Nuovo
narratore, vecchia linea temporale. Il prossimo aggiornamento non
arriverà così
presto.
Lascio qui il link della pagina di A3O su cui ho postato alcuni
disegni: https://archiveofourown.org/works/43797621/chapters/116046700
Ioren
I
28
anni dalla Dissoluzione della Faglia
Mio
carissimo principe amico Bjorn
Ho
interessanti notizie da comunicarti
Devo
dirti cose importanti
Ho
da dirti davvero
Sono
arrabbiato con te per la posizione in cui mi hai messo
Sono
arrabbiato con tuo zio Rasmos
Vorrei
che tu fossi qui, così non dovrei fare la spia e
sono sicuro che
apprezzeresti Kerch meglio di quanto faccia io
Mi
manchi
Sento
la tua mancanza
Ho
sempre pensato che non avrei mai sentito la mancanza che provo pensando
a te
rivolta a qualcun altro
Molte
nuove da Ketterdam
Ioren
si era arreso; aveva provato a scrivere quella
lettera infinite volte e continuava a cancellare ripetutamente le
iscrizioni,
infinite ed infinite volte.
Trovava quasi fastidioso scrivere quelle lettere, fisicamente.
Aveva accartocciato i fogli per l’ennesima volta, prima di
allungare una mano
per bersi un mezzo bicchierino di vino ai lamponi.
Una figura sottile si era avvicinato a lui, una ragazzina vestita da
uomo, con
i capelli lunghi fino alla schiena e l’incarnato scuro. “Sera, Ioren,
senza le guardie?” aveva
chiesto subito lei, facendo strisciare la sedia per accomodarsi accanto
a lui.
“’Sera, Bridgit. Guardie, per me?” aveva
domandato retorico.
“Be, tra me e te, non sono io figlia di un qualche conte e
ambasciatore” aveva
considerato Bridget, facendo oscillare i capelli castano sabbioso,
“Sono il
quinto figlio di un margravio minore e vivo solo
all’ambasciata” aveva
replicato Ioren, continuava a ripetere quella frase infinite ed
infinite volte,
ma la gente sembrava sempre diffidente nel crederci.
Ovviamente a Kerch esisteva un ambasciata e la sua corte, esisteva
anche una
rete di spie fenomenale, ma Ioren non era tra questi. Era solo un
ragazzo
particolarmente dotato nelle materie umanistiche che si era allontanato
dal
clima freddissimo di Fjerda, dall’educazione Avfalle e da
Bjorn.
Quell’ultima era colpa di suo fratello Styborn.
“A chi scrivevi?” aveva chiesto Bridgit, mentre lui
si occupava di nascondere
tutte le cartacce nella sua cartella. “Ad un mio amico, un
prete. Vuoi della
grappa ai lamponi?” aveva domandato.
“Qui al Barile? No, ci tengo a tornare a casa con tutto
quello che ho addosso”
aveva considerato quella, con una risata frizzante.
Ioren aveva sorriso alla fine, “Comprensibile”
aveva considerato.
Aveva conosciuto Bridget all’università, era una
giovane nelle campagne, con
una mente estremamente portata alla matematica, venuta a Ketterdam
– come Ioren
– per l’università.
La prima settimana l’avevano completamente derubata ed era
rimasta con solo il
suo appartamento provvisorio, pagato per due settimane grazie
all’anticipo.
Ketterdam divorava ed inghiottiva gli ingenui ed erano pochi quelli che
riuscivano a riemergere. I
Kerchiani
erano fatti così, ogni loro giorno si divideva tra Morte
e Successo.
Una parte di Ioren era assolutamente intrigato da questo, ma allo
stesso tempo,
ne era disgustato, d’altronde: lui era un fjerdiano, era
stato educato in un certo
modo … così aveva offerto il suo aiuto a Bridgit,
quando l’aveva vista piangere
in biblioteca.
Una
cameriera aveva portato loro due piatti di carne
di maiale speziato. Bridget aveva guardo la carne con espressione
critica, “Non
potevamo andare al Caffè?” aveva domandato lei
alla fine.
Il Caffè era un locale, nella zona universitaria, dove si
riversavano tutti gli
studenti. Era sempre ghermito di persone, di loro, ed era il luogo dove
loro si
riunivano sempre. La Compagnia.
“Non mi andava” aveva risposto frustrato Ioren. Era
sicuro che Jordie e Dominik
fossero lì, probabilmente in compagnia di Magnus, a brindare
su come il giovane
principe di Ravka avesse affascinato e sedotto la giovane ereditiera
zemeni.
Ed il pensiero lo disturbava ed arrabbiava. “Hai
un’espressione tristissima,
sembri una patata in un hutspot” aveva
commentato Bridgit. Ioren aveva
sorriso verso di lei, con una certa stanchezza, “Mi sento
anche così” aveva
ammesso, “Mi manca casa” aveva aggiunto.
La ragazza aveva inclinato il capo, facendo scintillare i ricci
sabbiosi,
“Davvero? Così improvvisamente?” aveva
domandato lei.
Ioren non aveva perso il suo sorriso, per quanto fosse consapevole che
la luce
della gioia non avrebbe raggiunto gli occhi, “Mi manca sempre
casa, ora
un po’ di più” aveva ammesso.
Non gli mancava casa, forse, non era né
una menzogna né la verità.
Sentiva la mancanza di sua madre ed i suoi involtini di verza, di suo
padre e
le sue maniere fredde, i suoi fratelli con tutti i loro difetti e,
Djel, a
Ioren mancava Bjorn e le loro battute stupide, durante il seminario.
Ioren aveva trovato così crudele quando Reidar –
il maggiore dei suoi fratelli –
li aveva allontanati ed aveva messo tra di loro il Mare Vero.
Fjerda poteva essere rifiorita sotto il suo Re, ma era ancora lontana
…
“Ti capisco, anche a me, manca tantissimo la mia casa! Specie
i campi, come era
è bello camminare, tra le spighe di grano al tramonto,
respirando aria pura”
aveva dichiarato con divertimento lei, “Questa
città fa schifo” aveva aggiunto.
Ioren le aveva dato ragione. “Vengo dall’Avefall, a
nord, terribilmente a nord.
Da casa mia, si vede l’aurora” le aveva detto.
Gli occhi verdi di Bridgit si erano illuminati, non doveva mai
averglielo
detto, ma sembrava davvero, davvero, colpita dalla sua confessione.
Prima che lui potesse riuscire a descrivere meglio, qualcosa aveva
attirato la
sua attenzione: Jordie.
Jordie con la sua andatura svelta ma silenziosa, come una lince,
vestito
interamente di nero. Alle sue spalle c’era una giovane donna.
Ioren aveva sollevato la mano per salutarlo; Bridgit si era voltato
verso i
nuovi venuti con incredibile interessa, “Oh, quella non
è decisamente il
principino” aveva scherzato lei, osservando la ragazza con
interesse.
Jordie aveva ricambiato il saluto, la donna aveva guardato verso di
loro e
Ioren aveva sentito un brivido lungo la schiena. La sconosciuta aveva
degli
occhi azzurri privi di espressione, quasi morti, poi la ragazza aveva
alzato la
mano per salutarli ed aveva sorriso, appena.
Il suo amico aveva sospirato e poi aveva marciato verso di loro,
guidandola.
“Loro sono due miei compagni
d’università: Ioren, Bree” aveva detto
svogliatamente, “Lei è Drina, una vecchia
amica” aveva spiegato.
“Obbligata” aveva risposto
Drina, aveva un accento ravkiano pesante, che
si sentiva anche in quell’unica parola. Ioren come il bravo
fjerdiano che era
aveva preso la mano di lei e ne aveva baciato le nocche
rispettosamente, “Con
me non fai mai così” si era lamentata Bridgit, con
un tono giocoso nella voce.
“Puoi restare con loro, mentre io, sbrigo
un’incombenza” aveva detto Jordie,
sistemato il capello, con la piuma di corvo meglio sulla visiera. Drina
aveva
annuito, spostando una sedia e accomodandosi.
“Sei di Ravka, giusto?” aveva indagato subito
Bridgit.
Drina doveva avere qualche anno più di loro, un viso ovale,
pallido come la
neve, capelli scuri come il legno bruciato, da cui scendevano ciuffi
incerti
sulla fronte tonda ed occhi blu come le acque gelide del mare del nord.
Ioren
non era particolarmente patito delle bellezze femminili, tra la ragazza
e
Jordie – con la sua pelle di zucchero cotto e gli occhi neri
come quelli di un demjin
– sapeva esattamente chi avrebbe scelto per un giro in
gondola, ma Drina era
gradevole, anche se immaginava dovesse avere altre doti che un aspetto
grazioso
per attirare il suo amico.
“Da” aveva risposto Drina,
tranquilla. “Come hai conosciuto il nostro
Jordan?” aveva chiesto interessata Bridgit, non era mai stata
particolarmente
brava a farsi gli affari propri, curiosa come una gatta. “Sua
madre salva le
povere anime vendute come schiave e mio padre gestisce un orfanotrofio,
un
luogo dove spesso finiscono bambini che non hanno più
nessuno” aveva spiegato
candida la ragazza, passando il pollice sul bottone della manica della
camicetta bianca. “Ammiro moltissimo il capitano Ghafa, non
potevo crederci
quando ho scoperto che Jordie era il figlio” aveva detto
ammirata Bridgit.
“Siete compagni di studi?” aveva indagato Drina,
continuando a passare il
pollice sulla manica della camicia bianca,
“Sì-e-no” aveva risposto Ioren,
“Io frequento
alcuni corsi con un amico in comune, Magnus Dyk conosce?”
aveva risposto Bridgit,
“Sì – conosco meglio sua
madre” aveva
risposto Drina, “Sì, ecco … io
conoscevo Magnus e Magnus mi ha presentato
Jordie” aveva spiegato calmo. La ragazza aveva annuito,
voltano poi il capo
verso Ioren, con gli occhi blu quasi scintillanti di vita,
“Tu?” aveva chiesto,
“Ho conosciuto Bridgit la prima settimana” aveva
risposto, mentre la sua amica
si lanciava proprio nel racconto del loro incontro in biblioteca dopo
il suo
sfortunato ingresso a Ketterdam.
Ioren aveva deciso fosse meglio omettere che aveva conosciuto Dominik,
per
conto suo – sembrava strano, sporco, dirlo ad una ravkiana.
Jordie
era riapparso, indossava ancora la giacca scura
ed il cappello con la punta di corvo, che lo faceva assomigliare quasi
ad un
membro di una banda di criminali del Barile, che ad un rispettabile
studente
dell’università, figlio di un’eroina
popolare e figlioccio del più ricco
mercante di Ketterdam.
Non era venuto da solo, alle sue spalle, bella come una mattina di
autunno, il
Capitano Inej Ghafa lo seguiva.
Ioren non aveva sentito avesse approdato a Kerch, non che la donna
usasse
pubblicizzarlo, a Ravka, Novyi Zem ed alcuni porti di Fjerda, il suo
arrivo era
visto come una benedizione, non godeva della stessa
popolarità in altri porti,
però tornava sempre a Ketterdam.
Drina si era alzata dalla sedia per andare verso il Capitano Ghafa. Era
più
alta della donna Suli, anche se non di molto, con spalle, torace e
busto più
spesso.
Ma questo a Ioren piaceva, dava una strada idea che una creatura
dall’aspetto
così piccolo, dall’impressione di potersi libare
nell’aria come una farfalla,
come il Capitano Ghafa potesse incutere così tanto terrore
negli occhi e nei
cuori dei marci.
Jordie le somigliava, con l’incarnato di un tono appena
più tenue, il sorriso
dolce ed il cuore fiero.
Drina aveva chinato il capo davanti al Capitano Ghafa come se davanti
ai suoi
occhi ci fosse stata la regina drago
di
Ravka, in persona. La donna più adulta le aveva preso le
spalle facendola
ritornare dritta e l’aveva poi stretta con un abbraccio
deciso, ma informale.
Jordie era rimasto poco distante, passando il peso da un piede ad un
altro.
“Ghezen, stiamo assistendo ad una vera magia” aveva
ghignato Bridgit, “Jordie
Ghafa si è infatuato” aveva considerato lei.
Ioren aveva osservato la postura del suo amico, incerta, con una certa
perplessità. Aveva notato che giovani fanciulle fossero
rimaste interessate al
suo amico, durante l’anno che avevano spesso
nell’università. Jordie era bello,
era intelligente ed aveva un cognome evocativo, era perciò
naturale, ma il
ragazzo non aveva mai provato il minimo interesse per nulla e per
nessuno.
A Jordie interessava solo una cosa: smontare le cose.
Tanto quanto a Dominik piaceva montarle.
Perciò passavano tanto in tempo insieme. “Dobbiamo
fare squadra: due ragazzi
con sangue suli, a Kerch, con madri con cognomi importanti”
aveva detto
Dominik, un giorno, avvolgendo il braccio attorno alle spalle di Jordie.
Ioren con loro stava un po’ come le rape con la marmellata di
ciliege.
“Io devo tornare all’ambasciata, o rischiamo di
ritrovarci qualche druskelle a
spasso per Kerch ed un incidente diplomatico” aveva detto,
frugando nella borsa
dell’accademia per estrarre il sacchetto dove teneva le
monete, “Lo aveva detto”
aveva scherzato Bridgit senza perdere verse, lui aveva posato delle
Kruge sul
tavolo, “Offro io” le aveva detto, “Fatti
anche un giro alla ruota, questa sera
la trovo fortunata” le aveva detto.
Lei aveva ridacchiato, “Se dovessi vincere, non ti
restituirei neanche una
moneta” aveva chiarito la kerchiana.
Ioren
aveva lanciato un ultimo sguardo a Jordie, il
suo amico aveva ricambiato, con un gesto del capo, toccandosi almeno il
cappello. Il capitano Ghafa aveva imboccato la porta per il piano di
sopra, dove
il Re del Barile, Manisporche, governava il suo impero di scarti.
Non si parlava mai del padre di Jordie, non perché il suo
amico se ne
vergognasse, anzi assolutamente no, solo che era complicato spiegare ai
ricchi
ragazzini kerchiani e no, che se sua madre era un’eroina del
popolo, suo padre
era un uomo che lucrava su ciò che più esisteva
nel marcio del mondo.
‘Deve essere un brav uomo se La Spezza Catene lo
ama, no?’ aveva
proposto un giorno Bridgit. Ioren non riusciva a pensare neanche come
potessero
essersi incontrati … Manisporche le aveva fornito nomi di
schiavisti che
vedevano ai suoi rivali? Aveva sfruttato il dolore di una ragazza che
aveva
subito la schiavitù per i suoi fini? O si era innamorato poi
di quella lucida
rabbia, della Vendicativa signora degli Abissi?
O era ancora un trucco fine.ì? O c’era una storia
dietro che ai molti non
sarebbe mai stata raccontata. Forse Manisporche era
come il Buon Signore
Robin delle Isole Erranti, un uomo che aveva fatto del dolore e della
miseria
un’armatura per un cuore delicato, che di notte aiutava i
poveri e di giorni si
mostrava crudele.
Strani eroi, quelli Kaelish.
‘Io non lo conosco, ma persone che amo e di cui ho
piena fiducia lo
rispettano’ aveva detto un giorno Dominik, Ioren
aveva riso amaramente, ‘Juliana
o Wyliam VanEck? Mercanti kerchiani devoti al solo dio denaro? Lo sai
che Wylan
ha fatto sbattere il suo stesso padre in galera?’
aveva chiesto retorico
Ioren.
Non gli piacevano i fratelli Van Eck, perché si mostravano
lindi, eleganti ed
assolutamente onesti, ma erano marci. Avevano
ingannato, mentito e
tradito per essere dove erano, avevano stretto alleanze e pugnalato
alle
spalle. La parte peggiore era che se questo a Fjerda sarebbe stato
guardato con
disprezzo, per Kerch erano solo onori.
Dominik lo aveva guardato con intensità ed aveva detto una
cosa che Ioren,
ricordava con un sentimento ambiguo: ‘I miei genitori.’
Lo aveva trovato strano, ma aveva annuito, messo un braccio attorno
alle spalle
di Dominik ed avevano ripreso la loro camminata molleggiante per la
festa
notturna che aveva animato la piazza davanti la Chiesa di Barter dopo
uno
spettacolo scandaloso della Comedia Bruta.
Quando era tornato a casa, nelle stanze dell’ambasciata, al
sicuro dalla fame
di Kerch, ma sotto l’occhio attento di Fjerda aveva vergato
la confessione di
Dominik … e si era sentito una bestia per quello.
Aveva sorriso verso Bridgit e si era allontano dal tavolo, ma la sua
amica lo
aveva guardato appena, più interessata a come spendere i
soldi.
Tutto sommato a Ioren piaceva moltissimo La Stecca, così
come il Silver Six e
il Club dei Corvi, da frequentare, era il brivido del pericolo e della
lontananza, che rendeva la sua casa a Avefall così sicura.
Djel,
comunque, doveva averlo preso in antipatia per
le sue empietà, perché appena lasciata la bettola
aveva incontrato una delle
persone che più di tutti non voleva incontrare.
Non era da solo.
Prima aveva riconosciuto la bellezza selvatica di Ilsebelle Dyk, con
gli occhi
turchesi ed i capelli scuri che poco somigliava alla sua rispettabile
madre fjerdiana.
Ioren faticava terribilmente ad immaginarla alla Corte di Ghiaccio,
durante il
Cuore di Legno; le cose erano cambiate nell’ultimo ventennio
alla corte. Il re
era stato, abbastanza, rivoluzionario – per molti, il periodo
che aveva passato
nell’isolamento della sua malattia aveva dovuto offrire una
prospettiva diversa
da quella dei suoi predecessori – e la regina lo aveva
assistito in tutto, un vero
turbine di cambiamento, però certe cose erano restie a
cambiare.
Ilse non era da sola, pero, c’era lui …
Carnagione ambrata, occhi blu come lampi e riccioli biondo-sabbia,
alto,
elegante – anche negli abiti meno eleganti del creato
– ed assolutamente a suo
aggio. Era lì, soddisfatto, perfettamente a suo comodo nelle
strade
ketterdiane, sotto gli abiti mondani da uomo qualunque, lo aveva visto
con lo
stesso agio all’università, indossare i vestiti di
studente diligente, alle
feste delle confraternite scintillante, come ragazzo allegro e pieno di
facezie
per la testa, all’ambasciata fjerdiana come perfetto
diplomatico, lindo e pinto.
O il ragazzo dall’aspetto semplice, quando si addentravano
per le vie meno
felici di Ketterdam e fingevano di essere due giovani ricchi, sciocchi
e raggirabili.
“Meglio così, meglio così, nessuno ti
prende sul serio, se sembri sciocco” lo
aveva avvertito.
Dominik, Dominik con tutte le sue bellissime bautte.
Eppure c’era un ricordo della mente di Ioren, che non poteva,
non poteva essere
una maschera, ma era solo un ricordo
ed i ricordi avevano il
vizio di rimanere soffocati tra un’idea nostalgica ed una
memoria corruttibile.
Un giorno non avrebbe avuto più memorie o se le avesse avute
sarebbero state
guaste come l’acqua nera dello Stave.
Lo poteva vedere, chiaro come il sole, nella sua mente che sfoggiava il
suo
sorriso per incantare gli occhi della Principessa della Jurda.
E, siccome, quella non era la sua serata – e alla ruota il
suo numero si fermava
sempre sul colore che non sceglieva – aveva potuto vedere gli
occhi blu
elettrico, anche nella più fosca delle notti kerchiane, trovarlo.
Il sorriso sul viso di Dominik era ampio e sembrava autentico, anche se
gli
occhi erano macchiati di un sentimento meno sereno: il disagio.
Ioren ne era permeato interamente di quel sentimento.
“Oh,
ma non è un lupacchiotto scappato dalla sua
cuccia?” lo aveva preso in giro Ilse quando lo aveva veduto.
La donna non aveva
nessun amore per la patria di sua madre, nonostante le sue fortune e la
sua
ricchezza fossero da attribuire a Fjerda, anche più delle
ricchezze del suo
padre kerchiano. D’altronde il loro paese non era stato
gentile con loro.
“Lupo?” aveva chiesto retorico lui, “Al
massimo sarei un cagnolino da
passeggio, che piacciono tanto alle nobildonne” aveva
risposto Ioren. Ilse
aveva ridacchiato, “Ho detto quello che ho detto”
aveva considerato.
“Sol Sho Ioren” aveva detto
invece Dominik attirando la sua attenzione,
“Buonasera” aveva risposto lui rigido,
“Non sei venuto al Caffè oggi
pomeriggio”
aveva considerato il ravkiano. Ioren aveva scosso il capo,
“No, stavo ultimando
il saggio di letteratura” aveva dichiarato, anche se non era
vero, lo aveva
terminato alcuni giorni prima, “Dentro ci sono Jordie,
Bridgit e … una ravkiana
di nome Drina” aveva detto, per invitarli ad entrare.
Ilse aveva guardato Dominik con rinnovato interesse, curiosa di quella
informazione, “Abbiamo una nuova amica?” aveva
chiesto, “Una vecchia! Conosco
Drina da tutta la vita” aveva raccontato Domik. Altra
informazione utile “Anche
Jordie, a quanto pare” aveva dichiarato Ioren.
E Drina aveva detto di conoscere Linnea Opjer, cosa che Ilse Dyk non
sembrava
sapere.
“Sai, lo sospettavo? Non lo hanno detto esplicitamente, ma mi
pareva proprio
che quell’infamello fosse troppo
interessato a Drina” aveva scherzato Dominik.
“Anche Jordie Ghafa è umano” aveva
dichiarato Ioren, allora, con sarcasmo,
“Adesso scusate, devo andare, la strada per
l’ambasciata è lunga e spesso
accidentata” aveva raccontato, “Buonaserata,
signori miei” aveva detto, con
gentilezza.
“Vai Ilse, raggiungi gli altri, io devo parlare con
Ioren” aveva spiegato
Dominik. Brividi di freddo avevano attraversato la schiena del
fjerdiano, “Ti
accompagno per un tratto” aveva detto. Ioren sapeva cosa
avrebbe dovuto fare,
declinare, ma aveva annuito invece, “Per un tratto”
aveva ripetuto Ioren.
Avevano
percorso la strada in un silenzio pesante,
l’aria più tesa del ferro sotto sforzo. Ioren
voleva dire qualcosa, ma allo
stesso tempo non sapeva come articolare le parole.
Dominik non stava aiutando e questo era un male, perché di
solito era abituato
a riempire tutti gli spazi possibili con le sue parole; senza
però mai parlare
a vanvera.
“Questa sera sei particolarmente silenzioso, è
successo qualcosa?” aveva
chiesto alla fine il principe Ravkiano, con una genuina preoccupazione
nella
voce.
Ioren lo aveva guardato con la coda dell’occhio, “Hai
incantato la tua
principessa della Iurda?” aveva chiesto a
bruciapelo lui, prima di
maledirsi per averlo domandato.
“Ovviamente” era stata la risposta di Dominik,
senza neanche un ciglio battuto,
“Il mio essere principe le bastava e avanzava, anche senza la
promessa di una
corona, ma devo ammettere che la mia personalità la ha
conquistata. Domani la
rivedrò ai giardini comunali per una passeggiata”
aveva risposto lui, senza
nessuno sforzo.
“Buon per te, per lei” aveva detto stanco Ioren,
per il tuo paese e per le
casse affamate di Ravka, per la stupida lettera che dovrò
scrivere per
comunicarlo a Bjorn. Lui non era una spia, non era affatto per essere
una spia,
per prima cosa aveva una morale ed infiniti sensi di colpa. Quando suo
fratello
lo aveva spinto ad a provare l’Università di
Ketterdam, aveva avuto in incontro
con la Buona Regina Mila.
“Non vogliam che tu sia una spia,”
aveva detto la donna, con la stessa
gentilezza materna che aveva sua madre; era pallida come la luna, con
capelli
d’argento e gli zigomi alti, bella, sì, ma non in
quella maniera cristallina,
letale, era umana. “È
un sentiero solitario, impervio e disturbante,
che si nutre di sé. Ma sarai in terra straniera, devi
prenderne atto, ogni
informazione che raccoglierai sarà un bene per Fjerda ma
soprattutto per te”
lo aveva rassicurato la Buona Regina Mila. E Ioren guardando i suoi
occhi era
stato sicuro, che le sue parole non fossero menzogne, lo
aveva letto nei
suoi occhi.
Così, ogni informazione che aveva captato, dal
prezzo dello zucchero che
saliva, all’arrivo di qualche illustre straniero in
città – che passasse per i
canali ufficiali o lo si vedesse giocare a carte al Barile –
Ioren lo riportava
come informazioni futili, quasi casuali, nelle lettere al suo buon
amico Bjorn,
prete di Djel, di cui era stato compagno di scuola.
E quando durante le lezioni di Etica – una materia piuttosto
ironica ad essere
insegnata a Kerch – Ioren aveva visto entrare il Principe di
Ravka, aveva
saputo, prima ancora che arrivasse un biglietto, che avrebbe dovuto
scrivere
molto di lui.
Dalla Santificazione di Senje Zoya ed in seguito il Trattato di Os
Kervo, i
rapporti tra Fjerda e Ravka si erano decisamente aggiustate.
“Lei ha una bella risata” aveva dichiarato Dominik,
“So che è una cosa stupida,
però mi piace, è musicale, fragorosa, come di
qualcuno che non si vergogna
affatto di esprimere quello che prova” aveva aggiunto.
Ioren quella volta si era voltato direttamente verso di lui, con occhi
accusatori, “Per chi è questa critica, drekiprins[1]?”
aveva chiesto mordace.
Dominik si era fatto rigido, come la lama di un coltello,
“Per me ovviamente”
aveva dichiarato alla fine, stanco. Ioren lo aveva guardato, sentiva
nel suo
corpo un tumulto infinito di sentimenti, senza riuscirne ad
indentificare uno,
su tutti; tristezza, rabbia, compassione e … amore.
“Mi stai evitando” aveva detto alla fine Dominik,
con un tono sincero e gli
occhi azzurri come zaffiri piantonati nei suoi.
Dominik era slanciato, ma era leggermente più basso di lui,
Ioren aveva
ereditato l’altezza tipicamente fjerdiana degli uomini della
sua famiglia, Birstorr,
ma non la stessa prestanza, risultando una figura sgraziata, troppo
lunga per
il suo corpo … Dominik, invece, era così
aggraziato, ben costruito e cesellato,
anche se era più basso di lui e per ragione dovesse guardare
Ioren da una
prospettiva minore, tra i due, lo sguardo che deteneva il controllo era
quello
del ravkiano.
“Mi sto comportando di conseguenza” aveva replicato
Ioren, sentendosi colpevole
come un ladro. Di conseguenza a cosa? Aveva pensato
e lo aveva letto
anche nello sguardo di Dominik.
“Sei qui a raccontarmi di come hai incantato la tua ricca
signora Zemeni, o di
come tua madre vorrebbe mandarti a Nuova Città[2]
per conoscere la sorella
minore del Marshall” aveva dichiarato spento. “Oh,
ti prego non dimenticare
Lilyana che ha pensato che sarei un concubino perfetto per la futura
Regina
Dalai Kir-Taban” aveva replicato l’altro, la sua
voleva essere una battuta, ma
la sua voce era uscita tesa, strozzata.
Ioren aveva chiuso gli occhi con amarezza.
“Cosa vuoi che ti dica?” aveva chiesto poi Dominik
ad una sua mancata risposta,
“Sei tu che mi hai detto che dovevo pensare al mio dovere e
mettere la testa a
posto” aveva aggiunto a tradimento.
Ovviamente, Ioren lo aveva fatto, perché era un maestro nel
soffocare i suoi
patemi, i suoi dolori. Aveva guardato Dominik con gli occhi azzurri
quasi
lucidi. Ioren non poteva pensare fosse così abile nel
vendersi da non essere
sincero in quel momento, “Quando io non faccio altro che
pensare a come vorrei
baciarti” aveva sussurrato Dominik e siccome non aveva
pietà della povera anima
immortale di Ioren, aveva aggiunto: “E al nostro giorno
all’Isola di Endocth.”
Ognuna di quelle frasi erano state un coltello conficcato nel petto di
Ioren.
Anche-io erano le parole che bruciavano sulla sua
lingua, forte e
brucianti come tizzoni ardenti, desiderio secondo solo al volerlo
baciare,
stringersi, unircisi ancora.
Ma non poteva.
Non poteva perché Dominik era un principe e sebbene la sua
terra permettesse di
unirsi con le persone del medesimo genere[3],
Fjerda non ancora – per
quanto il proselitismo dei reali non fosse mancato – e
Dominik era un principe,
prima di uno studente, di un ragazzo o di un amante. I principi non
sposavano i
ragazzi conosciuti all’università, specie quelli
che erano i quinti figli di
una famiglia non particolarmente agiata e con un titolo nobiliare quasi
assente, di un altro stato. ‘Ma il re Egmond aveva
sposato una pescivendola
delle campagne!’ una voce insidiosa, fastidiosa,
lussuriosa aveva
riverberato nelle sue orecchie.
E soprattutto Dominik non meritava di sposare una spia, che aveva
venduto ogni
informazione, ogni confidenza al suo paese, perché quello
era il suo dovere.
“Sono stato ingiusto con te, hai ragione” aveva
ammesso alla fine Ioren, perché
era vero, lui aveva interrotto la loro relazione, ma aveva punito
Dominik per
aver soddisfatto quello che gli aveva chiesto. “E che la sola
idea di vederti
con qualcuno mi fa sentire prenda del Vampiro”
aveva ammesso.
Dominik aveva sorriso, amaro, con gli occhi azzurri ancora coperti da
un velo
di lacrime e poi si era sporto per baciarlo sulle labbra, del tutto
incurante
che fossero stati nel mezzo di una strada di Ketterdam.
Ioren aveva accolto quel bacio, prima riottoso, insofferente, del male
che
stava causando, poi aveva schiuso le labbra, divorato dalla fame e dal
bisogno.
Dall’egoismo.
Si
era innamorato di Dominik nella stessa maniera in
cui ci si immergeva in un lago. All’inizio era stato lento,
incerto, con il
freddo dell’acqua che pungeva la pelle, ma cominciava ad
intorpidirla e dopo
pochi passi, s’apriva l’abisso, profondo e pesante
e si scivolava giù, nel
freddo e nel nulla, leggero ed opprimente allo stesso tempo.
E nuotare era bello, anche si era difficile stare a galla e le correnti
non
erano sempre gentili.
A Dominik sarebbe piaciuto essere uno scrittore, ma non era certamente
un
poeta, li piaceva scrivere di quotidianità, della borsa che
scendeva, dello
scandalo delle infestazioni di Birgitta Schenck[4],
dei brogli del Consiglio
di Thomas Radmakker, degli affari sinistri di Quinto Porto –
di cui nessuno
aveva mai risposto – fino ai comportamenti impropri tenuti
dall’Assistente
Duval nell’università.
Aveva anche cominciato a lavorare come articolista, in incognito, per
il Krant,
il giornale dell’università di Ketterdam[5].
Però, quando pensava a Dominik, si riscopriva desideroso di
poter scrivere, di
poter esprimere, con il giusto linguaggio, le giuste metafore, i
sentimenti che
provava, senza però riuscirci.
Ricordava ancora la prima volta che lo aveva visto entrare
nell’aula della
professoressa Stirling, con quel suo passo audace, principesco, di che
nella
vita non aveva mai dovuto reclamare nulla che non possedesse
già.
Luminoso e vistoso, con un frac celeste, nuovo di zecca,
così Ravkiano, sopra
un panciotto arancione, una camicia bianca e pantaloni scuri. Come
aveva
attraversato la porta e risalita tutta la piccionaia di posti in cerca
del suo,
ogni sguardo era stato rapito, da quei suoi occhi blu zaffiro, i
capelli biondi
perfetti e quella stravaganza ostentata ed intrigante.
“Non so te, ma mi sono innamorata” aveva
canticchiato languida la sua vicina di
posto, una ragazza di cui lui non aveva alcun valido ricordo. Ioren era
rimasto
in silenzio, perché … perché era
bello, in maniera irrisoria, spavaldo in
maniera fastidiosa e scommetteva fosse audace in maniera stucchevole.
Dominik non si era seduto lontano da loro, ma neanche aveva dato segno
di
averli notati. “Secondo te e figlio di qualche mercante
importante?” aveva
chiesto, “No, è un ravkiano” aveva
risposto lui, senza battere ciglio, perché
aveva imparato nei mesi precedenti all’inizio dei corsi,
mentre si muoveva per
le vie sporche di Ketterdam aveva imparato
ad osservare.
I kaelish erano caotici, allegri, per lo più, gli zemeni
accomodanti, gentili
quasi, gli shu erano silenziosi, quasi invisibili, i kerchiani
– la maggioranza
– erano figure effimere, con tante promesse in bocca e
pugnali alla schiena, i
fjierdiani erano possenti, orgogliosi, rumorosi e i revkiani erano
eleganti,
spavaldi.
“Che sciocchi che siete” aveva detto qualcuno alle
loro spalle, Martijin Dresden,
il figlio di un ricco mercante kerchiano, parente ad un membro del
Consiglio,
“Quello è il Syndrakona”
aveva dichiarato senza vergogna, con gli occhi
avidi rivolti a Dominik.
Il figlio del Drago. Il principe di Ravka.
Con quei pensieri in testa si era voltato, per osservare il profilo
perfetto di
Dominik, inconsapevole, bellissimo ed addormentato al suo fianco.
Con la carnagione ambrata, piena e viva, in contrasto con il suo
pallore bianco
lunare. Si era chinato e gli aveva dato un bacio delicato sullo zigomo,
sottile, appena un contatto, perché non voleva svegliarlo.
Si era tirato su, con fatica, sentendo ancora un po’ di
dolore ed
indolenzimento, dal letto ed aveva cercato di recuperare i suoi vestiti
sparsi
per la stanza.
Avevano preso una camera al Silver Six, registrandosi con falsi nomi
– non che
fosse necessario, in fine dei conti, ben certi, che il mattino dopo
Manisporche
avrebbe letto il libro degli ospiti sapendo esattamente quale faccia
corrispondesse al nome, al di là delle menzogne.
Non avevano preso una delle stanze più in alto, eleganti e
belle, ma più vicine
alle sale da gioco, nei piani bassi.
Una piccola camera che conteneva una stanza, con un grande letto, un
baule per
sistemare pochi averi ed un bagno privato, così piccolo da
permettere una sola
persona di entrarci e stare comunque scomoda, sfornito di una doccia.
L’essenziale, il minimo, per quegli avventori che rimanevano
una notte,
desiderosi di tenere ogni kruga possibile per il gioco ai
casinò.
Aveva infilato veloce tutti i suoi vestiti, prima di recuperare la
giacca nuova
dal taglio kaelish, però aveva visto la sua tracola da
studio abbandonata e i
resti accartocciati delle sue lettere.
Aveva spiegato un foglio osservando quel marasma di cancellatura e
righe nere
che si aprivano davanti a lui.
Incerto.
“Fuggi, già?” aveva chiesto Dominik, con
la bocca impastata di soddisfazione,
non ancora del tutto consapevole.
I sentimenti che albergavano in Ioren erano spaccanti, da un lato
c’era la
consapevolezza di dover fuggire, tornare a casa ed incontrare
l’ambasciatore
Cotter – che non si curava di Ioren come un pulcino, ma a cui
lui doveva ancora
riferirsi – e l’altra che lo supplicava di tornare
nel letto e fare ancora, ed
ancora, l’amore con Dominik.
Ancora una volta, da pessimo fjerdiano quale era, Ioren si era lasciato
scivolare accanto Domik, sul materasso bitorzoluto della stanza. Il principe si era messo a
sedere, ancora
nudo e non turbato che tanta pelle fosse esposta, ancora lucida di
sudore e dei
segni voraci dei baci e delle unghie. “Vorrei vivere in un
letto con te per
tutta la vita” aveva ammesso Ioren, sporgendosi e baciandolo
sulle labbra
ancora.
“Non lo dire a me” aveva risposto Dominik, con una
risata piena di amore,
posando una mano gentile sulla sua guancia, “Credo che dentro
di te, sia il mio
posto preferito” aveva detto baciandolo, mentre
l’altra mano era premuta sul
suo pettorale, dove era il cuore. Ioren si sarebbe voluto togliere
anche la
camicia per sentirsi ancora pelle a pelle, aveva condotto le mani a
coppa sulle
guance dell’altro, “Sei orribilmente
sfacciato” aveva dichiarato divertito
Ioren.
“Non è colpa mia se a Fjerda siete freddi come
l’Inverno nel Permafrost” aveva
commentato Dominik tra una risata e l’altra. “Non
sai che Avefall, la gente prega
che Senje Zoya venga a riscaldare le pianure innevate, per dare
ristoro” aveva
raccontato Ioren.
“Fidati, l’ultima cosa che i fjerdiani dovrebbero
volere è vedere mia madre che
sputa fuoco” aveva considerato. Ioren non sapeva neanche come
immaginarlo un
drago in tutto il suo spaventoso splendore, immaginava una bestia
enrome,
composta di squame duro ed affilate come rasoi, nero, rosso, letale e
spaventoso. Immaginava quando la regina librava in volo, come una
nuvola nera
enorme, capace di oscurare il sole accompagnata di fulmini, saette e
tempeste.
… e Dominik era figlio di un drago.
“Ti sento distratto, ma non preoccuparti ho ancora un
autostima così ampia da
non prenderla sul personale, anche se sono qui, nudo, in un
letto” lo aveva
bonariamente rimproverato il principe.
“Stavo pensando a tua madre” aveva dichiarato
Ioren, “Be, amico, se volevi
rompere la tensione, questa era la frase giusta” aveva riso
Dominik.
“Ho visto i draghi solo nelle raffigurazioni, per me,
è fuori dalla capacità di
immaginazione, anche solo creare nella mia mente la figura di
… un drago” aveva
ammesso Ioren.
“Bene, allora, per le prossime vacanze, vieni a Ravka con me,
ti presenterò mia
madre e le chiederò anche se ci fa fare un giro sul suo
dorso” aveva detto
senza vergogna Dominik.
Ioren era rimasto impietrito a quelle parole. Andare a Ravka con lui,
essere
presentato da lui, ai leggendari ed eroici sovrano.
“Ci permetterebbe di farlo?” aveva scherzato Ioren,
nervoso e sudante,
“Assolutamente no! Ma mio padre si offrirebbe di portarci in
giro con il suo
bel mostro di tenebre” aveva riso Dominik.
Ioren aveva avuto un fulgido tremore alla menzione del Korol
Rezni, in
grado di tramutare se stesso in una creatura infernale o staccarla da
lui, un
doppione oscuro, di quelli che tutti gli uomini avevano, ma che lui
vedeva,
chiaro, tangibile e reale.
“So cosa stai pensando, ‘Per Djel, suo
padre ha un mostro d’ombra, sua madre
un drago e la capacità più eccezionale di Dominik
è essere bellissimo’”
aveva dichiarato il principe, con una risata nervosa,
“Però bellissimo in maniera assoluta,
più di chiunque altro al mondo” aveva
risposto Ioren, baciandolo ancora.
“Così bello da fermare una battaglia con la sola
presenza?” aveva indagato
divertito il principe.
Perché sua madre lo aveva fatto, era discesa su una
battaglia ed anche i
druskelle, i più feroci, i più inflessibili tra i
fjerdiani, avevano deposto le
armi e piegato le ginocchia.
“Così bello da fermare una guerra” aveva
confermato Ioren.
Era
tornato all’ambasciata direttamente il mattino
dopo, consapevole che la notte non sarebbe mai fatto rientrare. Lo
aveva fatto
alle prime luci dell’alba, quando il cielo perdeva quella
sfumatura di blu profondo
e si di addensava in un blu marino, macchiato da bande di rosso, rosa
ed
arancio, fino a che l’azzurro spariva divorato dai colori
caldi.
Con quella luce aranciata, anche i sanpietrini umidi di Ketterdam,
risorgevano
di tonalità cotte, le pareti si coloravano e la
città oscura, diveniva bella.
Era quasi bello, camminare durante l’alba, perché
se il tramonto offriva uno
spettacolo simile, ma pullulante di turisti, avventori e disperati,
l’alba era
per gli ultimi ritardatari e i primi del giorno. Il silenzio era
sovrano,
rovinato e turbato solo dalle navi che lasciavano i porti ed il buon
giorno dei
gabbiani.
Si era beato ancora, all’aria di quei colori e rumori e poi
era tornato dentro,
chiuso nella Fortezza.
Nel comodo della sua piccola stanza, la metà di quella del
Silver Six, ma
arredata con un armadio per i vestiti ed una scrivania dove studiare
alla luce
di una lampada la sera – al posto delle aule lettura
– ed un bagno personale
provvisto anche di una vasca-doccia, Dominik aveva soffocato la sua
coscienza.
Mio
caro amico Bjorn,
sento
la tua mancanza. Anche se sei un uomo di fede e l’unica
devozione che hanno in
questa città dimenticata da Djel e i suoi Figli è
per il Dio-Denaro, credo
riusciresti ad apprezzarla. In particolare, la mattina presto, quando
il mondo
tace ed i colori trasformano ogni cosa. Inoltre, credo che la tua
presenza
renderebbe più piacevole ogni cosa, probabilmente anche un
soggiorno
all’Anticamera dell’Inferno.
Spero che a Djerholm ogni cosa continui ad andare bene e che tu riserva
preghiere per sua altezza il re, la regina ed il piccolo principe.
Spero che il tuo studio al seminario continui buono, un po’
mi manca confesso,
una vita austera, ma una vita dignitosa per un fjerdiano.
Ho apprezzato molto la tua ultima lettera e le tue considerazioni sui
Tratti di
Senje Cnut. Spero che i libri che allegherò a questa lettera
saranno di tuo
gradimento – potrei aggiungerne uno che il buon Padre Ubbe
non approverebbe
affatto. Giusto, un altro motivo per cui ti vorrei a Ketterdam e sapere
quanto
apprezzeresti frequentare l’università; hai sempre
avuto una mente più
eclettica e brillante, per quanto apprezzi e rispetti i precetti di
Djel e dei
suoi figli, trovo ingiusto saperti confinati in essi. Inoltre, con il
tuo
carattere pieno di vita ti faresti molti più amici di quanti
me ne sia fatti
io, come ben sai, come ha sempre detto mio fratello, sono una creatura
tendente
alla solitudine. Sospetto che il nostro gruppo di amici si
allargherà ancora.
Jordan, ricordi? Si è invaghito di una bella ravkiana, una
sua vecchia amica,
la ha addirittura presentata ai suoi genitori. La ragazza mi ha detto
di essere
vecchia amica di Jordan, perché i loro genitori hanno
lavorato fianco a fianco,
ma pare che la ragazza da giovane si sia intrattenuta con compagnie
anche più
regali. Comunque, mi viene proprio un patema d’animo,
perché l’amore è proprio
nell’aria. Oltre Jordie, pare che Juliana abbia deciso di
organizzare un
incontro tra il mio compagno di bevute – sempre morigerate
– preferito
ed una sua amica, una certa nobildonna
zemeni, ricca, di orgine kerchiane. Che strana combo, no? Visto
l’eterna guerra
che esiste tra le due nazioni.
Comunque, pare che l’incontro sia stato un successo, penso
rimarrò solo a
breve, con la sola compagnia di Bridgit.
Per questo la tua presenza sarebbe un balsamo, perché, come
sai, ti tengo
sempre nel cuore.
Tuo
amico Ioren.
Amava
sinceramente Dominik.
Si era innamorato di Dominik nella stessa maniera con cui si
immergeva in un
lago, prima poco a poco, poi come un tuffo da sovrastarlo
interamente.
Ma quando pensava alla prima volta che era andato al lago, ricordava di
aver
avuto undici anni scari, che la primavera era ruggente
nell’acqua e le distese
di ghiaccio lasciavano spazio a specchi d’acqua purissima e,
soprattutto,
ricordava la mano di Bjorn prenderlo e condurlo tra le acque fresche,
con fiducia,
anche se erano a malapena conoscenti.
Amava Dominik, ma amava Fjerda, amava il modo in cui Re Egmond
stava ricostruendo il loro paese, la buona regina Mila ed amava il
ricordo di
Bjorn.
E sperava che un giorno Dominik non lo avrebbe odiato troppo.
[1]
Prins, è
principe in norvegese/Islandese/Svedese, Dreki è drago in
Islandese
[2]
Ho
deciso che le isole erranti si beccheranno i Nomi
“italiani”, poiché mentre
tutti i continenti hanno nomi invetati (fjerda, Ravka ETC), le Isole
Erranti
sono le uniche scritte in Inglese (in originale), oltre le colonie del
sud.
Ed io credo che se un autore prende la decisione di scrivere nella sua
lingua
un nome è perché vorrebbe che il significato
fosse immediato (es. Tolkien
presenta ‘Gran Burrone’ e Gondor) e ciò
mi ha portato a cercare coerenza narrativa.
[3]
Mi pare
che Nadia e Tamar siano sposate e alla cosa non venga concessa troppa
importanza.
[4]
E’ un
personaggio tratto dai libri, per distinguerla da Bree, ho scritto il
nome dell’altra
ragazza all’Inglese invece che all’Olandese
(d’altronde Kaz non è un nome
Olandese e Uailan neanche ci somiglia alla pronuncia corretta di Wylan
–
fingiamo che non sia uno di quei casi random dove scrivi in un fandom e
ci
metti nomi inglesi che non ci stanno per nulla).
[5]
Krant:
Giornale in Olandese. Ora, S&B/SoC/KoS sono ambientati in un
mondo
‘700-‘800 circa, dove la stampa aveva il suo bel
perché in importanza. “Il
giornale de Letterarti” era in circolazione dalla seconda
metà del 1600, quindi
diciamo che ho sempre trovato molto strano che nel Grishaverse non ci
fossero,
anche perché era un modo abbastanza semplice di far
circolare le notizie. Nella
mia testa il Krant è un giornale Universitario, pensato per
gli universitari,
ma distribuito e seguito da tutti gli intellettuali locali, a Ketteram,
che si
presenta come un giornale sia di denuncia (come gli articoli di Ioren),
però
anche legato ad analisi politiche, critica sociale e pure editoriale di
poesia
e letteratura. Non so se ha senso?