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Autore: Mari Lace    30/03/2023    4 recensioni
{Emma&Ray&Norman; roommates!au}
«Vorrei avere anch’io un ragazzo che mi prepari da mangiare. È pure carino!»
«No, no.» Emma ride. «Ray non è il mio ragazzo.»
«Tornate sempre a casa insieme.»
«Norman studia medicina dall’altra parte della città.»
[Questa storia partecipa alla To Be Writing challenge indetta sul forum Ferisce la penna e alla challenge delle parole quasi intraducibili con la parola Gemütlichkeit]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma, Norman, Ray
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Casa è dove siete voi'
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casa gemulitchkeit

Casa

 

«Vorrei anch’io un ragazzo che mi prepari da mangiare. È pure carino!»

«No, no.» Emma ride. «Ray non è il mio ragazzo.»

 

Ray geme, rassegnandosi a tirare fuori la testa dal cuscino con cui ha cercato – invano – di difendersi dall’allarme che suona ininterrotto da almeno cinque minuti nella stanza dall’altra parte del corridoio. L’abilità di Emma di ignorare tutto quando dorme ha smesso di sorprenderlo da molto tempo.

Apre gli occhi e lancia un’occhiata al letto accanto al suo. Come immaginava, è vuoto; non invidia i turni mattutini di Norman. Certo, pensa controllando l’orologio che porta sempre al polso, anche non dovermi alzare alle otto e sette di mattina l’unico giorno che ho lezione il pomeriggio non mi dispiacerebbe. La sveglia continua a suonare e lui finalmente si alza ed esce dalla stanza, sgranchendo le braccia ancora intorpidite dal sonno.

Non perde tempo a bussare alla porta: sa che Emma non lo sentirebbe come sa che la sua amica d’infanzia dorme in magliette troppo larghe e un paio di leggings. Raggiunge il comodino e spegne l’allarme infernale, finalmente. Si concede qualche secondo per godersi il ritrovato silenzio, prima di voltarsi verso Emma che continua a dormire beata. Ray si piega sulle ginocchia, accosta la bocca a un soffio dal suo orecchio. «Emma,» pronuncia lentamente, scandendo ogni sillaba, «sveglia!» Mentre dice l’ultima parola, le scuote la spalla.

Emma apre gli occhi di scatto. Bisbiglia qualcosa che Ray non riesce a distinguere, prima di strofinarsi la faccia con uno sbadiglio. Poi si tira su – troppo rapidamente; Norman non approverebbe – e si gira verso Ray, un accenno di panico nello sguardo. «Che ora è?»

Ray controlla l’orologio. «Otto e dieci. Se corri in bagno adesso, forse non perderai il bus.»

Emma non se lo fa ripetere. Si precipita giù dal letto, evitando per miracolo di inciampare nel lenzuolo, e si infila sotto la doccia, mormorando ringraziamenti nel mentre. Lui scuote la testa, più divertito che irritato ormai, e si dirige in cucina.

Già immagina il sorriso di Emma quando scoprirà di non dover rinunciare alla colazione.

 

«Vivete insieme e ti prepara il pranzo.»

«Siamo coinquilini.» Alza le spalle. «E non viviamo da soli.»

 

Norman annuisce, chiudendo la chiamata con sua madre. Non è mai riuscito a chiamarla mamma: a dodici anni era una questione di principio, non voler rimpiazzare la responsabile dell’orfanotrofio dove sono cresciuti lui, Emma e Ray. Con il tempo si è affezionato alla sua nuova famiglia, quando ha capito che vivere con loro non gli avrebbe impedito di mantenere i contatti con i suoi amici – i suoi fratelli –, ma certe abitudini sono difficili da perdere. Se deve essere onesto, Norman può ammettere di non essercisi particolarmente impegnato.

Emma lo chiama dalla cucina, Ray minaccia di iniziare senza di lui. Norman sorride e si sbriga a raggiungerli, chiudendo la porta-finestra dietro di sé. Sa che non lo escluderebbero davvero, ma sa anche che sarebbero capaci di venire a prenderlo di forza se dovesse metterci troppo. «Eccomi, eccomi.»

«Iniziavo quasi a pensare volessi darci buca» dichiara Ray, sollevando la ciotola di pop-corn dal tavolo.

Norman porta la mano sinistra sul cuore, fingendosi offeso. «Hai così poca fiducia in me?»

Emma lo raggiunge, prendendogli la mano. «Io non avevo dubbi.»

«Tu non dubiti mai nessuno, Emma.»

Emma apre la bocca per rispondere all’accusa di Ray, ma la richiude poco dopo. Norman ride; neanche lui saprebbe costruire una difesa per lei, in effetti, in questo caso. Emma ride con lui. Ray scuote la testa e si avvia in salotto, ma a Norman non sfugge che stia sorridendo.

Emma mette in mano a Norman tre bicchieri e lo spinge verso la porta, seguendolo poco dopo con le braccia piene di bibite.

Era un po’ che non riuscivano a passare del tempo così, tutti e tre insieme. Un mese, per l’esattezza. Sono tre studenti universitari con ritmi e impegni diversi, ma si sono impegnati a organizzare una serata film almeno una volta al mese. Norman sa che Ray scherzava, prima, come sa che nessuno di loro se la perderebbe per niente al mondo.

«Allora, a chi tocca scegliere?»

 

«Tornate sempre a casa insieme.»

«Norman studia medicina dall’altra parte della città.»

 

Emma si blocca un istante, riprendendosi giusto in tempo per evitare che il bicchiere passatole da Norman le sfugga di mano.

«Sei freddo!» esclama, poggiando il bicchiere sul tavolo e afferrando la mano – gelida – di Norman con entrambe le sue. «Vuoi la mia felpa?»

«La sua felpa, vuoi dire.»

Emma abbassa lo sguardo sulle maniche un po’ troppo lunghe della felpa che indossa, e in effetti Ray ha ragione: è quella che ha preso in prestito da Norman qualche settimana prima. Inizia a sfilarsela. «Ora è mia» insiste, pur porgendola a chi ne ha più bisogno. «È morbida.»

Norman le sorride. «Puoi tenerla. Io sto bene.»

Ray sbuffa, ferma l’episodio e si alza. Emma si chiede dove vada, ma è impegnata in una sorta di tiro alla fune al contrario con Norman per chi debba ottenere la felpa. Le piace davvero – è uno dei tessuti più morbidi che abbia mai toccato ed è di un bel rosso –, ma può sempre ri-rubarla in seguito. È più importante che Norman si scaldi, adesso.

«Siete due idioti, lo sapete, vero?»

La voce di Ray precede la caduta di qualcosa morbido e caldo su Emma e Norman. Emma riapre gli occhi che aveva chiuso d’istinto e riconosce l’oggetto come una coperta di pile blu.

«Copritevi entrambi.»

Norman scoppia a ridere. «Grazie, Ray. Avrei dovuto alzarmi.»

Ray non risponde, aggira il divano per tornare al suo posto. Emma tende la mano e lo afferra per un braccio. «Siediti con noi!» dice, attirandolo a sé fino a farlo sedere tra lei e Norman. «La coperta è abbastanza grande per tutti e tre.»

Ray libera il braccio e lo usa per scompigliarle i capelli. «Va bene, va bene.» Cerca di suonare rassegnato, ma Emma lo conosce bene e non si fa ingannare, anche perché nemmeno lui riesce a trattenere un sorriso. «Ora però state zitti, voglio vedere come finisce.»

Emma annuisce e sistema la coperta mentre la serie riprende. Si è distratta durante l’ultima parte, non ha ben chiaro chi sia il personaggio sullo schermo in quel momento, ma non ha importanza. Ama le loro serate, a prescindere da ciò che scelgono di guardare: smette di provare a seguire gli eventi e lascia che gli occhi le si chiudano, poggiando la testa sulla spalla di Ray. Sta così bene, lì.

 

«Siete solo amici.»

«Amici, certo.» Emma sorride. «È più come avere due fratelli, in realtà.»

  
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