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Autore: ballerina97    19/04/2023    0 recensioni
Quando incontrai per la prima volta i suoi occhi, non credevo che si sarebbero insinuati nella mia mente a tal punto da non andarsene più via. Non credevo nemmeno che lui, con il suo carattere, i suoi difetti e il suo modo di fare. Sarebbe riuscito a superare quel muro di ghiaccio che avvolgeva il mio cuore, eppure è successo.
Lei, una ragazza tormentata dalle ombre del sue passato. Non vuole affezionarsi a nessuno, la sua migliore amica la solitudine.
Lui, un ragazzo a cui piace la popolarità ed essere circondato da persone che lo ammirano. É entrato in un giro da cui è quasi impossibile uscire.
La fisica ci ricorda che "i poli opposti si attraggono" ed è anche vero che Eraclito diceva "Ciò che è opposto si concilia, dalle cose in contrasto nasce l’armonia più bella, e tutto si genera per via di contesa"
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Apro gli occhi infastidita dal suono della sveglia, il suo rumore assordante disturba il mio sonno. Vorrei tanto scoprire chi ha inventato questo oggetto infernale, il suo fracasso è un crimine contro il buon riposo di ogni essere vivente. Prendo l'oggetto incriminato e lo butto sul pavimento, mi sorprendo ancora che funzioni dopo tutte le cadute che ha fatto. Il silenzio torna a regnare nella camera, avvolgendomi, insieme al caldo torpore delle coperte.
- Alexa! Alzati dal letto, altrimenti farai tardi a scuola! -
Non ho fatto nemmeno in tempo ad emettere un suono, che le coperte mi sono state tolte di dosso. Il gelo di quella mattina mi avvolge, facendomi alzare di scatto la testa. Doris, se ne sta tranquilla davanti al mio letto. In mano le coperte che mi ha strappato, togliendo insieme a loro anche il calore intorno al mio corpo. Ogni mattina sempre la stessa storia, dopo la sveglia arriva lei a fare e veci del povero oggetto bistrattato.
- Sempre molto delicata - dissi con tono assonnato.
- La delicatezza signorinella, non è una cosa che si può usare con te. E adesso scendi, devi fare colazione - dice andandosene via tranquillamente.
Con la lentezza di una lumaca mi alzo dal letto, anche perché se avessi fatto il contrario, l'ira di di Doris si sarebbe abbattuta su di me. Scendo le scale sbadigliando per il sonno, arrivata nel salone mi siedo a tavola prendendo i biscotti. Li intingo con fare svogliato nel latte caldo. La routine è esattamente come tutte le mattine, però oggi c'è qualcosa di strano. Qualcosa non va, mi sento osservata. Alzo lo sguardo e al posto della solita sedia vuota, ci sono due occhi scuri come la pece che non smettono di fissarmi. Non l'ho neanche sentito arrivare, eppure sono sicura che la stanza fosse vuota quando sono entrata. Abbasso lo sguardo riprendendo a mangiare, ma quella sgradevole sensazione non accenna a diminuire. Alzo un altra volta la testa infastidita, lui è sempre li, che mi fissa insistentemente, è veramente irritante tutto questo.
- Se continui così mi consumi - dico con tono acido, sperando che capisca il significato retorico della frase. Ma lui non risponde, continuando a fare quello che ha fatto fino ad ora.
- Si può sapere cosa c'è? Mi stai dando fastidio -
Questo ragazzo ha la capacità di far perdere la pazienza anche alla ragazza più calma del mondo, ed io di solito lo sono molto. Sul suo volto compare improvvisamente un sorriso di scherno.
- Mi sorprendi, pensavo che mi avresti ignorato come ieri sera -
- Mi sembra un po' difficile se mi guardi per cinque minuti di seguito senza muovere un muscolo! Nessuno ti ha mai detto che è maleducazione fissare le persone? -
- A dire il vero no, anzi di solito si sentono onorate per questo -
- Mi stai prendendo in giro? -
- No, affatto - eppure il suo divertimento è palese, nonostante la faccia sembri seria, negli occhi c'è una scintilla di divertimento inconfondibile.
Sbuffo riprendendo a mangiare, se il buongiorno si vede dal mattino la giornata potrà solo peggiorare. Finito salgo di sopra, lavandomi e vestendomi in fretta, prendo un jeans e una maglietta a caso nella pila di roba sopra la sedia. Raccolgo i mie capelli in una coda morbida, il loro colore fa contrasto con la mia pelle diafana, eppure il colore verde dei miei occhi sembra risplendere proprio a causa loro. Prendo lo zaino e lo metto in spalla, mentre esco dalla camera. Cerco di scendere le scale il più velocemente possibile, avviandomi verso la porta. La apro per uscire, ma una voce mi interrompe prima di riuscirci.
- Alexa aspetta -
- Cosa c'è Doris? - chiedo con la mano ancora attaccata al pomello.
- Dovresti accompagnare Erik, da oggi andrà nella tua stessa scuola. Tuo padre ha pensato che così stringerete amicizia più in fretta, e tu non sarai più costretta a percorrere la strada da sola -
- Ma davvero? Che pensiero gentile, mi sorprende il fatto che si preoccupi così tanto di me -
Il mio tono sarcastico si sente a distanza di kilometri, lo sanno tutti che questa idea non viene da mio padre. E più di tutti lo sa l'artefice di questo brutto scherzo, Doris. Solo a lei poteva venire in mente un'idea così aberrante, probabilmente gli avrà espresso le sue preoccupazioni, e lui avrà acconsentito. In realtà quell'uomo non ha sentito neanche mezza parola, ma per farla smettere di parlare ha dato il suo consento a tutto. Probabilmente se Doris gli chiedesse di cucinarmi arrosto, lui direbbe di si senza neanche pensarci, sarà successo di sicuro questo. Lei sa perfettamente che con me questo teatrino non funziona, eppure continua a far prendere i meriti a mio padre, di azioni che mai e poi mai a lui verrebbero in mente di fare.
- D'accordo! Avanti andiamo -
Apro la porta e mi avvio per strada, dopo qualche minuto vedo Erik affiancarmi. Camminiamo silenziosi, l'uno accanto all'altro. Mi sorprende il fatto che non abbia ancora spiccicato mezza parola, ma infondo perché rovinare questo bellissimo silenzio.
- Perché prima hai parlato con quel tono così sarcastico di tuo padre? - come non detto.
- Mi sembrava troppo bello per essere vero -
- Cosa? - chiese accigliandosi.
- Il tuo silenzio per ben cinque minuti - dissi sarcasticamente, mi sembra il giorno del sarcasmo oggi, non faccio altro che usare questo tono.
- Spiritosa, stai solo cercando di sviare la domanda -
- Sarà una mia scelta quella di rispondere o no, non credi? Ed io mi avvalgo della facoltà di non rispondere - perché la gente non impara a farsi i fatti suoi una volta ogni tanto.
- Come sei acida - adesso comincia proprio a darmi sui nervi.
- Se io ti chiedessi il vero motivo per cui tuo padre ti ha mandato da noi, tu mi risponderesti? - chiesi fermandomi all'improvviso e girandomi verso di lui.
Fa una faccia sorpresa, non si aspettava la mia domanda. Forse, pensava che avessi abboccato alla storia del trasferimento, ma non è così.
- Te l'ho detto, mio padre è in viaggio per lavoro - quanto possono essere tonti gli uomini.
- Senti è inutile che continui a ripetermi la cantilena che mi hanno propinato mio padre e Doris, non ci casco. Anche il mio parte molto spesso, infatti come puoi vedere in questo momento lui non è in casa e non so neanche quando tornerà. Ma non per questo mi trasferisce da qualcun altro, a maggior ragione se ho diciotto anni. Penso di essere abbastanza grande e vaccinata per prendermi cura di me stessa da sola, soprattutto a questa età -
- Parla la ragazza, che ieri è rientrata bagnata dalla testa ai piedi come un pulcino perché non aveva l'ombrello, rischiando di prendersi una polmonite -
- I miei comportamenti non ti riguardano, e comunque sia, ora sei tu che cerchi di sviare il discorso. Ma con me non attacca bello, non so cosa hai combinato per aver costretto tuo padre a prendere una decisione del genere, e non mi interessa. Ma come tu non vuoi parlare dei tuoi problemi, allora non vedo il motivo per il quale io dovrei parlare dei miei! Ora vedi di tenere la bocca chiusa e cammina, siamo in ritardo -
Da quel momento, il silenzio regna sovrano tra di noi. Camminiamo a distanza, gli occhi sono puntanti sulla strada e non accennano a spostarsi da li neanche per un secondo. È così che arriviamo a scuola, il cortile ampio è deserto, segno che gli studenti sono già entrati dentro l'edificio per l'inizio delle lezioni. Ci avviamo anche noi al suo interno, oltrepassando quel cancello, ridipinto da poco per il colore grigio perla fin troppo brillante e acceso. Al centro spiccano le iniziali dell'edificio, C.H.S, Central High School. È una delle scuole più grandi e frequentante di Manhattan, rinomata per le eccellenze che escono da essa. Quasi tutti gli studenti riescono ad entrare, dopo il diploma, nelle migliori università dello stato. Gran parte dei ragazzi che frequentano questo istituto, sono dentro grazie ad una borsa di studio. Ma le regole sono severe, basta una media bassa per perderla e venire cacciati.
Una volta dentro, mantenere il silenzio creato fu alquanto difficile.
- In che classe sei? - chiedo cercando di usare un tono meno sgarbato.
- 5B - sospiro, ha pensato proprio a tutto quella vecchia strega.
- Seguimi, siamo in classe insieme -
Ci avviamo tutti e due verso l'aula, più evito il contatto con questo ragazzo, più me lo ritrovo appiccicato. Appena entriamo in classe, tutti gli occhi si puntano su di noi e le persone cominciano a sussurrare tra di loro. La curiosità è palese, ma non saprei dire se fosse più forte l'interesse di sapere chi è quel ragazzo nuovo spuntato dal nulla, o cosa ci fa in mia compagnia. Odio essere osservata, gli sguardi della gente mi danno fastidio. Attraverso il piccolo corridoio tra i banchi, per posizionarmi in quello in fondo vicino alla finestra. Poso lo zaino e metto le mani sul piano rigido, attaccando ad esse il mento e chiudendo gli occhi, preparandomi psicologicamente per l'inizio della prima lezione. Li riapro quando sento qualcuno che occupa il banco a fianco al mio, di solto nessuno mi si avvicina. Per cui non mi è difficile immaginare chi sia la persona che si è appena seduta.
- Posso sapere perché ti sei seduto proprio vicino a me? - dico guardandolo con una certa curiosità.
- Mi piace questo posto, anche nell'ultima scuola dove sono stato, sedevo sempre all'ultimo banco -
- Se è solo questo il problema, ci sono persone anche negli ultimi banchi, che stanno cercando di farti intendere che i loro posti sono migliori di questo - indico con la testa, le ragazze che stanno facendo uscire le loro orbite per guardarlo. Sembra quasi avere una paralisi facciale per quanto sorridono, sono inquietanti.
- Sto bene qui, grazie - dice guardandole e rigirandosi subito dopo.
- Sei davvero irritante, non ti conviene farti vedere troppo con me -
- Perché? -
- Lo scoprirai - dico facendo spallucce e alzandomi all'entrata della professoressa di storia.
Una vecchia scorbutica, che cerca di coprire le rughe con un copioso strato di fondotinta. Come se questo servisse a qualcosa, la rende ancora più mostruosa di quello che è già. Da quando il marito l'ha lasciata per una donna più giovane, ha la fissa costante di non far vedere l'avanzare dell'età. Povera donna, mi dispiace per lei, non deve essere facile la situazione che vive.
- Ma che si è messa in faccia? Sembra il mostro di Lochness con un quintale di sabbia appiccicata sopra -
- Non giudicare se non sai la storia delle persone -
La lezione fu, se possibile, ancora più noiosa del solito. La professoressa visto l'arrivo del nuovo arrivato, preferì fare un ripasso generale che fu accolto con gioia dall'intera classe. Specialmente da chi, sapeva di essere scampato ad una insufficienza. Non ho neanche bisogno di ascoltare, ho da sempre una memoria fotografica, riesco a ricordare tutto ciò che leggo senza fatica. Questo effettivamente mi aiuta molto nell'andamento scolastico, vista la mia svogliatezza nello studio.
La giornata trascorre lentamente, sembra non finire mai. Il lato positivo fu che Erik non mi disturbò più di tanto, alla ricreazione parlò con tutti spostandosi dal banco vicino al mio, mettendosi lontano. Ad un certo punto lo vidi circondato dalle ragazze, avevano formato una specie di muro intorno a lui, ma questo non sembrava dargli fastidio. Per le seguenti tre ore di lezione stette in silenzio, anche se gli sfuggirono ogni tanto alcune battutine sui vari professori. Alla fine delle lezioni, ci rechiamo a casa con passo lento, senza alcuna fretta. Quando improvvisamente si ferma, mi giro a guardarlo. Non ha il solito sguardo pieno di sarcasmo, è pensieroso come se ci fosse qualcosa che lo turba, ma che non riesce ad esporre.
- Scusa - quella frase uscita dalla sua bocca mi stupisce.
- Esattamente per cosa ti stai scusando? -
- Per stamattina, hai ragione non ti posso obbligare a dirmi niente. Infondo siamo due estranei, non posso pretendere che tu ti apra con me se non vuoi - la mia sorpresa si palesa a lui sempre di più.
- Come mai hai cambiato idea così velocemente? -
- Così -
- Non è una risposta ma va bene, scuse accettate - dopo questa mini conversazione riprendiamo il cammino verso casa senza dire altro.
Fu strano percorrere quella strada in compagnia e non da sola come al solito, diverso, ma non sapevo come altro definirlo. La cosa più strana, anche se non lo ammetterò mai ad alta voce, e che non è stato così fastidioso come immaginavo. Erik rimase in silenzio per tutto il tempo e io non lo interruppi con una sola sillaba. Così continuammo a camminare cullati da quell'assenza di rumore, interrotta solo dal traffico di macchine e autobus che circolavano nel traffico delle strade di New York.

  
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