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Autore: EllyPi    21/04/2023    0 recensioni
Dopo la morte del tiranno Galbatorix ognuno prese la sua strada, due donne sedevano sui loro troni, due cavalieri alla ricerca di qualcosa. Il destino a volte porta a risultati diversi da ogni speculazione e previsione. Come procederà la storia di Alagaesia dopo la pace?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nasuada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ripartirono dopo appena un paio di settimane, ritornando a Illirea dopo essersi assicurati che la duchessa fulva superasse la fase più critica dopo la nascita. Il ritardo del loro ritorno ormai era evidente, e di sicuro a Illirea ci sarebbero state delle ripercussioni - seppur lievi - sulla coppia di sposi. Il viaggio fu silenzioso e pieno di malumori, esattamente come era stato per la loro partenza da Illirea, alla volta di Dras-Leona. Vedendo però in lontananza la città rifiorita, nei due giovani ritornò finalmente la nostalgia del luogo dove avevano coltivato e approfondito il loro amore, e ancor più importante, avevano dato vita a due meravigliosi e amorevoli bambini. L’atterraggio fu agevole come sempre, nostalgico come tutto il resto del paesaggio, delle costruzioni e delle persone che li circondavano.

Smontarono dal drago in velocità, cercando di evitare di incontrare l’arrivo dei primi servitori ad accoglierli. Salirono lo scalone, entrando direttamente nelle loro stanze. Finiarel iniziò a saltellare contento di rivedere quel luogo familiare, correndo infine fino alla sua stanza per afferrare alcuni giocattoli. Farica entrò in silenzio, avanzando per baciare e abbracciare la figlia adottiva con affetto, ma anche una strana punta di sostegno.

Le affidarono i bambini dopo essersi scambiati alcune frasi che fecero involontariamente ritorcere le viscere della regina, come quando da bambina era conscia di aver fatto qualcosa di male, e anche che la sua domestica lo sapesse e l’avrebbe presto sgridata.

Nasuada si avviò, seguita dal marito, per riprendere il suo posto sul suo trono, ma nella sala del Governo trovarono i Consiglieri riuniti, visibilmente in attesa della loro riapparizione. I due sposi si arrestarono improvvisamente, come se avessero colpito un muro invisibile.

“Mia regina, il vostro ritorno ha subito un ritardo.” , iniziò con aria superiore Umérth.

“È un piacere vedervi già tutti qui pronti a discutere questioni del regno con me, e ad aggiornarmi su quanto mi sono persa. Per quanto riguarda il ritardo, abbiamo avuto questioni urgenti da sistemare a Dras-Leona e poi a Feinster.” , rispose la giovane dalla pelle d’ebano, fingendosi calma e contenta di vederli.

Un sibilo attraverso i denti - segno di contrarietà - partì da Flaithrì. “Non accetteremo menzogne in questa sede!” , sentenziò duramente.

Maeve era in piedi dietro Falberd - notò Murtagh - , con lo sguardo colpevole ma al contempo orgoglioso. Ovviamente la colpevole doveva essere stata lei.

“Il tradimento è un grave reato, Maeve.” , la minacciò lui, senza sfoderare però il suo tono più spaventoso di cui era capace.

L’atteggiamento che assunse ricordò al Cavaliere improvvisamente quello di una nobildonna, non di una semplice serva. “Siete come figli per me, e i vostri figli come preziosi nipoti, dunque non potevo non avvertire e allarmare il castello… Abbiamo dovuto tenervi d’occhio.”

Dovuto?!” , sibilò il giovane con aria tradita, “Quindi sei al soldo di uno di loro…”

Jormundur digrignò i denti. “Non ha importanza se sia segretamente o meno una spia di uno di noi! Ha dimostrato lealtà verso la corona e nulla più! Vi rendete conto della sciocchezza che avete compiuto?!” , sbraitò scoppiando, finalmente, “In un unico colpo i dissidenti avrebbero potuto uccidere tutta la famiglia reale e uno dei pochi Cavalieri esistenti!”

Sapere che la lealtà di Maeve non risiedeva solamente in loro, ma che in realtà li avesse controllati per tutto quel tempo, fu un duro colpo da accettare per i due sposi.

Nasuada pensò rapidamente a chi potesse averla assoldata, mandandola da loro come domestica per loro e i due principi. Jormundur era stato il primo a difenderla, ma già sua moglie ricopriva lo stesso ruolo e persino in modo più vicino a lei di Maeve, dunque lo scartò. La donna castana proveniva dal Nord come Flaithrì, ma tra i due non pareva scorrere buon sangue. Poteva essere una copertura, ma l’anziano si era rivelato così paterno con entrambi i giovani sposi che non avrebbe mandato una serva a tenerli d’occhio per quanto concernesse la crescita e la sicurezza dei principi, dato che aveva già dimostrato che era più incline a esprimere la propria opinione direttamente e apertamente, come un vero principe quale era.

Elessari amava controllare tutto e tutti con i suoi tentacoli invisibili, ma dopo i precedenti due Consiglieri, era quella che Nasuada riteneva la più fedele. Eppure, se c’era una sua caratteristica peculiare era che si servisse sempre del gentil sesso per portare avanti le sue trame. Che Maeve facesse parte delle sue spie sin da subito?

Umérth odiava il Cavaliere rosso, e avrebbe preferito veder perire lui e i suoi figli, per dare Nasuada in sposa a uno dei tanti suoi parenti lontani nella nobiltà di tutta Alagaesia.

Falberd era un uomo schivo e tremendamente anziano che attendeva giocando, come una pedina, il ruolo di amministratore di Algaesia, di morire.

L’ultima delle Consigliere rimasta era subdola, ma mai quanto Elessari, dunque parve inconcepibile alla regina che potesse aver architettato un piano così malefico nei suoi confronti. Ma forse nel controllo del loro operato genitoriale, non v’era alcun intento malefico, solo puri interessi personali.

Il giovane dalla chioma corvina ridacchiò, in conclusione. “Non è così semplice farmi fuori.”

Con sguardo assassino Jormundur gli ricordò di quell’uomo che comunque era arrivato a piantargli una daga curva nel corpo, nella loro camera da letto nella fortezza. “Se dovesse esserci una prossima volta, vi toglieremo ogni diritto sui principi!”

Murtagh roteò gli occhi. “Non potete toglierci la custodia dei nostri figli.” , disse con tono noncurante. “I principi appartengono alla regina.”

“I principi appartengono alla Corona!” , gli ricordò piano Nasuada. “È scritto nella legge - a cui io devo obbedire - che per salvaguardare la stabilità del regno, e quindi degli eredi al trono, il re o la regina non possono mettere in situazione di pericolo insensato i propri figli.”

“Ma non erano in pericolo!” , ribadì Murtagh, voltandosi verso di lei per la prima volta, noncurante di rompere la sua parvenza sicura.

“Il Consiglio può richiedere un’investigazione di sfiducia sull’azione dei sovrani in ogni momento, e un tribunale potrà giudicarli se ritenerla valida.” , gli spiegò pacatamente la moglie.

Elessari stropicciò il naso. “Questa volta, Cavaliere, vi consiglio di leggervi la legge attentamente, nei cambiamenti apportati dalla nostra regina Nasuada unitamente al Consiglio, e in tutte le imposizioni che il re che servivate precedentemente ha sempre ignorato.”

“Come hai potuto accettare questo genere di sciocchi accordi?” , tornò a chiedere alla moglie sottovoce. Nasuada sospirò. “Prima di scoprire di essere incinta, ci siamo preoccupati di rivedere tutte le leggi esistenti, per posare salde fondamenta per il nostro governo.”

Nostro?! Tu sei la regina!”

Nasuada alzò un palmo per cercare di calmare il fiume di parole che immaginava sarebbero provenute dal marito così alterato. “Un sovrano non governa mai da solo un popolo e dei territori, come ben sai, lord Murtagh.” , gli impartì con durezza, ma sempre sottovoce, “Ho convenuto all’epoca che affidare il futuro del governo di ogni regno - i suoi principi - al giudizio ultimo della legge, e non al giudizio personale dei genitori, fosse la scelta migliore. Ovviamente, ritengo tutt’ora che lo sia. Non avevo considerato quale sarebbe stato il mio pensiero di madre, ma è proprio da questo egoismo che voglio proteggere i principi nostri figli e quelli che verranno nelle generazioni future.”

Murtagh annuì senza aggiungere altro, girando i tacchi iracondo, facendo svolazzare il mantello in aria mentre lasciava la sala del trono.

Nasuada sentì un peso sulle spalle improvviso, trovandosi sola a fronteggiare chi minacciava di voler avviare un percorso che avrebbe potenzialmente portato a toglierle i suoi figli.

Deglutì. “Quindi cosa dovrei fare per dimostrarvi di essere al momento ancora l’unica a poter fare il meglio nell’allevare i miei figli?”

Sabrae strinse le labbra, gettando i capelli dietro le spalle e muovendo un odore di fiori marcescenti, la sua impronta olfattiva. “Come vi ho udito dire al Cavaliere, non si sta parlando dei vostri figli, ma dei nostri principi. Perciò l’unica cosa da fare ora come ora è attendere e sperare che il responso dei giudici sia positivo.”

“Non sarete voi a fungere anche da giudici?” , sussurrò la giovane terrorizzata, la voce che le morì in gola - anche se si maledì per questa dimostrazione di debolezza - .

“Noi sappiamo che potrebbe essere solamente stato un colpo di testa… tu e il Cavaliere siete giovani, anche se coprite due ruoli rilevantissimi, e talvolta tutti lo dimentichiamo. Noi vi daremmo con troppa semplicità una seconda possibilità, perciò abbiamo istituito una giuria esterna alla vostra conoscenza e obiettiva.”

“Accetto: il vostro ragionamento è inopinabile.” , concluse mansuetamente, sperando che il suo atteggiamento servisse a imbonirsi loro e i giudici, che sapeva avevano iniziato a osservarla nel momento stesso in cui aveva rimesso piede nel castello.

I Consiglieri annuirono, poi si mossero per abbandonare la sala.

Prima di uscire, Jormundur si fermò accanto alle spalle della figlia adottiva. “Il comportamento del tuo Cavaliere non aiuterà a tenervi i vostri bambini.” , le sussurrò piegandosi per parlarle dritto all’orecchio.

Nasuada annuì quasi impercettibilmente, tradita solo dall’oscillazione dei suoi orecchini pendenti. “Gli dirò di comportarsi appropriatamente.”

“Questo ora e sempre, se vorrà rimanere a tuo fianco.”

Nasuada si voltò di scatto. “Dimmi, a chi Maeve è venuta a riportare della nostra deviazione?”

Jormundur scosse le spalle. “A me.” , le rispose innocentemente, “Aveva il compito di tenervi d’occhio.”

Chi glielo ha ordinato?”, sibilò in un sussurro la giovane, lasciando cadere una sola lacrima.

“Io.”

“Perché?”

L’uomo incurvò per la prima volta le spalle, perdendo il tono acido. “Cercavo un modo per liberarmi di lui, ancora una volta. Maeve doveva informarmi di qualsiasi suo comportamento strano durante il viaggio, mentre non sarei stato presente per controllarlo… Eravamo d’accordo che si sarebbe occupata della principessa, mentre io e Farica del principe.” , rispose perdendo man mano pezzi del discorso, confondendo lievemente la regina, che dovette usare l’immaginazione per riempire i ragionamenti non espressi dall’uomo anziano.

“Non ti è sorto il dubbio che avreste ferito anche me, oltre a Murtagh?”

“Non pensavo avresti accettato la sua idea di partire e abbandonare il senno e i tuoi doveri.” , si rizzò un’ultima volta, “Mi hai deluso, Nasuada. Ancora una volta.”

Uno schiaffo sonoro ruppe il silenzio nella stanza, poi Nasuada si voltò, andando lentamente a sedersi sul trono con il mento alzato.

“Non comportarti così: ricordi solamente una bambina stizzita e viziata.” , le sibilò piano il consigliere, guardandosi attorno in modo guardingo. Nasuada si unì le mani in grembo, componendo la postura ancor di più. “Ho sbagliato e lo riconosco, perciò voglio ammendare le mie azioni già da subito. Se vuoi perdonarmi, devo costringerti a congedarti ora, ho del lavoro da svolgere.”

L’uomo annuì, uscendo con una riverenza. Vi fu silenzio nella stanza per qualche istante, mentre la regina si lasciava sfuggire un’unica lacrima, che asciugò con un gesto fluido ma velocissimo. Inspirò rumorosamente, sistemandosi dritta sul suo trono che un tempo era appartenuto a suo padre, e che i nani avevano rivestito d’oro prima di scortarlo a Illirea dal Farthen Dur.

Si sentì sola. Senza Murtagh, senza i suoi bambini, senza Farica né Maeve a confortarla, senza suo padre, senza Eragon o Arya. Nasuada era sola, ma doveva rimanere forte. Doveva tornare a lottare come era solita fare in passato. La pace forse l’avevano abituata alla comodità, ad avere tutto servito davanti a lei dopo solamente qualche discussione verbale. Sarebbe stato dunque così semplice convincere - chi riteneva lei non fosse una buona custode per i principi - degli sconosciuti a lasciarle Finiarel e Órlaith?

O avrebbe avuto altri figli, in futuro, a cui raccontare dei loro fratelli che non potevano incontrare? Le avrebbero tolto anche quei futuri principi?

Scosse il capo, riscuotendosi dai pensieri giusto per il tempo di spostarsi nel suo studio e prendere con sé le pergamene che le sarebbero servite per svolgere il lavoro quel giorno. Purtroppo, erano così tante che dovette rimanere nella stanzetta. Era un luogo perfetto ove fermarsi a pensare e riflettere per ore, ma indugiare nel lavoro sarebbe stato doppiamente nocivo: avrebbe dimostrato di essere emotivamente debole a tal punto da non svolgere il suo lavoro, e in più rimuginare sulla paura di perdere i suoi figli le avrebbe procurato un male alla pancia che nessun unguento avrebbe potuto curare. Abbassò la testa sulle pergamene e si lasciò perdere tra i calcoli e le rune per non percepire il trascorrere del tempo, come faceva da bambina nella biblioteca di re Hrothgar.

A orario del pasto di metà giornata, Jormundur bussò alla sua porta e si ripresentò al suo cospetto - ricevendo dalla regina solamente occhiate torve e silenzio in cambio - . Fu lui stesso ad accostare alla sua scrivania un tavolo pieghevole di legno pregiato comunque, e poi sopra il vassoio con il pranzo. Attese che la giovane mangiasse in silenzio, in un angolo della stanza, mentre le lanciava occhiate furtive e meste.

Quando Nasuada ebbe finito, aprì la bocca per parlare, ma lei lo anticipò sollevando fulmineamente una mano. “Posso vedere i miei figli?” , gli domandò con durezza, “Prima che sia troppo tardi…”

L’uomo deglutì, probabilmente cercando di sciogliere il nodo di tristezza che gli sembrava di avere in gola. “Si trovano con il Cavaliere, che ha somministrato al principe il pranzo.” , le disse solamente, con voce roca, come se si stesse trattenendo dal piangere.

La giovane si alzò lentamente, trattenendosi dal correre all’esterno e verso i suoi due meravigliosi bambini. Annuì e lo ringraziò con freddezza, superandolo e uscendo dallo studio.

Arrivò in un tempo che le sembrò uguale a un battito di ciglia davanti alla porta con i bassorilievi, aprendole con un enorme sorriso sul volto. Murtagh era steso a terra su un tappeto, il ventre premuto sul tessuto e una mano protesa verso il principe, intento a fingere di essere un animale feroce che volesse mangiarlo. Finiarel si ritraeva ridacchiando con le guance arrossate. Dietro di loro era posto un lettino da cui proveniva un sospiro impercettibile dell’ultima aggiunta della famigliola. “È bello vedervi tutti qui!” , li salutò Nasuada con voce calda, ma fu lo sguardo di Murtagh a tornare a farle gelare il sangue. Aveva alzato gli occhi su di lei, perdendo la maschera giocosa che aveva indossato per il bene del figlio, rivelandole tutta la sua tristezza e al contempo un’ira furibonda. Quello sguardo lo aveva già incontrato mentre il Re Nero la costringeva ad ascoltare in anticipo in cosa avrebbe consistito la tortura che Murtagh le avrebbe influito di lì a poco. Istintivamente i suoi occhi si abbassarono sul tappeto, per proteggersi dal cadere anche ella nella stessa consapevolezza. Si sedette accanto ai due lentamente, dopo essersi recata a prendere la figlia tra le braccia. Appena gli fu vicino, percepì Murtagh sospirare piano. La giovane cercò la mano del Cavaliere, stringendola con forza. Murtagh la guardò allora con un barlume di speranza. Speranza che insieme avrebbero potuto farsi forza e superare sufficientemente bene anche quella situazione. Avevano sopportato la guerra, la prigionia, le torture, e proprio nel momento più buio avevano trovato un appiglio a cui sorreggersi vicendevolmente.

Rimasero per qualche tempo tutti assieme a giocare, finché Farica non comunicò premurosamente alla regina che la clessidra avesse terminato il tempo.

“Devi proprio andare così presto?” , le chiese intromettendosi Murtagh.

Nasuada annuì, lasciandogli un’occhiata dura. “Dovresti avere anche tu documenti da vagliare, duca.”

“Ho terminato quanto dovessi fare a Dras-Leona, ricordi?” , le ribadì con gioia, “Potrò trascorrere tutto il tempo che mi rimane per oggi con i bambini.”

Con un sospiro Nasuada si rialzò lentamente. Lo osservò con sguardo triste, cercando di non piangere. “D’accordo, rimani ancora con loro. Ma ti consiglio di metterli a riposo, quando saranno stanchi e di recarti fuori a prendere una boccata di aria fresca e sana.”

Murtagh comprese quanto stesse implicando, annuendo duramente. “A stasera, Amore mio.”

“A stasera, Murt.”

Si spostò vicino al figlio maggiore, abbracciandolo e lasciandogli un bacio, poi depose la figlia nel lettino, facendo lo stesso con lei.

 

Ritornò la sera con lentezza negli appartamenti reali, cercando di ritardare inconsciamente quanto più possibile il silenzio che vi avrebbe trovato. Quando vi tornò tutto era fin troppo calmo al di là della porta intarsiata. Notò in ritardo che non vi fossero nemmeno le guardie all’esterno degli appartamenti, segno che non vi alloggiasse nessun principe da proteggere. Vagò con lentezza fino al Talamo, dove due Falchineri controllavano uno dei due accessi alle camere da letto. La salutarono con tristezza. Glarald e il gemello Garnald facevano parte della sua guardia personale sin dall’alba del suo comando, ed erano tra i pochi sopravvissuti alla guerra. Per la fedeltà dimostrata negli anni, erano i due con l’accesso al cuore della vita della famiglia reale, tanto che Nasuada riteneva che ne facessero parte, così come Jormundur, Farica e Maeve. Almeno i due gemelli non l’avevano tradita, ancora…

“Sua Altezza Reale Murtagh è nella stanza?” , chiese loro.

“Sì, da quando sono giunti a prelevare i principi.”

Quelle parole furono nuovamente un colpo al cuore per lei, ma si sforzò di mantenere un’espressione neutra, facendosi aprire la porta davanti. Uno dei due gemelli, tuttavia, riuscì a percepire il suo dolore. “Maestà, se dovesse esservi d’aiuto… noi Falchineri proteggeremo sempre i vostri figli.”

“Anche se sono i nipoti di Morzan?” , chiese Nasuada con voce incrinata dal pianto.

Garnald allargò le braccia per invitarla in un abbraccio, ma il fratello lo bloccò con un colpetto e un cenno del capo negativo.

“Sì, vostra Maestà.” , si sbrigò a risponderle Glarald sfoggiando un sorriso sincero, “Noi veniamo dai Ribelli. Noi per primi eravamo i reietti fino a qualche anno fa.”

“E in più i vostri figli sembrano essere davvero diversi da come le storie raccontano Morzan.” , aggiunse l’altro.

“Vi ringrazio. E vi affido la salute dei principi.”

Superò finalmente la soglia, trovando Murtagh sul letto, con il capo appoggiato alle mani, piegato in avanti sulle ginocchia.

“Se li sono portati via…” , mormorò alzando il capo lentamente per osservare l’amata negli occhi.

La sua espressione disperata fece ritorcere le viscere della giovane, che si trattenne da scoppiare in lacrime all’istante.

Si sistemò accanto a lui, inspirando silenziosamente.

“Ci sarà un processo.” , gli spiegò cercando di mantenere la calma per entrambi, “valuteranno se ridarci i nostri figli.”

“Quando?”

“Appena saranno pronti i giudici.”

“Terranno ostaggi dei bambini finché non avranno sufficienti prove e scritto il capo d’accusa e l’arringa di difesa?!” , chiese acidamente il giovane.

“I miei Consiglieri hanno organizzato tutto, ne sono certa, perché i nostri figli non soffrano anche solo un momento. Ricordati che il bene dei principi è interesse non solo nostro, ma anche di tutto il regno.”

Murtagh scattò in piedi, seguito subito dalla moglie. “Magari non avranno ferite corporali, ma chi impedirà loro di sentire la tua mancanza?”

“O la tua… perché anche tu mancherai loro moltissimo.” , bisbigliò tra sé la giovane regina, affranta.

Il Cavaliere prese a camminare a grandi falcate veloci e decise attorno al letto, da parte a parte. “Magari lo stanno facendo per indebolirli, e plasmarli a fare in futuro tutto ciò che diranno loro sia il contrario del volere dei loro genitori.”

“Sento nel tuo tono una certa esperienza, a riguardo.”

Murtagh si bloccò per qualche istante, lo sguardo fisso davanti a sé. “Sì, è esattamente ciò che successe a me una volta giunto a questa stessa corte: cercarono di far sì che mi interessassi di ciò che mio padre avrebbe voluto costringermi a fare - se fosse stato in vita - , solo dicendomi che si trattasse esattamente del contrario di ciò che lui mi avrebbe imposto.”

“È terribile…"

Tirò un pugno alla pietra del muro. “Detesto non essere libero di dare più ai miei figli la vita che meritano! Una vita diversa dalla mia!”

Nasuada gli prese le braccia, abbassandogliele, per poi tirarlo a sedere nuovamente sul letto. “Miglioreranno col tempo le imposizioni in quanto genitori dei principi… Ricordo quando ero bambina che non mi permettevano di fare quasi nulla senza una scorta, ed ero solo la figlia di fatto illegittima del Capo dei Varden. È peggiorato tutto quando hanno verificato davvero chi fosse mia madre.” , gli spiegò, “Ma anche tu da bambino sarai stato costretto da mille regole, in quanto altezza reale.”

“Tutta la mia orrenda vita di duca… ma non pretendo che non debbano avere regole da rispettare, tuttavia ci stanno imponendo di non poter mai più spostarci come una famiglia unita. Avranno sempre uno - e un solo - genitore al loro seguito, e non potranno nemmeno viaggiare assieme!”

La giovane si morse il labbro. “Non potranno comunque viaggiare molto, in realtà.”

“Ci impediranno anche di farli dormire nello stesso letto, nella stessa ala del castello?! Pretendono da noi che produciamo un nugolo di principi, ma se fosse per loro, dovremmo dormire in stanze separate… Noi siamo esseri umani, oltre a nobili. Abbiamo dei bisogni, degli affetti, dei sentimenti…” , ruggì ignorando l’appunto della moglie, “Almeno sotto Galbatorix ero più libero, sotto questo punto di vista.”

Nasuada alzò fulmineamente la mano per schiaffeggiarlo, poi si bloccò quando se ne rese conto. Stranamente, Murtagh non l’aveva fermata da sé. “Non ti permetto di insinuare di essere stato più libero sotto il governo - anzi, il dominio assoluto - di un uomo che ha usato il tuo Vero Nome per fare di te un burattino, e che ti ha costretto a sposarti a sorpresa!”

“Hai ragione, perdonami. Non dovevo dirlo.”

Gli accarezzò una guancia. “È la situazione ad averti spinto a dire quelle parole ignobili… Ma andrà tutto bene, sta’ tranquillo.”

Il Cavaliere rise sarcasticamente. “È morto con una daga piantata dietro, questo tuo ‘Tranquillo’”.

In quel momento, qualcuno bussò alla porta.

La regina si coprì le spalle con il suo scialle di seta e uscì. Murtagh fissò a lungo il vuoto davanti a sé, una sensazione di malessere latente nelle sue viscere. Fu proprio quando si accorse di quanto stesse durando la conversazione della moglie, che s’insospettì e andò a cercarla. Mentre si alzò, si accorse di avere dolore a tutti i muscoli per l’inerzia. Si bloccò per lunghi minuti, prima di riprendere l’uso delle gambe. Uscì per riunirsi con lei, trovando una guardia davanti a lui che bloccò l’avanzamento con la lancia.

Nasuada non era più nell’anticamera del Talamo. Stranito, si guardò intorno in cerca di qualcuno del Consiglio. Allora interrogò la guardia del corpo dei Falchineri. “È corsa a vestirsi nel guardaroba, poi ha seguito altre guardie della Corona in direzione dei quartieri ufficiali. Non ero tenuto a sapere altro, il mio superiore era con lei.”

“E non siete venuti a riferirmi degli spostamenti di mia moglie subito dopo la sua dipartita?!” , sibilò minacciosamente.

L’uomo piegò il collo all’indietro, spostando il peso dei piedi sui calcagni. “È stata lei stessa a dirmi di tenervi qui.”

Il Cavaliere sentì le viscere rivoltarsi. “Spostati, devo andare da lei.”

“Dice che siete troppo impulsivo in questi tempi. È meglio se restate qui ad attenderla.”

“Io non sono prigioniero qui. Se non vorrai farmi passare, ti costringerò a farlo con la magia.” , sibilò il Cavaliere.

L’uomo alzò entrambe le sopracciglia sulla fronte. “È stata la strega-bambina a chiamare la regina, anche se attraverso emissario. La pergamena era incantata, ho percepito l’incantesimo che veniva lanciato su di me mentre la leggevo.”

“Può essere. Se hanno richiamato Elva a Illirea come portavoce, significa che hanno intenzione di usare la sua magia - che non può essere spezzata nemmeno da noi Cavalieri - …” , spiegò all’uomo poi mormorando tra sé lievemente rincuorato: “Ma anche proteggere Nasuada.”

Gli indicò un divanetto. “Siediti.”

L’uomo fece quanto richiesto, anche se con riluttanza. Murtagh sussurrò gli incantesimi per farlo assopire e mentre questo iniziava a sentire il terrore del sonno attanagliarlo, iniziò a lamentarsi. “Dirò personalmente alla regina che non ti sei addormentato per colpa tua, ma che sono stato io a incantarti.”

A passo di carica uscì dagli appartamenti reali e si diresse verso le aree del castello dove si tenevano le attività giuridiche e burocratiche del governo della moglie. Cercò Nasuada in lungo e in largo, ma nessuno potè svelargli dove si trovasse precisamente, e la vicinanza di Elva doveva fungere a renderla impercettibile ai suoi sensi magici. Vagò e vagò, finché non capitò davanti alla sala dove solitamente si leggiferava - sospettamente gremita di guardie all’esterno - . La porta era chiusa e pesante, ma poteva udire la voce arrabbiata della giovane regina, al contempo preoccupata.

Che cosa sarà successo adesso?

Una voce dura di un uomo disse qualcosa che lui non colse, mentre speculava tra sé riguardo all’accaduto recente.

Poi, un rumore secco su legno lo fece sobbalzare. Iniziò un breve mormorio, e alcuni scranni strisciarono sul pavimento. La porta si aprì poco dopo, facendo uscire i sei Consiglieri e sorprendentemente dei giudici, che gli lanciarono occhiate trionfanti mentre gli passarono davanti, e per ultima Elva, che lo fissò con grandi occhi penetranti, capaci di metterlo a nudo. Si avvicinò a lui, mettendogli una mano fredda sull’avambraccio. “Ti posso garantire che la mia protezione è ancora valida. Su tutti voi.” , disse laconicamente, sciogliendosi poi in un sorriso che durò appena un battito di ciglia, “A proposito, le mie congratulazioni, Cavaliere.”

“Per cosa?” , chiese confuso e stordito dagli eventi Murtagh.

“Per vostra figlia. Sento che v’è un’affinità magica con lei. Diventerà una strega.”

Murtagh scosse il capo. “Grazie… È destinata a divenire Cavaliere anch’ella.”

Elva squittì una risatina compiaciuta, poi fece una riverenza e tornò a seguire la folla.

Gli ci volle qualche istante per notare che nella piccola sala ottagonale era rimasta finalmente solamente Nasuada, al centro di essa, che fissava una finestra.

La chiamò e la meravigliosa giovane ordinò distaccatamente che gli fosse permesso il passaggio. A pochi passi l’uno dall’altra, Nasuada scartò l’abbraccio che il Cavaliere le stava per offrire, andando a chiudere da sé la porta con un rumore fortissimo. Si appoggiò ad essa, scivolando per terra poi con un ringhio frustrato.

Murtagh la raggiunse, sistemandosi accanto a lei e allargando un braccio per invitarla sul suo petto. Come in quella cella delle viscere del castello, pian piano Nasuada si avvicinò. Sospirò e si abbandonò accanto a lui, poggiandogli il capo sulla spalla.

“Nas, posso sapere cosa è successo?” , chiese il marito rompendo il silenzio, anche se in lui si stava facendo largo una consapevolezza che non voleva accettare.

Fu in quel momento che Nasuada sfogò le sue lacrime, anche se cercando di emettere meno rumore possibile. “Ci hanno tolto i bambini… Lo hanno fatto davvero!”

Il Cavaliere s’infuriò. “Come possono averceli presi? Legalmente sono una mia - nostra proprietà - !” , chiese allibito correggendosi.

Lei fece spallucce, singhiozzando. “Possono farlo, per il bene del regno, come ti abbiamo già detto… ma mai avrei pensato sarebbe diventata realtà, e non solo un’ammonizione.”

“Quindi… non rivedremo mai più Fin e Órlaith? Dove si trovano ora? Che ne sarà di noi? Ci spediranno in esilio lontano da questo castello?” , mormorò.

La regina si bloccò dal piangere. “No… sono stati affidati temporaneamente a persone fidate. Hanno detto che la sentenza sarà revocata quando per i nostri piccoli sarà ‘rientrato il pericolo e il turbamento che abbiamo apportato loro’”.

Murtagh strabuzzò gli occhi. “Per quanto tempo?”

“Non saprei… il tempo che riterranno necessario.” , ribadì con amarezza, fin troppo duramente.

“Ho capito quanto hai detto, ma vorrei sapere se ti è stato accennato se staremo senza i nostri figli per giorni, o se mesi o se addirittura anni…”

La regina fece una smorfia. “Non lo so.” , mormorò con un tono che suonava più come una supplica a non porle altre domande, e riprendendo a piangere.

Il Cavaliere si maledì. Aveva sbagliato, quella volta un paio d’anni prima, a desiderare anche solo inconsciamente di non aver mai generato il proprio figlio. Era stato per lui una benedizione, l’elemento che gli aveva finalmente donato una famiglia che lo stava guarendo. Non vedeva l’ora che il secondogenito - o meglio la secondogenita - sorbisse su di lui gli stessi benefici, e in cambio non poteva attendere di innamorarsi completamente anche di lei.

Ma il Destino gli aveva tolto anche le sue due piccole isole di felicità, ancora una volta.

Come farò ad andare avanti? , si chiese.

Castigo emerse dal suo silenzio perché non poté trattenersi. Tieniti stretto a me e a Nasuada, io e lei saremo le tue rocce ancoranti.

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[Angolino di EllyPi]
Eccomi qui di nuovo dopo ere geologiche! Mi dispiace molto, ma sono stata molto occupata... Sono ritornata con questo capitolo dal nome azzeccato, sperando di postare con più frequenza.

Intanto vorrei sapere da voi che mi leggete cosa ne pensate so far della storia! Avete consigli da darmi? Critiche costruttive?

Grazie a tutti e a presto!

  
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