Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Melisanna    07/04/2023    0 recensioni
Si svegliò nella morsa di un dolore impietoso, che gli affondava le zanne nella schiena e nel ventre. Si svegliò in una corsia di ospedale, tra i lamenti dei malati e puzzo di disinfettante e materia organica. Si svegliò febbricitante e in preda a vertigini violente che gli impedivano di distinguere il sopra dal sotto e gli causarono un onda violenta di nausea.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Diego Brando, Johnny Joestar
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il costo della vita

 
L’appaloosa spore la testa oltre il recito per afferrargli il panciotto e tirargli le falde con i grandi denti gialli. Johnny lo lasciò fare. Le sue tasche erano vuote, il pony sarebbe rimasto deluso. Il cavallino non parve però lasciarsi scoraggiare e continuò ostinatamente a mordergli i vestiti, sbavandogli sul petto. Colpito dalla sua testardaggine, gli sfregò con approvazione la larga fronte piatta.

Era stati tre giorni strani. Brando l’aveva voluto con sé per visitare la fiera e scegliere una fattrice incinta o con un puledro di poche settimane. Johnny si era costretto a fingersi interessato, pur consapevole che la sua triste commedia non veniva creduta. Nonostante tutto Brando aveva continuato a chiedergli consiglio, paragonando i pregi dei purosangue arabi, per cui aveva una predilezione e di quelli inglesi, che Johnny non aveva osato ammettere di preferire.

I cavalli, solo loro probabilmente, amavano Brando. Ammansiva anche il più riottoso con poche parole e l’offerta del palmo della sua mano e quando era con loro dimostrava finalmente i suoi pochi anni e dismetteva l’aria severa che riservava agli esseri umani. Rideva molto, pur non smettendo di analizzarli con la sua mente calcolatrice e i suoi occhi acuti.

Johnny si era trascinato dietro a lui, in mezzo ai recinti della fiera, in quell’atmosfera festosa, sentendolo discutere di zoccoli e denti e garretti e incroci e discendenze, senza riuscire a trovare nessun entusiasmo in quella ricerca che avrebbe dovuto essere appassionante. Un tempo gli piaceva accompagnare suo padre a scegliere i cavalli ed era sempre entusiasta e orgoglioso, quando gli veniva chiesto un parere. Adesso invece aspettava solo che arrivasse la sera per poter tornare a chiudersi nella sua camera d’albergo, cercando invano di dormire e dimenticare.

Ma la notte era ancora più crudele e spietata del giorno con lui. Non riusciva a far altro che rigirarsi nel letto, agitando le braccia e la testa, nel tentativo di scacciare i pensieri, tormentato del presente e dal passato.

Perché era stato così stupido? Così arrogante? L’angoscia gli prendeva le viscere ogni volta che lo assaliva il ricordo dell’idiozia con cui aveva rovinato la sua vita. Avrebbe solo voluto dare la colpa a qualcuno, a qualcosa e invece la colpa era stata solo sua che si era ritenuto immortale, solo perché era giovane ed abile e famoso e immensamente sciocco.

Giaceva nel letto e si appallottolava su sé stesso, stringendo a sé quelle sue gambe inutili, trascinandoseli al petto, quegli arti come rami secchi, con la forza delle braccia, cercando di tenere fuori il dolore e la disperazione e la vergogna, desiderando fuggire non sapeva dove, non sapeva da cosa e sapendo che non poteva fare altro che stare lì a macerarsi nella sofferenza e che, anche se avesse chiesto aiuto, nessuno glielo avrebbe potuto dare. Aveva fatto a pezzi tutto, distrutto tutto, suo padre aveva sempre avuto ragione su di lui. Avrebbe dovuto morire al posto di Nicholas. Avrebbe solo voluto che tutto fosse finito.

Eppure aveva paura di morire. Era vigliacco anche in questo. Restava aggrappato a Brando, perché era l’unico che potesse offrirgli una possibilità di sopravvivenza. Un tempo si disperava perché non riusciva a batterlo, perché non era il migliore di tutti! Che ragazzino sciocco, non si rendeva conto di quanto era fortunato. Lui, stupido coglione orgoglioso e pieno di sé, non aveva capito quanto era fottutamente felice.

Era stata di quello la colpa. Ecco di cos’era stata. Era stata della felicità. Di quella stupida, idiota, maledetta felicità che gli aveva fatto credere di essere invincibile. L’aveva fregato, dopo tutta la vita a sentirsi dire di non valere niente, scoprire di valere qualcosa, di poter avere stuoli di fan adoranti e di essere famoso in tutta America e persino nel vecchio continente, gli aveva dato alla testa. Gli aveva fatto scordare la prudenza e il buonsenso.

Ecco di cos’era stata la colpa: della felicità.

Se non fosse stato per la felicità che aveva provato quando aveva vinto la sua prima gara, non avrebbe pensato di poter sconfiggere Brando, di doverlo sconfiggere a qualsiasi costo e non avrebbe pensato di avere il diritto di superare una fila, solo perché una ragazzina faceva la lagna.

Stupido, stupido Johnny. Ora non aveva più niente, non valeva più niente. Perché non aveva saputo accontentarsi?

Ora aveva imparato ad accontentarsi, rifletté, grattando la testa al pony, aveva imparato a non essere ostinato, non come questo sciocco cavallino che continuava inutilmente a cercare mele e zucchero nelle sue tasche vuote.

Una mano si allungò accanto alla sua a dare una pacca all’appaloosa che alzò la testa incuriosito e fu prontamente ricompensato con una zolletta di zucchero. Il cavallino sbuffò e protese le labbra per afferrarla soddisfatto, lasciando la mano di Brando viscida di bava. Brando se la pulì sul collo pezzato del cavallino stesso.

“Vi piace?” chiese.

Johnny alzò le spalle “Avrà almeno sette anni, ma è furbo e resistente”.

“Potreste provare a cavalcarlo”.

Johnny lo fulminò con lo sguardo “Non dite sciocchezze, come posso fare, con queste gambe?”

“Avete solo bisogno di un bravo cavallo esperto. E questo lo è. Penso che lo comprerò”.

 “Non sprecate i vostri soldi. Anche se riuscissi a stare in sella, cosa potrei fare?”

“Non c’è ragione per cui dobbiate privarvi del piacere di cavalcare, anche se non potete più gareggiare”.

“Che piacere sarebbe, allora?”

Brando lo guardò sbalordito “Credevo amaste cavalcare”.

Johnny scrollò le spalle “Forse un tempo, io… non so… cos’avrei potuto fare, se non cavalcare?”

Le labbra di Brando si tesero “Comprerò l’appaloosa. E se non vorrete cavalcarlo potrete almeno scendere nelle stalle e passare del tempo con lui, come stavate facendo ora”.

Johnny sospirò e distolse lo sguardo “Io non vi capisco, Diego… Perché non mi lasciate stare? Faccio già tutto quello che mi chiedete. Cosa volete? Cosa volete da me?”

Senza voltarsi avvertì lo sguardo di Brando su di lui e la sua voce si fece più morbida e onesta e le consonanti vennero assorbite dal cockney “Voglio solo che vi perdoniate, Jonathan. Abbiate pietà di voi”.

Johnny si voltò e lo guardò negli occhi, la voce di Brando si fece ancora più bassa e quasi incerta “E abbiate pietà di me. Vi amo Johantan. Molto”.

 
  
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