Casa
«Vorrei
anch’io un ragazzo che mi prepari da mangiare. È
pure carino!»
«No,
no.» Emma ride. «Ray non è il mio
ragazzo.»
Ray geme,
rassegnandosi
a tirare fuori la testa dal cuscino con cui ha cercato –
invano – di difendersi
dall’allarme che suona ininterrotto da almeno cinque minuti
nella stanza dall’altra
parte del corridoio. L’abilità di Emma di ignorare
tutto quando dorme ha smesso
di sorprenderlo da molto tempo.
Apre gli
occhi e lancia un’occhiata al letto accanto al suo. Come
immaginava, è vuoto; non
invidia i turni mattutini di Norman. Certo, pensa
controllando l’orologio
che porta sempre al polso, anche non dovermi alzare alle otto
e sette di
mattina l’unico giorno che ho lezione il pomeriggio non mi
dispiacerebbe.
La sveglia continua a suonare e lui finalmente si alza ed esce dalla
stanza,
sgranchendo le braccia ancora intorpidite dal sonno.
Non perde
tempo a bussare alla porta: sa che Emma non lo sentirebbe come sa che
la sua
amica d’infanzia dorme in magliette troppo larghe e un paio
di leggings. Raggiunge
il comodino e spegne l’allarme infernale, finalmente. Si
concede qualche
secondo per godersi il ritrovato silenzio, prima di voltarsi verso Emma
che continua
a dormire beata. Ray si piega sulle ginocchia, accosta la bocca a un
soffio dal
suo orecchio. «Emma,» pronuncia lentamente,
scandendo ogni sillaba, «sveglia!» Mentre
dice l’ultima parola, le scuote la spalla.
Emma apre
gli
occhi di scatto. Bisbiglia qualcosa che Ray non riesce a distinguere,
prima di strofinarsi
la faccia con uno sbadiglio. Poi si tira su – troppo
rapidamente; Norman non
approverebbe – e si gira verso Ray, un accenno di panico
nello sguardo. «Che
ora è?»
Ray
controlla
l’orologio. «Otto e dieci. Se corri in bagno
adesso, forse non perderai il bus.»
Emma non se
lo
fa ripetere. Si precipita giù dal letto, evitando per miracolo di inciampare nel lenzuolo, e si infila sotto la doccia, mormorando ringraziamenti nel mentre. Lui scuote la testa, più divertito che irritato
ormai, e si dirige
in cucina.
Già
immagina il
sorriso di Emma quando scoprirà di non dover rinunciare alla
colazione.
«Vivete
insieme e ti prepara il pranzo.»
«Siamo
coinquilini.» Alza le spalle. «E non viviamo da
soli.»
Norman
annuisce,
chiudendo la chiamata con sua madre. Non è mai riuscito a
chiamarla mamma:
a dodici anni era una questione di principio, non voler rimpiazzare la
responsabile dell’orfanotrofio dove sono cresciuti lui, Emma
e Ray. Con il tempo
si è affezionato alla sua nuova famiglia, quando ha capito
che vivere con loro
non gli avrebbe impedito di mantenere i contatti con i suoi amici
– i suoi
fratelli –, ma certe abitudini sono difficili da
perdere. Se deve essere
onesto, Norman può ammettere di non essercisi
particolarmente impegnato.
Emma lo
chiama dalla cucina, Ray minaccia di iniziare senza di lui. Norman
sorride e si
sbriga a raggiungerli, chiudendo la porta-finestra dietro di
sé. Sa che non lo
escluderebbero davvero, ma sa anche che sarebbero capaci di venire a
prenderlo
di forza se dovesse metterci troppo. «Eccomi,
eccomi.»
«Iniziavo
quasi a pensare volessi darci buca» dichiara Ray, sollevando
la ciotola di
pop-corn dal tavolo.
Norman
porta
la mano sinistra sul cuore, fingendosi offeso. «Hai
così poca fiducia in me?»
Emma lo
raggiunge,
prendendogli la mano. «Io non avevo dubbi.»
«Tu
non
dubiti mai nessuno, Emma.»
Emma apre
la
bocca per rispondere all’accusa di Ray, ma la richiude poco
dopo. Norman ride;
neanche lui saprebbe costruire una difesa per lei, in effetti, in
questo caso. Emma
ride con lui. Ray scuote la testa e si avvia in salotto, ma a Norman
non sfugge
che stia sorridendo.
Emma mette
in
mano a Norman tre bicchieri e lo spinge verso la porta, seguendolo poco
dopo
con le braccia piene di bibite.
Era un
po’
che non riuscivano a passare del tempo così, tutti e tre
insieme. Un mese,
per l’esattezza. Sono tre studenti universitari con ritmi e
impegni diversi, ma
si sono impegnati a organizzare una serata film almeno una volta al
mese. Norman
sa che Ray scherzava, prima, come sa che nessuno di loro se la
perderebbe per
niente al mondo.
«Allora,
a
chi tocca scegliere?»
«Tornate
sempre a casa insieme.»
«Norman
studia medicina dall’altra parte della
città.»
Emma si
blocca un istante, riprendendosi giusto in tempo per evitare che il
bicchiere
passatole da Norman le sfugga di mano.
«Sei
freddo!»
esclama, poggiando il bicchiere sul tavolo e afferrando la mano
– gelida – di Norman
con entrambe le sue. «Vuoi la mia felpa?»
«La
sua
felpa, vuoi dire.»
Emma
abbassa
lo sguardo sulle maniche un po’ troppo lunghe della felpa che
indossa, e in
effetti Ray ha ragione: è quella che ha preso in prestito da
Norman qualche
settimana prima. Inizia a sfilarsela. «Ora è
mia» insiste, pur porgendola a chi
ne ha più bisogno. «È
morbida.»
Norman le
sorride. «Puoi tenerla. Io sto bene.»
Ray sbuffa,
ferma l’episodio e si alza. Emma si chiede dove vada, ma
è impegnata in una
sorta di tiro alla fune al contrario con Norman per chi debba ottenere
la
felpa. Le piace davvero – è uno dei tessuti
più morbidi che abbia mai toccato
ed è di un bel rosso –, ma può sempre
ri-rubarla in seguito. È più importante
che Norman si scaldi, adesso.
«Siete
due
idioti, lo sapete, vero?»
La voce di
Ray precede la caduta di qualcosa
morbido e caldo su Emma e Norman. Emma riapre gli occhi che aveva
chiuso d’istinto e riconosce l’oggetto
come una coperta di pile blu.
«Copritevi
entrambi.»
Norman
scoppia a ridere. «Grazie, Ray. Avrei dovuto
alzarmi.»
Ray non
risponde, aggira il divano per tornare al suo posto. Emma tende la mano
e lo
afferra per un braccio. «Siediti con noi!» dice,
attirandolo a sé fino a farlo
sedere tra lei e Norman. «La coperta è abbastanza
grande per tutti e tre.»
Ray libera
il
braccio e lo usa per scompigliarle i capelli. «Va bene, va
bene.» Cerca di
suonare rassegnato, ma Emma lo conosce bene e non si fa ingannare,
anche perché
nemmeno lui riesce a trattenere un sorriso. «Ora
però state zitti, voglio
vedere come finisce.»
Emma
annuisce
e sistema la coperta mentre la serie riprende. Si è
distratta durante l’ultima
parte, non ha ben chiaro chi sia il personaggio sullo schermo in quel
momento,
ma non ha importanza. Ama le loro serate, a prescindere da
ciò che scelgono di
guardare: smette di provare a seguire gli eventi e lascia che gli occhi
le si
chiudano, poggiando la testa sulla spalla di Ray. Sta così
bene, lì.
«Siete
solo amici.»
«Amici,
certo.» Emma sorride. «È più
come avere due fratelli, in realtà.»