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Autore: RLandH    30/03/2023    0 recensioni
[ POST- ROW; FUTURE!FIC; OCs]
Favole del Mare Vero.
Nel quarantesimo anniversario dalla Dissoluzione della Faglia, Matthias Grimjer viaggia con sua madre, la Buona Regina Mila, a Ravka, forse in cerca di una moglie, forse in cerca di un'identità.
Nel ventottesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, Shu Han si preparava ad avere la sua regina, dopo una lunga guerra sociale, ma i figli del Drago di Ravka hanno i loro piani.
Nel ventiduesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, un gruppo di ragazzini grisha si ritrova costretto ad un viaggio desolante e mortale.
E gli equilibri si spostano ogni volta.
Dal 3 capitolo:
“Quando mi darete la parem?” aveva chiesto la materialki, appena aveva sentito il suono dell’interfono. Parlava nella lingua shu, il suo accento ravkiano era molto più morbido di quello di Elen, segno della sua origine meridionale, forse confinante con Shu da qualche parte. “Vuoi la parem?” aveva chiesto confuso Lu.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Genya Safin, Inej Ghafa, Nina Zenik, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Nuovo narratore, vecchia linea temporale. Il prossimo aggiornamento non arriverà così presto.
Lascio qui il link della pagina di A3O su cui ho postato alcuni disegni: https://archiveofourown.org/works/43797621/chapters/116046700

 

Ioren I

28 anni dalla Dissoluzione della Faglia

 

Mio carissimo principe amico Bjorn

Ho interessanti notizie da comunicarti

Devo dirti cose importanti

Ho da dirti davvero

Sono arrabbiato con te per la posizione in cui mi hai messo

Sono arrabbiato con tuo zio Rasmos

Vorrei che tu fossi qui, così non dovrei fare la spia e sono sicuro che apprezzeresti Kerch meglio di quanto faccia io

Mi manchi

Sento la tua mancanza

Ho sempre pensato che non avrei mai sentito la mancanza che provo pensando a te rivolta a qualcun altro

Molte nuove da Ketterdam

Ioren si era arreso; aveva provato a scrivere quella lettera infinite volte e continuava a cancellare ripetutamente le iscrizioni, infinite ed infinite volte.
Trovava quasi fastidioso scrivere quelle lettere, fisicamente.
Aveva accartocciato i fogli per l’ennesima volta, prima di allungare una mano per bersi un mezzo bicchierino di vino ai lamponi.
Una figura sottile si era avvicinato a lui, una ragazzina vestita da uomo, con i capelli lunghi fino alla schiena e l’incarnato scuro.  “Sera, Ioren, senza le guardie?” aveva chiesto subito lei, facendo strisciare la sedia per accomodarsi accanto a lui. “’Sera, Bridgit. Guardie, per me?” aveva domandato retorico.
“Be, tra me e te, non sono io figlia di un qualche conte e ambasciatore” aveva considerato Bridget, facendo oscillare i capelli castano sabbioso, “Sono il quinto figlio di un margravio minore e vivo solo all’ambasciata” aveva replicato Ioren, continuava a ripetere quella frase infinite ed infinite volte, ma la gente sembrava sempre diffidente nel crederci.
Ovviamente a Kerch esisteva un ambasciata e la sua corte, esisteva anche una rete di spie fenomenale, ma Ioren non era tra questi. Era solo un ragazzo particolarmente dotato nelle materie umanistiche che si era allontanato dal clima freddissimo di Fjerda, dall’educazione Avfalle e da Bjorn.
Quell’ultima era colpa di suo fratello Styborn.
“A chi scrivevi?” aveva chiesto Bridgit, mentre lui si occupava di nascondere tutte le cartacce nella sua cartella. “Ad un mio amico, un prete. Vuoi della grappa ai lamponi?” aveva domandato.
“Qui al Barile? No, ci tengo a tornare a casa con tutto quello che ho addosso” aveva considerato quella, con una risata frizzante.
Ioren aveva sorriso alla fine, “Comprensibile” aveva considerato.
Aveva conosciuto Bridget all’università, era una giovane nelle campagne, con una mente estremamente portata alla matematica, venuta a Ketterdam – come Ioren – per l’università.
La prima settimana l’avevano completamente derubata ed era rimasta con solo il suo appartamento provvisorio, pagato per due settimane grazie all’anticipo.
Ketterdam divorava ed inghiottiva gli ingenui ed erano pochi quelli che riuscivano a riemergere.  I Kerchiani erano fatti così, ogni loro giorno si divideva tra Morte e Successo. Una parte di Ioren era assolutamente intrigato da questo, ma allo stesso tempo, ne era disgustato, d’altronde: lui era un fjerdiano, era stato educato in un certo modo … così aveva offerto il suo aiuto a Bridgit, quando l’aveva vista piangere in biblioteca.

Una cameriera aveva portato loro due piatti di carne di maiale speziato. Bridget aveva guardo la carne con espressione critica, “Non potevamo andare al Caffè?” aveva domandato lei alla fine.
Il Caffè era un locale, nella zona universitaria, dove si riversavano tutti gli studenti. Era sempre ghermito di persone, di loro, ed era il luogo dove loro si riunivano sempre. La Compagnia.
“Non mi andava” aveva risposto frustrato Ioren. Era sicuro che Jordie e Dominik fossero lì, probabilmente in compagnia di Magnus, a brindare su come il giovane principe di Ravka avesse affascinato e sedotto la giovane ereditiera zemeni.
Ed il pensiero lo disturbava ed arrabbiava. “Hai un’espressione tristissima, sembri una patata in un hutspot” aveva commentato Bridgit. Ioren aveva sorriso verso di lei, con una certa stanchezza, “Mi sento anche così” aveva ammesso, “Mi manca casa” aveva aggiunto.
La ragazza aveva inclinato il capo, facendo scintillare i ricci sabbiosi, “Davvero? Così improvvisamente?” aveva domandato lei.
Ioren non aveva perso il suo sorriso, per quanto fosse consapevole che la luce della gioia non avrebbe raggiunto gli occhi, “Mi manca sempre casa, ora un po’ di più” aveva ammesso.
Non gli mancava casa, forse, non era né una menzogna né la verità. Sentiva la mancanza di sua madre ed i suoi involtini di verza, di suo padre e le sue maniere fredde, i suoi fratelli con tutti i loro difetti e, Djel, a Ioren mancava Bjorn e le loro battute stupide, durante il seminario.
Ioren aveva trovato così crudele quando Reidar – il maggiore dei suoi fratelli – li aveva allontanati ed aveva messo tra di loro il Mare Vero.
Fjerda poteva essere rifiorita sotto il suo Re, ma era ancora lontana …
“Ti capisco, anche a me, manca tantissimo la mia casa! Specie i campi, come era è bello camminare, tra le spighe di grano al tramonto, respirando aria pura” aveva dichiarato con divertimento lei, “Questa città fa schifo” aveva aggiunto.
Ioren le aveva dato ragione. “Vengo dall’Avefall, a nord, terribilmente a nord. Da casa mia, si vede l’aurora” le aveva detto.
Gli occhi verdi di Bridgit si erano illuminati, non doveva mai averglielo detto, ma sembrava davvero, davvero, colpita dalla sua confessione.
Prima che lui potesse riuscire a descrivere meglio, qualcosa aveva attirato la sua attenzione: Jordie.
Jordie con la sua andatura svelta ma silenziosa, come una lince, vestito interamente di nero. Alle sue spalle c’era una giovane donna.
Ioren aveva sollevato la mano per salutarlo; Bridgit si era voltato verso i nuovi venuti con incredibile interessa, “Oh, quella non è decisamente il principino” aveva scherzato lei, osservando la ragazza con interesse.
Jordie aveva ricambiato il saluto, la donna aveva guardato verso di loro e Ioren aveva sentito un brivido lungo la schiena. La sconosciuta aveva degli occhi azzurri privi di espressione, quasi morti, poi la ragazza aveva alzato la mano per salutarli ed aveva sorriso, appena.
Il suo amico aveva sospirato e poi aveva marciato verso di loro, guidandola.
“Loro sono due miei compagni d’università: Ioren, Bree” aveva detto svogliatamente, “Lei è Drina, una vecchia amica” aveva spiegato.
Obbligata” aveva risposto Drina, aveva un accento ravkiano pesante, che si sentiva anche in quell’unica parola. Ioren come il bravo fjerdiano che era aveva preso la mano di lei e ne aveva baciato le nocche rispettosamente, “Con me non fai mai così” si era lamentata Bridgit, con un tono giocoso nella voce.
“Puoi restare con loro, mentre io, sbrigo un’incombenza” aveva detto Jordie, sistemato il capello, con la piuma di corvo meglio sulla visiera. Drina aveva annuito, spostando una sedia e accomodandosi.
“Sei di Ravka, giusto?” aveva indagato subito Bridgit.
Drina doveva avere qualche anno più di loro, un viso ovale, pallido come la neve, capelli scuri come il legno bruciato, da cui scendevano ciuffi incerti sulla fronte tonda ed occhi blu come le acque gelide del mare del nord. Ioren non era particolarmente patito delle bellezze femminili, tra la ragazza e Jordie – con la sua pelle di zucchero cotto e gli occhi neri come quelli di un demjin – sapeva esattamente chi avrebbe scelto per un giro in gondola, ma Drina era gradevole, anche se immaginava dovesse avere altre doti che un aspetto grazioso per attirare il suo amico.
Da” aveva risposto Drina, tranquilla. “Come hai conosciuto il nostro Jordan?” aveva chiesto interessata Bridgit, non era mai stata particolarmente brava a farsi gli affari propri, curiosa come una gatta. “Sua madre salva le povere anime vendute come schiave e mio padre gestisce un orfanotrofio, un luogo dove spesso finiscono bambini che non hanno più nessuno” aveva spiegato candida la ragazza, passando il pollice sul bottone della manica della camicetta bianca. “Ammiro moltissimo il capitano Ghafa, non potevo crederci quando ho scoperto che Jordie era il figlio” aveva detto ammirata Bridgit.
“Siete compagni di studi?” aveva indagato Drina, continuando a passare il pollice sulla manica della camicia bianca, “Sì-e-no” aveva risposto Ioren, “Io frequento alcuni corsi con un amico in comune, Magnus Dyk conosce?” aveva risposto  Bridgit, “Sì – conosco meglio sua madre” aveva risposto Drina, “Sì, ecco … io conoscevo Magnus e Magnus mi ha presentato Jordie” aveva spiegato calmo. La ragazza aveva annuito, voltano poi il capo verso Ioren, con gli occhi blu quasi scintillanti di vita, “Tu?” aveva chiesto, “Ho conosciuto Bridgit la prima settimana” aveva risposto, mentre la sua amica si lanciava proprio nel racconto del loro incontro in biblioteca dopo il suo sfortunato ingresso a Ketterdam.
Ioren aveva deciso fosse meglio omettere che aveva conosciuto Dominik, per conto suo – sembrava strano, sporco, dirlo ad una ravkiana.

Jordie era riapparso, indossava ancora la giacca scura ed il cappello con la punta di corvo, che lo faceva assomigliare quasi ad un membro di una banda di criminali del Barile, che ad un rispettabile studente dell’università, figlio di un’eroina popolare e figlioccio del più ricco mercante di Ketterdam.
Non era venuto da solo, alle sue spalle, bella come una mattina di autunno, il Capitano Inej Ghafa lo seguiva.
Ioren non aveva sentito avesse approdato a Kerch, non che la donna usasse pubblicizzarlo, a Ravka, Novyi Zem ed alcuni porti di Fjerda, il suo arrivo era visto come una benedizione, non godeva della stessa popolarità in altri porti, però tornava sempre a Ketterdam.
Drina si era alzata dalla sedia per andare verso il Capitano Ghafa. Era più alta della donna Suli, anche se non di molto, con spalle, torace e busto più spesso.
Ma questo a Ioren piaceva, dava una strada idea che una creatura dall’aspetto così piccolo, dall’impressione di potersi libare nell’aria come una farfalla, come il Capitano Ghafa potesse incutere così tanto terrore negli occhi e nei cuori dei marci.
Jordie le somigliava, con l’incarnato di un tono appena più tenue, il sorriso dolce ed il cuore fiero.
Drina aveva chinato il capo davanti al Capitano Ghafa come se davanti ai suoi occhi ci fosse stata la regina  drago di Ravka, in persona. La donna più adulta le aveva preso le spalle facendola ritornare dritta e l’aveva poi stretta con un abbraccio deciso, ma informale.
Jordie era rimasto poco distante, passando il peso da un piede ad un altro.
“Ghezen, stiamo assistendo ad una vera magia” aveva ghignato Bridgit, “Jordie Ghafa si è infatuato” aveva considerato lei.
Ioren aveva osservato la postura del suo amico, incerta, con una certa perplessità. Aveva notato che giovani fanciulle fossero rimaste interessate al suo amico, durante l’anno che avevano spesso nell’università. Jordie era bello, era intelligente ed aveva un cognome evocativo, era perciò naturale, ma il ragazzo non aveva mai provato il minimo interesse per nulla e per nessuno.
A Jordie interessava solo una cosa: smontare le cose.
Tanto quanto a Dominik piaceva montarle.
Perciò passavano tanto in tempo insieme. “Dobbiamo fare squadra: due ragazzi con sangue suli, a Kerch, con madri con cognomi importanti” aveva detto Dominik, un giorno, avvolgendo il braccio attorno alle spalle di Jordie.
Ioren con loro stava un po’ come le rape con la marmellata di ciliege.
“Io devo tornare all’ambasciata, o rischiamo di ritrovarci qualche druskelle a spasso per Kerch ed un incidente diplomatico” aveva detto, frugando nella borsa dell’accademia per estrarre il sacchetto dove teneva le monete, “Lo aveva detto” aveva scherzato Bridgit senza perdere verse, lui aveva posato delle Kruge sul tavolo, “Offro io” le aveva detto, “Fatti anche un giro alla ruota, questa sera la trovo fortunata” le aveva detto.
Lei aveva ridacchiato, “Se dovessi vincere, non ti restituirei neanche una moneta” aveva chiarito la kerchiana.

 

Ioren aveva lanciato un ultimo sguardo a Jordie, il suo amico aveva ricambiato, con un gesto del capo, toccandosi almeno il cappello. Il capitano Ghafa aveva imboccato la porta per il piano di sopra, dove il Re del Barile, Manisporche, governava il suo impero di scarti.
Non si parlava mai del padre di Jordie, non perché il suo amico se ne vergognasse, anzi assolutamente no, solo che era complicato spiegare ai ricchi ragazzini kerchiani e no, che se sua madre era un’eroina del popolo, suo padre era un uomo che lucrava su ciò che più esisteva nel marcio del mondo.
Deve essere un brav uomo se La Spezza Catene lo ama, no?’ aveva proposto un giorno Bridgit. Ioren non riusciva a pensare neanche come potessero essersi incontrati … Manisporche le aveva fornito nomi di schiavisti che vedevano ai suoi rivali? Aveva sfruttato il dolore di una ragazza che aveva subito la schiavitù per i suoi fini? O si era innamorato poi di quella lucida rabbia, della Vendicativa signora degli Abissi?
O era ancora un trucco fine.ì? O c’era una storia dietro che ai molti non sarebbe mai stata raccontata. Forse Manisporche era come il Buon Signore Robin delle Isole Erranti, un uomo che aveva fatto del dolore e della miseria un’armatura per un cuore delicato, che di notte aiutava i poveri e di giorni si mostrava crudele.
Strani eroi, quelli Kaelish.
Io non lo conosco, ma persone che amo e di cui ho piena fiducia lo rispettano’ aveva detto un giorno Dominik, Ioren aveva riso amaramente, ‘Juliana o Wyliam VanEck? Mercanti kerchiani devoti al solo dio denaro? Lo sai che Wylan ha fatto sbattere il suo stesso padre in galera?’ aveva chiesto retorico Ioren.
Non gli piacevano i fratelli Van Eck, perché si mostravano lindi, eleganti ed assolutamente onesti, ma erano marci. Avevano ingannato, mentito e tradito per essere dove erano, avevano stretto alleanze e pugnalato alle spalle. La parte peggiore era che se questo a Fjerda sarebbe stato guardato con disprezzo, per Kerch erano solo onori.
Dominik lo aveva guardato con intensità ed aveva detto una cosa che Ioren, ricordava con un sentimento ambiguo: ‘I miei genitori.’
Lo aveva trovato strano, ma aveva annuito, messo un braccio attorno alle spalle di Dominik ed avevano ripreso la loro camminata molleggiante per la festa notturna che aveva animato la piazza davanti la Chiesa di Barter dopo uno spettacolo scandaloso della Comedia Bruta.
Quando era tornato a casa, nelle stanze dell’ambasciata, al sicuro dalla fame di Kerch, ma sotto l’occhio attento di Fjerda aveva vergato la confessione di Dominik … e si era sentito una bestia per quello.
Aveva sorriso verso Bridgit e si era allontano dal tavolo, ma la sua amica lo aveva guardato appena, più interessata a come spendere i soldi.
Tutto sommato a Ioren piaceva moltissimo La Stecca, così come il Silver Six e il Club dei Corvi, da frequentare, era il brivido del pericolo e della lontananza, che rendeva la sua casa a Avefall così sicura.

Djel, comunque, doveva averlo preso in antipatia per le sue empietà, perché appena lasciata la bettola aveva incontrato una delle persone che più di tutti non voleva incontrare.
Non era da solo.
Prima aveva riconosciuto la bellezza selvatica di Ilsebelle Dyk, con gli occhi turchesi ed i capelli scuri che poco somigliava alla sua rispettabile madre fjerdiana. Ioren faticava terribilmente ad immaginarla alla Corte di Ghiaccio, durante il Cuore di Legno; le cose erano cambiate nell’ultimo ventennio alla corte. Il re era stato, abbastanza, rivoluzionario – per molti, il periodo che aveva passato nell’isolamento della sua malattia aveva dovuto offrire una prospettiva diversa da quella dei suoi predecessori – e la regina lo aveva assistito in tutto, un vero turbine di cambiamento, però certe cose erano restie a cambiare.
Ilse non era da sola, pero, c’era lui …
Carnagione ambrata, occhi blu come lampi e riccioli biondo-sabbia, alto, elegante – anche negli abiti meno eleganti del creato – ed assolutamente a suo aggio. Era lì, soddisfatto, perfettamente a suo comodo nelle strade ketterdiane, sotto gli abiti mondani da uomo qualunque, lo aveva visto con lo stesso agio all’università, indossare i vestiti di studente diligente, alle feste delle confraternite scintillante, come ragazzo allegro e pieno di facezie per la testa, all’ambasciata fjerdiana come perfetto diplomatico, lindo e pinto. O il ragazzo dall’aspetto semplice, quando si addentravano per le vie meno felici di Ketterdam e fingevano di essere due giovani ricchi, sciocchi e raggirabili.
“Meglio così, meglio così, nessuno ti prende sul serio, se sembri sciocco” lo aveva avvertito.
Dominik, Dominik con tutte le sue bellissime bautte.
Eppure c’era un ricordo della mente di Ioren, che non poteva, non poteva essere una maschera, ma era solo un ricordo ed i ricordi avevano il vizio di rimanere soffocati tra un’idea nostalgica ed una memoria corruttibile. Un giorno non avrebbe avuto più memorie o se le avesse avute sarebbero state guaste come l’acqua nera dello Stave.
Lo poteva vedere, chiaro come il sole, nella sua mente che sfoggiava il suo sorriso per incantare gli occhi della Principessa della Jurda.
E, siccome, quella non era la sua serata – e alla ruota il suo numero si fermava sempre sul colore che non sceglieva – aveva potuto vedere gli occhi blu elettrico, anche nella più fosca delle notti kerchiane, trovarlo.
Il sorriso sul viso di Dominik era ampio e sembrava autentico, anche se gli occhi erano macchiati di un sentimento meno sereno: il disagio.
Ioren ne era permeato interamente di quel sentimento.

“Oh, ma non è un lupacchiotto scappato dalla sua cuccia?” lo aveva preso in giro Ilse quando lo aveva veduto. La donna non aveva nessun amore per la patria di sua madre, nonostante le sue fortune e la sua ricchezza fossero da attribuire a Fjerda, anche più delle ricchezze del suo padre kerchiano. D’altronde il loro paese non era stato gentile con loro.
“Lupo?” aveva chiesto retorico lui, “Al massimo sarei un cagnolino da passeggio, che piacciono tanto alle nobildonne” aveva risposto Ioren. Ilse aveva ridacchiato, “Ho detto quello che ho detto” aveva considerato.
Sol Sho Ioren” aveva detto invece Dominik attirando la sua attenzione, “Buonasera” aveva risposto lui rigido, “Non sei venuto al Caffè oggi pomeriggio” aveva considerato il ravkiano. Ioren aveva scosso il capo, “No, stavo ultimando il saggio di letteratura” aveva dichiarato, anche se non era vero, lo aveva terminato alcuni giorni prima, “Dentro ci sono Jordie, Bridgit e … una ravkiana di nome Drina” aveva detto, per invitarli ad entrare.
Ilse aveva guardato Dominik con rinnovato interesse, curiosa di quella informazione, “Abbiamo una nuova amica?” aveva chiesto, “Una vecchia! Conosco Drina da tutta la vita” aveva raccontato Domik. Altra informazione utile “Anche Jordie, a quanto pare” aveva dichiarato Ioren.
E Drina aveva detto di conoscere Linnea Opjer, cosa che Ilse Dyk non sembrava sapere.
“Sai, lo sospettavo? Non lo hanno detto esplicitamente, ma mi pareva proprio che quell’infamello fosse troppo interessato a Drina” aveva scherzato Dominik.
“Anche Jordie Ghafa è umano” aveva dichiarato Ioren, allora, con sarcasmo, “Adesso scusate, devo andare, la strada per l’ambasciata è lunga e spesso accidentata” aveva raccontato, “Buonaserata, signori miei” aveva detto, con gentilezza.
“Vai Ilse, raggiungi gli altri, io devo parlare con Ioren” aveva spiegato Dominik. Brividi di freddo avevano attraversato la schiena del fjerdiano, “Ti accompagno per un tratto” aveva detto. Ioren sapeva cosa avrebbe dovuto fare, declinare, ma aveva annuito invece, “Per un tratto” aveva ripetuto Ioren.

 

Avevano percorso la strada in un silenzio pesante, l’aria più tesa del ferro sotto sforzo. Ioren voleva dire qualcosa, ma allo stesso tempo non sapeva come articolare le parole.
Dominik non stava aiutando e questo era un male, perché di solito era abituato a riempire tutti gli spazi possibili con le sue parole; senza però mai parlare a vanvera.
“Questa sera sei particolarmente silenzioso, è successo qualcosa?” aveva chiesto alla fine il principe Ravkiano, con una genuina preoccupazione nella voce.
Ioren lo aveva guardato con la coda dell’occhio, “Hai incantato la tua principessa della Iurda?” aveva chiesto a bruciapelo lui, prima di maledirsi per averlo domandato.
“Ovviamente” era stata la risposta di Dominik, senza neanche un ciglio battuto, “Il mio essere principe le bastava e avanzava, anche senza la promessa di una corona, ma devo ammettere che la mia personalità la ha conquistata. Domani la rivedrò ai giardini comunali per una passeggiata” aveva risposto lui, senza nessuno sforzo.
“Buon per te, per lei” aveva detto stanco Ioren, per il tuo paese e per le casse affamate di Ravka, per la stupida lettera che dovrò scrivere per comunicarlo a Bjorn. Lui non era una spia, non era affatto per essere una spia, per prima cosa aveva una morale ed infiniti sensi di colpa. Quando suo fratello lo aveva spinto ad a provare l’Università di Ketterdam, aveva avuto in incontro con la Buona Regina Mila.
Non vogliam che tu sia una spia,” aveva detto la donna, con la stessa gentilezza materna che aveva sua madre; era pallida come la luna, con capelli d’argento e gli zigomi alti, bella, sì, ma non in quella maniera cristallina, letale, era umana. “È un sentiero solitario, impervio e disturbante, che si nutre di sé. Ma sarai in terra straniera, devi prenderne atto, ogni informazione che raccoglierai sarà un bene per Fjerda ma soprattutto per te” lo aveva rassicurato la Buona Regina Mila. E Ioren guardando i suoi occhi era stato sicuro, che le sue parole non fossero menzogne, lo aveva letto nei suoi occhi.
Così, ogni informazione che aveva captato, dal prezzo dello zucchero che saliva, all’arrivo di qualche illustre straniero in città – che passasse per i canali ufficiali o lo si vedesse giocare a carte al Barile – Ioren lo riportava come informazioni futili, quasi casuali, nelle lettere al suo buon amico Bjorn, prete di Djel, di cui era stato compagno di scuola.
E quando durante le lezioni di Etica – una materia piuttosto ironica ad essere insegnata a Kerch – Ioren aveva visto entrare il Principe di Ravka, aveva saputo, prima ancora che arrivasse un biglietto, che avrebbe dovuto scrivere molto di lui.
Dalla Santificazione di Senje Zoya ed in seguito il Trattato di Os Kervo, i rapporti tra Fjerda e Ravka si erano decisamente aggiustate.
“Lei ha una bella risata” aveva dichiarato Dominik, “So che è una cosa stupida, però mi piace, è musicale, fragorosa, come di qualcuno che non si vergogna affatto di esprimere quello che prova” aveva aggiunto.
Ioren quella volta si era voltato direttamente verso di lui, con occhi accusatori, “Per chi è questa critica, drekiprins[1]?” aveva chiesto mordace.
Dominik si era fatto rigido, come la lama di un coltello, “Per me ovviamente” aveva dichiarato alla fine, stanco. Ioren lo aveva guardato, sentiva nel suo corpo un tumulto infinito di sentimenti, senza riuscirne ad indentificare uno, su tutti; tristezza, rabbia, compassione e … amore.
“Mi stai evitando” aveva detto alla fine Dominik, con un tono sincero e gli occhi azzurri come zaffiri piantonati nei suoi.
Dominik era slanciato, ma era leggermente più basso di lui, Ioren aveva ereditato l’altezza tipicamente fjerdiana degli uomini della sua famiglia, Birstorr, ma non la stessa prestanza, risultando una figura sgraziata, troppo lunga per il suo corpo … Dominik, invece, era così aggraziato, ben costruito e cesellato, anche se era più basso di lui e per ragione dovesse guardare Ioren da una prospettiva minore, tra i due, lo sguardo che deteneva il controllo era quello del ravkiano.
“Mi sto comportando di conseguenza” aveva replicato Ioren, sentendosi colpevole come un ladro. Di conseguenza a cosa? Aveva pensato e lo aveva letto anche nello sguardo di Dominik.
“Sei qui a raccontarmi di come hai incantato la tua ricca signora Zemeni, o di come tua madre vorrebbe mandarti a Nuova Città[2] per conoscere la sorella minore del Marshall” aveva dichiarato spento. “Oh, ti prego non dimenticare Lilyana che ha pensato che sarei un concubino perfetto per la futura Regina Dalai Kir-Taban” aveva replicato l’altro, la sua voleva essere una battuta, ma la sua voce era uscita tesa, strozzata.
Ioren aveva chiuso gli occhi con amarezza.
“Cosa vuoi che ti dica?” aveva chiesto poi Dominik ad una sua mancata risposta, “Sei tu che mi hai detto che dovevo pensare al mio dovere e mettere la testa a posto” aveva aggiunto a tradimento.
Ovviamente, Ioren lo aveva fatto, perché era un maestro nel soffocare i suoi patemi, i suoi dolori. Aveva guardato Dominik con gli occhi azzurri quasi lucidi. Ioren non poteva pensare fosse così abile nel vendersi da non essere sincero in quel momento, “Quando io non faccio altro che pensare a come vorrei baciarti” aveva sussurrato Dominik e siccome non aveva pietà della povera anima immortale di Ioren, aveva aggiunto: “E al nostro giorno all’Isola di Endocth.”
Ognuna di quelle frasi erano state un coltello conficcato nel petto di Ioren.
Anche-io erano le parole che bruciavano sulla sua lingua, forte e brucianti come tizzoni ardenti, desiderio secondo solo al volerlo baciare, stringersi, unircisi ancora.
Ma non poteva.
Non poteva perché Dominik era un principe e sebbene la sua terra permettesse di unirsi con le persone del medesimo genere[3], Fjerda non ancora – per quanto il proselitismo dei reali non fosse mancato – e Dominik era un principe, prima di uno studente, di un ragazzo o di un amante. I principi non sposavano i ragazzi conosciuti all’università, specie quelli che erano i quinti figli di una famiglia non particolarmente agiata e con un titolo nobiliare quasi assente, di un altro stato. ‘Ma il re Egmond aveva sposato una pescivendola delle campagne!’ una voce insidiosa, fastidiosa, lussuriosa aveva riverberato nelle sue orecchie.
E soprattutto Dominik non meritava di sposare una spia, che aveva venduto ogni informazione, ogni confidenza al suo paese, perché quello era il suo dovere.
“Sono stato ingiusto con te, hai ragione” aveva ammesso alla fine Ioren, perché era vero, lui aveva interrotto la loro relazione, ma aveva punito Dominik per aver soddisfatto quello che gli aveva chiesto. “E che la sola idea di vederti con qualcuno mi fa sentire prenda del Vampiro” aveva ammesso.
Dominik aveva sorriso, amaro, con gli occhi azzurri ancora coperti da un velo di lacrime e poi si era sporto per baciarlo sulle labbra, del tutto incurante che fossero stati nel mezzo di una strada di Ketterdam.
Ioren aveva accolto quel bacio, prima riottoso, insofferente, del male che stava causando, poi aveva schiuso le labbra, divorato dalla fame e dal bisogno. Dall’egoismo.

 

Si era innamorato di Dominik nella stessa maniera in cui ci si immergeva in un lago. All’inizio era stato lento, incerto, con il freddo dell’acqua che pungeva la pelle, ma cominciava ad intorpidirla e dopo pochi passi, s’apriva l’abisso, profondo e pesante e si scivolava giù, nel freddo e nel nulla, leggero ed opprimente allo stesso tempo.
E nuotare era bello, anche si era difficile stare a galla e le correnti non erano sempre gentili.
A Dominik sarebbe piaciuto essere uno scrittore, ma non era certamente un poeta, li piaceva scrivere di quotidianità, della borsa che scendeva, dello scandalo delle infestazioni di Birgitta Schenck[4], dei brogli del Consiglio di Thomas Radmakker, degli affari sinistri di Quinto Porto – di cui nessuno aveva mai risposto – fino ai comportamenti impropri tenuti dall’Assistente Duval nell’università.
Aveva anche cominciato a lavorare come articolista, in incognito, per il Krant, il giornale dell’università di Ketterdam[5].
Però, quando pensava a Dominik, si riscopriva desideroso di poter scrivere, di poter esprimere, con il giusto linguaggio, le giuste metafore, i sentimenti che provava, senza però riuscirci.
Ricordava ancora la prima volta che lo aveva visto entrare nell’aula della professoressa Stirling, con quel suo passo audace, principesco, di che nella vita non aveva mai dovuto reclamare nulla che non possedesse già.
Luminoso e vistoso, con un frac celeste, nuovo di zecca, così Ravkiano, sopra un panciotto arancione, una camicia bianca e pantaloni scuri. Come aveva attraversato la porta e risalita tutta la piccionaia di posti in cerca del suo, ogni sguardo era stato rapito, da quei suoi occhi blu zaffiro, i capelli biondi perfetti e quella stravaganza ostentata ed intrigante.
“Non so te, ma mi sono innamorata” aveva canticchiato languida la sua vicina di posto, una ragazza di cui lui non aveva alcun valido ricordo. Ioren era rimasto in silenzio, perché … perché era bello, in maniera irrisoria, spavaldo in maniera fastidiosa e scommetteva fosse audace in maniera stucchevole.
Dominik non si era seduto lontano da loro, ma neanche aveva dato segno di averli notati. “Secondo te e figlio di qualche mercante importante?” aveva chiesto, “No, è un ravkiano” aveva risposto lui, senza battere ciglio, perché aveva imparato nei mesi precedenti all’inizio dei corsi, mentre si muoveva  per le vie sporche di Ketterdam aveva imparato ad osservare.
I kaelish erano caotici, allegri, per lo più, gli zemeni accomodanti, gentili quasi, gli shu erano silenziosi, quasi invisibili, i kerchiani – la maggioranza – erano figure effimere, con tante promesse in bocca e pugnali alla schiena, i fjierdiani erano possenti, orgogliosi, rumorosi e i revkiani erano eleganti, spavaldi.
“Che sciocchi che siete” aveva detto qualcuno alle loro spalle, Martijin Dresden, il figlio di un ricco mercante kerchiano, parente ad un membro del Consiglio, “Quello è il Syndrakona” aveva dichiarato senza vergogna, con gli occhi avidi rivolti a Dominik.
Il figlio del Drago. Il principe di Ravka.
Con quei pensieri in testa si era voltato, per osservare il profilo perfetto di Dominik, inconsapevole, bellissimo ed addormentato al suo fianco.
Con la carnagione ambrata, piena e viva, in contrasto con il suo pallore bianco lunare. Si era chinato e gli aveva dato un bacio delicato sullo zigomo, sottile, appena un contatto, perché non voleva svegliarlo.
Si era tirato su, con fatica, sentendo ancora un po’ di dolore ed indolenzimento, dal letto ed aveva cercato di recuperare i suoi vestiti sparsi per la stanza.
Avevano preso una camera al Silver Six, registrandosi con falsi nomi – non che fosse necessario, in fine dei conti, ben certi, che il mattino dopo Manisporche avrebbe letto il libro degli ospiti sapendo esattamente quale faccia corrispondesse al nome, al di là delle menzogne.
Non avevano preso una delle stanze più in alto, eleganti e belle, ma più vicine alle sale da gioco, nei piani bassi.
Una piccola camera che conteneva una stanza, con un grande letto, un baule per sistemare pochi averi ed un bagno privato, così piccolo da permettere una sola persona di entrarci e stare comunque scomoda, sfornito di una doccia.
L’essenziale, il minimo, per quegli avventori che rimanevano una notte, desiderosi di tenere ogni kruga possibile per il gioco ai casinò.
Aveva infilato veloce tutti i suoi vestiti, prima di recuperare la giacca nuova dal taglio kaelish, però aveva visto la sua tracola da studio abbandonata e i resti accartocciati delle sue lettere.
Aveva spiegato un foglio osservando quel marasma di cancellatura e righe nere che si aprivano davanti a lui.
Incerto.
“Fuggi, già?” aveva chiesto Dominik, con la bocca impastata di soddisfazione, non ancora del tutto consapevole.
I sentimenti che albergavano in Ioren erano spaccanti, da un lato c’era la consapevolezza di dover fuggire, tornare a casa ed incontrare l’ambasciatore Cotter – che non si curava di Ioren come un pulcino, ma a cui lui doveva ancora riferirsi – e l’altra che lo supplicava di tornare nel letto e fare ancora, ed ancora, l’amore con Dominik.
Ancora una volta, da pessimo fjerdiano quale era, Ioren si era lasciato scivolare accanto Domik, sul materasso bitorzoluto della stanza.  Il principe si era messo a sedere, ancora nudo e non turbato che tanta pelle fosse esposta, ancora lucida di sudore e dei segni voraci dei baci e delle unghie. “Vorrei vivere in un letto con te per tutta la vita” aveva ammesso Ioren, sporgendosi e baciandolo sulle labbra ancora.
“Non lo dire a me” aveva risposto Dominik, con una risata piena di amore, posando una mano gentile sulla sua guancia, “Credo che dentro di te, sia il mio posto preferito” aveva detto baciandolo, mentre l’altra mano era premuta sul suo pettorale, dove era il cuore. Ioren si sarebbe voluto togliere anche la camicia per sentirsi ancora pelle a pelle, aveva condotto le mani a coppa sulle guance dell’altro, “Sei orribilmente sfacciato” aveva dichiarato divertito Ioren.
“Non è colpa mia se a Fjerda siete freddi come l’Inverno nel Permafrost” aveva commentato Dominik tra una risata e l’altra. “Non sai che Avefall, la gente prega che Senje Zoya venga a riscaldare le pianure innevate, per dare ristoro” aveva raccontato Ioren.
“Fidati, l’ultima cosa che i fjerdiani dovrebbero volere è vedere mia madre che sputa fuoco” aveva considerato. Ioren non sapeva neanche come immaginarlo un drago in tutto il suo spaventoso splendore, immaginava una bestia enrome, composta di squame duro ed affilate come rasoi, nero, rosso, letale e spaventoso. Immaginava quando la regina librava in volo, come una nuvola nera enorme, capace di oscurare il sole accompagnata di fulmini, saette e tempeste.
… e Dominik era figlio di un drago.
“Ti sento distratto, ma non preoccuparti ho ancora un autostima così ampia da non prenderla sul personale, anche se sono qui, nudo, in un letto” lo aveva bonariamente rimproverato il principe.
“Stavo pensando a tua madre” aveva dichiarato Ioren, “Be, amico, se volevi rompere la tensione, questa era la frase giusta” aveva riso Dominik.
“Ho visto i draghi solo nelle raffigurazioni, per me, è fuori dalla capacità di immaginazione, anche solo creare nella mia mente la figura di … un drago” aveva ammesso Ioren.
“Bene, allora, per le prossime vacanze, vieni a Ravka con me, ti presenterò mia madre e le chiederò anche se ci fa fare un giro sul suo dorso” aveva detto senza vergogna Dominik.
Ioren era rimasto impietrito a quelle parole. Andare a Ravka con lui, essere presentato da lui, ai leggendari ed eroici sovrano.
“Ci permetterebbe di farlo?” aveva scherzato Ioren, nervoso e sudante, “Assolutamente no! Ma mio padre si offrirebbe di portarci in giro con il suo bel mostro di tenebre” aveva riso Dominik.
Ioren aveva avuto un fulgido tremore alla menzione del Korol Rezni, in grado di tramutare se stesso in una creatura infernale o staccarla da lui, un doppione oscuro, di quelli che tutti gli uomini avevano, ma che lui vedeva, chiaro, tangibile e reale.
“So cosa stai pensando, ‘Per Djel, suo padre ha un mostro d’ombra, sua madre un drago e la capacità più eccezionale di Dominik è essere bellissimo’” aveva dichiarato il principe, con una risata nervosa,
“Però bellissimo in maniera assoluta, più di chiunque altro al mondo” aveva risposto Ioren, baciandolo ancora.
“Così bello da fermare una battaglia con la sola presenza?” aveva indagato divertito il principe.
Perché sua madre lo aveva fatto, era discesa su una battaglia ed anche i druskelle, i più feroci, i più inflessibili tra i fjerdiani, avevano deposto le armi e piegato le ginocchia.
“Così bello da fermare una guerra” aveva confermato Ioren.

 

Era tornato all’ambasciata direttamente il mattino dopo, consapevole che la notte non sarebbe mai fatto rientrare. Lo aveva fatto alle prime luci dell’alba, quando il cielo perdeva quella sfumatura di blu profondo e si di addensava in un blu marino, macchiato da bande di rosso, rosa ed arancio, fino a che l’azzurro spariva divorato dai colori caldi.
Con quella luce aranciata, anche i sanpietrini umidi di Ketterdam, risorgevano di tonalità cotte, le pareti si coloravano e la città oscura, diveniva bella.
Era quasi bello, camminare durante l’alba, perché se il tramonto offriva uno spettacolo simile, ma pullulante di turisti, avventori e disperati, l’alba era per gli ultimi ritardatari e i primi del giorno. Il silenzio era sovrano, rovinato e turbato solo dalle navi che lasciavano i porti ed il buon giorno dei gabbiani.
Si era beato ancora, all’aria di quei colori e rumori e poi era tornato dentro, chiuso nella Fortezza.
Nel comodo della sua piccola stanza, la metà di quella del Silver Six, ma arredata con un armadio per i vestiti ed una scrivania dove studiare alla luce di una lampada la sera – al posto delle aule lettura – ed un bagno personale provvisto anche di una vasca-doccia, Dominik aveva soffocato la sua coscienza.

Mio caro amico Bjorn,

sento la tua mancanza. Anche se sei un uomo di fede e l’unica devozione che hanno in questa città dimenticata da Djel e i suoi Figli è per il Dio-Denaro, credo riusciresti ad apprezzarla. In particolare, la mattina presto, quando il mondo tace ed i colori trasformano ogni cosa. Inoltre, credo che la tua presenza renderebbe più piacevole ogni cosa, probabilmente anche un soggiorno all’Anticamera dell’Inferno.
Spero che a Djerholm ogni cosa continui ad andare bene e che tu riserva preghiere per sua altezza il re, la regina ed il piccolo principe.
Spero che il tuo studio al seminario continui buono, un po’ mi manca confesso, una vita austera, ma una vita dignitosa per un fjerdiano.
Ho apprezzato molto la tua ultima lettera e le tue considerazioni sui Tratti di Senje Cnut. Spero che i libri che allegherò a questa lettera saranno di tuo gradimento – potrei aggiungerne uno che il buon Padre Ubbe non approverebbe affatto. Giusto, un altro motivo per cui ti vorrei a Ketterdam e sapere quanto apprezzeresti frequentare l’università; hai sempre avuto una mente più eclettica e brillante, per quanto apprezzi e rispetti i precetti di Djel e dei suoi figli, trovo ingiusto saperti confinati in essi. Inoltre, con il tuo carattere pieno di vita ti faresti molti più amici di quanti me ne sia fatti io, come ben sai, come ha sempre detto mio fratello, sono una creatura tendente alla solitudine. Sospetto che il nostro gruppo di amici si allargherà ancora.
Jordan, ricordi? Si è invaghito di una bella ravkiana, una sua vecchia amica, la ha addirittura presentata ai suoi genitori. La ragazza mi ha detto di essere vecchia amica di Jordan, perché i loro genitori hanno lavorato fianco a fianco, ma pare che la ragazza da giovane si sia intrattenuta con compagnie anche più regali. Comunque, mi viene proprio un patema d’animo, perché l’amore è proprio nell’aria. Oltre Jordie, pare che Juliana abbia deciso di organizzare un incontro tra il mio compagno di bevute – sempre morigerate –  preferito ed una sua amica, una certa nobildonna zemeni, ricca, di orgine kerchiane. Che strana combo, no? Visto l’eterna guerra che esiste tra le due nazioni.
Comunque, pare che l’incontro sia stato un successo, penso rimarrò solo a breve, con la sola compagnia di Bridgit.
Per questo la tua presenza sarebbe un balsamo, perché, come sai, ti tengo sempre nel cuore.

Tuo
amico Ioren.

Amava sinceramente Dominik.
Si era innamorato di Dominik nella stessa maniera con cui si immergeva in un lago, prima poco a poco, poi come un tuffo da sovrastarlo interamente.
Ma quando pensava alla prima volta che era andato al lago, ricordava di aver avuto undici anni scari, che la primavera era ruggente nell’acqua e le distese di ghiaccio lasciavano spazio a specchi d’acqua purissima e, soprattutto, ricordava la mano di Bjorn prenderlo e condurlo tra le acque fresche, con fiducia, anche se erano a malapena conoscenti.
Amava Dominik, ma amava Fjerda, amava il modo in cui Re
Egmond stava ricostruendo il loro paese, la buona regina Mila ed amava il ricordo di Bjorn.
E sperava che un giorno Dominik non lo avrebbe odiato troppo.

 



[1] Prins, è principe in norvegese/Islandese/Svedese, Dreki è drago in Islandese

[2] Ho deciso che le isole erranti si beccheranno i Nomi “italiani”, poiché mentre tutti i continenti hanno nomi invetati (fjerda, Ravka ETC), le Isole Erranti sono le uniche scritte in Inglese (in originale), oltre le colonie del sud.
Ed io credo che se un autore prende la decisione di scrivere nella sua lingua un nome è perché vorrebbe che il significato fosse immediato (es. Tolkien presenta ‘Gran Burrone’ e Gondor) e ciò mi ha portato a cercare coerenza narrativa.

[3] Mi pare che Nadia e Tamar siano sposate e alla cosa non venga concessa troppa importanza.

[4] E’ un personaggio tratto dai libri, per distinguerla da Bree, ho scritto il nome dell’altra ragazza all’Inglese invece che all’Olandese (d’altronde Kaz non è un nome Olandese e Uailan neanche ci somiglia alla pronuncia corretta di Wylan – fingiamo che non sia uno di quei casi random dove scrivi in un fandom e ci metti nomi inglesi che non ci stanno per nulla).

[5] Krant: Giornale in Olandese. Ora, S&B/SoC/KoS sono ambientati in un mondo ‘700-‘800 circa, dove la stampa aveva il suo bel perché in importanza. “Il giornale de Letterarti” era in circolazione dalla seconda metà del 1600, quindi diciamo che ho sempre trovato molto strano che nel Grishaverse non ci fossero, anche perché era un modo abbastanza semplice di far circolare le notizie. Nella mia testa il Krant è un giornale Universitario, pensato per gli universitari, ma distribuito e seguito da tutti gli intellettuali locali, a Ketteram, che si presenta come un giornale sia di denuncia (come gli articoli di Ioren), però anche legato ad analisi politiche, critica sociale e pure editoriale di poesia e letteratura. Non so se ha senso?

   
 
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