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Autore: Kakashi_Haibara    23/04/2023    0 recensioni
Stati Uniti, 1985
Il governo statunitense ha indetto una caccia spietata ai mutanti, esseri umani dotati di poteri soprannaturali, per proteggere l'umanità in pericolo.
Feliciano Vargas è un mutante arrestato dall'esercito e rinchiuso nell'inespugnabile fortezza di Westbrook, dove vengono catturati e studiati i mutanti più temuti. Dovrà sopravvivere all'interno della prigione, tra esperimenti e lavori forzati, per poter tornare a casa e riabbracciare il fratello maggiore, aiutato nel frattempo da un gruppo di mutanti rivoluzionari determinati a salvare i prigionieri.
È una storia in cui due mondi opposti si scontrano e si uniscono continuamente tra il dolore, l'amore, l'amicizia e l'odio.
[Mutant!AU, supernatural powers]
(Coppie principali: GerIta, Spamano, FrUK)
!ATTENZIONE! il rating potrebbe salire da arancione a rosso, per scene future con contenuti violenti e/o sessuali espliciti
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 3

 

30 gennaio 1985, Fortezza di Westbrook, Maine, USA

 

Erano passati solo cinque giorni da quando era stato rinchiuso nella fortezza, ma Feliciano aveva già capito tre cose: il cibo faceva schifo, i bagni ancora di più (no, sul serio, probabilmente immergevano il pasto dei prigionieri nell'acqua puzzolente del water) e non era facile farsi degli amici.

Per ora gli unici mutanti con cui era riuscito ad intrattenere un discorso più lungo di 30 secondi erano stati Kiku, i suoi due fratelli minori e pochi altri. Passando l’intera giornata nella loro cella comune, alla fine Kiku si era sentito costretto a dover rispondere alle numerose domande dell'italiano. E così tra un “Qual è il tuo dolce preferito?” e mille “Ti racconto una barzelletta!” erano diventati amici. Almeno, questo secondo Feliciano. Kiku non dava segni di interesse, ma l'italiano arrivò a credere che fosse soltanto il tipico atteggiamento da tutti i giorni del quindicenne. I suoi fratellini, fortunatamente, erano molto più socievoli. Giocavano ad acchiapparella insieme a Feliciano, scavalcando letti e correndo nello spazio seppur ristretto della cella, ascoltavano le sue barzellette con interesse e ridevano pure, al contrario del fratello maggiore che invece a ogni battuta lo guardava sempre più come se si ritrovasse rinchiuso con un idiota. Ma era assurdo, Kiku non lo avrebbe mai pensato, vero?

Tuttavia con gli altri prigionieri non era così semplice. Nelle poche ore in cui venivano lasciati “liberi” nel cortile della fortezza o durante i suoi orari di lavoro coatto, che consisteva nello spazzare i corridoi, pulire i bagni e smistare gli indumenti sporchi dei prigionieri in lavanderia, Feliciano aveva cercato di avvicinare qualche mutante, ma la maggior parte lo guardava male e si allontanava, mentre quei pochi che volevano sembrare gentili si presentavano e poi giravano i tacchi. L'unico con cui riuscì a parlare fu un diciottenne di nome Matthew. Era molto timido, ma disponibile. Stava nella cella di fronte a quella dell'italiano insieme a un altro ragazzo, che però non si faceva vivo da giorni, precisamente da poche ore prima che Feliciano mettesse piede nella fortezza. Matthew disse che era stato portato in laboratorio come al solito per far sì che studiassero i suoi poteri, ma che non era più stato riportato nella cella.

- È molto strano... - continuò Matthew sistemandosi goffamente i grandi occhiali rotondi sul naso all'insù. I capelli biondo cenere gli ricadevano spettinati sulle guance. - Non l'avevano mai trattenuto per così tanto tempo, le sedute non durano per un tempo prolungato, non ne ricaverebbero niente neanche loro. Devi sapere che è stato il primo mutante a essere stato catturato. Ormai è rinchiuso qui da cinque anni.

Feliciano sgranò gli occhi, incredulo. - Cinque anni?! Ma come... È Francis Bonnefoy, non è vero?

Ricordava bene il giorno in cui tutto era cominciato: il 12 ottobre del 1980, Francis Bonnefoy è diventato il primo mutante ad aver varcato la soglia della Fortezza anti-mutanti di Westbrook, senza mai uscirne. Il primo di una lunga serie di prigionieri. Quel giorno aveva fatto la storia. Aveva segnato la condanna di tutti i mutanti degli Stati Uniti d’America. Feliciano pensava fosse morto ormai da tempo.

Matthew annuì. - È stato forte. Ma da quando è qua dentro, non fanno altro che sfruttarlo per i loro orribili esperimenti. - lanciò un’occhiata alle guardie del cortile. - Francis è un mutaforma con un potere rigenerativo superiore al normale. Cercano nel suo DNA il carattere che lo aiuta a trasformarsi in altre persone e acquisire i poteri di altri mutanti, così da creare armi che si possano adattare a ogni mutante. Si è offerto lui di usare se stesso e i suoi poteri come cavia, ma solo a patto che gli altri mutanti venissero lasciati in pace. O quasi, ovviamente. Il generale Beilschmidt ha accettato le sue condizioni in quanto è dotato di un potere straordinario e apparentemente illimitato, ma non reggerà a lungo nemmeno lui. È sfinito e ogni mese è sempre più debole, per questo motivo quando lo rilasciano nella nostra cella, ormai devono aspettare anche un lungo periodo di tempo prima che riprenda le forze. Spesso al suo posto chiamano in laboratorio altri mutanti potenti, ma appena lui si riprende, lo riportano lì. Ha una resistenza e una capacità rigenerativa incredibili, superiori a quelle di qualsiasi altro mutante, anche con il collare, ma ormai riprende le forze sempre più lentamente. - Sospirò amareggiato e gli occhi divennero lucidi di preoccupazione. - Di questo passo, temo che prima o poi cederà del tutto. I suoi occhi non si apriranno mai più.

Feliciano rabbrividì. - M-ma è terribile! Non c'è nulla che si possa fare?

- L'unica opzione è sostituirsi a lui quando si riposa in cella, se gli scienziati lo richiedono... - Matthew sospirò. - Io mi sono offerto una volta, ma non ho resistito per neanche mezza giornata. Sapevano che ero rivoluzionario, non sono stati clementi. È stato...

Cominciò a tremare, mentre le lacrime gli rigavano le guance sporche di polvere.

Feliciano lo abbracciò. Lo conosceva da poco meno di dieci minuti, ma già si sentiva vicino a lui. Voleva rassicurarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma sarebbe parso falso. Quindi si limitò a stringerlo forte, aspettando che finisse di sfogarsi. I suoi pensieri andarono automaticamente al compagno di cella di Matthew. Cinque anni lì dentro a soffrire per salvare le gli altri mutanti ed era ancora vivo. Aveva ancora il desiderio di salvare altre vite a scapito della propria. Doveva essere la persona più straordinaria dell'intero universo. Feliciano si chiese se sarebbe mai diventato anche lui come quel mutante. Anche lui voleva fare del bene, ma sarebbe mai riuscito a sacrificare la propria vita per altri? Solo l'idea gli fece gelare il sangue.

Dopo qualche minuto, Matthew si asciugò le lacrime. - Grazie... Ehm, Felix?

L'italiano rise. - Feliciano, lo sbagliano in molti.

- Sei italiano, giusto? Hai uno strano accento.

- Esattamente! - gli sorrise, contento di aver cambiato discorso. - Tu sei americano?

Matthew sembrò pensarci su. - Immagino di sì. Non saprei in realtà, ho sempre vissuto per strada con mio fratello.

- Oh! Anche io, più o meno. - abbassò il tono della voce, per paura che qualche soldato potesse sentirlo. Non aveva rivelato l'esistenza del fratello, non poteva rovinare tutto adesso.

- Davvero? Spero tu non abbia passato la vita intera con un rompiscatole per fratello come me. - Matthew rise, mostrando però un velo di malinconia.

- Vorrei poterti dire di sì, ma credo fossi io il fratellino insopportabile!

Scoppiarono a ridere divertiti. Forse quella era la prima vera risata di Matthew da quando era entrato lì dentro, perché sembrò quasi sorpreso di se stesso. - Non credo di aver mai visto qualcuno ridere così nei due mesi che ho trascorso qui. - gli elargì un sorriso riconoscente.

Feliciano alzò le spalle. - Beh, c'è sempre una prima volta!

Si fermarono ad osservare in silenzio gli altri mutanti nel cortile: alcuni si scambiavano qualche parola, molti invece se ne stavano in disparte, completamente soli. Vide una bambina con i capelli legati in due code correre intorno a un grande albero, una donna con le orecchie a punta e i lineamenti elfici che sorrideva nostalgica mentre un ragazzo dai capelli bianchi come la neve le raccontava una storia. Un ragazzo con gli occhi violetti e i capelli biondi trascinava i piedi, pensieroso, confondendosi tra la folla di mutanti. Feliciano intravide Kiku che diceva qualcosa ai suoi due fratellini che giocavano nel prato. Su tutto il perimetro del parco erano posizionate delle guardie a sorvegliare i prigionieri. Tra di loro non riconobbe né Ludwig né Antonio. Non li aveva più visti dal primo giorno, il che lo rese triste. Poi realizzò di essere triste e si chiese perché mai sarebbe dovuto essere triste. Insomma, per quanto gentili potessero essere stati (Ludwig gli faceva ancora un po' paura, in realtà), facevano parte di tutto ciò che recava sofferenza a centinaia di mutanti. Non avrebbe dovuto provare simpatia per dei soldati. Avrebbe dovuto odiarli.

- Un giorno, tutto questo finirà. - La voce di Matthew lo riscosse. Si voltò e ciò che vide non fu il ragazzo timido e spaventato di qualche attimo prima, ma un giovane dallo sguardo forte e determinato. - I rivoluzionari verranno ad aiutarci. Dobbiamo solo tenere duro fino al loro arrivo. Io ne sono certo.

La sicurezza con cui lo disse infuse una strana energia in Feliciano. Matthew era convinto che sarebbero venuti a salvarli e lui gli credette. Avrebbe aspettato, avrebbe combattuto, così da poter rivedere una volta per tutte il fratello Romano.

Il suono di una campanella fece sussultare tutti i presenti. I soldati cominciarono a ordinare ai prigionieri di mettersi in fila indiana per tornare alle celle.

Una volta entrato nella propria cella, Feliciano si arrampicò e si sdraiò sul letto. Una cosa gli era poco chiara: se il mutante che tenevano in laboratorio era così forte, ma non da Livello Omega, perché non avevano ancora portato via Kiku? Forse dagli esami del sangue avevano notato che non era così forte da essere categorizzato in quel livello? Ma il controllo temporale non era un potere molto comune e, pensandoci, faceva anche piuttosto paura. Allora come mai non stavano facendo nulla? Cosa stavano aspettando? Avrebbe voluto parlarne con Kiku, ma temeva di spaventarlo e di far preoccupare i fratelli.

Il frastuono delle porte che sbattevano lo risvegliò dai suoi pensieri. All'improvviso tutti i prigionieri ammutolirono e si sentirono solo dei passi frettolosi che percorrevano il corridoio e qualcosa che veniva trascinato.

Feliciano saltò giù dal letto a castello e si avvicinò alle sbarre, ma ciò che vide gli fece precipitare il cuore fino allo stomaco: due soldati grossi come armadi stavano trasportando di peso un prigioniero, sorreggendolo per le braccia. Arrivati all'altezza degli occhi dell'italiano, aprirono le sbarre della cella di fronte e buttarono dentro il malcapitato.

- Francis!! - Matthew si buttò sul corpo quasi privo di sensi del giovane e gli sollevò la testa. Probabilmente tentò di suonare convincente, ma ciò che gli uscì fu come uno squittio, dovuto dallo shock del momento. - C-come vi permettete di trattarlo così?! Siete-

Uno dei due soldati lo interruppe con la sua voce tonante che sovrastò completamente quella del ragazzo. - Ci hanno riferito che ha opposto resistenza agli esperimenti numerose volte e quindi di non trattarlo con leggerezza. Non faremo di certo conto del nostro operato a un mutante. Vedi di non rivolgerti più a noi con quell'aria di sfida, insulsa creatura.

Detto questo se ne andarono con la stessa velocità con cui erano entrati. Dei mormorii cominciarono a levarsi in ogni cella.

- Francis? Francis, ti prego, guardami! - Matthew aveva appoggiato la schiena del ragazzo contro il muro e con la mano gli ripulì il viso da quelli che sembravano residui di fuliggine, lacrime e sangue.

Feliciano guardò meglio il ragazzo: era molto magro, tanto che ormai i vestiti logori gli stavano larghi. I capelli erano più lunghi di quelli di Matthew e anche più rovinati, da quello che doveva essere un bel biondo grano, ormai erano diventati di un giallo appassito, quasi grigio. Gli occhi, che teneva aperti a stento, gli parevano azzurri, ma anche quelli avevano perso la luce di un tempo. Erano vacui e di un blu spento, tormentato, circondati da profonde borse nere. Il viso smunto e contorto dal dolore aveva perso ogni traccia della bellezza giovanile ed era pieno di ferite sanguinanti, stessa cosa per mani e piedi. Feliciano non voleva immaginare in che stato fosse il resto del corpo. Un accenno di barba scura gli copriva il mento. Se quel ragazzo avesse avuto intorno ai venticinque anni, in quello stato sarebbe certamente passato per un povero quarantenne vagabondo.

All'improvviso il ragazzo diede qualche colpo di tosse e fece per sistemarsi meglio, ma gemette dal dolore.

- Ahi ahi, Matthie. - gracchiò debolmente. Prima di parlare di nuovo dovette riprendere fiato. - Mi hanno proprio conciato per le feste stavolta.

- Non parlare, Francis. - disse Matthew, ricacciando indietro le lacrime. - Oh mio dio, ma come hanno potuto...

Francis accennò una risata amara per niente divertita e accarezzò i capelli del più giovane con fare paterno. - Le armi che hanno usato stavolta erano molto più potenti e non riuscivo a contrastarle da solo... - fece una pausa, portandosi una mano al petto. - Ho cercato di oppormi, ma non me l'hanno consentito. Sono troppo debole ormai... Ma non posso mollare. Devo tenere duro per tutti voi. Entro due settimane sarò di nuovo in forze, promes-

Cominciò a tossire piegandosi in due dal dolore. A quel punto Matthew versò fuori tutte le lacrime che aveva trattenuto e massaggiò la schiena del ragazzo, incapace di poter fare altro.

Feliciano osservò tutta la scena con gli occhi sgranati dalla paura. Quello era davvero il mutante che era sopravvissuto a cinque anni di torture e sofferenze. Era ridotto peggio di un cane randagio. Com'era possibile trattare un altro essere vivente in quella maniera? Era in fin di vita, a malapena riusciva a respirare. Ma nonostante questo, metteva ancora davanti a sé il destino degli altri.

Lanciò un veloce sguardo ai tre fratelli dietro di lui: i due più piccoli, impauriti, si erano avvinghiati alla vita di Kiku. Lui aveva un'espressione sconvolta dipinta sul viso e fissava il mutante con le mani che tremavano. Probabilmente temeva che quella sarebbe stata anche la sua sorte.

Francis sembrò riprendersi un attimo e venne rimesso seduto da Matthew.

- Come fai? - gli chiese Feliciano stringendo con le mani le sbarre.

La domanda lasciò per qualche attimo senza parole i due biondi. Poi Matthew esitò. - Ehm, Feliciano...

- Insomma... - continuò l'italiano. - Ti trattano come un verme, ogni mese ti prosciugano tutte le energie che hai in corpo, eppure continui a lottare e ad assumerti tutto il peso degli esperimenti sulle spalle. Quindi, mi chiedo, come fai?

Francis non rispose subito. Si prese qualche attimo per squadrare l'italiano. Gli puntava i suoi profondi occhi blu addosso e sembrava che potesse leggere la sua anima, i suoi segreti più profondi, mettendo Feliciano a disagio. Quello sguardo era ambiguo: ispirava simpatia o avversione? Interesse o indifferenza? Gli parevano freddi e distanti, ma allo stesso tempo, sembravano volerlo accogliere caldamente, senza alcuna aria malevola.

Al biondo sfuggì una risata delicata. Inclinò il capo, spostando lentamente una ciocca di capelli dal viso. - Tu hai qualcosa per cui lottare nella vita?

Feliciano lo guardò stupito, senza riuscire a trovare le parole. - Io... Non lo so. Credo di sì.

Il ragazzo gli sorrise dolcemente. Era un tratto che stonava con lo stato in cui era ridotto, ma che lo rese bellissimo agli occhi di Feliciano. - Vedi, io ce l'ho qualcosa, o meglio, qualcuno per cui lottare. Sono un inguaribile romantico e mi piace considerarlo l'amore della mia vita, anche se lui non apprezzerebbe il termine. Mi sta aspettando là fuori, continuo a lottare solo per poterlo rivedere. - Fu impercettibile, ma Feliciano poté scommettere di aver visto le guance di Francis imporporarsi lievemente al pensiero della persona amata. - Allo stesso tempo lotto affinché gli oppressi abbiano la loro rivincita. Voglio un mondo in cui mutanti e umani possano convivere in pace senza paura. Voglio un mondo dove l'odio e le discriminazioni possano soccombere sotto il potere dell'amore e della libertà. Io sono convinto che un giorno l'umanità accetterà chi è diverso. Voglio un mondo dove gli esclusi verranno accolti e non dovranno più nascondersi per la sola colpa di essere loro stessi. I mutanti non verranno più denigrati, perseguitati, uccisi. Non saranno più mostri. So che sembra un'utopia, ma ci credo davvero. E questo mi dà forza.

Nonostante la debolezza fisica, il suo tono era fermo e sicuro, lo sguardo fiero. Feliciano gli credette all'istante. Francis era sincero: mentre parlava, i suoi occhi si erano illuminati di una luce piena di speranza. L'italiano quasi poté visionare il mondo che Francis tanto sognava. E ci riusciva perché lo desiderava anche lui. Solo che le parole di Francis lo rendevano mille volte più reale.

Il biondo rise ancora, accompagnato da qualche colpo di tosse. - Ti ho spaventato, ragazzo?

Feliciano si riscosse e balbettò, preso alla sprovvista. - N-no! Penso sia magnifico, ma non dovresti fare tutto da solo. Io voglio aiutarti!

- È ammirabile da parte tua, ma purtroppo non credo sia così semplice, anche i mutanti più forti escono tremendamente colpiti da quei laboratori. - Voltò uno sguardo pieno di comprensione verso Matthew ed ebbero una conversazione muta. Feliciano capì a cosa si riferiva. Francis continuò. - Io posso farlo. Il mio corpo è tale da poter sopportare una maggior quantità di dolore rispetto a voi altri mutanti. Sfortunatamente, a ogni seduta in laboratorio, non solo perdo più energia, ma regalo a quelle bestie nuovi metodi per poter contrastare i mutanti. Ma è l'unico modo. Non posso rischiare che qualche vita qua dentro venga distrutta solo perché ho troppa paura di andare avanti. Finché avrò energie e finché il mio corpo e la mia mente reggeranno, sarò sempre pronto a offrirmi al posto vostro. E quando saremo liberi, ci occuperemo di distruggere tutte le armi anti-mutanti.

Matthew bofonchiò. - Perché oggi fai tanto lo spavaldo?

- Hey! - Francis si mise una mano sul cuore con fare teatrale, fingendosi offeso. - Ci sono spettatori, devo mostrare il mio lato temerario e autorevole!

Feliciano sorrise nel vederli punzecchiarsi. - E va bene. Accetto le tue scelte, ma sappi che non mi tirerò indietro se ci sarà bisogno di darti una mano! Puoi contare su di me!

Matthew lo guardò con ammirazione.

Pure Francis sembrava meravigliato dalle parole coraggiose dell'italiano. - Perfetto. Ma ora mi conviene riposarmi, altrimenti sono sicuro che non mi riprenderò mai. Allora...

- Feliciano! - avrebbe allungato una mano per stringerla all'altro prigioniero, ma erano troppo distanti l'uno dall'altro. Si accontentò di un sorriso.

- Molto lieto, io sono Francis Bonnefoy. - si presentò l'altro, mentre Matthew lo aiutava a sdraiarsi sul suo letto. - Allora, Feliciano, è stato un piacere conoscere te e i tuoi amici.

L'italiano quasi si era dimenticato dei tre fratelli. Si voltò, ma erano già tutti nei loro letti. I due piccoli sonnecchiavano sotto le coperte, ma era certo che Kiku fosse ancora sveglio. Era salito sul letto a castello e si era voltato di lato con il viso rivolto verso il muro. Tremava. Feliciano temette che il racconto di Francis sul laboratorio l'avesse spaventato più del dovuto. Kiku nascondeva sempre le sue paure dietro una maschera di ghiaccio e indifferenza, ma il linguaggio del corpo lo tradiva. Il terrore di ridursi un giorno in fin di vita come Francis per via del suo grande potere lo sovrastava. Feliciano non aveva idea di come potesse sentirsi.

Capì che non era il caso di parlargli, non sembrava volergli rivolgere la parola, quindi si arrampicò sul proprio letto e si rannicchiò sotto le lenzuola. E sull'onda dei mille pensieri che gli affollavano la mente, si addormentò.

 

 

 

1 febbraio 1985, mura della Fortezza di Westbrook, Maine, USA

 

L'aria della notte era gelida per via della fitta nebbia e inquinata a causa del fumo proveniente dalle ciminiere delle industrie poste tutte intorno alla fortezza, nella periferia della città. L'odore acre penetrava dentro le narici e pizzicava gli occhi.

Antonio sbuffò e una nuvoletta di vapore acqueo si riversò fuori dalla sua bocca, confondendosi nella foschia grigiognola.

Non riusciva a vedere nulla nonostante fosse molto in alto, sulla cortina di ponente delle mura.  A malapena intravedeva la figura della sua compagna di guardia a dieci passi alla sua destra: Natalya Braginsky, una ragazza russa dai lunghi capelli biondi, tendenti al bianco, e dallo sguardo assassino. Era una cecchina eccellente, la migliore di tutto l'esercito americano. Aveva un fratello maggiore, Ivan, uno scienziato della fortezza, anche lui alquanto inquietante. Antonio si teneva sempre a debita distanza da entrambi.

Si chiese come potessero sorvegliare la roccaforte in quelle condizioni. Non bastavano le telecamere di sicurezza? Sarebbero state molto più efficienti degli occhi stanchi dello spagnolo.

Provò ancora una volta ad aguzzare lo sguardo, ma non cambiò molto. Le torce appese a ogni torretta emanavano una luce gialla offuscata dalla nebbia e non riuscivano a illuminare gran che. Persino i boschi che circondavano una parte delle mura e si diffondevano a nord erano completamente celati dal buio e dalla foschia.

Antonio si sporse un poco. Le mura della fortezza si stagliavano sul pendio della roccia. Non era un terreno molto scosceso, quindi risalire la montagna a piedi e arrivare fino all'imbocco delle mura era possibile, ma in tempi favorevoli sarebbe stato un suicidio: le guardie avrebbero fatto fuoco a vista.

Beh, le altre guardie, non Antonio. All'accademia militare aveva passato a pieni risultati l'esame del poligono di tiro (non che ne andasse fiero, in realtà), ma ancora non se la sentiva di poter sparare a qualcosa di vivo, umano o mutante che fosse. Solo l'idea gli dava il voltastomaco. Eppure tutti gli altri soldati non vedevano l'ora di poter premere il grilletto contro un vero mutante. Che fosse lui quello sbagliato?

Scosse la testa e decise di concentrarsi sul suo lavoro, ma il freddo e la stanchezza non gli permettevano di concentrarsi e i suoi pensieri ricominciarono a fluire come un torrente durante un temporale.

L'unica cosa che voleva in quel momento era tornarsene al suo appartamento. Ma per quello doveva aspettare la domenica e mancavano ancora due lunghi giorni. Sbuffò di nuovo, sfinito. Ormai erano settimane che lo sballottavano da una parte all'altra per compiere ogni tipo d'incarico. Di notte sorvegliava la prigione appostato sulle mura, come gli era stato imposto da quando aveva messo piede in quel posto, e di giorno, quando invece avrebbe dovuto riposare nei dormitori della fortezza, spesso e volentieri gli venivano assegnati mutanti da portare nelle prigioni. Ne aveva prelevati talmente tanti che a malapena aveva memorizzato i loro volti. Vagamente ricordava tre fratelli cinesi, ma non gli venivano in mente i nomi. Si confondeva con quelli delle altre decine di mutanti che aveva portato alla fortezza. In ogni caso, era esausto a causa di tutti quei compiti. Lui accettava perché erano i suoi superiori a imporglielo, ma di quel passo sarebbe precipitato giù dalle mura in preda a un attacco di sonnolenza.

- Hey, Carriedo. - La voce della sua compagna lo risvegliò. Antonio tentò di inquadrarla, ma il suo corpo si perdeva nella nebbia. - Non addormentarti proprio adesso, ho bisogno di due occhi in più con questa dannata nebbia. Fatti due passi e vedi di darti una svegliata.

- Certo. - tentò di assumere un tono gentile e sereno, ma il modo in cui Natalya gli si era rivolta lo irritò. Capiva di non essere il militare più esemplare dell'esercito statunitense, ma non credeva di essere così pessimo da meritarsi quel tipo di trattamento. Ignorò la rabbia e capì che in fondo la ragazza non aveva torto, una breve camminata gli avrebbe fatto solo bene.

Mentre passeggiava verso la torretta alla sua sinistra, il vento gli pungeva il viso. Le mani guantate stringevano il fucile, ma ormai non lo sentiva nemmeno più.

Appoggiò la schiena alla balaustra e alzò lo sguardo verso il cielo, ma con le fabbriche a pochi chilometri di distanza non era possibile vedere altro che fumo. Ah, quanto avrebbe voluto tornare a guardare il cielo limpido della Spagna...

crack

Il rumore alle sue spalle di un sassolino che rotolava lo mise in allerta.

Impugnò saldamente il fucile e si voltò. Gli occhi guizzarono a destra e a sinistra, ma non vide nulla nella foschia. Il cuore gli martellava nel petto. Silenzio. Se l'era immaginato? Spesso sulla roccia si arrampicavano degli scoiattoli curiosi, ma era quello il caso?

Un altro suono di sassi che rotolavano giù provenne dalla sua sinistra. Puntò il fucile in quella direzione, nonostante non riuscisse a vedere niente. C'era decisamente qualcosa. O qualcuno. Non se lo stava immaginando.

- Chi sei? Fatti vedere o sarò costretto a sparare.

Per qualche attimo ci fu il silenzio più totale e Antonio ebbe quasi l'impressione di avere le allucinazioni per la stanchezza. Ma poi un'ombra avanzò verso di lui arrancando sulla roccia.

Antonio si avvicinò di più al parapetto, arrivando a toccarlo con il bacino. Puntò il fucile a pochi metri sotto di lui, verso la fronte della figura che ora vedeva un po' più distintamente: non poteva scorgere i tratti del suo viso, ma dalla corporatura e la statura intuì che fosse un maschio sui vent’anni. Indossava una giacca a vento nera con il cappuccio tirato su in modo da coprire la faccia e dei pantaloni scuri che gli fasciavano le gambe magre. Le mani rosse per via del freddo stringevano un coltello da cucina e il ragazzo lo teneva sollevato verso il soldato, ma a dirla tutta non appariva molto minaccioso, tremava.

- Chi sei? Che cosa vuoi? - Antonio assunse il tono più imperioso che poté.

- Io non voglio te! - sibilò la figura. Dalla voce stabilì definitivamente che si trattava di un ragazzo. - Voglio riprendermi mio fratello. Voi bastardi me lo avete portato via!

La sua voce era roca e rotta dal pianto. Tremava talmente tanto che Antonio ebbe paura che potesse sbilanciarsi e cadere giù verso il vuoto.

Una parte di sé gli diceva che avrebbe dovuto sparare subito, quello era sicuramente un mutante, poteva essere pericoloso. Ma in realtà non ne aveva il coraggio. Perché avrebbe dovuto uccidere qualcuno che voleva soltanto salvare il proprio fratello? Non gli sembrava giusto... Ironico, dato che era stato scelto proprio per compiere quel lavoro.

- Vattene e mettiti in salvo. - lo intimò.

L'altro spostò il peso da un piede all'altro, perplesso. - C-che cosa?

- Vattene o ti uccideranno. Anche se riuscissi a sopraffarmi, appena varcate le mura, i tuoi poteri manderanno un messaggio al nostro sistema di sicurezza e tutti nella fortezza capiranno che sei entrato. Non riuscirai a nasconderti da tutti quei soldati e, se ti ribellerai, ti uccideranno.

Il ragazzo sembrò più confuso che mai. - Perché dovrei crederti?

- Se verrai ucciso, non salverai mai tuo fratello.

Con quella frase il mutante sembrò riscuotersi un poco. Si strofinò la manica della giacca sugli occhi e strinse i pugni. - Perché dovresti risparmiarmi? Sei un soldato addestrato a uccidere quelli come me, cazzo! Cosa mi fa credere che una volta che mi volterò non mi sparerai alle spalle? Piuttosto preferisco combattere.

Antonio cercò di persuaderlo con un tono più gentile. - Senti, devi credermi, se te ne andrai pacificamente, non ti farò del male. Ma devi fuggire adesso o sarà-

- Carriedo, che succede?

La voce sempre più vicina di Natalya lo fece voltare. Quando riportò lo sguardo oltre le mura, vide la figura del mutante correre giù dalla montagna.

Purtroppo non fu l'unico a notarlo.

- Mutante sotto la cortina sud-est!! - urlò Natalya nel suo walkie talkie agganciato al colletto della divisa, imbracciando il fucile alla svelta. In un attimo tutti i fari della fortezza si accesero, cercando di individuare il mutante. I soldati sulle mura correvano da una parte all'altra per avere la visuale libera e riuscire a sparare con precisione (con tutta quella nebbia sarebbe stato impossibile perfino per Natalya). Gli altri a valle si sparpagliarono per poter circondare il mutante, ma invano. Era sparito. Era stato più veloce dei soldati e si era salvato.

Antonio si sentiva stranamente felice, ma in un angolino della sua mente cominciò a formarsi il timore che i suoi superiori venissero a sapere che aveva aiutato un mutante a fuggire. E la pena sarebbe stata brutale: la morte.

 

 

 

Finalmente ebbe l'occasione di fermarsi. Aveva corso così velocemente che ormai non aveva più fiato. Nella discesa dalla montagna era caduto più volte, rotolando sulla roccia. Si era sbucciato i palmi delle mani e, a giudicare dal bruciore, probabilmente anche la guancia.

Romano ringhiò dalla frustrazione.

Dopo innumerevoli tentativi falliti, ci era andato così vicino! Se non fosse stato per quel soldato...

Ma si ricredette. Gli pesava ammetterlo, ma quel militare bastardo gli aveva salvato la vita. Se non fosse stato così, probabilmente a quell'ora sarebbe stato un corpo senza vita pieno zeppo di fori di proiettile.

Si sedette su una roccia, togliendosi il cappuccio della giacca e scoprendo così la zazzera di capelli castani, inumiditi per via della nebbia.

Sperò soltanto che il soldato non l’avesse visto in volto. Sarebbe stato un bel guaio. E se lo avessero costretto a confessare? Avrebbe dato un identikit dettagliato e lo avrebbero trovato in pochi giorni. E tanti saluti alla missione eroica per salvare suo fratello Feliciano.

Si augurò che quelle fossero solo sue paranoie.

Il volto del soldato invece lo aveva visto eccome: il taglio per niente militare dei capelli castani, il viso abbronzato dai tratti morbidi e due grandi occhi verdi che non ispiravano cattiveria. Difatti, gli aveva salvato la vita. E quello lo faceva infuriare. Avrebbe dovuto odiare qualsiasi militare, non sentirsi debitore con uno di loro!

Decise che non era il momento di rimuginare su ciò che era successo. Doveva allontanarsi prima che i soldati lo trovassero.

Ma proprio quando si stette per incamminare, un’ombra scura si stagliò su di lui. Quando alzò gli occhi, tutto accadde troppo in fretta per riuscire a capirci qualcosa: un uccello enorme (o almeno, fu quello che gli sembrò) piombò giù dal cielo e lo afferrò per la vita con una forza tale da stordirlo.

E da quel momento, vuoto assoluto.









Spazio dell'Autrice:
Salve a tutti!! Nuova domenica, nuovo capitolo!
La storia si fa più interessante! Abbiamo conosciuto Francis, il mutante più famoso della terra, e Matthew!! La piccola scena che hanno avuto nel cortile della prigione è così pura, voglio abbracciarli! E povero Francis... Tutte a lui capitano. Il fatto che stia resistendo solo per poter incontrare di nuovo Arthur mi fa sciogliere il mio cuoricino da FRUK shipper!! T_T
Abbiamo finalmente incontrato anche Romano!! Personaggio che personalmente ADORO scrivere. Il suo carattere rende tutte le scene molto dinamiche ed esilaranti. A cosa porterà questo suo primo incontro con Antonio? Chissà!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, grazie mille a tutti quelli che stanno seguendo la storia!!
A maggio sarò molto incasinata, ho tantissimi esami da dare e vorrei finirli entro settembre, così poi mi concentro sulla scrittura della tesi, quindi non spaventatevi se salterò qualche domenica! Sarò solo impegnata a piangere ;u;
Detto questo, ci rivediamo al Capitolo 4!! Byeeeeee <3

   
 
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