Disclaimer | I personaggi e i luoghi
descritti non sono frutto della mia fantasia, ma appartengono a quel genio
indiscusso che era la “zia” Jane Austen. Le vicende narrate nella seguente
storia sono invece frutto della mia mente malata, e io mordo.
Personaggi | Elizabeth
Bennet, Fitzwilliam Darcy
Disonorevole
Capitolo primo.
Mille violini suonati dal vento.
Pemberley, giugno
Una lieve sconnessione della strada fece destare di
soprassalto Elizabeth, che dopo l’ultimo cambio dei cavalli alla stazione di
posta aveva ceduto alle pretese di Morfeo, concedendosi di chinare la testa e
schiacciare un pisolino. Guardò alla propria destra, trovando Kitty ancora
profondamente addormentata. Forse l’unica qualità che avrebbe mai potuto
invidiare alla sorella minore era quella di riuscire a dormire come un sasso in
qualunque situazione, anche viaggiando in carrozza su una sconnessa strada di
campagna. Stiracchiò le braccia e scostò la tendina, sorridendo alla vista del ben
noto profilo di Pemberley. Il sole splendeva alto sulla tenuta, disegnandone
chiaramente i contorni e il riflesso sulla superficie del lago cristallino.
Sospirò di soddisfazione al pensiero che quel lungo viaggio stesse volgendo al
termine, soprattutto perché ad attenderla avrebbe trovato i volti sorridenti
delle persone che più amava e stimava: la cara e dolce Jane, il signor Bingley,
la signorina Georgiana… e soprattutto il signor Darcy.
Non si vedevano dalla fine del mese di marzo, da quando Jane
e Bingley erano partiti per il loro viaggio di nozze. Darcy era partito insieme
a loro, lasciandosi dietro la promessa di tornare presto a Longbourn, ma a
causa di alcuni affari urgenti non gli era stato possibile tener fede al patto.
Era per farsi perdonare delle proprie manchevolezze che aveva invitato gli
amici più cari a trascorrere del tempo a Pemberley, approfittando di una
primavera incredibilmente mite e per nulla piovosa.
Delle
tre sorelle Bennet, soltanto Lizzie e Kitty avevano preparato i bagagli: nemica
delle occasioni mondane, Mary aveva addotto come scusa la necessità di
conferire urgentemente con il signor Collins, attualmente in visita presso
Lucas Lodge, riguardo alcune scritture davvero impossibili da interpretare.
Lizzie non aveva insistito affinché le seguisse, consapevole di quanto la
sorella si sarebbe sentita a disagio in un ambiente tanto distante dai suoi
interessi. In fin dei conti, si era
detta, avere a casa almeno una delle
figlie curerà senz’altro i poveri nervi di nostra madre.
Un fruscio la convinse a voltarsi di nuovo verso la sorella,
trovandola intenta a stropicciarsi gli occhi dopo una lunga dormita. «Buongiorno,
Kitty. Ti sei svegliata appena in tempo. Siamo praticamente arrivate» aggiunse,
scostando la tendina per mostrarle il panorama.
«Santo cielo!» esclamò la ragazza, travolgendola per
avvicinarsi al finestrino. «Quella lì
sarebbe la famosa Pemberley? La proprietà da diecimila sterline l’anno?» Kitty
tornò quasi subito a sedere, incrociando le braccia con fare contrariato. «Trovo
davvero ingiusto che il signor Darcy si sia innamorato di te. Tu non sapresti
nemmeno come spenderle diecimila sterline.» Lizzie trattenne una risposta
mordace, limitandosi a sorridere: nonostante dal matrimonio di Lydia ci fossero
stati grandi passi in avanti, a volte il carattere di Kitty presentava ancora
delle spigolosità che soltanto il tempo e la pazienza avrebbero saputo
smussare.
Il cocchiere arrestò il passo, fermando il cocchio davanti
all’ingresso principale della casa. Lizzie allungò la mano per aprire lo
sportello, ma qualcuno dall’altro lato fu più rapido. «Signor Darcy!» esclamò
con meraviglia, arrossendo come una fanciullina.
«Signorina Bennett, è un piacere vedervi» replicò lui in
tono formale, tendendole una mano per aiutarla a scendere. «Signorina Catherine,
è un piacere che anche voi ci abbiate raggiunto. Spero abbiate viaggiato bene»
aggiunse mentre aiutava anche la seconda ragazza a posare i piedi a terra.
«Magnificamente, signor Darcy. Questo tempo è ideale per
viaggiare.»
«Vi trovo molto bene, signorina Elizabeth.»
«Posso dire lo stesso di voi, signor Darcy.»
«Sono molto felice che la compagnia sia finalmente al
completo. Aspettavamo solo il vostro arrivo. Permettetemi di accompagnarvi, gli
altri stanno aspettando nel salone. Intanto farò portare i bagagli nelle vostre
camere.» Offrì un braccio ad entrambe le sorelle, scortandole su per la
scalinata e oltre il portone d’ingresso.
Mentre
attraversava la soglia aggrappata al braccio di quel gentiluomo, Lizzie non
poté fare a meno di chiedersi che cosa avrebbe provato il giorno in cui avrebbe
ripetuto quel gesto portando un cognome diverso. Quel pensiero gettò una lieve
ombra sul suo volto: erano trascorsi ormai otto mesi dal giorno in cui Darcy
aveva rinnovato la sua proposta di matrimonio, ma ancora non era stato fatto
alcun passo in avanti nell’organizzazione delle nozze. Dapprima avevano deciso
di lasciare che fossero Jane e Bingley a sposarsi, poi un brutto raffreddore
aveva costretto il signor Bennet a letto per quasi due settimane, poi ancora
Lizzie aveva soggiornato per un mese presso i Collins per aiutare l’amica
Charlotte durante i suoi primi giorni da madre, e infine il colonnello
Fitzwilliam era stato richiamato urgentemente a Londra per un nuovo incarico. Lizzie
iniziava a sospettare che una forza oscura congiurasse contro di loro – chissà,
forse Lady Catherine aveva smosso alcune delle sue conoscenze per far calare sulla
giovane coppia una sorta di incantesimo malvagio.
Kitty lasciò
il braccio di Darcy per affrettarsi verso il salone – un comportamento
sconveniente che Lizzie finse di non notare. «Improvvisamente vi siete fatta
triste, signorina Elizabeth» sussurrò Darcy, sfiorandole la mano. «Vi sentite
poco bene?»
«Vi
ringrazio per la sollecitudine, signor Darcy. Ma sto bene» mentì. «Un pensiero
poco gradito mi ha attraversato la mente, ma non è nulla che non possa essere
cancellato dall’allegria di un nutrito gruppo di amici.» Badò di non incrociare
il suo sguardo, certa che avrebbe smascherato ogni bugia, e sperò di riuscire a
riaversi prima che fosse Jane a notare quel malessere.
«Signorina
Elizabeth!» esclamò Georgiana, la prima a correrle incontro. «Sono così felice
che ci abbiate finalmente raggiunto! Non vedevo l’ora di poter di nuovo
ascoltare una delle vostre canzoni.»
«Deduco
che non abbiate chiesto a mia sorella Jane di cantare qualcosa per voi, senza
alcun dubbio avreste immediatamente mutato l’oggetto del vostro amore. Non guardarmi
così» aggiunse, sentendo su di sé lo sguardo della sorella maggiore, «tutto l’Hertfordshire
sa che sei tu la musicista di famiglia.»
«La mia
lontananza ti nuoce» rispose l’altra donna, avvicinandosi per abbracciarla
teneramente. «Il tuo sarcasmo si è fatto ancora più pungente.»
Darcy,
che ancora le stava a fianco, lasciò andare una breve risata. «Dio solo sa
quanto bisogno ci sia di donne franche quanto la signorina Elizabeth. Credetemi,
signora Bingley, vostra sorella possiede un dono non comune.»
Lizzie
notò che all’angolo opposto della sala, addossate al caminetto, le sorelle del
signor Bingley si erano scambiate un’occhiata eloquente, evidentemente non
ancora avvezze al nuovo cognome di Jane. Decise di ignorarle, come aveva fatto
sin dal primo momento: non erano affatto il tipo di persona sul quale
desiderava far colpo.
«Avete
viaggiato bene, signorina Elizabeth? Noi abbiamo trovato un tempo perfetto al
rientro dalla Scozia» intervenne Charles Bingley.
«Abbiamo
viaggiato molto bene, grazie. Sembra che Kitty non si sia nemmeno stancata
molto» aggiunse con un sorriso, notando come la sorella minore sembrava essere
già entrata in perfetta sintonia con Georgiana.
«Su,
accomodiamoci» la esortò Darcy indicandole un divano poco distante. «Abbiamo
già suonato per il tè, la signora Reynolds sarà qui tra poco.»
Lizzie accettò
l’invito, felice di potersi finalmente appoggiare a qualcosa di comodo. Accanto
a lei sedette Jane, che le prese la mano con il solito fare materno. «Dimmi,
Lizzie, come stanno i nostri genitori?»
«Nostro
padre sta molto bene, mentre nostra madre… beh, lei ha sempre la dolce
compagnia dei suoi nervi, come ben sai. Anche Mary sta bene, in questi giorni
trascorre molto tempo a Lucas Lodge. I Collins sono venuti in visita da
Hunsford.» Jane annuì, mostrando un lieve sorriso al pensiero che in fondo
nulla fosse cambiato davvero a Longbourn. «Ma non parliamo della mia monotona
vita in campagna. Raccontate del vostro viaggio di nozze, sei stata così
evasiva nelle tue lettere!»
Darcy sedette
su una poltrona poco distante, ascoltando con attenzione il resoconto del
viaggio dei Bingley. Nonostante la concentrazione, però, fu attento a non
perdere mai di vista il volto di Elizabeth, seguendone con perizia ogni lieve
mutamento. Si era accorto che qualcosa in lei era cambiato nel momento in cui
aveva varcato la soglia di Pemberley, come se un peso le fosse calato all’improvviso
sul cuore. Decise che avrebbe dedicato ogni grammo della propria forza alla
scoperta del malessere che la opprimeva, nonostante già sapesse che non sarebbe
stato per niente semplice neutralizzare le sue difese.
L’occasione
arrivò a tarda sera, quando dopo una lauta cena e ore di canti, balli e partite
a carte quasi tutti gli ospiti si erano ritirati nelle loro camere. Con la
scusa di non voler interrompere una lettura interessante, Lizzie si era
trattenuta in salotto più a lungo degli altri, fino a rimanere completamente
sola. Fu così che Darcy la trovò, seduta in silenzio davanti al camino, in
grembo un libro che aveva smesso di sfogliare ormai da parecchi minuti. Rimase in
piedi sulla porta a lungo, senza emettere un fiato, raccogliendo il coraggio di
avvicinarsi per domandarle cosa la stesse tormentando. Era così assorta che non
lo sentì farsi avanti, accorgendosi della sua presenza soltanto quando si
abbassò per aggiungere un ciocco al fuoco ormai indebolito. «Signor Darcy,
siete ancora sveglio.»
«Già, e
pensavo di essere l’unico.»
«Mi
sono trattenuta per leggere. Era da un po’ di tempo che non mi imbattevo in una
lettura così appassionante.»
«Vi
capisco, una buona lettura può davvero fare questo effetto.» Esitò qualche
istante prima di accomodarsi sullo stesso divano occupato dalla donna, badando
di posizionarsi all’estremità opposta, così come le convenzioni richiedevano. «Devo
farvi una domanda, signorina Bennet, e vorrei che mi rispondeste sinceramente.»
«Vi
ascolto, signor Darcy» gli rispose, chiudendo il libro con un gesto nervoso e
sperando che l’incertezza nella propria voce non fosse così tangibile.
«Quando
siete scesa dalla carrozza, oggi pomeriggio… oggi pomeriggio sembravate la
donna più felice del mondo. Ma da quando siete entrata in questa casa è come se
fosse calato un velo sul vostro sguardo. Se non sentissi di conoscervi più di
quanto conosca me stesso, oserei dire che sembrate molto triste.»
Lizzie deglutì,
sentendosi colta in fallo. Aveva sperato di ingannare tutti indossando la
propria maschera più allegra, ma aveva dimenticato quanto Darcy fosse un ottimo
osservatore. «Non sono triste, ve lo assicuro» sussurrò, tentando di nascondere
il tremolio delle proprie parole. «Ho solo avuto un cattivo pensiero, tutto
qui.»
«Volete parlarmene?»
«Non credo siate la persona giusta con cui confidarmi, in
tutta sincerità.»
«Credo di avere il diritto di sapere, dato che sono stato io
a condurvi qui. Pemberley ha gettato un’ombra sul vostro cuore, me ne sento
responsabile.»
Lizzie evitò di guardarlo, lisciando distrattamente la
copertina del libro con entrambe le mani. «Se proprio ci tenete a saperlo, ve
lo dirò. Ma non vi farà piacere, ve lo assicuro.» Prese un respiro profondo,
raccogliendo il coraggio per continuare. «Siamo fidanzati da otto mesi e ancora
non abbiamo alcun progetto. Non me ne sono resa conto finché non ho superato l’ingresso
appena al vostro braccio. A quel punto mi sono chiesta se… mi sono chiesta come
sarebbe stato varcare la soglia potendo finalmente fregiare del vostro cognome.
Non dite nulla» aggiunse in fretta. «Lo so che è una sciocchezza. Soltanto una
ragazzina potrebbe soffrire per una simile assurdità.» Appoggiò in fretta il
libro sul tavolino lì accanto e si alzò in piedi, raggiungendo in pochi passi
una delle finestre del soggiorno. Fuori era così buio da non riuscire a
distinguere nulla, ma non le importava: tutto ciò che desiderava era avere una
scusa per dargli le spalle, impedendogli di vedere le lacrime che iniziavano a
spuntarle tra le ciglia scure.
Per un paio di minuti Darcy rimase seduto ad osservare la
sua schiena, concentrato sul profilo delle spalle che sobbalzavano appena,
scosse da brevi singhiozzi silenziosi. Vederla così abbattuta lo feriva, poiché
sapeva che era stato anche lui a non sapersi imporre di fronte ai contrattempi
che di volta in volta li avevano costretti a rimandare i loro progetti. Dio gli
era testimone, non c’era una sola cosa al mondo che desiderasse più che poter
finalmente sposare quella donna, l’unica che avesse mai saputo tenergli testa
in ogni occasione. Finalmente trovò il coraggio di alzarsi e raggiungerla,
fermandosi alle sue spalle. Sollevò una mano per appoggiarla sulla sua spalla,
stringendola con ferma dolcezza. «Finora non mi sono dimostrato all’altezza
della mia reputazione. Mi vergogno di me, Elizabeth. Nessuna delle mie
ricchezze ha più valore di un vostro singolo sorriso, credetemi. Sapere di non
essere ancora riuscito a darvi ciò che meritate mi ferisce più di quanto
ferisca voi.»
Finalmente Lizzie si voltò, trovando il coraggio di
incrociare il suo sguardo. Aveva gli occhi sinceri, e nel loro bagliore trovò
immediatamente l’uomo che aveva saputo conquistarla. «Non sentitevi in colpa
per i capricci di una ragazza, signor Darcy. Scommetto che lady Catherine
approverebbe un fidanzamento lungo.» L’ultima frase, totalmente permeata del
sarcasmo che tanto ammirava, gli strappò una risata. «Saprò aspettare finché
sarà arrivato il momento, signor Darcy. Mio padre mi ha ben spiegato il valore
della pazienza.»
Darcy le accarezzò il viso in una tenera carezza, osservando
la figura snella nella penombra della stanza, e per un attimo sentì venir meno
la cavalleresca integrità che lo aveva sempre contraddistinto. Per quanto
cresciuto con i valori di un cavaliere, non poteva ignorare di essere fatto di
carne e sangue, come qualunque altro uomo. E come qualunque altro uomo, lo
sapeva, se non si fosse allontanato in fretta nulla gli avrebbe impedito di far
scivolare la propria mano sul petto generoso della ragazza che gli stava di
fronte. «Credo che siamo entrambi molto stanchi, signorina Bennet. Dovremmo proprio
ritirarci.»