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Autore: Missmilkie    16/04/2023    12 recensioni
È notte fonda quando rientro in camera. Scalcio le scarpe col tacco e i miei piedi tirano un sospiro di sollievo. Questa giornata mi ha sfinita e dire che non ero nemmeno io la sposa. Lei invece sembrava così tranquilla, spensierata, naturale…
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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INVITATI

 
Capitolo unico
 
 
Camera 501, ore 2:00
 
È notte fonda quando rientro in camera. Scalcio le scarpe col tacco e i miei piedi tirano un sospiro di sollievo. Questa giornata mi ha sfinita e dire che non ero nemmeno io la sposa. Lei invece sembrava così tranquilla, spensierata, naturale…
 
Devo ammettere che vedere mia sorella promettere il suo amore a quello che da qualche ora è suo marito mi ha emozionata non poco. Ho quasi provato una punta di gelosia per lui, anche se so che questo non cambierà il nostro rapporto: resterò sempre la sua sorellina. E comunque non posso essere gelosa di lui, sarebbe davvero il colmo! In realtà, sono semplicemente felice per lei: si merita il meglio dopo tutto quello che ha fatto per la nostra famiglia.
 
Il ricevimento è stato alquanto sfarzoso, ma d’altronde non mi aspettavo niente di meno. L’idea di rivedere persone che ormai non frequento più – una su tutte la sorella dello sposo – all’inizio mi preoccupava un po’, ma devo dire che ritrovare i vecchi amici si è rivelato piacevole. Ovviamente tra questi c’era pure lui.
 
Certo, Akane, lui era proprio un tuo amico.
 
Sono stata tentata fino all’ultimo di chiedere conferma alla mia famiglia se fosse stato effettivamente invitato, ma la risposta era scontata. E piuttosto che dare a vedere che la cosa mi interessava, mi sarei tagliata una mano. L’importante è che sia riuscita a non interagirci per tutto il giorno, fatta eccezione per i saluti neutri appena arrivati, s’intende. Codarda sì, ma maleducata mai!
 
Lascio scivolare a terra il vestito elegante per recuperarlo l’attimo dopo, chiedendomi se avrò mai un’altra occasione per indossarlo. Entro nell’ampio bagno e inizio a riempire la vasca di marmo versandoci un bagnoschiuma a caso dalla scelta messa a disposizione degli ospiti. Lo so che è tardi, ma quando mi ricapita di farmi un bagno in un posto del genere? Di sicuro non a breve con i pochi spiccioli del mio lavoro alla caffetteria che, tuttavia, mi permettono di pagarmi una stanza – leggi indipendenza – nel cuore di Tokyo, mentre studio.
 
Non ho la pazienza di aspettare che l’acqua arrivi al livello desiderato e mi immergo prima. Poggio la testa sul bordo e chiudo gli occhi godendomi il tepore che sale e il profumo del bagnoschiuma. Pescando a caso, ho scelto bene.
 
Forse sono stata troppo scostante stasera. In alcuni momenti mi è sembrato che lui mi cercasse con lo sguardo, come a voler tentare una qualche connessione.
 
No, Akane. Hai fatto bene a tenerti sulle tue: non avete più niente da spartire ormai, lui appartiene al tuo passato!
 
TOC TOC
 
Non ci credo, tempismo perfetto.
 
Chi può essere a quest’ora poi?
 
“Akane sei sveglia? Posso entrare?” sento arrivare da lontano.
 
La voce non si preoccupa di ottenere il mio permesso e Nabiki compare sulla porta del bagno avvolta in una lunga vestaglia di seta.
 
Non posso fare a meno di strabuzzare gli occhi dalla sorpresa.
 
Che cavolo ci fa lei qui, adesso?!
 
E, così come lo penso, glielo dico.
 
“Perché? Non posso stare un po’ con la mia sorellina?” mi risponde come se fosse la cosa più normale del mondo.
 
“Ma Nabiki! Questa è la tua notte di nozze, voglio dire non dovresti... ecco, essere con tuo marito?” replico arrossendo come una sciocca.
 
“Se ti riferisci a Kuno è di là che dorme: era talmente ubriaco che non ha fatto nemmeno in tempo a togliere lo smoking” mi ignora lei sedendosi sul bordo della vasca.
 
Io continuo a fissarla sbigottita. E certo che mi riferisco a Kuno!
 
“Comunque la prima notte tra marito e moglie è sopravvalutata: se anche fosse stato sveglio, non sarebbe accaduto niente che non abbiamo già fatto” continua perfettamente a suo agio.
 
Ho sempre invidiato la sua sicurezza, io a ventun anni ancora non riesco a parlare di sesso senza imbarazzarmi. Nemmeno fossi ancora vergine.
 
“Allora sorellina, come va la vita?” mi domanda mentre svita il tappo dei flaconi di bagnoschiuma testandone i profumi.
 
“A gonfie vele” rispondo sulla difensiva. So già dove vuole andare a parare la vipera.
 
“La media dei tuoi voti è sempre la migliore del corso?” continua candida.
 
Ok, la sta prendendo alla lontana.
 
“La migliore non credo, ma diciamo che è buona” replico senza farmi ingannare da queste domande innocenti.
 
“E la tua vita sentimentale? Ci sono uomini all’orizzonte? O donne?”
 
Eccoci qui. Non ha aspettato poi così tanto.
 
“Al momento mi sto concentrando sugli studi”.
 
“Va veramente così male?” mi chiede alzando un sopracciglio.
 
“Nabiki, non ho detto questo: ho semplicemente detto che al momento sto prioritizzando l’università, tutto qui” sospiro offesa.
 
Il che, peraltro, è la verità.
 
In ogni caso la mia vita amorosa, anche se momentaneamente in pausa, non è affatto piatta. Voglio dire, ho avuto un paio di storie da quando sono andata via di casa. Non male, eh?
 
La prima è stata con un – ormai ex – collega della caffetteria in cui lavoro e con cui sono uscita insieme alcuni mesi. Era sempre molto gentile e premuroso con me e le cose andavano apparentemente bene ma, quando mi chiese di conoscere la mia famiglia, il mio cuore non seppe cosa rispondere. Il che, come mi spiegarono le mie compagne di corso, era già di per sé una risposta. Dette le dimissioni poco dopo esserci lasciati. Io decisi quindi di mettere una croce sulle relazioni a lavoro e di concentrarmi esclusivamente sullo studio.
 
Ma il problema di quando ci si butta sui libri è che si inizia a frequentare le biblioteche. E lì non ci vai solo tu. La mia seconda – e ultima – storia è stata con uno studente di economia più grande di me. Siamo stati insieme un intero anno, praticamente la relazione più lunga che abbia mai avuto. Fatta eccezione per il mio fidanzamento forzato adolescenziale s’intende, ma quella appartiene a un’altra vita. Verso la fine della sua festa di laurea mi fece la proposta. Ricordo ancora la sensazione che provai: ero scioccata e arrabbiata. Andava tutto così bene tra noi, eravamo una bella coppia, non capivo perché avesse voluto rovinare tutto con quella stupida domanda. Evidentemente per lui non era stupida dal momento che era innamorato di me. Peccato che io non lo fossi di lui. Per la verità, non credo di essere mai stata innamorata in vita mia. E no, nemmeno di…
 
“…Ranma?” Nabiki mi ripesca dalla mia vasca di pensieri.
 
“Che cosa hai detto?!” domando cercando di non tradirmi da sola. Sono piuttosto sicura che mia sorella non abbia ancora imparato a leggere nella mente.
 
“Ti ho solo chiesto se sei riuscita a incrociare Ranma al ricevimento. Perché ti agiti tanto?” mi chiede col suo sorrisino fastidioso da ti-ho-beccata.
 
“Ah no, io… c’era troppa gente alla festa, d’altronde avete invitato mezzo Giappone... peccato, sarà per la prossima volta” commento fingendo che la cosa non mi tocchi.
 
“Tranquilla, potrete recuperare domattina. Alloggia anche lui qui stanotte” cinguetta lei studiando il mio viso per controllare che effetto hanno su di me le sue parole.
 
Cavoli. Non ci voleva.
 
E poi in che senso alloggia qui? Ha pagato l’albergo anche a lui? Ho fatto i salti mortali per evitarlo tutta la sera senza dare a vedere che lo facevo di proposito.
 
“Bene, magari domani ci faccio due chiacchere ma… il soggiorno offerto non era per chi è di famiglia?” cerco di replicare con nonchalance.
 
Ma ho la gola secca e sono costretta a schiarirmi la voce.
 
“Akane, suvvia, non ti facevo così tirchia e comunque lui È di famiglia. Chi credi che stia mandando avanti il dojo mentre tu fai la tua vita in città?” mi incalza mia sorella.
 
Mi sento male. Non solo perché lui è qui, ma anche perché so che lei ha ragione. Se non fosse per le straordinarie capacità di Ranma nelle arti marziali, la mia famiglia sarebbe sul lastrico.
 
Dopo il matrimonio fallito discutemmo a lungo delle sorti della palestra. Era chiaro che quella non sarebbe stata il destino né di Kasumi, né di Nabiki. E nemmeno il mio, nonostante al tempo praticassi ancora. Ranma era la scelta più sensata: lui era nato ed era stato letteralmente allevato per quella vita. Venne quindi deciso dai nostri padri che il fatto che lui non fosse imparentato con qualcuno della famiglia Tendo non sarebbe stato un problema. E così, da tre anni, lui si ritrova a frequentare casa mia più di me.
 
“Akane, perché ti fa sempre questo effetto parlare di lui?” mi chiede Nabiki stavolta seria.
 
Già, perché? Vorrei tanto saperlo anch’io.
 
“Non mi fa alcun effetto” volto la testa dall’altra parte per chiudere la conversazione.
 
“Allora non sarà un problema il fatto che a colazione sarete allo stesso tavolo, giusto?” riparte all’attacco lei.
 
Maledetta.
 
“Sogni d’oro sorellina, vado a godermi la mia notte di nozze: avanzi della torta davanti alla tv satellitare!” si congeda tutta contenta.
 
Adesso che ha compiuto la sua missione può andarsene a dormire serena. Mi spettina i capelli col suo modo dispettoso di comunicare affetto e se ne va.
 
Io invece so già che non chiuderò occhio. Meglio, così non dovrò preoccuparmi di svegliarmi presto per rientrare in città col primo treno.
 
Perché sono così patetica? Perché, a distanza di anni, il solo sentire pronunciare il suo nome mi destabilizza?
 
È una vita che non lo vedo. Dopotutto non ho molti motivi per tornare casa e rischiare di incontrarlo: Kasumi vive con Ono da quando si sono sposati e Nabiki preferisce raggiungermi in centro le volte in cui decidiamo di vederci. Vado regolarmente a far visita a mio padre, ma esclusivamente quando la palestra è chiusa e quindi Ranma non c’è.
 
Non so molto di lui per la verità, se non che vive da solo nella casa di sua madre. Lei e il signor Saotome si trasferirono nella mia vecchia casa non appena venne deciso che Ranma avrebbe lavorato alla palestra. Quando lo venni a scoprire andai su tutte le furie. Ricordo di essermi sentita come scavalcata: è vero che ho sempre odiato il fatto di essere stata promessa a Ranma solo per convenienza, ma almeno questo mi dava un minimo di potere. Ero sì una pedina, ma se non altro avevo l’illusione che le sorti della palestra e della nostra famiglia dipendessero in qualche modo da me. E invece il destino immaginato da due giovani deliranti Soun e Genma si era compiuto lo stesso, indipendentemente dal mio volere. E la passività con cui Ranma aveva acconsentito mi mandava ancora più in bestia. Lui aveva accettato di condurre la palestra solo perché le arti marziali erano la sua passione, aveva detto lo sciocco. Praticarle lì o altrove non faceva differenza per lui e se quella soluzione accontentava tutti, per lui andava bene.
 
L’unica nota positiva in questa situazione assurda è che mio padre non è rimasto solo e che, oltre al signor Saotome, c’è una persona premurosa come la signora Nodoka a garantire la sopravvivenza degli inquilini e della casa.
 
L’acqua che inizia a raffreddarsi mi suggerisce che è ora di uscire dalla vasca. Afferro il primo asciugamano che trovo e mi ci avvolgo dentro saggiandone la morbidezza.
 
Indosso il pigiama scoordinato che mi sono portata dietro e studio, sconsolata, la mia immagine allo specchio.
 
“Complimenti Akane, non sai nemmeno fare la valigia…” constato ad alta voce.
 
“Adesso parli da sola?”
 
Il mio cuore perde un battito mentre cerco di dare al cervello il tempo di decifrare la situazione. Ma l’organo traditore impiega meno di un nanosecondo per ricondurre quella voce al suo proprietario.
 
“Ranma?” è l’unica stupida domanda che riesco a formulare in direzione del mio ex fidanzato.
 
“Aspettavi qualcun altro, maschiaccio?” mi risponde lui con la sua faccia da schiaffi.
 
La faccia da schiaffi più bella del mondo. Quella a cui ho pensato e ripensato innumerevoli sere nel mio letto prima di addormentarmi, quella che ho sognato di toccare, accarezzare, baciare.
 
Una parte di me vorrebbe gettarsi tra le sue braccia, l’altra invece prenderlo a pugni. Sono anni che non ci vediamo né sentiamo e lui se ne sta lì come se nulla fosse a salutarmi con una battuta. E poi come si permette di intrufolarsi in camera mia entrando dal balcone come un ladro? Questo non si fa, questo è illegale, questo è…
 
“Violazione di domicilio!” urlo puntandogli un dito contro.
 
“Cosa?” spalanca i suoi meravigliosi occhi blu come se avesse di fronte una squilibrata.
 
Probabilmente è quello che sembro in questo momento.
 
“Ranma, cosa ci fai qui?” ho il respiro accelerato.
 
Cerco di dissimulare le mille emozioni che sto provando e di farmi forza: tanto vale sfruttare questo incontro imprevisto per trarne qualcosa di buono. Lui mi deve delle spiegazioni. Molte spiegazioni.
 
“Beh, mi hai evitato tutta la sera e io volevo…”
 
“Ah, quindi sarebbe colpa mia adesso? Hai un bel coraggio!” mi impongo di controllarmi ma non ci riesco. Ci sono troppe cose da chiarire e se spera di cavarsela così, è fuori strada.
 
“Scusami, ok? Avevo solo voglia di rivederti” alza le mani in segno di resa. Una cosa che non ricordo di avergli mai visto fare con nessuno.
 
Ma davvero? Allora perché mi hai abbandonata senza dirmi niente? Perché in tre maledettissimi anni non mi hai mai degnata di una telefonata o di una lettera? Perché hai fatto finta di niente per tutto questo tempo, pur sapendo benissimo dove abitavo o quando tornavo a casa?
 
Ma ovviamente non riesco a dire niente di quello che penso e, per di più, una stupida lacrima decide di suicidarsi sulla mia guancia. No, non posso piangere davanti a lui. Non posso piangere per lui.
 
Ranma se ne accorge subito e fa quella faccia sofferente che faceva da ragazzini quando mi vedeva così per colpa sua. E la mia ridicola coscienza già mi implora di perdonarlo.
 
Ecco, ho esitato e lui sta per approfittarsene, glielo leggo negli occhi. Con due ampie falcate si avvicina facendo per sfiorarmi un braccio ma, fortunatamente, riesco a scansarmi.
 
Appena in tempo.
 
Con uno scatto all’indietro mi accomodo sul letto e gli faccio cenno di prendere posto sul pouf davanti a me. Lui si siede senza dire una parola con gli avambracci poggiati sulle ginocchia divaricate.
 
Mi abbraccio le gambe mentre cerco di non guardarlo troppo. Realizzo solo adesso che indossa ancora la camicia e i pantaloni dell’abito. Ovviamente sembrano cuciti addosso a lui da quanto gli donano.
 
Avanti, Akane, datti un contegno! Sei arrabbiata con lui. Da tre anni. E ora è finalmente arrivato il momento che tanto aspettavi per vomitargli addosso tutto il tuo dolore. Hai provato e riprovato mille volte questo discorso. Puoi farcela, a patto di smetterla di comportarti come un’adolescente in preda agli ormoni.
 
Lui si sbottona la camicia e arriccia le maniche bofonchiando che fa troppo caldo nella mia stanza.
 
Vabbè, allora uccidetemi.
 
Abbasso lo sguardo imbarazzata sul mio pigiama solo per ricordarmi quanto sia inguardabile. Poi mi faccio forza e, dopo un sospiro, decido di affrontare l’elefante nella stanza.
 
“Te ne sei andato” dico finalmente con un filo di voce.
 
“Sono partito per un viaggio, è diverso. Non ho mai fatto mistero di quanto desiderassi tornare un uomo al cento per cento” ribatte pronto.
 
È arrivato preparato il ragazzo.
 
“Oh, me ne sono accorta benissimo il giorno del nostro matrimonio” continuo sarcastica.
 
Per la prima volta in uno scontro con me, lui incassa il colpo in silenzio.
 
“Ti ho scritto…” continua poco dopo.
 
“Sì, una volta, per raccontarmi che ti eri fatto un bagnetto in Cina” ribatto tagliente.
 
“Dovevo liberarmi della maledizione, lo sai. L’ho fatto anche per noi, perché potessimo avere un qualche futur…”
 
“Non ci provare, Ranma: lo hai fatto per te! Per te e per te soltanto. Non me ne è mai importato un fico secco della tua maledizione, ero pazza di te così com’eri ed ero pronta a sposarti anche se ogni tanto avevi un vitino da vespa e due seni più grandi dei miei!” svuoto il sacco tutto d’un fiato.
 
Colpito e affondato.
 
Non te l’aspettavi tanta schiettezza, eh? Non sono più la ragazzina che conoscevi, sono una donna. Una donna che non ha timore di dire le cose come stanno.
 
“Io… al tempo credevo che mi volessi sposare solo per farmi dare l’acqua della sorgente che tuo padre teneva come dono di nozze, insomma per farmi un piacere…” tenta lui con la voce ora più incerta.
 
“E io credevo che mi avessi detto che mi amavi quando ero mezza morta tra le tue braccia, pensa un po’ tu” ribatto acida.
 
Ok, forse ho esagerato. So bene che per Ranma quello è stato un momento drammatico.
 
Oh kami, Akane, ma ti senti? Sei tu quella che per poco non ci ha rimesso le penne e che fai? Ti preoccupi per lui!
 
Quando faccio così mi strozzerei da sola.
 
“Davvero eri… sì, insomma, pazza di me?” mi domanda titubante dopo qualche istante di silenzio.
 
Certo che lo ero, stupido deficiente. Ma non ti darò di nuovo la soddisfazione di ammetterlo, tanto lo so che me lo chiedi solo per appagare il tuo gigantesco ego.
 
“Cosa vuoi da me, Ranma?” rispondo stanca massaggiandomi la fronte.
 
“M-mi è crollato il mondo addosso quando sono tornato e ho saputo che te ne eri andata tu. Dopo una vita passata a vagabondare con mio padre, tornare da te era un po’ come tornare a casa. E poi, a differenza tua, io non ho mai avuto piani B per il futuro e, col tempo, avevo imparato ad accettare l’idea del matrimonio e della palestra…”
 
“Avevi imparato ad accettare?! Ma chi te l’ha mai chiesto! Io non sono qualcosa da accettare, Ranma!”
 
Non ho resistito nemmeno cinque minuti, lo so. Ma questo è davvero troppo. Come si permette di denigrarmi in questo modo? D’accordo fare l’adulta, ma non intendo stare qui a lasciarmi offendere restandomene impassibile.
 
“Vattene! Esci immediatamente da camera mia!” mi sento ribollire di rabbia.
 
Con uno scatto mi alzo, lo afferro per un braccio e lo trascino sul balcone. Ci manca solo che qualcuno lo veda uscire dalla porta della mia camera.
 
“Akane, la smetti una buona volta di guardare il dito e non la luna?” adesso è lui ad alzare la voce.
 
Non so se essere più scioccata dalla sua reazione o dalla metafora che ha scelto, ma tanto basta a farmi recuperare quel minimo di autocontrollo.
 
Si passa una mano tra i capelli sconvolto, tirandosi indietro la frangia e non posso fare a meno di pensare a quanto vorrei infilargli io le mani tra quei suoi bellissimi capelli. Magari mentre ci baciamo. O facciamo l’amore.
 
“Perché fai quella faccia?” mi chiede incuriosito.
 
Deglutisco mentre alzo lo sguardo verso il cielo alla ricerca di quella famosa luna. Ma si è rannuvolato.
 
“E dimmi, che cos’è che non vedo, Ranma?” domando mentre chiudo gli occhi e poggio le mani sulla balaustra.
 
Mi cinge la vita da dietro e inizio a sentirmi le gambe molli. Oh, kami, così non vale!
 
“Non vedi l’impegno che metto tutti i santi giorni nella gestione della palestra, che non è nemmeno mia?” inizia poggiando il mento contro la mia tempia.
 
Certo che lo vedo, baka.
 
“Non vedi il fatto che Shampoo, U-chan e Kodachi non mi ronzano più intorno da tempo?” continua stringendomi un po’ di più.
 
Ah sì? Questo non lo sapevo. In effetti è da un pezzo che non vengo più perseguitata da bombori cinesi o lettere impregnate di sostanze soporifere.
 
“Non vedi quanto adori e abbia sempre adorato questi…” continua spostando le mani sui miei fianchi.
 
“Era un po’ difficile considerato che mi dicevi sempre il contrario, non credi?” cerco di replicare senza troppa convinzione.
 
“Mentivo” mi sussurra vicino all’orecchio.
 
Sorrido in silenzio a quella confessione mentre un brivido mi percorre la schiena. Eccola lì, finalmente, la conferma di qualcosa che avevo un po’ percepito e tanto sperato. Sapevo che quello che c’era tra di noi non poteva essere solo frutto della mia immaginazione adolescenziale.
 
Sono tentata di chiedergli di ribadire in modo più esplicito quello che mi sta lasciando intendere, quando una vibrazione interrompe questo nostro momento. Poi un’altra. E un’altra ancora.
 
Ranma si ritrae infastidito estraendo dalla tasca dei pantaloni il suo telefono. A quanto pare qualcuno lo cerca con insistenza.
 
Quasi mi intenerisco immaginando la signora Saotome che gli scrive: da quando si sono ritrovati so, per vie indirette, che lei gli sta parecchio addosso. Ma l’espressione che leggo sulla faccia di Ranma mi spenge tutto l’entusiasmo. La riconosco al volo: è la sua faccia colpevole da mi-dispiace-non-volevo. Ed è allora che capisco.
 
“Ecco è… soltanto una persona con cui mi vedevo, crede di aver dimenticato una sciarpa da me e ne ha bisogno per andare non so dove. Pazienza, dovrà farne a meno” scrolla le spalle fingendo leggerezza.
 
A me invece viene la nausea. Che razza di sciocca che sono… come ho potuto pensare che mentre io mi facevo la mia vita e le mie esperienze, lui se ne stesse tutto solo nella casa di sua madre senza spassarsela? Uno che, peraltro, non ha mai avuto bisogno di alzare un dito per ritrovarsi una fila di oche che gli muoiono dietro. Chissà quante se ne è portate in quella casa…
 
“Akane, non c’è più niente con lei, ok? Non ci frequentiamo più” aggiunge velocemente percependo il mio cambio di umore.
 
Oh no, questo è troppo. Figuriamoci se voglio la sua pietà.
 
“Ranma, ti prego, non mi devi alcuna spiegazione. Va tutto bene, non siamo mica fidanzati!” commento con una risatina isterica.
 
Ma non l’ho convinto. Mi conosce ancora bene il maledetto.
 
Mi strofino le braccia nude percependo l’aria della notte che si sta raffrescando.
 
“Ranma, è stato bello rivederti, davvero. E ti ringrazio per quello che tu e tua madre state facendo per la mia famiglia, adesso però è meglio che andiamo a dormire” mi fermo sulla soglia della portafinestra senza guardarlo negli occhi.
 
“Aspetta, non dirmi che ti sei davvero arrabbiata per quel messaggio insulso? Guarda che per me non significa niente” mi segue serio.
 
“Che cosa? No!” rispondo offesa.
 
Forse un po’… ok, un po’ tanto.
 
“Io però non mi comporto così con te, perché non provi a fare altrettanto?” continua mettendo su una sorta di broncio.
 
“A cosa ti riferisci?” chiedo stupita.
 
Non osare rigirarmi la frittata…
 
“Non mi sembra che tu sia stata sotto una campana di vetro negli ultimi tre anni, voglio dire… ti sei fatta la tua vita, hai avuto anche tu le tue esperienze… e per quanto l’istinto mi dicesse di spaccare la faccia a quei bellimbusti che ti stavano attorno, io sono rimasto al mio posto rispettando le tue scelte”.
 
Touché.
 
Studio la sua espressione infastidita senza sapere bene come ribattere.
 
“P-perché volevi spaccargli la faccia?” è la cosa più intelligente che mi viene in mente dopo diversi secondi di vuoto.
 
“Perché non sopportavo il fatto che loro potessero averti e io no, ok?” risponde secco voltando lo sguardo altrove.
 
Il senso di nausea sta peggiorando. Dove vuole andare a parare, adesso?
 
“Se è così… perché non hai fatto niente?” non riesco a mantenere la voce ferma.
 
“Volevi davvero che li prendessi a botte?” si gira verso di me aggrottando la fronte.
 
“Ma no, scemo! Intendevo, perché non mi hai mai detto nulla di… di quello che provavi?” recupero in imbarazzo.
 
“Perché tu sembravi felice nella tua nuova vita e non sembrava che ci fosse posto per me” conclude con una semplicità disarmante.
 
Rimango a fissarlo come un pesce lesso.
 
Tu, stupido, cretino, deficiente. È dal giorno in cui ti ho ribaltato un tavolo in testa che non faccio altro che pensare a te! Eri il mio chiodo fisso quando vivevamo sotto lo stesso tetto e lo sei rimasto anche quando me ne sono andata di casa. E nonostante abbia provato a trovare la mia dimensione lontano da te, nessuna delle alternative è stata in grado di prendermi allo stesso modo. Se ripenso a tutte le volte in cui mi sentivo giù e ho sperato di vederti scavalcare la finestra del mio appartamento, proprio come facevi da ragazzini quando volevi riappacificarti con me dopo uno dei nostri stupidi litigi.
 
Vorrei abbracciarlo e recuperare adesso tutto il tempo perduto, ma prima c’è una cosa che devo sapere. Del resto, anche se un po’ cresciuta, sono sempre io.
 
Faccio un respiro profondo e gli punto gli occhi addosso.
 
“Quante, Ranma?”
 
“Quante cosa?” chiede confuso.
 
“Hai capito benissimo” lo incalzo arrossendo.
 
“E invece no, se non ti spieghi.”
 
“Quante ragazze?”
 
“…ci sono in Giappone? Mmh non saprei, fammici pensare…”
 
“QUANTE RAGAZZE HAI AVUTO?” urlo come una posseduta. È un miracolo che non abbiamo ancora svegliato nessuno.
 
Adesso non può più fare il finto tonto. Dalla sua faccia capisco che aveva compreso sin dall’inizio a cosa mi riferivo. Lo mando mentalmente al diavolo mentre lo vedo fare un passo verso di me con un sorrisino che non mi piace per niente.
 
“Sei sempre la solita gelosona, sai?”
 
Può darsi, ma ora rispondimi.
 
Continuo a fissarlo seria, anche se inizio a sentirmi un po’ stupida. Mi conosco abbastanza da sapere che nessuna riposta mi andrebbe bene. Se mi dicesse un numero basso non ci crederei, se invece fosse un numero alto impazzirei. Magari sono due, proprio come le mie storie. Ma a chi voglio darla a bere? Due sono le ragazze che gliela servono su un piatto d’argento al giorno, non in tre anni. Ok, forse fino a dieci riuscirei a sopportarlo. Non sono poche ma nemmeno un numero esagerato. Oh, kami, e se tra queste ci fosse qualcuna che conosco? E che magari mi sta pure antipatica? O peggio, se fosse più giovane di me? Magari un’allieva della palestra…
 
Non posso fare a meno di immaginarmi la scena: lei bellissima, giovane, in forma, che volutamente sbaglia i kata più semplici solo per farsi correggere da Ranma, lui che si posiziona dietro di lei prendendole un braccio per mostrarle il giusto movimento. Poi, a fine lezione, rimangono da soli nella palestra deserta, affaticati e sudati dall’allenamento, lei gli apre la giacca del ji, gli sfiora quegli addominali divini, lui la spinge contro la parete di legno e… NO! Non potete, questo era il MIO sogno!
 
“Akane stai bene?” mi chiede preoccupato.
 
Fantastico, adesso penserà che sono completamente pazza.
 
“Comunque la risposta è una” aggiunge a bassa voce.
 
Tanto basta per riprendermi. Davvero mi reputa così scema?
 
“C’è solo una ragazza che considero tale” ripete serio.
 
Oppure no, questa potrebbe invece essere la risposta peggiore di tutte. Del tipo che ha trovato la donna della sua vita. Tanto vale tagliare la testa al toro e finire di avvelenarmi il sangue.
 
“Capisco e… la ami?” aggiungo affranta.
 
“Penso proprio di sì, anche se ci ho messo un bel po’ per capirlo” continua alzando lo sguardo per incontrare il mio.
 
Ottimo. Fantastico. Sono contenta per lui, davvero, penso accorgendomi solo in quel momento di stare ancora trattenendo il respiro.
 
“Lei è molto intelligente…”
 
No, aspetta, sono matura ma non così tanto da stare a sentirti snocciolare complimenti su questa sconosciuta. Chissà se è consapevole di quanto accidenti è fortunata…
 
“…ma a volte anche molto stupida” continua accennando un sorriso.
 
Oh, questo era inaspettato. Ok, me l’hai appena resa un po’ meno antipatica.
 
Restiamo a fissarci negli occhi immobili l’uno di fronte all’altra. Nessuno dei due osa muovere un muscolo. Ma dentro di me, finalmente, gli ingranaggi iniziano a muoversi.
 
No, non puoi farmi questo. Non dopo tutti quei tragitti a scuola in cui ho sperato invano che scendessi da quella staccionata per camminare di fianco a me, come dei veri fidanzati. Non dopo tutte le volte in cui ho messo - inutilmente - il burrocacao color ciliegia prima di allenarmi in tua presenza, sperando che notassi che ero più carina del solito. Non dopo tutta la fatica che ho fatto per dimenticare la tua disperata dichiarazione d’amore, quando mi stringevi tra le tue braccia coperta solo della tua casacca. Non dopo un’intera serata a ripulire il dojo devastato dagli psicopatici che si erano imbucati al nostro matrimonio. Non dopo le notti passate a piangere per te che te ne eri andato lasciandomi da sola, sbattendomi in faccia, per l’ennesima volta, che rischiare la vita in un viaggio sciagurato per recuperare la tua identità era più importante che stare con me. Ci ho messo anni a dimenticarti provando a rimpiazzarti con altri. Ma nessuno era te, nessuno può essere te…
 
Ti odio per il male che mi hai fatto, eppure sei l’unica persona in grado di consolarmi.
 
Allungo una mano per cercare la sua. Basta quel gesto per confermargli che non voglio picchiarlo e allora lui mi abbraccia.
 
Ed è come tornare a casa. Finalmente sono nel posto in cui vorrei essere da una vita: al caldo, al sicuro e circondata dal mio profumo preferito.
 
Mentre cerco di capire se prevalga la mia voglia di urlare, piangere o saltare dalla gioia, me ne resto in silenzio a godermi quel meritato momento. Non so dire per quanto tempo rimaniamo così. So solo che a un certo punto inizia a piovere. È una pioggia estiva, leggera, rinfrescante che sa di nuovo inizio.
 
Ranma si stacca da me con un luccichio negli occhi.
 
“Aspetta, ti faccio vedere una cosa” mi dice emozionato.
 
So già cosa vuole farmi vedere e non mi interessa. Non mi è mai interessato, testone.
 
“No, grazie, torna subito qui” lo trascino in camera tirandolo per la camicia.
 
Lui obbedisce alzando un sopracciglio.
 
Oh no, non così in fretta, caro mio.
 
“Dimmi di nuovo che mi ami” gli ordino mentre gli circondo il collo con le braccia.
 
 
 
 
***
 
 
 
“Buongiorno, sorellina, sbaglio o qualcuno si è divertito parecchio stanotte?” Nabiki mi fa l’occhiolino facendomi diventare rossa come le fragole al centro del tavolo.
 
Oh, kami, ce l’ho stampato in faccia o ci ha sentiti?
 
Vi prego fate che nessuno abbia colto l’allusione, penso mentre mantengo la testa bassa sul piatto evitando lo sguardo degli altri commensali.
 
“Hai letto un libro di barzellette? Raccontaci!” mi domanda l’innocente Kasumi.
 
“Dai, Akane, siamo curiosi…” prende posto al tavolo Ranma con un sorrisino divertito, dopo aver salutato gli altri.
 
Lo fisso scioccata prima di addentare un boccone di pesce.
 
“Sai, Kasumi, non era poi un granché quel libro” lo rimetto al suo posto soddisfatta masticando rumorosamente.
 
“Considerato che l’hai letto due volte di fila, avrei detto il contrario” continua lui iniziando a servirsi.
 
Il boccone mi va di traverso e inizio a tossire.
 
Ok, Ranma Saotome, ti amo anch’io, ma adesso credo proprio che ti ucciderò.
 
 
 
 
FINE
 
 
 
Ringrazio di cuore tutti i lettori e le lettrici che mi hanno dato fiducia arrivando fin qui <3 Un mega grazie va alla preziosa Tiger Eyes per avermi dedicato il suo tempo a leggere e rileggere queste pagine prima della loro pubblicazione e per avermi dato modo di migliorarle e migliorarmi.
Questa storia è frutto di un’ispirazione nata dalla rilettura di “Three Star Love” di niwakaame (ahimè incompleta) e “E poi, arrivi tu” di Sana_Akito che, nonostante prendano le distanze dalla storia originale, ho apprezzato moltissimo. Sarà quel pizzico di attualità rispetto all’epoca del manga -ovvero oltre 30 anni fa- sarà la “smaliziatezza” dei personaggi più cresciuti e meno ingenui, ma queste situazioni ogni tanto mi piacciono e per questo ho deciso di proporle anch’io.
Concludo col dire che, sebbene avessi immaginato la trama come un momento riservato ai nostri protagonisti del cuore, non ho resistito ad includere anche Nabiki Tendo, personaggio a mio avviso squisito.
Se vi va, fatemi sapere la vostra opinione 😊
Alla prossima!
 
   
 
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