Sophie non aveva mai creduto nei sogni nel cassetto, nemmeno da bambina: ciò che si vuole, o lo si va a prendere, o lo si guarda venir preso da qualcun altro. Da grande, si sarebbe poi occupata di crearli, quei sogni. Ma c’era una cosa che non aveva detto neppure a Nathan, un sogno che non avrebbe ammesso nemmeno a se stessa nella paura di truffarsi da sola.
Il sogno di calcare il suo palcoscenico, attorniata dai suoi attori. Le era capitato una volta sola, a New York, quando s’era finta la proprietaria del Gershwin Theater. Ed era stato più che elettrizzante, come una truffa di cuore ben riuscita. Aveva finito per lasciarci un pezzo di cuore, tra quelle quinte. Un rischio che non avrebbe mai dovuto permettersi.
E passare davanti a quel teatro chiuso, nel bel mezzo di Portland...
Le erano passate davanti agli occhi, come i mille e più dettagli che imbastiva per i suoi personaggi, visioni impolverate da sipari di cui doveva ancora sceglierne la stoffa, alle orecchie le erano arrivate frasi da repertorio che avrebbero strappato mille e più applausi…e tutto per colpa di un portoncino chiuso, un cartello di vendita e un’insegna teatrale che era stata rimossa, lasciando solo un alone sul muro in mattoni dell’edificio, a memoria dei tempi gloriosi che furono.
E che saranno di nuovo, pensa Sophie, ricontrollando i risparmi sul suo quarto conto in banca, quello di cui neppure Hardison può indovinare la password. E che lei ha messo da parte, un milioncino dopo l’altro, da che ha lasciato il suo cuore in quel teatro di New York – e ha tutta l’intenzione di riscattarlo.