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Autore: Orso Scrive    18/04/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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5.

 

 

Monte Supersticion, giugno 1542

 

 

Quella notte, la colonna fu fatta fermare dinanzi ai contrafforti rocciosi di un’ampia catena montuosa che si sollevava dal terreno come il corpo di un antico gigante pietrificato nel suo sonno eterno.

Una nuova tappa, l’ennesima, dopo un cammino massacrante.

Un cammino che, giorno per giorno, per settimane, mesi, anni, stava mettendo sempre più a dura prova le forze, la volontà e la disciplina degli uomini.

La spedizione durava ormai da oltre due anni.

Nel corso di quel lungo lasso di tempo, erano state esplorate gole, risaliti fiumi, valicati monti e attraversati deserti. Padre Marco da Nizza, il cartografo della spedizione, aveva continuato ad aggiornare la sua carta, segnandovi tutti i punti raggiunti o soltanto avvistati da lontano. Un importante resoconto, che un giorno sarebbe servito agli eserciti che, dal sud, si sarebbero mossi per annettere anche quei territori all’impero di Spagna.

Non erano mancate le scorrerie, e il bottino era stato ricco: dai villaggi depredati, anche il più umile dei soldati aveva potuto portare via gioielli in quantità, armi, viveri, e almeno una donna. Nessuno poteva lamentarsi di non aver guadagnato qualcosa di prezioso.

Pedro, sotto la sua tenda, aveva adesso accumulato vasi pregiati, ornamenti di vario tipo, archi e frecce che aveva strappato dalle mani degli indiani che lui stesso aveva ucciso, metalli preziosi lavorati che attendevano soltanto di essere fusi e tramutati in monete sonanti. E donne, naturalmente. Una vecchia, che gli serviva da sguattera, e la sua giovane figlia, che aveva il compito di accudire la sua persona. Si sentiva un vero re, e aver perso un occhio nel corso di una battaglia gli sembrava ben poco prezzo, in cambio di ciò che aveva guadagnato.

Si stava appunto facendo massaggiare le spalle dalla sua bella schiava, quando il lembo che chiudeva l’ingresso della tenda fu sollevato. Miguel, un soldato che si era arruolato insieme a lui e con cui aveva stretto una profonda e intima amicizia, entrò a passo di marcia e andò a sederglisi accanto.

«Che cosa succede?» domandò Pedro, riconoscendo sul volto scuro e rinsecchito dell’amico l’ombra di una preoccupazione.

Miguel lanciò una breve occhiata a Linda, la giovane schiava. Quello non era il suo vero nome; a darglielo era stato padre Marco, quando l’aveva battezzata a forza. Quel sant’uomo non avrebbe mai tollerato che un cristiano si congiungesse carnalmente con una donna che non era stata toccata dalla benedizione di Cristo. La ragazza era nuda e muoveva le mani sulle spalle di Pedro con delicatezza. Eppure, nel suo sguardo, il soldato lesse una sfida implacabile, una fierezza antica. Sarebbe stata capace di affondare una lama nella gola del suo padrone in ogni momento. Ecco perché lui aveva preferito resistere alle lusinghe degli amori forzati a cui la stragrande maggioranza dei suoi commilitoni avevano costretto le donne catturate: era convinto che, in questo modo, sarebbe vissuto molto più a lungo.

In ogni caso, non era certo questo a preoccuparlo.

Ognuno era responsabile della propria vita.

«Gli ufficiali parlano dell’esplorazione dei monti che abbiamo di fronte», mormorò, a mezza voce. «Il comandante è convinto che, lassù, tra i picchi, si celi Cibola.»

Pedro ne fu rallegrato.

«Benissimo!» esclamò. «Finalmente siamo vicini alla meta!»

Miguel lo fissò stralunato.

«Ma come, non capisci?» borbottò. «Questa spedizione si sta rivelando un fallimento. È un inferno. Metà di noi sono morti per gli stenti, buona parte degli altri è stanca e malridotta, e finora non abbiamo trovato altro che poveri villaggi di indiani da cui non abbiamo preso quasi nulla…»

Pedro fece un sogghigno e si girò sulla schiena per ammirare il corpo di Linda. Il suo unico occhio – la cavità lasciata vuota dall’altro, il sinistro, era coperta da una benda nera – si allargò a dismisura.

«Parla per te», disse.

Sollevò le mani nodose e le appoggiò sui seni della ragazza. Li strinse piano, lasciando andare dalle labbra un mugolio di piacere. Lei rimase impassibile.

«Io, da questa spedizione, ho avuto molto più di quanto avrei potuto desiderare.»

«E allora», fece Miguel, cupo, «sarebbe meglio che tu ti accontentassi. Che tutti quanti ci accontentassimo di quello che abbiamo avuto. Anche Coronado dovrebbe farlo. Se diamo retta al comandante, di questo passo finiremo col morire tutti quanti! Quell’uomo non si fermerà mai, anche se ormai sta soltanto inseguendo il suo delirio!»

Pedro aggrottò le sopracciglia. Si mise a sedere sulla stuoia, allontanando Linda con un gesto della mano.

«Fammi capire», mormorò, abbassando la voce a un livello appena percettibile, «mi stai per caso suggerendo che dovremmo ammutinarci? Ribellarci al comandante?»

Miguel non disse nulla, ma fece un cenno molto eloquente con la testa.

«Io e te soli», andò avanti Pedro, «contro l’intero esercito, contro gli ufficiali e quindi contro la Spagna intera.» Sogghignò. «Non saremmo un po’ pochi?»

«Non saremmo soltanto noi!» esclamò all’improvviso Miguel, scosso. Calò la voce, timoroso di poter essere ascoltato da orecchie indiscrete. «A capo di tutto, c’è l’eccellentissimo signore Conrado Luis Guillermo Guzman de la Trinidad-Gonzaga, marchese di Elche. Ha radunato attorno a sé un gruppo di ufficiali scontenti del comando di Coronado, e noi soldati abbiamo avuto l’incarico di chiedere ai nostri più fedeli camerati di unirsi a noi. Questa follia sta durando da troppo tempo, siamo stremati. Deve avere fine. Sarai dei nostri, vero?»

Pedro rivolse a Miguel uno sguardo indecifrabile. Uno sguardo di cui l’altro militare ebbe una folle paura. Poi, però, sorrise in modo affabile.

«Ma certo che sono dei vostri», garantì. «Quando sarà il momento, prenderò parte all’ammutinamento.»

Allungò la mano verso Linda, chiamandola a sé.

«Ora, però, per favore, lasciami solo. Dal momento che non posso sapere se sopravvivrò alla sommossa, voglio almeno godermi gli ultimi istanti di piacere con la mia muchacha.»

 

* * *

 

Quella stessa notte, i soldati coinvolti nell’ammutinamento furono raggiunti nelle loro tende dalle truppe fedeli al comandante e passati a fil di spada. Parecchi passarono dal sonno alla morte senza nemmeno rendersene conto. Tra di loro, caddero anche molti innocenti, sospettati a torto di aver preso parte al tradimento.

Miguel fu sorpreso sulla branda da Pedro in persona.

«Perché?» domandò il soldato, fissando il volto di quello che aveva creduto un amico, illuminato dalla lucerna a olio portata in mano da uno dei militari che avevano fatto irruzione nella tenda.

«Ho troppo da perdere e troppo da guadagnare», spiegò Pedro. Poi affondò il coltello nella gola di Miguel, tagliandola di netto.

Gli ufficiali traditori vennero messi agli arresti e immediatamente condannati a essere impiccati. Ma, non essendoci nei paraggi abbastanza alberi a cui appenderli e non disponendo del legname sufficiente a costruire i patiboli necessari, la condanna venne tramutata; sarebbero stati condotti in cima a un alto picco che svettava sulla catena montuosa alle spalle dell’accampamento e gettati nel vuoto.

In quanto al marchese di Helche, Coronado diede ordine ai suoi servitori indiani di torturarlo con estrema lentezza fino alla morte, come monito a chiunque avesse osato fomentare un’altra rivolta contro di lui. Le sue grida strazianti risuonarono per il campo per quasi tre giorni, prima che la gola del marchese tacesse per sempre.

«Pedro Alvarez», disse Coronado, quando gli fu condotto davanti l’uomo che, con la sua delazione, aveva permesso di sventare sul nascere la rivolta. «Ti sono debitore. La Spagna intera ti è debitrice. Per questo, per i poteri conferitimi dal mio ruolo di governatore della Nuova Galizia per ordine del viceré della Nuova Spagna don Antonio de Mendoza, ti proclamo Cavaliere del Nuovo Mondo, e ti conferisco il rango di capitano del mio esercito.»

Pedro trattenne a stento un sorriso.

Ce l’aveva fatta. Dopo tanto penare, aveva raggiunto il grado che gli competeva ed era diventato un nobile. Adesso, non avrebbe più dovuto accontentarsi di Linda e di sua madre: con gli altri ufficiali, si sarebbe spartito il bottino di guerra – donne comprese – requisito ai traditori.

E, per di più, ebbe l’onore – e insieme il piacere – di condurre lui stesso a morte quegli stessi ufficiali a cui innumerevoli volte aveva camminato alle spalle, mentre loro procedevano a cavallo. Li guardò sfilare davanti a sé, nudi e incatenati, con la pelle piagata dal sole e dalle percosse, costretti a colpi di frusta a risalire il ripido pendio irto di pietre acuminate; e a ciascuno di loro disse: «Che Dio abbia pietà della vostra anima», prima che i suoi soldati li spingessero nel vuoto.

 

 
   
 
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