

Tra i suoi attuali sottoposti e il suo attuale braccio destro dovevano avere tutti quanti una gran voglia di sprecare inutilmente fiato e parole e dare aria alle loro bocche, a quanto gli sembrava.

Da come la poteva vedere lui, avevano tutti ancora negli occhi e nel cervello la scena a cui li aveva di fatto costretti ad assistere poco fa.

Marchiata a fuoco sia nei neuroni che nelle retine. Così come avevano tutti quanti una gran dannata paura di fare la stessa e medesima fine. E da un momento all'altro, per giunta.

Ma sì. Pazienza. Poteva permettersi di accontentarlo.

Poteva anche permettersi di lasciar fare loro e di accontentare lui. Dopotutto, la lezione era bastata e pure avanzata.

L'aveva considerata sufficiente. E oltre a ciò, aveva pure deciso di tenere in considerazione e da conto il suo precedente consiglio, quasi quasi.

Ma si badi bene, a costo di ripeterlo e di risultare quindi noiosi.

Di tenerlo da conto, non certo di assecondarlo. Men che meno di seguirlo o di obbedirgli.

“Ancora no” gli rispose, tenendo le proprie braccia conserte e gli occhi ben fissi sull'asfalto.

“No, diciamo che non lo so ancora, di preciso” gli ribadì. “Ho talmente tante di quelle idee per farlo soffrire tanto e a lungo che così sul momento non so decidere. Perciò preferisco lasciare tutto all'improvvisazione. Ti basti sapere che deciderò e agirò di volta in volta in base all'ispirazione del momento, tutto qui. Posso dirti soltanto questo.”

“Ma una cosa é certa” aggiunse, subito dopo.

Crusher lo guardò incuriosito.

“Gli FARO' MALE” giurò la pantera, a lui e a sé stesso. “MOLTO MALE. Gli farò tanto di quel male che alla fine desidererà morire. Lo porterò al punto che per lui la morte equivarrà a una sospirata liberazione.”

“Oh, beh...conoscendoti, questo é poco ma sicuro, capo! Ah, ah, ah!!” commentò Crusher, sghignazzando rumorosamente.

Ma bene. Di bene in meglio, proprio.

Non solo il grassone era in vena di ciarle e di consigli, quella sera. Ma pure di confessioni strettamente confidenziali, pure.

L'aveva detto. Ed era proprio come pensava e sospettava.

Si stava ammorbidendo e rammollendo troppo, per quella sera. E come naturale conseguenza, lo stava facendo allargare troppo.

Fin troppo, e fin più del dovuto.

Era l'ora. Ora di ristabilire le giuste distanze e i corretti confini.

“Già” si limitò a rispondergli. E comunque, tu bada solo a guardare la strada e dove stai andando. Questi non sono affari che ti riguardano, sappilo. E quel che ho mente di fare io non ti deve interess...ATTENTO!!”

Non avrebbe saputo dire il perché gli fosse fuoriuscita dalla bocca una simile affermazione.

Davvero, fosse anche solo per un istante, si era davvero preoccupato o era rimasto in pensiero per le sorti e per l'incolumità del suo vice, o per quello che avrebbe potuto capitargli e succedergli?

Ma per favore.

No, sul serio: non scherziamo, che non é proprio il caso.

Era stata la parte primitiva del suo cervello. Quella più primitiva e antica, che risiedeva giusto in un angolino dimenticato. Ma che lui aveva saputo rispolverare e mettere in ghingheri e festoni per come si dovrebbe in vista di una grande occasione attesa da tanto. Da tempo ormai immemore.

L'istinto di sopravvivenza e di auto – conservazione. Che in genere condivide il suo piccolo spazio di appartenenza con la sete di sangue e un altro tipo di istinto.

Quello innato per la lotta, per la battaglia e per la guerra. E per l'amore di tipo totalmente incondizionato che si porta e che si prova nei loro confronti, senza alcuna riserva o remora di sorta o genere.

Ma Zed, in generale, aveva sempre preferito e ritenuto suo prediletto quest'ultimo. L'altro non lo aveva mai particolarmente apprezzato.

E per buone ragioni, in fin dei conti. L'istinto al combattimento presiede all'odio, alla rabbia, all'orgoglio e alla forza. Mentre quello relativo alla mera e pura sopravvivenza...si basa sulla paura. Sulla paura per sé stessi.

E la paura non va provata, sui campi di battaglia. La si deve incutere agli altri.

L'odio e la rabbia le si può governare e incanalare, tramite il giusto addestramento e mediante la corretta attitudine e predisposizione mentale. E anche quando non vi si riesce, resta comunque un gran piacere lasciarsi trasportare, condurre e guidare da esse, affidandovisi per intero.

Si é in balia del proprio lato peggiore, che per uno del suo calibro e risma era da considerarsi il migliore. Poiché il danno lo portava a tutti quanti i suoi avversari e alle sue vittime, riservando a lui tutti quanti i benfici.

Ed era semplicemente meraviglioso, perché quando ci si abbandona a qualcosa che si ama il controllo lo si tiene ugualmente, in ogni caso.

Ma con la paura é diverso. Il fiato si fa mozzo, i muscoli perdono forza e diventano di pietra, le giunture e le articolazioni e le ossa di gelatina, tremano e non reggono.

Per quanto tu ti possa sforzare non sei mobile, i tuoi colpi non hanno effetto e non riesci a incassare gli attacchi avversari avanzando con la dovuta e obbligatoria noncuranza che in genere addice ad un guerriero.

Puoi non accettarlo, e provare a ignorarlo. Ma non funziona.

La testa può farcela, ma il resto del corpo no, perché capisce quanto sta accadendo. E reagisce di conseguenza.

Il corpo lo capisce meglio di chiunque altro, il timore insito per un rivale che viene considerato più forte e abile.

Sull'aggressività si può avere il controllo, sul terrore no.

Zed avrebbe voluto farne tanto a meno, di quel lato del suo istinto primordiale.

Cancellarlo, annullarlo. Ma non poteva. Perché a usarne anche una sola parte si finisce inevitabilmente ed invariabilmente con l'attivare anche l'altra.

La rabbia e la paura sono due lati della stessa moneta, due facce della stessa medaglia.

Luce e buio, maschio e femmina, Yin e Yang. L'uno non può esistere senza l'altro, dato che é la presenza di entrambi a dare origine al tutto. E adesso, proprio adesso, ne aveva avuto la riprova.

Era stato quello, lo smacco principale.

ATTENTO. Proprio quella parola.

Non poteva riuscire a sottometterlo, l'istinto di sopravvivenza. Né ad averne la totale gestione o controllo. E ancora una volta, si era ripresentato e aveva bussato alla sua casa e alla sua attenzione senza il suo permesso. E la parola che gli era scappata così, senza volerlo. Ne era stato un segnale inequivocabile.

In ogni caso, aveva fatto giungere quel suo avvertimento con un secondo di troppo. E quell'attimo era stato fatale.

E dire che pure lo aveva notato, il falò.

I suoi occhi di predatore perfettamente allenati e già dotati di per sé da madre natura a scorgere qualunque cosa persino nelle tenebre dense e fitte come e più della nera pece o del catrame l'avrebbero dovuta scorgere, ogni minima fonte di luce presente nei dintorni e nei paraggi.

Anche le più fioca e debole.

Ed infatti non gli era affatto sfuggito, il focolare in lontananza. Piazzato e acceso a lato della strada e ai margini della carreggiata che stavano percorrendo a tutta velocità, ad andatura folle e a fari spenti. Incuranti di tutto.

Incuranti di ogni cosa, comprese le loro vite.

Lo aveva visto. Lo aveva visto eccome, da puntino di un arancione vivido e luminoso brillante nel cuore della notte fonda farsi via via sempre più grosso. Soltanto, non lo aveva degnato della giusta attenzione.

Non lo aveva preso in benché minima considerazione, tutto bello preso e perso com'era nelle sue fantasie a base di morte, devastazione e distruzione. Perché quando finiva preda del suo bisogno quasi fisico, fisiologico di sbranare, divorare, mutilare e dilaniare, in quei momenti non badava più a nulla.

Più a nient'altro che non fosse sé stesso, insieme alle sue malate esigenze.

Per lui tutto spariva all'istante, quando era e stava così. Nulla era o diventava più degno della sua attenzione.

Si dice che faccia bene coltivare le proprie fantasie, dato che aiuta a scaricare lo stress e a vivere meglio.

Già. A patto di non predere totalmente il contatto con la realtà, però.

Non si dovrebbe mai finire col vivere rinchiusi unicamente nella propria testa, circondati soltanto dalle proprie idee preconcette. Perché talvolta si finisce col predere di vista sia lo scontato che l'ovvio.

Ed in genere é proprio quello, che al momento sbagliato ci frega.

Zed non si aspettava più nulla, nel dal mondo né dalla vita in generale. Della sua, in particolare.

Non temeva più sorprese da cui doversi guardare, difendere o proteggere. E guarda caso, e si perdoni l'ennesimo gioco di parole...proprio una sorpresa l'aveva colto alla sprovvista, adesso.

Il falò era stato solo l'inizio. Il pricipio di tutto, e di qualcosa di più grande.

La parte visibile dell'iceberg. Quella da trascurare perché é la porzione sommersa e nascosta sott'acqua, a essere veramente insidiosa e pericolosa per le navi.

E' quella che di solito le sperona e dove vanno a incagliarsi, per poi imbarcare mare o oceano finendo quindi con l'affondare e inabissarsi.

Aveva commesso lo stesso errore dell'impettito e gallonato comandante e della sua truppa di ufficiali inamidati di un ormai tristemente noto transatlantico dell'antichità. Insieme al progettatore e al costruttore che lo avevano realizzato lo scafo con parti di ferro anziché interamente in acciaio, per risparmiare sui costi di produzione. Per non parlare del ridotto numero di scialuppe di salvataggio, non abbastanza per portare al sicuro tutti i passegeri.

E solo perché lo avevano giudicato disdicevole per l'estetica della nave, si pensi un po'.

Quel falò era davvero bello grosso, ma non era che una distrazione.

Un falso scopo, un obiettivo fittizio.

Ninet'altro che uno specchietto per abbagliare le allodole, se le allodole fossero ancora esistite alla pari di tutti gli altri uccelli e volatili ormai estinti da tempo.

La cara, vecchia, dannata e maledetta MOSSA DEL KANSAS.

Un bel KANSAS SUNRISE, eseguito a regola d'arte e da manuale. Come il sacro ordine dei truffatori e dei mariuoli da sempre ordina e comanda.

E non si parla di certo di una bevanda, di un liquore o di un cocktail molto alcoolico tipico di quelle parti sperdute quanto rurali e desolate. Conosciute ai più solo per aver dato origini e natali a un'insulsa mocciosetta bifolca rea di aver trascinato i suoi ignari lettori in un'assurda storia a base di fantocci di paglia e di latta, esseri volanti, streghe associate alle quattro principali direzioni cardinali, finti maghi truffatori e ciarlatani da quattro soldi e scarpette magiche col dono del teletrasporto istantaneo.

E...ah, sì. E infine Re della savana patetici, tremebondi e vigliacchi, giusto per rimanere a tema e in debito argomento.

Quel gigantesco focolare era servito soltanto per far concentrare e assorbire totalmente l'attenzione di chi passava e transitava da quelle parti, costringendolo per forza a guardarlo.

La loro attenzione, nella fattispecie. Per distoglierla volutamente da qualcos'altro.

E chi aveva costruito quel falò lo sapeva. Sapeva benissimo come si sarebbero comportati, e che non avrebbero potuto fare a meno di mettersi a osservarlo.

D'altra parte...se non si viene scoperti, nessuno può accusare o mettersi a criticare perché uno sta barando. Fa parte del gioco.

Sempre il solito, vecchio adagio.

Il mondo, questo mondo, é dei furbi. E un bel giorno apparterrà esclusivamente a loro. Perché chi si lascia turlupinare e ingannare é destinato a perdere, prima o poi.

Che poi, a volerla dir tutta e sincera sino in fondo, non vi é stata nessuna scorrettezza.

Non é che vi fosse stato chissà quale inganno o raggiro, in fin dei conti e al fin della fiera.

Il furbone che aveva architettato tutto gliel'aveva fatta proprio sotto al naso e davanti agli occhi, senza nascondere o celare proprio nulla. O non più del dovuto, perlomeno.

Zed, o chi per esso oppure qualcun altro qualsiasi tra i suoi, avrebbero potuto accorgersene in qualunque o qualsiasi momento.

Anzi, avrebbero DOVUTO accorgersi. Era loro preciso dovere, fare le sentinelle e stare in guardia.

Ma il problema é che non stavano guardando, mentre accadeva.

Loro non avevano guardato, lui non aveva guardato.

Occorreva solo guardare nelle giusta e corretta direzione. E invece avevano guardato in quella sbagliata.

Avevano guardato altrove. Peggio per loro.

Tanto peggio per loro.

Solo quando si erano finalmente avvicinati Zed aveva potuto notare qualcosa di strano, grazie al riverbero tremolante ma intenso delle alte e incandescenti fiamme.

C'era qualcosa, sul manto stradale.

Delle specie di spine, proprio come se qualcuno avesse srotolato un intero tappeto composto da rovi e spine acuminatissimi a livello del terreno.

E non solo: a giudicare dal modo in cui era stata architettata e costruita, quella struttura era lì a dare tutta quanta l'impressione che chi l'avesse imbastita si fosse divertito un mucchio, a farlo.

Dava da capire che doveva averci provato un gran gusto e soddisfazione. Oltre che altro, s'intende.

Ma quello, ovviamente, era da considerarsi banale e scontato. E infatti Zed lo comprese e capì al volo, a cosa dovesse servire tutta quella roba sull'asfalto.

Ci arrivò pressoché all'istante, a tirare la giusta e corretta conclusione in merito. Ma i suoi peggiori timori e previsioni nefaste non fecero a tempo a confermarsi e a materializzarsi nella sua mente che un rumore, o meglio una serie e sequenza di rumori sinistri provenienti dal basso e dall'esterno del veicolo provvedettero prontamente a confermarglieli.

Una sequenza di scoppi in simultanea, simili a deflagrazioni di mortaretto.

Ma non era certo di petardi, raudi o miccette, che si parlava. Perché ad essi fecero seguito alcuni sibili acutissimi.

Il suono della pressione interna di una camera d'aria gonfiata e tirata sino allo spasimo che collassava e che andava definitivamente alla malora e a farsi benedire. Per via della sottile ma determinante differenza di atmosfere tra il dentro e il fuori che, senza più una spessa guaina in lega di polimeri a base di gomma e caucciù a dividerli e separarli nettamente, ora si riversavano l'uno nell'altro portando al tracollo e al collasso l'intera struttura del pneumatico.

Di tutti i pneumatici, uno dietro l'altro. E di tutte quante le vetture al gran completo.

I pick – ups inchiodarono lì dove si trovavano pressoché all'unisono e in contemporanea, slittando a destra e a manca per alcuni metri. E un paio di essi, per la seconda volta in quella serata così impegnativa, arrivarono quasi al puinto di ribaltarsi e cappottarsi, con i loro passeggeri posti sul retro e dentro al cassone posteriore che volarono sulla strada e sull'asfalto, rotolando su di esso ripetutamente e a più non posso. E accompagnando tale improvvisa quanto improvvida e inaspettata manovra con una nutrita e variopinta ridda di gemiti, bestemmie e imprecazioni di ogni genere, sorta e risma.

“Maledizione!!”

“Al diavolo!!”

“Porc...”

“Ma chi é stato quel figlio di una grandissima...”

Senz'altro inaspettata, sì. E sicuramente nemmeno indolore, a giudicare dai commenti stizzosi e coloriti. Per non dire apertamente volgari.

Zed, che tanto per cambiare ancoira una volta se n'era rimasto immobile e statuario al suo posto e dove si trovava, senza benché minimanete scomporsi o fiatare, approfittò della frenata fuori programma per scendere.

Andò dritto filato vicino alle ruote, e le controllò.

Già. Proprio come aveva pensato. E proprio come temeva, anche se detestava e gli costava molto dover usare quel termine.

Lui non temeva, non aveva mai tenuto e non avrebbe mai temuto nulla o anima viva. Niente.

Comunque, il suono era stato inconfondibile. E guardando e aguzzando opportunamente la propria vista, dietro alla colonna delle macchine in panne ebbe piena conferma.

Chiodi. E pure belli appuntiti. Ma non certo del tipo banale e normale che in genere qualunque inquilino o padre di famiglia utilizza per piantare quadri e specchi nelle pareti e nelle mura che compongono e costituiscono il perimeto della loro più o meno umile dimora, a seconda del reddito e dello stipendio.

Questi erano speciali. Fatti apposta per bucare. E per sabotare.

Chiodi dissuasori. Misti, sia di ferro che acciaio temprato, a quattro punte. Composti ciascuno da due pezzi piegati e ritorti a un angolo di novanta gradi esatti, a voler formare una L, e poi intrecciati tra loro.

Belli lunghi, acuminati ma soprattutto micidiali per ruote e affini, a dir poco. E dipinti di nero, tra le altre cose.

Resi neri tramite vernice. Neri come il buio della notte che li circondava. Che stava circondando tutti loro, in modo da non poter essere notati né visti.

Talmente neri da risultare praticamente invisibili, se non all'ultimo momento. E cioé quando di solito é troppo tardi per poterli evitare e per poter fare qualunque cosa.

Qualunque altra cosa che non sia andarcisi a infilare dritti dritti nel mezzo. Porprio come avevano fatto loro.

Proprio come aveva fatto quell'emerito idiota ripieno di lardo e alcool di Crusher.

A tempo debito ne avrebbe dovuto rispondere, della sua inadempienza e stupidità. E gliel'avrebbe senz'altro fatta pagare. E cara. E salata.

Ma non ora. Non adesso. Anche perché doveva stare pure attento a dove mettere e piazzare le proprie zampe posteriori.

Quei dannati cosi, quei dannatissimi cosi erano disseminati dappertutto.

Per ogni dove e per decine di metri tutt'intorno, in modo e con piglio precisi e metodici.

Chi li aveva messi, chiunque fosse il gran pezzo di bastardo che li aveva messi lo aveva fatto con un preciso intento. Proprio con QUEL preciso intento.

Li aveva messi per loro. Proprio per loro. Almeno su questo non vi era e non vi poteva essere alcun dubbio di sorta, a riguardo.

Voleva proprio che non avessero altre alternative contemplate oltre a quella pressoché obbligata di rimanersene a piedi. E in tal proposito...per un soffio Zed stesso non era rimasto infilzato a un tallone, mentre era sceso a controllare e a verificare.

Lo schivò allontando il piede con un gesto di stizza, mentre imprecava sottovoce.

“Capo!!” Esclamò allarmato Crusher. “Ma che...”

“Ssshhh!!” Gli ripose lui agitando una mano, e facendogli cenno di star zitto.

Purtroppo il mesaggio venne recepito da lui soltanto, con sommo e profondo quanto evidente scorno da parte del monumentale felino.

“Ehi!!” Urlò uno. “Guardate! Laggiù!!”

Zed sbuffò sonoramente, digrignando i denti per la rabbia.

Non poteva tollerarlo.

No, non lo poteva proprio sopportare, in alcun modo.

Eppure gli sembrava di essere stato chiaro, in merito.

Fin troppo chiaro. Quante volte glielo aveva detto?

Quante volte glielo aveva detto e ripetuto? Quante?

E quante volte avrebbe dovuto dirglielo e ripeterlo ancora, perché capissero e si infilassero una buona volta il concetto in quelle loro testacce marce e in quei loro cervelli putridi?

Quante volte avrebbe dovuto punirli, per inculcarglielo?

Eppure lo sapevano. Li aveva già avvertiti.

Lui era uno che parlava una volta sola, e che aveva una sola parola. Una soltanto. Per ogni cosa.

E stando così le cose...l'invito a uno valeva per tutti. Era riferito e valido anche per tutti gli altri.

Sempre.

Si voltò bruscamente e di scatto in direzione della voce, pronto a raggiungere e con l'intenzione di punire sonoramente i colpevoli che avevano trasgredito il suo perentorio ordine di tacere, ma non poté farlo.

Non l'ultima parte, almeno. Perché qualcosa attirò la sua attenzione. Ed era e si trattava della stessa e medesima cosa che aveva saputo attirare così altrettanto bene anche quella degli altri.

Pure la loro.

Una piccola, debole fiammella color giallo decisamente pallido era comparsa nella porzione di buio proprio davanti a loro.

Ad una ventina di metri circa di distanza, proprio dietro e a lato dell'improvvisato falò che li aveva accolti. E distratti.

Sembrava una di quelle che di solito venivano prodotte dalle candeline che si piazzano sopra a una torta o a un dolce per il compleanno o per qualunque altra ricorrenza che viene festeggiata mediante prodotti di pasticceria.

“M – ma...ma che cos'é?!”

“C – che diavolo é, quello?!”

Le voci dubbiose e interrogative continuavano a sollevarsi. Così come, almeno in egual misura, non davano il minimo cenno o segno di volersi estinguere e placare. Anche se non vi era il bisogno di rispondere.

Era facile indovinare, dopotutto. Un cerino, molto probabilmente.

Un attimo dopo la fiammella, da fissa nel vuoto che era, balzò e danzò nell'aria percorrendo una perfetta traiettoria ad arco verso sinistra.

Non appena atterrò, nel momento stesso in cui raggiunse il suolo esplose in un'altra bella e grossa fiammata, sprigionando lunghe lingue di fuoco da quella che doveva essere un'ulteriore catasta di legna alquanto consistente. E anch'essa ben irrorata e nutrita a benzina, gasolio o qualunque altro genere di combustibile. Di sicuro a presa rapida, a giudicare dalla velocità con la quale aveva preso fuoco.

Un bagliore senz'altro inferiore al primo che avevano saputo e potuto notare. Ma messo a paragone doveva essere stato altrettanto immenso.

Senz'altro era più vivido e imprevisto, dato che quando stavano arrivando lì l'altro già era impegnato a bruciare e a consumare legno secca da un bel po' e da un bel pezzo.

Quest'ultimo, se non altro, a differenza del suo collega a veva potuto contare sull'effetto sorpresa, impedendo in tal modo a tutti i presenti di scorgere e rivelare una nuova presenza.

Il nuovo, rocambolesco ingresso sulla scena, e proprio nelle vicinanze del primissimo focolare.

Il nuovo imbucato alla festicciola, nonché probabile artefice e responsabile di tutto quel che stava capitando e accadendo in quel dato e preciso momento.

Nessuno lo notò. Nessuno a parte una certa pantera dalla mole voluminosa, dai muscoli sporporzionati e dal manto spelacchiato e sfregiato quasi per intero. Che a differenza di tutti gli altri che componevano a detta sua il manipolo di imbecilli che gli stava a fianco durante e nel corso delle turpi imprese, invece di rimanersene a fissare tutto bello rapito e ipnotizzato il nuovo falò decise piuttosto di concentrare la propria attenzione su quello già presente.

E poi che gli venisse pure qualcuno a dire che sbagliava, a giudicarli e a etichettarli così e in tal modo.

Quello sarebbe stato un esempio chiaro lampante da sbandierargli addosso a dimostrazione della sua infallibile tesi. Prima di farlo a pezzi, a tocchetti e a brandelli per aver osato tanto, s'intende.

Quello non era e non rappresentava altro che un patetico diversivo, come lo era stato il primo.

E in quell'occasione gliel'avevano fatta, lo doveva ammettere. E non gli costava poi molto, farlo.

Talvolta, anche se assai di rado, conveniva di essere tutt'altro che infallibile su certe cose. Ma riteneva di avere anche il pregio di farsi fregare una volta sola, con lo stesso giuochetto e metodo.

E stavolta non ci era cascato. Oh, no.

Assolutamente. E così aveva notato quello che a tutti gli altri idioti lì presenti era scappato e sfuggito.

Un crepitio, null'altro. Nient'altro che quello, e basta.

All'inizio aveva pensato che si potesse trattare di un cicco di legno o di un pezzo di corteccia piuttosto duri e coriacei, difficili da bruciare e da ridurre in cenere e carbone.

O magari di un poco di resina. Giusto qualche brindello, frammento o rimasuglio rimasto tra le venature e i vasi linfatici.

E invece...non era quello.

Le cose non stavano affatto così. Non era né l'uno, né l'altro. E neppure l'altro ancora.

Mise bene a fuoco il falò numero uno. Oltretutto non gli dovette riuscire nemmeno tanto difficile, se casomai si concedesse e si dovesse avere la pietà di sorvolare sulla pessima quanto squallida battuta.

E la scena che vide, a cui assistette, gli si piantò e impressionò indelebilmente nelle pupille e nei cristallini. In maniera incancellabile.

Gli si marchiò letteralmente a fuoco nelle retine degli occhi. Pure in quello reso sbiadito.

E dagli, con queste battute del cavolo.

Le alte fiamme si mossero, come se qualcosa si stesse agitando in mezzo a loro. Poi, una porzione si staccò da esse e dal gruppetto che formavano, prendendo una certa forma.

Una forma dall'aspetto e dal contorno praticamente inconfondibili. E con la pelliccia dotata di uguale sfumature.

Rosso. Rosso acceso e scintillante, e screziato di arancio.

Il colore di un incendio. Il colore delle VOLPI.

La fiamma che si era appena separata dal resto dell'insieme aveva preso la forma di una volpe.

Una volpe che aveva riconosciuto al volo, e che nonostante le pochissime occasioni d'incontro reciproco ridotte praticamente a una quasi due aveva ormai imparato a conoscere bene.

Era nientemeno che lo sceriffo. Lo sceriffo Nick Wilde in persona.

In carne, ossa, pelliccia e divisa, anche se tutte piuttoso malconce e malmesse. E quindi anche con tutto il corredo di annessi e connessi costituito da ferite, lividi e contusioni non ancora pienamente guarite e ristabilite. Insieme, ovviamente, al braccio destro fasciato e legato con una fascia attorno al collo e alla spalla.

Che idiozia, averlo pensato. Era chiaro che era spuntato alle spalle del falò, non certo dall'interno. Ma da come era arrivato sembrava e pareva che fosse stato sputato, vomitato e rigurgitato fuori direttamente dal centro.

Originato direttamente dal nucleo.

Di sicuro sapeva come organizzare un'entrata ad effetto, quel predone. Ma Zed non sentì di provare la benché minima ammirazione. E non soltanto per via di quello che, a conti fatti, altro non era stato che un banale trucchetto da quattro soldi, da baraccone e di quart'ordine.

No. A suscitargli l'odio e il disprezzo era lo sguardo. Lo sguardo di lui.

Lo sguardo dello sceriffo esprimeva soltanto una cosa.

Pura e semplice disapprovazione.

Lo stava giudicando, con quegli occhi. E condannando.

Non vi erano compassione e commiserazione. A inequivocabile indice che qualunque cosa avesse fatto o deciso di fare...non avrebbe avuto ripensamenti o esitazioni di sorta. Men che meno pietà.

Era sicuro di sé, Nick Wilde. Come e forse anche più della scorsa volta, e del loro precedente combattimento.

Non vi era astio, e nemmeno risentimento. Perché quelli, entrambi quei sentimenti prevedono e includono una certa e cospica dose di senso di inadeguatezza e di inferiorità.

Odi qualcuno perché non puoi essere come lui, e non puoi stare al passo o al livello di chi hai di fronte.

E prima di ogni altra cosa...lo odi perché in fondo, nel fondo del tuo cuore e del tuo animo LO SAI, di non poter essere come lui. E che non lo sarai mai.

No. In quegli occhi color verde dello smeraldo che facevano paio col rosso vivo del suo pelo, che per un quanto malconcio almeno lui era da considerarsi fortunato ad averne e a disporne ancora...vi era dell'altro.

Disapprovazione, come già detto poc'anzi. E disprezzo.

Era lo sguardo di un patrizio messo davanti a un plebeo. Lo stesso sguardo di un nobile puro sia di sangue che di ramo genealogico che di discendenza che si trovava messo davanti per caso o per forza a un poveraccio o a un miserabile.

Costretto, malgrado il suo evidente e malcelato fastidio, a condividere e occupare la stessa e medesima porzione e fetta di terreno e di spazio con uno con cui, nella realtà quotidiana della sua opulenta vita e di tutti i suoi sfarzosi giorni, non avrebbe mai dovuto avere niente a che spartire.

Ed era proprio questo, a farlo arrabbiare.

Era propri questo a far infuriare così tanto Zed.

Perché il boia può anche essere superiore a tutti i villici lì presenti e del circondario, ma ha pur sempre un regnante e un sovrano a cui dover rispondere. E di cui deve eseguire gli ordini.

Perché se no, in caso contrario...il prossimo a finire alla gogna e sotto al patibolo sarà proprio lui, per aver osato contraddirlo e controbatterlo.

E colui che lo stava bloccando, che gli stava davanti...in quel momento era il RE. O quantomeno pensava, credeva e riteneva di essere tale.

Senza alcun dubbio o timore di sorta.

Il bestione trasalì, anche se solo per un brevissimo quanto miserrimo istante.

Era incredibile. Pazzesco. Eppure...eppure stava proprio avvenendo.

No, sul serio. Ma com'era possibile? Come diamine poteva essere?

Eppure era così. Nonostante l'evidente differenza sia di stazza che di altezza che li separava.

Quel dannato...quel maledetto lo stava guardando dall'alto in basso. Proprio come faceva...

Proprio come lo aveva guardato il vecchio, quella volta. L'ultima volta che si erano visti.

Mentre lui, Zed...senza volerlo lo stava guardando nella maniera opposta.

Dal basso verso l'alto. Proprio come aveva guardato quell'idiota del suo vecchio, anche se non se ne era mai accorto e reso conto.

Anche se non aveva mai voluto rendersene conto. Fino ad adesso, almeno. E forse perché non aveva mai voluto accettarlo, in fondo.

Perché sapeva che era così. Sapeva che non poteva essere come lui.

Dall'alto vero il basso.

Lo sguardo di chi si sente superiore.

Proprio lo sguardo che aveva la volpe.

Dal basso verso l'alto.

Lo sguardo di chi, per qualche motivo, per qualunque motivo...si sente inferiore.

Lo sguardo che, indipendentemente dalla ragione o dalla causa che possono spingere, si riserva a chi si teme. E a chi si considera più forte e potente.

Proprio lo sguardo che aveva la pantera.

Il primo, lo sguardo di chi aveva già vinto. Ancor prima di comnciare e di iniziare.

L'altro...lo sguardo di chi aveva e sentiva di aver già perso. Ancor prima di cominciare e di iniziare.

Nick avanzò con estrema e studiata calma, e con passo talmente cadenzato e compassato da risultare quasi innaturale.

Mentre camminava, mosse la mano sinistra e ancora sana vicino all'incendio, arrivando a lambirne le fiamme e il calore.

Stava contraffaccendo e scimmiottando il gesto che Zed aveva compiuto subito dopo aver fatto saltare per aria l'abitazione dei Gardner. Senza conseguenze, per fortuna soprattutto loro.

Sì, esatto. Proprio loro. L'allegra famiglila di Opossum al gran completo. Che in un simile quanto tragico frangente avevano avuto la grandiosa, propizia ed opportuna idea di seguire l'inclinazione a cui era portati per natura e per specie. E di fingersi quindi tutti quanti morti all'unisono, traendolo così in inganno.

Gliel'avevano fatta. L'avevano preso in giro. Almeno quanto adesso il comandante del poco glorioso e niente affatto stimato e beneamato corpo di polizia di Haunted Creek lo stava egualmente predendo per il naso e per i fondelli. In modo e in maniera alquanto lampanti e inequivocabili.

Nick ritirò le dita. Per poi scoprire con terrore che una fiammella gli si era attaccata a un ciuffo di pelucchi situati nei pressi di un polpastrello, facendogli prendere fuoco.

Si ranicchiò e se lo portò accanto e in prossimità delle nere labbra, soffiandovi sopra in fretta e furia come un disperato nel tentativo di spegnerlo il prima che gli fosse possibile. E in modo che non potesse far danni.

Niente che non fosse troppo irreparabile, almeno.

“Fffhhh! FFFFHHHH!!”

Prese a sbuffare come un autentico forsennato, fino a smorzare il tenue ma insidioso fuocherello. E smoise solo quando l'ebbe completamente estinto.

“Oh, mamma” esordì, mentre si rialzava e si ricomponeva davanti ai suoi prossimi quanto sconcertati anniversari. “Chiedo scusa per l'imprevisto e per l'inconveniente, nonché per l'inatteso fuori programma.”

“Tipico del qui presente” continuò, abbozzando un sorriso e senza smettere di sventolare a ripetizione la mano che aveva appena rischiato di far ustionare. “Uno si mette a organizzare le cose così bene e a puntino, senza tralasciare nulla...e poi finisce per crollare miseramente proprio sul finale, quando si dovrebbe arrivare all'apice e al culmine.”

“La storia della mia vita, davvero” commentò in tono fintamente aspro. “Direi che siamo più o meno tutti quanti d'accordo sul discorso della scalogna congenita, ma dove non ci si mette quella...arrivano quelli come me. Che in quanto a sistemi per finirsene e rimanersene immersi nella palta fino al collo, ne dispongono davvero di collaudati e a prova di bomba.”

“E comunque...” aggiunse, “...vogliate permettermi di accogliervi ugualmente e lo stesso come si deve. E come vi meritate.”

“Buonasera a lor signori” fece, con un breve e leggero inchino.

“Cos'é?” Domandò, rimanendo sorpreso e quasi non arrivando a capacitarsi della ragione del loro stupore e delle loro facce attonite. “Cosa sono quei musi lunghi? Che ci siete rimasti male, per caso? Poooveri...dovreste vedervi allo specchio, ragazzi! Beh...voglio che sappiate una cosa, prima di cominciare. Ci tengo a informarvi che non c'é proprio niente o nulla di personale nei vostri confronti, gente. Si tratta solo di VENDETTA, dolcezze. Voi mi avete distrutto un'intera stazione operativa, e quindi ho ritenuto che fosse mio pieno diritto riprendermi quanto mi dovevo. E visto il debito che avevate accumulato...direi che vi potete considerare pure baciati dalla buona sorte.”

“Oh, sì” confermò, anche se più che altro a sé stesso. “Direi che vi é andata pure grassa. Ve la siete cavata con poco.”

A quanto pareva e sembrava non doveva aver ancora rinunciato a pigliargli per scemi e per fessi.

Anzi, a volerla dir tutta e sincera sino in fondo ci stava pure prendendo un gran gusto, a minchionarli a dovere e a regola d'arte. E dire che si era solo all'inizio.

Ma meglio darsi da fare anche in quel senso, che tra poco da ridere non ci sarebbe stato proprio più un accidente.

Di sicuro non per quelli. Ma manco per il cavolo, proprio.

Comunque, com'era ovvio e prevedibile la sgangherata pantomima con cui aveva deciso di uscirsene servì solo a esacerbare i loro animi già oltremodo astiosi e su di giri per loro conto.

E di conseguenza e comera fin troppo ovvio e scontato, a rimediargli e a fargli prendere in pieno un vortice di insulti, improperi e minacce.

Tutta roba che lo lasciò indifferente, però. E che non lo scalfì neppure.

“D – dannato!!”

“Lurida volpe!!”

“Ti scuoieremo vivo per questo, capito? VIVO!!”

“Preparati!!”

“E' opera tua, non é vero?!”

“Arrivaci da solo, caro il mio cervellone” rispose Nick, prendendo in considerazione unicamente quell'ultima frase proveniente dal mucchio di ingiurie di stampo misto. “Mi congratulo per l'acume, in ogni caso.”

Ah! Udite, udite!!” Proclamò. “Abbiamo una mente fine, qui! Davvero un genio, nulla da dire! I miei più sinceri complimenti e congratulazioni!!”

“Razza di tonti che altro non siete!!” Proseguì e inveì a sua volta, cambiando decisamente tono. “Ma chi credete che possa essere stato, secondo voi?!”

“Idiozie e idioti a parte, voglio farvi presente che non ho scelto questo posto a caso” li avvertì. “C'é un motivo, per cui vi ho bloccati qui. L'ho fatto perché dovete sapere che da quato punto in avanti inizia il territorio della cittadina di cui ho e di cui mi é stata affidata sia la gestione che il controllo, e di cui sono tutore e rappresentante della legge e dell'ordine. Se avrete la malaugurata idea di voler proseguire oltre, allora vi ritroverete all'interno della mia giurisdizione. E io non posso assolutamente permettervi di proseguire oltre. Non vi resta che che una sola scelta, e una soltanto. Fare dietro – front e tornarvene da dove siete venuti, lasciando perdere tutte le vostre intenzioni e propositi. Questo é quanto, signori.”

Alle ingiurie si unì una pletora di sghignazzate sguaiate e di cori di derisioni.

“Io vi ho avvisati” gli ribadì Nick. “Il mio dovere l'ho fatto. Non costringetemi a prendere seri provvedimenti, lo dico per voi.”

Le risate aumentarono, insieme alle sonore frasi di scherno.

“Ah, ah, ah!!”

“Ma l'avete sentito, quel che ha detto?!”

“Io non riesco a crederci!!”

“Tutte le botte che ha preso la volta scorsa devono avergli scombinato il cervello, garantito!!”

“Quel poco che già aveva o che gli é rimasto, almeno!!”

“Già! Glielo devono aver spostato da parte a parte, come minimo!!”

“Non ne hai prese ancora abbastanza, ladrone?!”

“Da non credere! Quello scemo osa pure minacciarci!!”

A quel punto si fece largo Zed, che li zittì con un ampio gesto del braccio.

Da lì si diresse direttamente verso Nick, con tutta l'aria e la noncuranza di chi non vede l'ora di sbrigare una fastidiosa quanto noiosissima e ingombrante pratica d'ufficio.

I suoi occhi caddero sul braccio destro della volpe. Quello che giusto per un soffio non gi aveva staccato e trinciato di netto.

Sogghignò.

Doveva essere davvero un idiota senza la benché minima speranza.

Cosa diavolo si era messo in testa di voler fare? Che cosa mai sperava di poter fare, conciato e ridotto a quel modo?

Un corno, ecco cosa.

Ma chi se ne importava, del resto.

Quel tizio aveva davvero deciso di voler abbandonare il suo corpo e di morire lì?

Voleva davvero farla finita? Era davvero così stanco e stufo di vivere, dunque?

Bene. Benissimo. Lo avrebbe accontentato seduta stante.

“Questa te la devo concedere, sbirro” disse con voce sprezzante. “In tutta quanta la mia vita ne ho incrociati, di pazzi. Ma giuro che non ho mai visto uno con così tanta foga di farsi ammazzare come ce l'hai tu.”

“Sul serio” gli rimarcò. “Non ho mai incontrato un tale che ci tensse così tanto, a farsi uccidere da me.”

“Davvero?” rispose Nick. “Beh...grazie. Dovrei forse sentirmi onorato, di questa cosa?”

E poi non disse più nulla. Non emise più neanche un solo fiato in aggiunta.

Ma se la sua bocca era cucita, lo stesso non si poteva dire della sua mente. E dei spuoi pensieri che vi fluttuavano dentro, in tumulto.

 

Te lo giuro, Carotina.

Ho sempre detto che se per un solo istante avessi potuto dismettere i miei panni per mettere indosso quelli di un altro, beh...avrei senz'altro scelto i tuoi. Ma...

Ma ora non credo di esserne più così tanto sicuro, in questo momento.

Giuro che...giuro che per quanto mi possa sforzare non mi ci abituerò mai, a questa parte.

Mai, Carotina. Cascasse il mondo.

Venisse giù il maledetto mondo per intero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Allora?” Gli fece il grosso felino, risultando quasi infastidito dal suo silenzio. “Hai già perso la tua baldanza, forse? La tua strafottenza e la tua spavalderia sono già andate a farsi un giro e a arsi benedire del tutto? Ti si é già seccata la lingua per la paura, stavolta? Forse perché ti puoi già immaginare quel che ti aspetta, dico bene?”

“Considerando che razza di persona ho davanti, nulla di buono” replicò Nick, riprendendo finalmente a parlare. “Vedi...é che ho deciso di non considerarvi affatto. Né te, né i tuoi sgherri. Esattamente come avete fatto voi col sottoscritto, la volta precedente. Per quel che mi riguarda e mi concerne...siete nulla incrociato con niente. Ecco quel che siete. E come tali vi tratterò.”

“Buon per te che la pensi così” commentò lapidario Zed, per nulla impressionato. “Tanto non sono qui per parlare. E questa pagliacciata, indipendentemente dai motivi per cui l'hai piantata in piedi...mi ha già scocciato. Sono già stufo. E non mi intressa assolutamente come tu la possa pensare. Solo...mi chiedo se la penserai così anche dopo. Non posso fare a meno di domandarmi se la penserai uguale e avrai ancora il coraggio di fare tanto lo sbruffone e lo samrgiasso, dopo che ti avrò ridotto le ossa in polvere con le mie stesse zampe.”

“Chi vivrà vedrà, amico. E finché c'é vita, c'é speranza.”

“Ecco. Per l'appunto. Non ci mancavano giusto che queste squallide frasi fatte, che ti potevi benissimo evitare. Potevi benissimo farne a meno perché in quanto alla tua, di vita...non te n'é rimasta molta, te lo posso assicurare. Ormai é agli sgoccioli.”

“A...agli sgoccioli, dici? Questo é quel che pensi tu. Chi lo sa, cosa potrà accadere tra un attimo.”

“Accadrà quello che sanno già tutti, ecco cosa. La tua sorte é segnata già dalla volta scorsa. Hai perso. E la tua vita é finita nel momento stesso in cui mi sei ricomparso davanti.”

“E quel che vedremo.”

“Ti ho appena detto che non c'é proprio un bel niente da vedere, invece. E comunque...non sei stato ai patti. Dovevamo riaffrontarci nel piazzale del tuo insulso paesino, non qui.”

“No, bello. Mi spiace. Quello é l'accordo che hai preso col mio compare. Non con me. Io non c'entro nulla, con le vostre beghe e faccende private. E non sono qui per combattere, ma per fare il mio lavoro. E cioé di tenerti alla larga dalla mia contea.”

“Già...il tuo compare” disse Zed, guradandosi attorno. “Ora che ci penso...non vedo né lui, né quella femmina. Chissà dove si sono nascosti. O magari sono fuggiti e hanno deciso di piantarti qui da solo.”

“Come mai ti interessa tanto?” Gli chiese Nick, fingendo curiosità. “Non ti basta la mia compagnia, forse?”

“Se credi che il tuo sacrificio possa bastare a salvar loro la vita, ti sbagli di grosso” sentenziò la pantera. “Dopo che avrò terminato con te, mi metterò sulle loro tracce. E li troverò, stanne certo. Non esiste posto al mondo che possa tenerli al sicuro e al riparo da me. E dopo di loro...toccherà anche al resto di quei morti di fame che infestano quell'ammasso di luride baracche, come tanti parassiti. Gli farò fare la fine che meritano. Li calpesterò tutti come gli schifosi scarafaggi che sono.”

“L'avevo immaginato” disse Nick, emettendo un sospiro. “Ed é proprio per questo che non posso farti avanzare di un solo passo, mi spiace. Scordatelo. Te lo puoi levare dalla testa, mi hai sentito?”

Ma Zed non sembrava aver udito, intanto che riprendeva ad avanzare.

Percorse alcuni passi, salvo poi fermarsi di nuovo.

“Tu...hai pianto, non é vero? Hai appena finito di piangere.”

Nick quasi assunse una smorfia contrariata, a quell'improvvisa affermazione.

Gli sgherri di Zed risero di nuovo.

“Ah, ah, ah!!”

“Razza di femminuccia!!”

“Codardo!!”

“Affronta la morte come si deve, razza di vigliacco!!”

Evidentemente, qualche traccia di lacrime doveva essergli seccata e rimasta sulle gote e sugli zigomi. E l'altro se n'era accorto.

“Tanto é inutile” dichiarò la pantera. “Inutile, inutile, inutile, inutile, inutile, inutile, inutile, inutile, inutile. Assolutamente inutile. Non ti servirà a nulla. E non mi commuovi. L'ho detto anche a quell'insulsa femmina, la scorsa volta. Nessuno può smuovermi a pietà o a compassione. In battaglia non c'é spazio per certe cose. Inoltre, la sofferenza non va mai sprecata in questo modo. Non ha alcun senso, se non la si infligge e si accompagna con una giusta e sana dose di dolore fisico.”

“Ti basti sapere questo” tagliò corto Nick. “Di sicuro non l'ho fatto per te. Anche perché non credo che nessuno verserà mai una sola lacrima per un essere immondo come te. Men che meno per un'anima sozza e lercia come la tua.”

“Io per primo” ritenne doveroso puntualizzare. “Puoi mettermi pure in cima alla lista del tuo club di odiatori, tranquillo.”

Zed ridacchiò.

“Uh, uh, uh...é proprio come pensavo. Mi ricordi proprio un vecchio, patetico idiota che odiavo e che disprezzavo con tutte le mie forze. Con ogni fibra e molecola del mio corpo.”

Nick, complice il fatto che il buon vecchio Finn aveva provveduto a raccontargli tutta quanta la storia e i retroscena della loro faida famigliare, e con dovizia di particolari, capì al volo a chi si stava riferendo.

A suo padre, ovvio. A Cyrus. Ma ritenne opportuno e doveroso non aggiungere ulteriori approfondimenti e dettagli a riguardo, rimanendo unicamente ad ascoltare.

Avrebbe potuto rischiare di tradire qualcosa sul conto e a proposito del suo amico e mentore, specie sulla sua reale identità. E sui rapporti che aveva col suo passato ormai remoto anzi, con un passato che riguardava ambedue.

Cose di cui il bestione pareva non essersi ancora accorto e reso conto. E in entrambi i casi.

Beh, da lui non avrebbe saputo nulla. Neanche una virgola.

Acqua in bocca pienamente muta e cucita, dal canto suo. Perché non voleva né ci teneva certo a volerlo mettere nei guai per colpa sua e della sua linguaccia potenzialmente spifferona, visto tutto l'aiuto che gli aveva dato e che gli stava dando e fornendo tuttora.

Non più di quanto lo fosse già, almeno.

“Sei proprio come quel vecchio idiota” gli ripeté Zed, seppur con parole diverse e differenti ma di stesso significato. “Uguale e identico. Pensate di essere tanto bravi e in gamba, non é forse così? Vi credete degli eroi, ma mi fate solo ridere. Proprio come mi facevano ridere quegli eroi che vedevo nei vecchi film di una volta, che trasmettevano sui televisori in bianco e nero di tanto tempo fa Quelli col tubo catodico e la scatola di finto legno col bordo e il rivestimento in bachelite.”

“Credete che la vita sia come un film” ribadì. “Vi immaginate sempre lo stesso, identico e scontato quanto ridicolo e improbabile finale. Volete essere come in quei vetusti film western. Proprio come John Wayne che se ne va via al tramonto in compagnia di Grace Kelly.”

“Era Gary Cooper, idiota” lo redarguì bruscamente Nick.

“Sono le tue ultime parole?” Gli fece Zed.

“No” aggiunse Nick. “Ne ho ancora una. Anzi, cinque. No...sei, per la precisione. Pure bestia e ignorante che non sei altro.”

“A onore del vero...erano otto.” Si corresse.

“Mph. Che testamento stupido, il tuo. Proprio un bel testamento idiota, prima di morire. Potevi fare di meglio.”

Riprese ad avanzare. E questa con l'intenzione di non fermarsi proprio più. Per alcun motivo.

“Fermo” lo ammonì Nick. “Non muovere un solo passo in più. Questo é il mio ultimo avvertimento. Poi...sarà peggio per te.”

Zed neanche si prese la briga di rispondergli, mentre copriva a passo spedito e inesorabile gli utlimi metri che li distanziavano e separavano.

“L'hai voluto tu.”

A questa frase fece seguito una scena completamente senza senso.

Ai limiti del comico, si sarebbe potuto dire. Del paradossale e del surreale.

Nick pose la mano sinistra all'altezza della cintola, poi la alzò insieme al braccio.

Simulando una gran fatica, come se stesse davvero estraendo da una fondina invisibile un'altrettanto inesistente arma.

Enorme e voluminosa, a giudicare dallo sforzo. E di grosso calibro, per giunta.

In realtà aveva esteso sia il dito indice che il medio, mettendoli in orizzontale e paralleli al terreno. E puntandoli in direzione di Zed.

Come se fossero una bocca di fuoco. La canna di un'immaginaria pistola.

Chiuse l''occhio opposto alla mano per meglio focalizzare la vista sull'incombente bersaglio.

Poi mirò vicino alla testa. E in ultimo sparò.

Con la fantasia, naturalmente.

“Bang” disse, semplicemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Nel mio caso...si procede, dai.

E' arrivata ormai la primavera. E l'inverno, a parte qualche raro colpo di coda, é ormai alle spalle anche stavolta.

L'inverno, già. Col suo carico di tristezze e pensieri foschi.

E' una stagione che amo ugualmente, comunque, anche se in genere per via dei miei acciacchi nel corso degli ultimi anni ho cominciato a preferire i periodi caldi.

Certo, potrebbe piovere un po' di più. Che ormai, dal punto di vista del clima, qui si é rovesciato tutto.

Nevica in Sicilia e abbiamo la siccità in Lombardia.

Beh, come dico sempre io...un po' per uno, gente. In fin dei conti fino ad ora é andata sempre bene a noi.

Cercheremo di farci dare qualche dritta su come cavarcela. Anche se un buon punto di partenza sarebbe di cominciare a non sprecarla.

L'acqua, dico. Perché nonostante l'emergenza, milioni di metri cubi continuano a essere buttati con noncuranza.

E' un bene prezioso. Iniziamo a capirlo, o faremo ben presto la fine di quelli che vivono o meglio, sopravvivono nel mondo del nostro Ken.

Pronti ad ammazzarsi l'un l'altro per una misera tanica, dato che lì vale più della vita di un uomo.

Vogliamo davvero arrivare a questo, gente?

Comunque, tornando a prima...decisamente meglio la primavera.

Meno umidità, meno dolori. Ragiono proprio come un vecchio...

Anche l'inverno ha una sua bellezza recondita, per carità. Ma il buio e il freddo ispirano tristezza, e come vi dicevo la volta scorsa non sono reduce da un grande periodo.

Adesso piano piano le cose si stanno risistemando, anche grazie al mio aiuto e sostegno.

Non c'é niente da fare. Il mondo intero, la vita stessa corrono a una velocità pazzesca, e a momenti non ci lasciano nemmeno il tempo di piangere i nostri morti.

Per parafrasare una nota canzone...svaniranno dalla nostra mente piena, e alla fine non rimaranno soltanto che un'impressione, che ricorderemo appena.

Forse sarà poco, forse non sarà abbastanza, ma quando proprio non si riesce a fare di meglio teniamoci almeno stretta qualla piccola sensazione.

E' la prova che loro sono ancora qui. Con noi. Che ci sono ancora.

Alla fine non chiedono molto. Vogliono solo che ci si pensi, qualche volta. E che ogni tanto ci si ricordi di loro.

Niente di più.

Ma cambiamo decisamente argomento, adesso.

Riguardo al mio romanzo originale...E' STATO REGISTRATO!!

Ci tengo ad annunciarvi che la registrazione presso il deposito delle opere inedite é andata a buon fine.

Sono riuscito a raggranellare il gruzzoletto necessario a spedirlo, e per fortuna é andato tutto bene.

Ora non resta che la ricerca di un editore. Che prevedo come lunga, faticosa e affannosa.

Sì perché, entusiasmo a parte, non siamo che all'inizio. La strada é tortuosa.

Ho lanciato una palla di neve nell'inferno. Vedremo che ne verrà fuori.

Con l'anno nuovo ho anche ricominciato, come avevo già accennato ad alcuni di voi, con una mia vecchia e antica quanto mai sopita passione.

Gli sport da combattimento.

Putroppo non posso tornare a praticare la mia amata thai – boxe, perché al momento ho le gambe davvero troppo malmesse per poter tirare calci e ginocchiate.

Ma con un paio di scarpe posso correre e saltellarci sopra.

E' abbastanza, per ora. E' sufficiente.

Quindi...ho deciso di ripartire dal pugilato.

Dalla boxe. Dalle basi, come diceva il grande Apollo Creed.

Ho trovato una piccola palestra piuttosto spartana, dalle mie parti.

Pochi atleti, e un istruttore dannatamente in gamba.

Ma soprattutto...un enorme murales del nostro amato Joe all'ingresso.

Sì. Joe. Proprio lui. Se non é un segno del destino questo...

Pazzesco. Davvero. Anni fa una roba simile era impensabile.

Gli anime e i manga hanno sfondato, gente. Ormai non solo li trovi dappertutto, anche nei supermercati.

Sono entrati di prepotenza nell'abbigliamento, nella moda, nell'arredamento.

Forse non arriveremo mai ad avere un quartiere commerciale come Akihabara qui in centro a Milano, ma...chissà.

Tra una trentina d'anni forse sì.

Mi ci vedo, da pensionato, girare per i negozi alti otto piani strapieni di appassionati che leggono e comprano fumetti e videogames, invece di finirmene a guardare i cantieri come un anonimo “umarell” qualunque.

Del resto, dopo che hanno piazzato una statua gigante di Goldrake a Riyadh (e pare che ne faranno pure una a Torino)...tutto é diventato possibile.

Si stanno realizzando i nostri sogni, finalmente.

E' una meraviglia poter parlare sul laoro coi colleghi più giovani di cartoni animati.

Loro mi consigliano L'Attacco dei Giganti, Demon Slayer (bello), Made in Abyss (stra – bello. Meraviglioso, direi), Naruto, Dragonball (Super, però), One Piece, One Punch Man, Chainsaw Man...io gli consiglio Ken, i Cavalieri, Rocky Joe, L'Uomo Tigre, Cowboy Bebop, Forza Sugar, i robottoni, Holly e Benji, Dragonball (quello vecchio, compreso lo Z)...

Che comunque conoscono, come personaggi. Anche se alle volte solo per sentito dire.

Li considerano leggende. Al grido di “Ohé! Ma sai che una volta facevano dei cartoni della Madonna, in televisione!!”

E giù a recuperarli, anche grazie ai consigli di noi fan di vecchia data. Che tanto oggi grazie alla rete é un attimo.

Mica come noi, che dovevamo aspettare le repliche!!

Non so voi, ma io alla loro età di queste cose potevo parlarne solo con la mia ristrettissima cerchia di amici uniti dalla mia stessa passione.

Se solo osavi tirarle in ballo in mezzo al resto delle altre persone venivi considerato un CRETINO, punto.

E non solo dai tuoi coetanei, aggiungo.

Comunque, riguardo al maestro di boxe lo sapevo. Gli insegnanti migliori li trovi proprio nei posti a cui non daresti due lire.

Danpei Tange non é solo un'invenzione di fantasia.

E' dura, eh. Anche perché il maestro in questione mi ha messo in guardia già da subito.

Anche se lì dentro sono quello più avanti con gli anni, sono l'ultimo arrivato.

Praticamente una recluta, ragazzi. E in quanto tale...trattamento da recluta.

Niente sconti.

Ho terminato le prime lezioni che quasi piangevo per il male, con la schiena che sembrava sul punto di spezzarsi in due da un momento all'altro.

Mi veniva da imploragli di darmi un attimo di tregua, che di questo passo mi rompevo.

Ma se c'é una cosa che gli anime da sempre ci insegnano é che, una volta superato il momento di crisi, ti rialzi e vai avanti. E cresci.

Ed é stato un enorme piacer scoprire che non ho divuto ripartire proprio da zero, per fortuna.

E' stato come ritrovare un vecchio amico. Una parte di me stesso che pensavo di aver dimenticato per sempre.

Ma non era morta, no. Solo sepolta sotto anni e chili di problemi, routine, impegni, lavoro, famiglia, menate, responsabilità e, come amo dire sempre io...cazzi e mazzi vari e assortiti.

Ma c'era ancora. Ho solo dovuto levarle la ruggine di dosso.

Come diceva una altro grande, ovvero Rocky Balboa nel suo ultimo film da solista prima di confluire nella saga parallela di Adonis “Donnie” Creed...

La bestia é ancora lì dentro che scalpita. E ora é felice di aver riottenuto quello spazio che per più di dieci anni, per cause di forza maggiore, le aveo dovuto negare.

Mia figlia, che pratica Karate, é felicissima. Anche se un giorno mi vorrebbe tanto lì a fare Karate con lei.

Un giorno, senz'altro. Non oggi. Lei ha la sua strada, da seguire. E non voglio interferire.

La mia dolce metà é contenta, vuole solo che stia attento e che non faccia sciocchezze.

Ma lei per prima ci teneva.

Sa. Conosce quel lato di me che non si é mai lasciato soffocare.

Sa che ne avevo bisogno. E me lo ha concesso.

Perché mi conosce, e sa come sono fatto.

Se lei non é d'accordo, se sento che non é d'accordo con ciò che faccio...non ci posso riuscire.

Mi serve il suo “Win, Rocky. Win!!”

E' la mia Adriana. Ho bisogno di sentire il suo “Devi fare una cosa per me...VINCI!!”

E' merito suo se scrivo, dopotutto.

E a proposito...come potete vedere, in ambito fanfiction il lavoro va avanti, se pur a fatica.

E visto che si parlava di nuove produzioni...di recente mi sono intrippato con MY HERO ACADEMIA.

Ha un sacco di bei personaggi, con bei poteri e ben caratterizzati (Il mio preferito o meglio, la mia preferita? Beh. Tsuyu. Forse bruttina, ma simpatica. E ha un cuore d'oro. E' un'amica sincera, e forse per colui che considera suo miglior amico nutre anche qualcosa di più...ma sa che nel suo cuore c'é un'altra, e lo accetta), un protagonista un po' insulso.

No, scusate. PARECCHIO INSULSO, perché é un tale complessato che Shinji Hikari levati ma levati proprio. Ma con cui é impossibile non empatizzare.

Perché come da tradizione inaugurata da mitici personaggi come Rei, Shu o Shiryu...Izuku, il protagonista, soffre pur di realizzare ciò in cui crede.

Ma proprio tanto.

Soffre un casino. E subisce dolori indicibili.

Ha un sogno, purtroppo impossibile da realizzare perché l'unica cosa che gli servirebbe per realizzarlo la natura gliel'ha negata. Ma un tizio lo conosce, e decide di dargli quella possibilità.

Ma c'é un MA. Proprio come nelle fiabe col finale triste.

Vuoi una cosa? Puoi averla e io posso dartela, se davvero la vuoi. Ma sappi che il prezzo da pagare é altissimo. E non é detto che tu ne sia in grado, di pagarlo.

Ottiene quel che gli serve. Ma il suo corpo é nato senza le capacità di reggere quel dono, non é strutturato per sopportarlo.

Ogni volta che usa quel potere, le ossa e i muscoli gli fanno in frantumi. E si riempie di ferite da capo a piedi. E ogni volta guarire e rimettersi in sesto diventa sempre più difficile.

Dicevamo del tizio che gli ha concesso quel dono.

All – Might.

Il suo maestro e mentore. Un personaggio pazzesco, che una volta era un uomo normale senza poteri esattamente come Izuku.

Combatte da anni contro i cattivi e i super – criminali, e a furia di usare il potere che ha dato al protagonista si é ridotto a un vecchio pelle e ossa che si regge in piedi a stento.

Quado usa il potere il One – For – All, di colpo diventa una sorta di Superman muscolosissimo e potentissimo. Ma ormai può reggere la trasformazione per meno di un'ora al giorno.

Ma é popolarissimo presso la gente. É il simbolo della pace e della giustizia, finché c'é lui le persone si sentono protette e al sicuro. E i cattivi stanno alla larga.

Vedendo lui, Izuku capisce come si ridurrà in futuro.

Il One – For – All é una fiaccola. Non deve mai spegnersi, affinché il bene continui a esistere.

Per questo, a ogni generazione, deve venire trasmessa a un prescelto.

Però ti consuma. Ti consuma fino in fondo.

Ne vale la pena? Sì. Perché All – Might é dotato di un'umanità straordinaria.

Non a caso il suo autore ha sempre dichiarato di essersi ispirato a Goku.

Di nuovo quel discorso dell'altra volta sul fatto che molti manga odierni sono prevalentemente derivativi.

Ma non importa. E' pur sempre la stessa storia, quella che ci raccontano? Pazienza.

Se me la sai raccontare bene, ti ascolto.

Oggi conta soprattutto questo. Una bella storia da sentire. Chi se ne frega se l'ho già sentita centinaia di volte.

E ha ragione. All – Might, come Goku, ha la capacità di affrontare un tremendo destino come il suo con un semplice sorriso.

Alle volte non puoi fare altro. Sorridi, e vai avanti.

Mi sta piacendo. Molto. E vorrei scriverci qualcosa.

Vedremo.

Ma ora veniamo al capitolo.

Premetto che inizialmente volevo sistemare le cose tra Nick e Zed in un unico episodio, ma poi sarebbe venuto fuori fin troppo lungo.

Quindi ho chiuso su una scena apparentemente assurda, ma che in realtà...ha il suo perché.

Solo, non aspettatevi un confronto lunghissimo e drammatico come il precedente, che tra l'inseguimento in macchina e il duello ha portato via più di una decina di capitoli, se la memoria non m'inganna.

Nel prossimo si concluderà già tutto, almeno dal punto di vista dello scontro tra i due.

E non perché sia meno intenso, tutt'altro.

Il fatto é che al momento é cambiato totalmente l'approccio da parte del protagonista, almeno in quest'occasione.

Il nostro Nick é freddo, lucido, razionale e determinato come non mai. Come non lo si vedeva da un mucchio di tempo.

Però io lo vedo anche stanco, cinico, disilluso e parecchio incazzato.

Non si é ancora ripreso e stabilito del tutto. Non ne può più, e intimamente sente di non aver più un solo istante da perdere.

Vuole chiuderla e farla finita, e nel giro del più breve tempo possibile.

Perciò...diciamo che il boccone più gustoso me lo sono tenuto per il prossimo capitolo.

Vedremo se vi piacerà.

E ora passiamo all'angolo della colonna sonora.

Nel momento in cui Zed comincia ad avvicinarsi sempre più a Nick, direi che ci stanno a meraviglia un paio di brani tirati fuori da due film western che personalmente adoro.

Due capolavori del grandissimo SERGIO LEONE, e quindi...le musiche non possono essere che di quel monumento alla musica e alle colonne sonore nostrane e mondiali che corrisponde al nome del leggendario ENNIO MORRICONE (che Dio l'abbia in gloria).

Mi riferisco ai due brani, in particolare.

Due sinfonie definite “deguellos”, anche se l'attribuzione temo sia errata, perché a parer mio sia tratta di tutto un altro genere di sonorità.

Due pezzi che accompagnano due scontri e due rese dei conti a dir poco memorabili, che sono entrate a pieno diritto nella storia del cinema.

Il primo é il duello finale tra L'Indio (Gian Maria Volonté), il Monco (Clint Eastwood) e il colonnello Mortimer (Lee Van Cleef) in PER QUALCHE DOLLARO IN PIU'.

Il secondo, invece, accompagna il duello (sempre finale) tra Joe il Biondo (di nuovo Clint Eastwoood), Tuco Ramirez (Eli Wallach) e un altro colonnello, lo spietato e bastardissimo Sentenza (ancora Lee Van Cleef, questa volta nei panni del malvagio di turno) ne IL BUONO, IL BRUTTO E IL CATTIVO.

Ditemi che ne pensate. Ma indipendentemente dal vostro giudizio...fatemi un piacere e fatelo anche a voi stessi, già che ci siete.

Ascoltateli, vi prego. Che il tempo a sentire dell'ottima musica non é mai sprecato.

Prima di chiudere, il consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Devilangel476, Sir Joseph Conrard e a RyodaUshitoraIT per le recensioni all'ultimo capitolo.

Lo scorso Dicembre...una vita fa, gente.

E una grazie alla new entry (sono sempre graditissime, e mi rendono oltremodo felice) AkariRastio, che ha scoperto e iniziato il mio racconto. E per le due recensioni che mi ha inviato ai capitoli 13 e 32. A cui presto risponderò.

Aggiungo solo una cosa per Joseph.

CI SIAMO. E non ti dico altro.

Dal prossimo arriva. E sai bene di chi parlo.

Dobbiamo ancora definire un dettaglio (comunque ne approfitto per dirti che é ok, ci aggiungo pure questo), comunque ho ancora un po' di tempo prima di arrivare a quel pezzo, quindi ci sentiremo con tutta calma tramite MP per chiarire le ultimissime cose rimaste in sospeso.

Ma quel che più conta...é che dal prossimo ENTRA IN SCENA LUI.

Lui chi?

Vedrete.

Come di consueto...un grazie anche a chi leggerà la storia e se la sentirà di inviare un parere.

Bene, direi che é tutto.

Grazie ancora di tutto e...alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

   
 
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