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Autore: _Zaelit_    21/04/2023    0 recensioni
È trascorso qualche mese dal termine della lotta per la libertà dei guerrieri originati dal Progetto Jenova e Progetto Yoshua.
Sephiroth è partito in cerca della sua redenzione, mentre Rainiel vive con Zack ed Aerith nel Settore 5. Un altro nemico, però, intende portare avanti la guerra che loro credevano terminata. Quando un vecchio amico porterà discordia nelle vite dei due ex-SOLDIER, quando un angelo dalle piume nere tornerà a cercare il dono della dea, Rainiel e Sephiroth, e tutti i loro compagni, dovranno ancora una volta confrontarsi con un male più pericoloso del precedente e che, come se non bastasse, sembra conoscerli molto bene.
Libertà, amore, pace: tutto rischia di essere spazzato via ancor prima di poter essere ottenuto... e il Dono degli Dèi è più vicino a loro di quanto pensino.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Sephiroth, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Heiress of Yoshua'
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Capitolo 45
DOCCIA DI MAKO

Il silenzio nel lussuoso appartamento open-space era contrastato solo dallo sporadico suono di timide gocce d'acqua che scivolavano da un rubinetto la cui maniglia non era stata stretta con forza sufficiente a impedire che perdesse. Plic, plic. Andava avanti da ore, ormai.
Servendosi del bottone di un telecomando, il giovane uomo rannicchiato sul letto cambiò canale. La TV era accesa e collegata all'intera Midgar, ma ogni singola rete non faceva che trasmettere la stessa cosa. La stessa, rimbombante notizia.
Capitò su di un telegiornale dell'ultima ora. Una reporter ben truccata e vestita di tutto punto era situata di fronte alle porte scorrevoli dell'ingresso della Torre Shinra. Spostandosi quel tanto che bastava, lasciò che il cameraman riprendesse l'orda di fan appostati nella piazza davanti al grattacielo. Tenevano sollevati cartelloni e striscioni con su scritto a lettere cubitali il nome del loro idolo. Qui e là spuntavano, non rari, disegni o citazioni motivazionali.
La giornalista decise di disturbare una delle guardie all'entrata, senza farsi alcuno scrupolo.
«Cosa ci sa dire dell'eroe di guerra Sephiroth? È da giorni, ormai, che ha fatto la sua comparsa qui in città. Come mai non si è ancora presentato? La gente pensa che la Shinra possa aver diffuso una voce falsa, solo per sollevare il morale alla società! Come potete risponderci a proposito?»
La guardia obbligò i due ad abbassare la telecamera, e poi parlò. «Il Generale Sephiroth è davvero tornato, e attualmente è sottoposto alle cure del dipartimento scientifico. Non appena si riprenderà, sono certo che farà la sua apparizione pubblica per ringraziare i fan che hanno atteso così tanto...»
La televisione si spense con un suono digitale. Il telecomando affondò tra le morbide coperte pulite del grande letto a due piazze. Il giovane uomo si lasciò ricadere tra i cuscini freschi e, attorno a lui, i suoi lunghi capelli fluttuarono come fili di luce lunare dispersi nel vento.
Cure del dipartimento scientifico? Come no. Da quando si era ripreso, Sephiroth si era sentito, più che mai, solo e abbandonato da tutti. Gli scienziati gli avevano rifilato ogni sorta di medicina nell'arco di pochi giorni, e gli avevano inferto controlli così numerosi che non era del tutto sicuro di avere abbastanza sangue nelle vene. Dalle analisi era emerso che il suo corpo non si stava riprendendo affatto da qualsiasi cosa gli fosse capitata.
Aveva perso peso, rapidamente e in modo per niente salutare. Riusciva a stento a dormire e non poteva nemmeno immaginare di mettere sotto i denti qualcosa che non gli provocasse la nausea. Aveva fatto lunghe docce calde e rilassanti, ma anche così facendo non era riuscito a strigliarsi di dosso la spossatezza che lo tormentava. Era destabilizzato e, cosa ancor peggiore, non ricordava assolutamente nulla del motivo per cui era ridotto in quel modo.
Si sentiva come se si fosse svegliato da un coma durato anni, e nessuno aveva avuto la decenza di essere cauto con lui. La prima notizia che aveva ricevuto era stata quella della morte di Angeal, il suo migliore amico. Non era riuscito a versare neanche una lacrima per lui, perché non era sicuro di avere le forze adatte a piangerlo a sufficienza. Non era sicuro neanche di aver del tutto elaborato il lutto. Sapeva solo che era accaduto molto, molto tempo fa, ormai. Un tempo che era stato completamente rimosso dalla sua mente.
Si massaggiò la fronte mentre guardava un punto impreciso del soffitto bianco, continuando a pensare, così tanto che ben presto la pressione alle tempie si fece insostenibile. Allargò le braccia sul materasso su cui si era disteso a petto nudo. Il suo torace era ricoperto da garze e cerotti, e indossare una maglia da casa o l'uniforme finiva solo per farne staccare qualcuno o causargli fastidio, quindi aveva dovuto ripiegare per l'unica scelta rimasta. Indossava morbidi pantaloni di tuta lunghi e neri, adatti al movimento, ma non si sognava affatto di tornare agli addestramenti tanto presto.
Chiuse gli occhi per cercare di ricordare, come aveva già fatto diverse volte, e soprattutto a tarda notte, negli ultimi giorni. Niente da fare. Tutto quello che riaffiorava nella sua memoria era un tremendo dolore, dovuto a chissà cosa. Si era risvegliato in uno dei laboratori, coperto di sangue. La sua spada gli era stata restituita in seguito, ed era l'unica cosa a essere rimasta esattamente come se la ricordava. Guardandosi allo specchio, aveva fatto fatica a riconoscersi. L'ultima volta che lo aveva fatto, aveva solo vent'anni. Ora era quasi un uomo adulto.
Piegò la testa verso sinistra e notò un vassoio poggiato su un mobile accanto al letto, con su un piatto con la colazione che qualche minuto prima gli era stata portata in camera da un inserviente della compagnia. Non l'aveva nemmeno guardata, disgustato dal solo odore che il cibo emetteva, e non perché non fosse buono. Al contrario, gli erano state riservate prelibatezze di ogni sorta, ma non riusciva ad avere fame.
«Dannazione...» mormorò a denti stretti. Ma come si era ridotto? O meglio, cosa lo aveva ridotto così? Che diamine era successo?
Più di tutto, non tollerava l'idea di aver perso Angeal così all'improvviso, per un motivo che non gli era stato neanche precisato. Tutto quello che gli era stato detto era riassumibile in un "La tua ultima missione è terminata in tragedia. Sei l'unico sopravvissuto della squadra, ma Genesis adesso sta bene".
C'erano così tante cose che non andavano bene, in quel discorso: prima di tutto, cosa c'entrava Genesis in tutto ciò? Aveva carpito qualcosa a proposito di una prigionia, e sapeva di essere stato incaricato di riportarlo indietro, ma trovava incredibilmente strana l'idea di non essere riuscito a proteggere nessuno dei suoi sottoposti davanti alla minaccia che gli aveva fatto perdere la memoria.
E qui sorgeva il secondo problema. Non era l'unico sopravvissuto, in realtà. Ogni media riportava che anche una giovane SOLDIER di terza classe era riuscita a scampare alla morte proprio come lui, ma questo non gli era stato comunicato, forse perché non sembrava, ai suoi informatori, una notizia di sufficiente importanza. Per lui, però, lo era eccome: sapere di aver protetto quantomeno una singola persona dalla morte, e di aver riportato Genesis a Midgar sano e salvo, un po' lo rincuorava. Solo un po'.
Si era chiesto chi potesse essere questa fortunata soldatessa scampata alla tragedia, in quanto nessuno sembrava voler diffonderne il nome. Chissà perché, nel sentire quella notizia gli era tornata in mente la giovane ragazza che aveva steso tutti i concorrenti durante l'esame di ammissione a SOLDIER, e che lui stesso aveva raccomandato alla divisione. Possibile, però, che dopo ben quattro anni una persona con un simile potenziale non avesse scalato neanche un po' i ranghi di SOLDIER? Qualcosa non gli tornava.
Di nuovo, una fitta di mal di testa lo assalì. Provò a chiudere gli occhi e a far finta che non fosse altro che l'effetto dei medicinali.
Quando bussarono alla porta, qualche minuto dopo, emise un basso rantolo infastidito. Era sicuro che sarebbe riuscito persino ad addormentarsi, stanco com'era, ma ovviamente aveva dimenticato gli impegni che lo aspettavano. Ne aveva sempre qualcuno programmato, eppure gli sembrava di aver perso l'abitudine del rispettarli in maniera quasi religiosa. Non si sentiva più puntuale, pronto e scattante come prima, e non solo perché le sue condizioni di salute si erano aggravate nell'ultimo periodo o perché soffriva di amnesia: si trattava di una sensazione più simile a quella che si sviluppa quando ci si rilassa dopo tanto tempo di duro lavoro e non si riesce più a trovare la voglia di tornare ai propri doveri.
A bussare era stata una donna magrolina ma alta, coperta da un camice bianco che già di per sé annunciava molte cose a suo riguardo: il Dipartimento Scientifico voleva sottoporre a una visita l'uomo, e immediatamente. Oppure lo attendeva qualche sorta di stramba cura che da anni, ormai, gli rifilavano quasi quotidianamente.
Quando era approdato all'età adolescenziale, la stretta che premeva su di lui, i "devi fare così, è un ordine", erano andati via via scemando. Sephiroth era diventato un ragazzo forte e stimolava una profonda paura quando si provava a cercare di comandarlo a bacchetta, dunque spesso riusciva a scrollarsi di dosso le assurde richieste di quei fanatici fissati con la scienza, ossessionati dal misuramento dei suoi valori, che si trattasse di centimetri guadagnati in altezza o banalmente persino il livello della pressione sanguigna. Ora, però, sentiva che se si fosse rifiutato non avrebbe fatto altro che condannarsi a subire insistenti tentativi di convincerlo a farsi dare un'occhiata, e non aveva né le forze né la pazienza per sopportare dei medici invadenti. Decise allora di togliersi subito il sassolino dalla scarpa, indossò una maglia comoda in tinta uniforme nera e si mise ai piedi dei semplici stivali di pelle, per poi seguire la donna.
Era convinto che l'avrebbe portato all'ufficio del Dottor Hojo, dove era solito sentirsi riferire da quel vecchio inquietante tutte le varie analisi di cui aveva bisogno e i relativi risultati. Una volta non capiva una sola parola di quello che gli raccontava, ma col tempo e qualche ricerca aveva imparato a memoria tutte le sigle e i paroloni che quello strambo complessato gli elencava.
In realtà, si sbagliava. Fu condotto su un altro piano, sempre appartenente al Dipartimento Scientifico, e la donna lo accompagnò a una porta sorvegliata da due membri della fanteria che imbracciavano i loro fucili e nascondevano il viso con i tipici elmetti bianchi della divisione. Non mossero un muscolo, mentre Sephiroth sfilava tra loro, eppure percepì un certo disagio nelle due guardie.
Sephiroth si ritrovò all'interno di una grande stanza bianca che aveva tutta l'aria di essere una sorta di bagno o spogliatoio. Purtroppo, sapeva benissimo per quale motivo era stato condotto lì, e di certo non si trattava di un semplice bagno.
Incrociò le braccia al petto e precedette la scienzata che provò a parlargli. Doveva trattarsi di una timida apprendista, perché chinò la testa e non osò interromperlo o imporsi.
«Non ho intenzione di farlo.» disse chiaro e tondo il giovane uomo, guardando i singoli box dalle pareti argentate che spezzavano la monotonia del bianco metallico e alienante della sala.
La donna si schiarì la voce, incerta. «Immagino non sia piacevole, signore, ma il capo-dipartimento ha ordinato che effettuasse una doccia di mako per stabilizzare la sua salute. Ha detto che la aiuterà a riprendersi.»
Sephiroth increspò le labbra e abbassò impercettibilmente un sopracciglio. «Durante l'ultimo controllo non è emerso alcun dato preoccupante che mi imponga un trattamento simile. Non mi serve assolutamente a niente.» ribatté, forte della sua opinione.
Se poteva evitare una di quelle docce di mako, allora l'avrebbe fatto. Le cure a lui riservate erano diverse rispetto a quelle fornite ai tipici SOLDIER di prima classe. Non sapeva cosa, di preciso, mischiassero alla mako liquida che faceva effetto direttamente a contatto con la cute, che assorbiva le componenti, ma ogni volta che si sottoponeva a una di quelle docce finiva sempre per presentare effetti collaterali di qualche tipo: estrema sonnolenza o insonnia, completa perdita dell'appetito, a volte forte nausea o addirittura sentori di febbre, per quanto per lui fosse praticamente impossibile ammalarsi. Certo, fare una letterale doccia di mako era comunque più piacevole che essere immersi in una di quelle vasche cilindriche di vetro ricolme di quel liquido verde e denso fino all'orlo che Sephiroth aveva visto più volte nei laboratori, contenenti tubi di ogni tipo e colore, ma ad ogni modo ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Puoi dire al Professor Hojo che ha sbagliato a fare i conti. Può prescrivermi un altro tipo di cura che sia realmente utile, oppure star tranquillo comunque, dato che mi riprenderò di certo in un modo o nell'altro.» aggiunse poi, pronto a lasciare la stanza. Di certo non lo avrebbero trascinato nei box.
La ragazza, comunque, sembrò tentennare. «Generale...» pigolò, facendosi coraggio, «... il professore è venuto a mancare più di un anno fa, ormai. Non è più lui a gestire il dipartimento.»
Il suo fu appena un incerto sussurro, ma Sephiroth spalancò ugualmente le palpebre ornate di lunghe ciglia scure. «È deceduto?» ripetè, come a voler elaborare la notizia, ma non provò pena o dispiacere per lui. Era una terribile persona in vita, e da morto non avrebbe fatto differenza.
La scienziata annuì, unendo le mani davanti al grembo in una postura composta. «C'è stato un attentato nei laboratori che ha causato anche la parziale distruzione del DRUM. Il colpevole non è mai stato trovato.» spiegò meglio, cosciente che non poteva ricordare quel dettaglio.
Dunque era stato ucciso. La cosa non stupì Sephiroth. Hojo aveva tanti nemici. Naturale che avesse fatto arrabbiare, alla fine, le persone sbagliate. Abbassò per un attimo gli occhi su un punto qualsiasi del pavimento.
«Dunque? Chi è il responsabile, adesso?»
«La dottoressa Jadin.» replicò lei, fulminea.
«Jadin? Il nome mi è nuovo.»
«È subentrata in seguito alla scomparsa del professore, è logico che non se ne ricordi. Lei e la dottoressa vi siete conosciuti, in passato. Sembrate... andare abbastanza d'accordo.»
C'erano tante cose che sembrarono strane al Generale, in quel momento. Intanto, perché non era intervenuto durante l'attacco al DRUM? Una persona come lui veniva sempre schierata in prima fila, se una personalità importante quale il professore si trovava in pericolo. Ad avere la precedenza su di lui era forse solo lo stesso Presidente Shinra. E poi, trovò curioso il modo in cui l'apprendista pronunciò quell'ultima frase. Non sembrava molto convinta.
Forse la donna si accorse di aver detto qualcosa di troppo, quindi si fece da parte per permettere al SOLDIER di passare. «La dottoressa ritiene che il suo corpo sia stato sottoposto a gravi traumi fisici, signore. Revisionando i risultati delle ultime analisi personalmente, è giunta alla conclusione che ha bisogno di significative dosi di mako per recuperare le forze così da tornare a essere operativo e sopportare i farmaci prescritti senza effetti indesiderati.» recitò quasi un copione, e Sephiroth capì di dover fare quello sforzo.
Si avvicino suo malgrado alle due panchine che dividevano una fila di tre grandi box, su un lato della stanza, dagli altri tre sul lato opposto, e afferrò i lembi della maglia così da sollevarla e sfilarla dalla testa. Prima di farlo, lanciò un'occhiata alla dottoressa per invitarla a lasciargli almeno un po' di dignitosa privacy, dopodiché individuò delle telecamere pendenti dal soffitto che lo infastidirono non poco.
«Vorrete scherzare.» sibilò infatti, ammiccando in direzione dei congegni di osservazione.
L'apprendista sussultò. «Oh, quelli sono lì solo per una questione di sicurezza. Se un paziente dovesse sentirsi male durante...»
Nulla da fare. Lo sguardo truce di Sephiroth spense gradualmente la sua voce, come un fuoco che pian piano si estingue tra le braci.
La donna si girò e s'incamminò verso l'uscita. «Chiederò che vengano spente.» gli assicurò, poi sparì oltre l'uscio e si richiuse la porta alle spalle.
Sephiroth non era sicuro di potersi fidare di quella promessa, dunque preferì spogliarsi all'interno del box stesso, sentendo l'aria fredda del laboratorio stuzzicargli la pelle pallida. Poggiò le piante nude dei piedi sulle mattonelle in marmo, e con una piccola maniglia di metallo azionò il getto di mako, che gli piombò sulla schiena, causandogli un attimo di pelle d'oca. Il liquido verde gli colò lungo le ampie spalle, seguendo le curve dei muscoli del dorso o dei pettorali, bagnandogli capelli e viso, scivolando tra le ciglia e le labbra, fino a gocciolare lungo le cosce, i polpacci e le caviglie.
La sensazione fu orribile, come d'altronde si aspettava, e non solo per il freddo. Qualsiasi prodotto lo stesse permeando al momento, comportava uno sforzo fisico non da poco al suo corpo per assimilarlo e sopportarlo. Iniziò con innocui giramenti di testa, poi cominciò ad avvertire la vista sfocarsi come se avesse la pressione bassa. Poi i muscoli diventarono molli come gomma pane.
Resistette finché gli fu possibile, poi non poté fare altro che accucciarsi per terra. Se non altro il pavimento era pulito ma, oltre alla sensazione di essere comunque osservato che gli provocava una certa forma di vergogna, vista la sua riservatezza, doveva fare i conti anche con quella fatica improvvisa. Prima di tornare in camera, di certo, avrebbe fatto un'altra doccia, questa volta di acqua vera, per ripulirsi del tutto da quel liquido luminoso verde come i suoi occhi.
Abbandonò la schiena contro la parete del bagno, le ginocchia vicine al petto, le braccia molli e le labbra dischiuse.
Erano cambiate tante cose, mentre altre erano rimaste le stesse. Comunque fosse, non poteva fare a meno di sentirsi come uno schiavo. Uno che respira per la prima volta il dolce profumo della libertà, solo per poi essere catturato nuovamente dai suoi spregevoli padroni. Vecchi i nuovi, non aveva importanza. Era rinchiuso lì, come da bambino, e forse lo sarebbe stato per sempre. Solo... non riusciva a capire il perché.

 

   
 
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