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Autore: Quebec    03/05/2023    0 recensioni
Emily si ritrova in un mondo che non le appartiene. Un mondo avvolto da una tetra foschia e ghermito da inquietanti grida. Strane ombre si aggirano nella nebbia, ma qualcosa di più oscuro la attende. Qualcosa che si insinuerà nella sua mente e non la lascerà andare.
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Doveva essere una serata come tante, invece si era trasformata in un inferno. Mio fratello era scomparso e io mi ero ritrovata da sola in auto. Un secondo prima ridevo con lui e quello dopo ero qui, avvolta da una fitta e tetra foschia.
Scesi dall'auto e mi guardai intorno, confusa. — Matt! Matt! Dove sei, Matt? — La mia voce echeggiava nella fitta foschia.
Rientrai in macchina e girai la chiave a vuoto. Il motore era andato. Uscii e mi incamminai nella nebbia. Bisbigli sinistri, risate, grida. Cos'erano? Da dove venivano?
Giunsi a un grande parcheggio puntellato di veicoli e cinto da reti metalliche arrugginite. La luce di un lampione illuminava una moto e oltre la moto c'era una sagoma che zoppicava.

Ehi! — urlai.
Andai incontro alla figura e quella si voltò lentamente. Mi bloccai, inorridita.
Era un uomo dal volto sfigurato, il petto squarciato, un braccio mangiucchiato e l'altro mozzato da cui si intravedeva l'osso. Gli indumenti logori e laceri. Un occhio gli pendeva fuori dall'orbita, la bocca cucita.

Mmm! Mmm! — disse.
Arretrai e scappai nella direzione opposta. Corsi per un pezzo, poi mi fermai a riprendere fiato. Cos'era quella cosa?
Alzai la testa. Un fioco bagliore fluttuava nella nebbia. Lo seguii e arrivai davanti a un edificio di legno. Era la luce di una lanterna. Qualcosa la smuoveva, ma non c'era nemmeno un filo di vento.
Mi avvicinai all'entrata e bussai. — Mi serve aiuto. — Guardai nella porta-finestra, ma le tendine tirate mi impedivano di vedere. Bussai di nuovo. — C'è qualcuno?
La porta si aprì lentamente con uno scricchiolìo. Una donna anziana mi guardò con un sorriso bonario.
— Sono rimasta a terra con l'auto — dissi. In realtà non sapevo nemmeno come ci fossi arrivata qui. — Posso fare una telefonata?
L'anziana spalancò la porta senza battere ciglio.
Entrai.
Ogni centimetro delle pareti erano tappezzati di quadri di natura morta e panorami infernali. Il mobilio antico, l'ambiente immerso nella penombra illuminato da fioche lampade al muro.
L'anziana mi indicò il telefono e se ne andò. Restai un poco interdetta. Mi aspettavo che restasse lì a sorvegliarmi.
Guardai il telefono. Era l'oggetto più antico che avessi mai visto. Forse risaliva ai primi prototipi.
Alzai la cornetta e composi il numero di mio fratello. Il cellulare squillò.
— Sono Matt, se non vi devo un calcio in culo, lasciate pure un messaggio. Vi richiamerò appena posso, oppure no.
Lo richiamai cinque volte, poi posai la cornetta e sospirai, frustrata.
Mi girai e trasalii.
L'anziana mi fissava con una tazza fumante tra le mani. — Vuoi una tazza di tè, mia cara?
— Io, non... No, grazie. Ora... ora devo andare.
— È pericoloso andarsene in giro con la nebbia. Resta qui. Bevi il tè.
— La ringrazio, ma... ma devo proprio andare.
— Sai, strane cose accadono quando cala la nebbia.
La guardai turbata e mi ritornò in mente l'uomo sfregiato. — Cosa?
L'anziana posò la tazza di tè sul basso tavolino. — L'hai incontrato, vero?
— Chi?
— L'uomo che vaga nel nulla.
Si riferiva all'uomo sfigurato? O parlava di qualcun altro? — Non so di cosa parli.
L'anziana si sedette. — Vivo qui da sempre. E questo posto può essere al quanto... singolare. Credimi se ti dico che ci sono strane cose nella nebbia. Non ti conviene andare fuori. — Mi fissò negli occhi con fare spiritato. — Credi in Dio?
— Io...
— Eppure eri una brava bambina.
Corrugai la fronte, spaventata.
— Non è colpa tua se Lily è morta — continuò lei.
Come conosceva mia sorella? Come sapeva che era morta? Come sapeva che mi sentivo in colpa per la sua morte?
— Siediti, bevi il tè — disse l'anziana con un sorriso affettuoso.
Indietreggiai un poco e mi precipitai fuori dalla casa. Mi voltai. L'abitazione era sparita, sostituita da un emporio con due grandi vetrate.
Mi guardai intorno, spaesata. Stavo impazzendo? Dov'ero finita?
Un latrato lontano. Un raschiare frenetico contro il vetro.
Mi tappai le orecchie e proseguii lungo gli edifici. Più camminavo, più le strutture successive mutavano in abitazioni coloniche. Mi sembrava di essere nell'ottocento.
La fitta nebbia si diradò un poco e svelò un saloon in fondo alla strada. Un carretto coperto accanto a un semaforo. Aggrottai le sopracciglia, turbata. Tutt'attorno edifici moderni e antichi si amalgamavano. Un palazzo di otto piani accanto a una stalla per cavalli da cui giungevano nitriti. Un pub di fianco a una chiesetta colonica sul cui campanile suonava la campana.
Raggiunsi cautamente il saloon e mi fermai all'entrata. L'interno era illuminato da candele e lanterne ad olio e puntellato di tavoli e sedie. Un uomo sedeva al pianoforte, le dita che pigiavano sui tasti senza produrre nessun suono.
Lo osservai per un momento. Dove diavolo ero finita? Stavo sognando?
Lui si alzò, salì le scale, camminò lungo la balconata interna e sparì dietro una porta.
Mi sembrava tutto surreale, un sogno. Mi pizzicai i polsi, ma non mi svegliai. Se questo era un sogno doveva essere davvero realistico.
— Che ci fai ancora qui?! — urlò un uomo alle mie spalle.
Mi voltai, turbata.
Una mano mi strinse un braccio e lo torse più volte. Gridai per il dolore.
Era un uomo grasso, sulla quarantina, tozzo, barbuto e dalla pancia prominente. Puzzava di alcool e sudore. Mi tirò uno schiaffo in faccia.
Piansi. — Lasciami!
— Sai quanto mi sei costata? — gridò lui. — Due dollari! E ora vedi di spillare qualche soldo ai clienti! — Mi spinse a terra e mi sferrò un calcio a una gamba. — Sbrigati! Vai a lavorare!
Mi alzai e mi precipitai all'uscita.
— Dove cazzo credi di andare? — gridò l'uomo.
La fitta nebbia tornò a ghermirmi. Mi toccai la gamba. Nessun dolore. Cosa diamine era successo? Quell'uomo per chi mi aveva scambiata?
Mi voltai. Il saloon era stato sostituito da una banca moderna.
— Emily — disse una voce familiare alle mie spalle.
Mi girai. — Matt!
Mio fratello mi sorrise e si incamminò nella nebbia.
— Aspetta! — Gli andai dietro, ma lui scomparve nella foschia. — Matt! Dove sei? Matt! Matt!
Latrati lontani. Un raschiare frenetico contro il vetro.
Proseguii nella nebbia. Dozzine di ombre si muovevano tutt'attorno. Sibili, risate e bisbigli mi attanagliavano da ogni dove. Le ombre si avvicinavano, mi fissavano con occhi rosso arancio. Due fessure sinistre che mi scrutavano ossessivamente. Il male in agguato.


 

Le ombre scomparvero e un violino suonò una tetra melodia alle mie spalle. Ogni volta che mi giravo, quella restava dietro di me. Era inquietante. E poi il suono era familiare, troppo familiare. Ma non capivo dove l'avessi sentita.
La nebbia si diradò un poco.
Un grosso albero dai lunghi rami scheletrici si stagliava su una piccola collina in lontananza. Un'altalena dondolava su un robusto ramo. Mi ricordava la scena di un film. Anzi, di molti film. Ma non riuscivo a capire quale fossero. I miei pensieri erano bloccati. Più cercavo di pensare, più tutto si inabissava. Sapevo che niente di tutto ciò era reale. Forse stavo sognando. Sì, doveva essere un sogno. L'unico pensiero chiaro era mio fratello Matt. Dov'era finito?
Giunsi davanti all'albero spoglio.
Il violino smise di suonare e la nebbia si infittì di nuovo. Le risate di una bambina riverberavano da un punto all'altro.
Mi guardai attorno. Non c'era nessuno. Più mi giravo, più la risata si avvicinava. Ero inquietante.
— Mi spingi? — chiese una bambina alle mie spalle.
Mi voltai. — Lily!
— Sì?
Era impossibile. Mia sorella era viva. Non poteva essere vero. Ero intrappolata in un incubo da cui non riuscivo svegliarmi. Non c'erano altre risposte.
— Mi spingi? — chiese lei con voce dolce.
Restai impalata per un attimo. Non sapevo cosa fare. Lei non era reale. Non poteva. Era morta.
— Allora?
Andai alle sue spalle e la spinsi dolcemente sull'altalena. Poteva toccarla. I suoi capelli profumavano di balsamo alla fragola e sentivo il giubbotto rosa tra le dita. Non poteva essere un fantasma.
Sorrisi. Forse era davvero viva, ma una parte di me mi tormentava.
Mia sorella era scomparsa vent'anni fa mentre giocava nel giardino davanti casa. Aveva sette anni. Ricordo che miei litigarono di brutto e si accusarono a vicenda. Poi cominciammo a non parlare più di lei. Era troppo doloroso. Scomparve persino dalle foto di famiglia, come se non fosse mai esistita.
Un anno dopo i miei genitori divorziarono. Io e mio fratello maggiore andammo a vivere con nostra madre. Mio padre spese un sacco di soldi in avvocati per averci in affidamento, ma non servì a niente. Potevamo vederlo solo per un'ora durante le feste. Ogni tanto lo vedevamo anche fuori casa che ci salutava a insaputa di nostra madre. Lei lo odiava, ma per me mio padre era una delle persone più buone di questo mondo.
— A cosa pensi? — chiese Lily.
Aggrotai la fronte, turbata. Come sapeva che stavo pensando? — A niente.
— Mamma e papà mi hanno cancellata.
— No, niente affatto. Era... era troppo doloroso. Cercavamo di non pensarci, ma sei sempre stata nei nostri pensieri.
— Non è vero. Non mi volete più bene. Mi avete dimenticata.
— Devi credermi. Ora che ti ho trovata ti porterò con me.
Lily scese dall'altalena e mi sorrise. — Solo se riesci a prendermi. — Corse verso lo scivolo.
— Aspetta! — Le andai dietro, ma era difficile distinguerla nella nebbia.
Lei rideva e correva da una parte all'altra del parco. — Prendimi!
Mi fermai. — Dove sei?
Lily rise. — Sono qui.
Mi voltai e trasalii.
L'uomo sfigurato era a pochi centimentri dalla mia faccia, la bocca cucita che si muoveva. — Mmm! Mmm!
Lanciai un urlo e mi precipitai nella direzione opposta.
Corsi per una manciata di secondi e mi fermai accanto a una Camaro arancione con una striscia nera nel mezzo. Era l'auto di mio fratello. Che ci faceva qui?
Sbirciai attraverso i finestrini. Non c'era nessuno.
Mi guardai alle spalle. Avevo il terrore che l'uomo sfigurato potesse palesarsi di nuovo dietro di me.
Lily! Dov'era finita Lily?
Mi girai. L'auto era sparita.
Qualcosa luccicava nella foschia. Seguii il bagliore e arrivai a pochi metri da un ristorante. La Camaro di mio fratello era parcheggiata davanti l'ingresso. Come faceva a essere qui? L'avevo lasciata alle mie spalle.
Entrai nell'edificio.
Tendaggi di seta alle pareti, tavoli apparecchiati, tappeti lussuosi dalle forme geometriche contorte. Un grande candelabro illuminava la spaziosa sala. Una ventina di persone pranzavano, discutevano e ridevano ai tavoli. Tutti eleganti, spensierati. Un viociare continuo.
Un cameriere si aggirava tra i tavoli con una bottiglia di vino in mano. Un pianista suonava nocturne op.9 no.2 di Chopin in un angolo.
— Lei è la signorina Emily Doe, giusto? — chiese una donna alle mie spalle.
Mi voltai, confusa. — Sì...
— Venga. Le mostro il suo tavolo.
La seguii. Che diavolo stava succedendo?
Mi condusse al centro della sala.
Sbarrai gli occhi. Matt sedeva al tavolo con un sorriso criptico. Era la prima volta che vedevo quell'espressione sul suo volto. Indossava il completo nero di papà. Lo stesso completo che avevamo usato per seppellirlo.
— Si accomodi — disse la donna.
Mi sedetti e guardai mio fratello. — Stai bene?
— Mai stato meglio, sorellina. Mai stato meglio.
Quella frase mi inquietò. Non mi aveva mai chiamato sorellina. C'era qualcosa di strano nei suoi occhi e nel suo timbro vocale. Qualcosa che mi faceva accapponare la pelle. Era mio fratello e non era mio fratello. Continuava a fissarmi senza sbattere le palpebre, il sorriso tirato, inquietante.
— Perché indossi l'abito di papà? — domandai.
— Me lo ha prestato — rispose Matt con voce apatica.
— Che vuoi dire? Papà è morto.
Lui guardò oltre le mie spalle.
Mi voltai.
Mio padre e mia sorella venivano verso di noi. Scattai in piedi e corsi da loro in lacrime. Abbracciai mio padre e piansi. Piansi così forte che singhiozzai sul suo petto e sporcai di muco la sua giacca. Profumava di dopobarba, di acqua di colonia. Quanto mi era mancato il suo profumo, la sua voce, il suo modo di tenermi stretta tra le sue braccia. Non smettevo più di piangere.
Lui mi accarezzò i capelli. — La mia piccola Emily. Ti voglio bene.
— Anche io, papà.
Piangevo come una bambina, il muco che mi colava dal naso, gli occhi che mi bruciavano. Riabbracciavo papà dopo dieci anni. E non volevo più lasciarlo andare.
Un pensiero si insinuò nella mia mente. Alzai lo sguardo, turbata. — Papà... Tu... tu sei morto? Non... non sei reale.
Lui adagiò la mia testa sul suo petto e mi accarezzò i capelli come faceva sempre quando da bambina cercavo il suo conforto. — Ora sono qui, Em. Questo è l'importante.
— Ma...
— Sssh. Non pensare, Em. Non pensare.
Chiusi gli occhi. Sentivo il battito del suo cuore. Era rassenerante. Mi padre era vivo. E ora era qui.
Sorrisi.


 

Un freddo pungente si propagò sulla mia guancia. Alzai lo sguardo e urlai.
— Mmm! Mmm! — L'uomo sfigurato aveva preso il posto di mio padre e mi fissava con gli occhi spalancati dal terrore.
La sala era diventata la hall di un albergo lussuoso, pareti e pavimenti marmo, piante ornamentali, divani di pelle. Mio padre, mia sorella e mio fratello erano spariti. Un uomo grasso e calvo sedeva su un divanetto e mi guardava con un sigaro tra i denti. Ero indentico all'uomo del saloon. Forse era lui. Una donna bionda e minuta sulla cinquantina mi fissava schifata vicino all'entrata.
L'uomo sfigurato mi afferrò per un braccio, gli occhi sbarrati e terrorizzati più di prima. — Mmm! Mmm!
Mi dimenai, ma quello mi teneva stretta. — Lasciami andare! Lasciami!
Lui mollò la prese.
Caddi a terra e gattonai in tutta fretta verso la parete di marmo.
L'uomo sfigurato zoppicò verso di me. — Mmm! Mmm!
Guardai l'uomo grasso e la donna. — Aiutatemi!
Quelli continuavano a fissarmi.
L'uomo sfigurato si fermò a due passi da me e si indicò le labbra cucite. — Mmm! Mmm!
Perché mi inseguiva?
— Mmm! mmm!
— Che cosa vuoi da me!? — urlai, spaventata
— Mmm! Mmm!
Un campanellino trillò nella hall. Mi voltai verso la reception e sbarrai gli occhi.
— Vuoi una tazza di tè, cara? — Era la donna anziana che avevo incontrato nella casa. Era vestita di nero. Una giacchetta di lana, un maglioncino e una lunga gonna.
L'uomo sfigurato si agitò e zoppicò in tutta fretta verso l'uscita. — Mmm! Mmm!
Scattai in piedi, le mani che mi tremavano. — Chi sei?
La donna anziana uscì dalla reception con una tazza di tè fumante in mano. — La vera domanda è chi sei tu? — Si avvicinò con molta calma e mi allungò la tazza con un sorriso bonario dipinto sulle labbra. — Bevi.
La fissavo, terrorizzata. Non risposi.
Lei sorrideva. — Avanti, bevi. Ti farà bene.
Scossi la testa. Non riuscivo a parlare.
L'anziana serrò gli occhi. — Bevi!
L'uomo grasso si alzò dal divanetto, il sigaro che disegnava pennacchi di fumo nell'aria.
Mi mossi lungo la parete di marmo e corsi verso l'uscita.
La donna bionda mi bloccò la strada. L'anziana e l'uomo grasso si diressero verso di me.
Ero nel panico, in trappola. Volevo piangere per la disperazione, ma ero troppo terrorizzata per farlo.
— Bevi! — disse l'anziana con tono grave.
Scappai verso l'ampia scalinata, corsi lungo la balconata interna e piombai nella prima stanza aperta. Chiusi la porta e ripresi fiato. Mi guardai intorno.
Un letto sfatto. Schizzi di sangue sullo specchio appeso sopra a un tavolo. Altro sangue sul pavimento.
Superai il letto e spalancai gli occhi. — Matt!
Mio fratello giaceva in una pozza di sangue, la testa spaccata.
Un colpo alla porta.
Mi voltai.
— È l'ora del tè! — disse l'anziana dietro la porta.
Mi girai verso mio fratello. Era scomparso. Lo cercai nella stanza.
Un altro colpo alla porta, la maniglia che girava freneticamente.
Aprii la finestra e guardai giù. Non vedevo niente. La nebbia era troppo fitta.
La porta si spalancò.
L'uomo grasso entrò nella camera, seguito alle spalle dall'anziana e la donna bionda.
Saltai giù.


 

Precipitavo e urlavo a squarciagola. La caduta era interminabile. Risate, grida e bisbigli erano tornati a ghermirmi da ogni dove. Qualcosa mi premette attorno ai fianchi. Abbassai lo sguardo.
Era Lily. Mi stringeva attorno alla vita e mi sorrideva. — Non mi hai ancora presa, ma io sì.
Mi ritrovai di colpo davanti alla casa dell'anziana. Lily era scomparsa. La Camaro di mio fratello era abbandonata sul marciapiede. Din! Din! Din! Il cicalino della portiera aperta dal lato guidatore.
Perché ero qui? Perché ogni volta c'era l'auto di mio fratello?
La porta si aprì con un cigolìo.
Un fascio di luce rosso arancio si protese oltre soglia.
— Mmm! Mmm!
Mi voltai.
L'uomo sfregiato zoppicava alla mia destra.
Restai immobile. Avevo capito che anche lui era una vittima di questo incubo.
— Mmm! Mmm! — Indicò l'ingresso della casa, salì a fatica i gradini e si fermò a guardarmi sotto il portico. — Mmm! Mmm!
Non avevo nessuna intenzione di seguirlo.
La portiera della Camaro si chiuse violentemente, le ruote posteriori fischiarono sull'asfalto, un nugolo di fumo si sollevò in aria. L'auto partì a tutto gas e sparì nella nebbia.
— Mmm! Mmm! — L'uomo sfregiato entrò in casa. Il fascio di luce rosso arancio sfarfallò un paio di volte prima di spegnersi.
Un potente urlo gutturale squarciò il silenzio. La terra tremò.
Mi coprii le orecchie, ma l'urlo non si attutiva. Era nella mia testa. Crollai sulle ginocchia e gridai per il dolore, le orecchie che mi sanguinavano.
L'urlo cessò.
I timpani mi fischiavano.
Alzai lo sguardo. Dozzine di ombre oscure si muovevano nella nebbia attorno a me, gli occhi rosso arancio due fessure maligne. Ero circondata.
Qualcosa mi afferrò per i capelli e mi trascinò all'indietro per diversi metri.
Risate sinistre, bisbigli.
Scattai in piedi, corsi verso l'abitazione, chiusi la porta alle mie spalle e sbirciai dalla tendina. Non c'era nessuno. Dov'erano finiti?
Mi voltai e trasalii.
— Vuoi una tazza di tè, cara? — domandò l'anziana con un sorriso sinistro.
L'uomo grasso mi soffiò il fumo in faccia e persi i sensi.


 

Mi svegliai seduta a una lunga tavola apparecchiata. Ero a capotavola. L'uomo sfregiato era alla mia sinistra e mio fratello alla mia destra. L'anziana era a capotavola dalla parte opposta, l'uomo grasso alla sua destra e la donna bionda alla sua sinistra.
Mio padre versava il vino nei bicchieri. Mia sorella mangiava gli scarafaggi che sgambettavano nel piatto.
Abbassai lo sguardo sul mio piatto. Vermi, blatte e cavallette. Repressi un conato di vomito.
— Ti piacciono? — chiese la vecchia.
Lily annuì. — Tantissimo.
L'anziana sorrise e spostò lo sguardo su di me. — Rifiutare ciò che ti viene offerto è da maleducati.
— Non fare la maleducata, sorellina — disse Lily.
Mio padre mi versò quattro dita di vino e si allontanò con fare apatico.
— Papà — dissi.
Lui si fermò in un angolo, lo sguardo fisso nel vuoto. Cosa gli era successo?
Cercai di alzarmi per andare da lui, ma qualcosa mi ancorava alla sedia. Non capivo cosa.
— Non agitarti — disse l'anziana. — È inutile. Non uscirai da qui.
— Lasciami andare! — urlai.
— Hai rifiutato il mio tè diverse volte. Non è educato. L'ho preparato con molta cura.
— La Signora del Buio è molto brava — disse Lily con una blatta che le usciva dal naso. — Devi bere il suo tè. È super buono. Tanto, tanto, tanto! Tantissimo! — Prese la blatta dalla guancia e la tranciò in due con i denti.
Mio fratello posò una mano sulla mia. — Qui starai bene, sorellina. Bevi il vino. Fammi compagnia.
— Sono morta? — chiesi.
Mi fissò senza alcuna espressione e ritirò la mano.
— Rispondimi!
Lui si voltò dall'altra parte.
— Mmm! Mmm! — disse l'uomo sfigurato.
Sbarrai gli occhi. Non mi era accorta che gli avevano cucito gli occhi e mozzato l'altro braccio. Si dimenò sulla sedia e cadde a terra. Anche le gambe erano state mozzate. Muoveva disperatamente il busto e cercava di strisciare lontano dal tavolo.
L'uomo grasso gli schiacciò la faccia sotto le scarpe da lavoro. Sangue e cervella schizzarono sul pavimento. L'uomo sfigurato si mosse in preda agli ultimi spasmi di vita.
Vomitai nel piatto.
L'anziana sorrise. — Vedo che hai gradito lo spettacolo. Sai, era qui da molto tempo. Non ricordo neanche più da quanto. Non è mai stato un bravo ospite. Creava sempre problemi. Rifiutava il mio tè, se ne andava in giro nella nebbia, gridava, piangeva come un bambino. Era impazzito e faceva troppo baccano. E qui il troppo rumore non è ben accetto. Così ho detto a mio figlio di cucirgli la bocca.
— Il signore brutto era antipatico — disse Lily, imbronciata. — Non voleva mai giocare con me. Io gli dicevo di spingermi sull'altalena e lui scappava. Io volevo solo giocare.
— Sì, tesoro — rispose l'anziana. — Era una brutta persona. Ma ora tua sorella è qui e giocherà con te. Per sempre.
— Che bello! Sono super contentissimissimissima!
Avevo la nausea e mi doleva la testa.
Mio fratello bevve un sorso di vino. Mio padre scomparve dietro una porta. La donna bionda e l'uomo grasso mi fissavano senza sbattere le palpebre.
— Si è tagliato il braccio da solo — disse l'anziana. — Credeva che infliggersi un dolore simile lo avrebbe svegliato. — Ridacchiò, compiaciuta. — Non ha funzionato, ovviamente. Niente funziona qui senza la mia volontà. E poi sei arrivata tu. Ha smesso di vagare e ha cominciato a creare problemi. Sai, poco fa è quasi riuscito a scappare. Tu non l'hai seguito nella luce, ma se l'avessi fatto...
La luce? Il fascio di luce rosso arancio? Era una specie di via d'uscita? Per questo l'uomo sfigurato mi aveva seguito per tutto questo tempo? Aveva scoperto come uscire? Voleva aiutarmi?
— Non farti venire strane idee — disse l'anziana, minacciosa. — Non puoi uscire da qui. E se tenti di farlo, ti taglierò braccia e gambe. E non pensare nemmeno di gridare o piangere.
— Non si urla, qui — disse Lily. — Le ombre oscure amano il silenzio. Se qualcuno lo interrompe, poi viene L'Uomo della Nebbia. Io l'ho visto. È cattivissimo! Ogni tanto la Signora Buia non vuole che dondoli sull'altalena, perché cigola troppo. Una volta non l'ho ascoltata e l'Uomo della Nebbia è venuto. Era insieme ai suoi amici. Ha urlato fortissimo nella mia testa. Mi voleva mangiare, ma la signora buia mi ha salvato. Mi ha portato subito qui.
Erano le ombre che avevo visto nella nebbia? Erano comparse quando la Camaro aveva fatto tutto quel chiasso prima di sparire. Quindi erano esseri fuori dal controllo dell'anziana. Cos'altro era fuori dal suo controllo? E cos'altro c'era in questo posto?
— Non mi piace quello sguardo — disse la vecchia. — L'ho già visto una volta. Dovrei cucirti gli occhi? Perché è questo che succederà se continui a pensare.
— Madre, tagliamole la lingua — disse la donna bionda, irritata. — Così possiamo tenere la sua lingua e capire cosa pensa.
L'uomo grasso sorrise. — Sì, è un ottima idea.
— No, non roviniamo la nostra ospite — rispose l'anziana. — Voglio un'altra figlia e lei è perfetta.
La donna bionda mi lanciò uno sguardo truce. L'uomo grasso si accese un sigaro.
Una coccinella si posò accanto al mio bicchiere di vino. La guardai, confusa. Cosa ci faceva una coccinella in un posto del genere?
— Una coccinella! — gridò Lily, impaurita. — Uccidetela! Uccidetela!
Gli occhi dell'anziana diventarono neri. Comparve affianco a me e calò la mano sull'insetto. Il pavimento e il tavolo tremarono per l'impatto.
— È morta? — chiese Lily.
L'anziana sollevò la mano e la coccinella volò in aria.
— È viva! — urlò Lily, terrorizzata. — È viva! Da dove è entrata? Chi l'ha mandata?
Il viso della vecchia si deformò in una maschera demoniaca. Quattro occhi neri, pelle squamata e viola scuro, denti aguzzi e una lunga lingua biforcuta che saettava verso la coccinella. Quella svolazzò in giro finché puntò dritta verso Lily. Lei scattò in piedi e scappò attorno al tavolo. Urlava come una pazza, i vetri delle finestre che tremavano. Alcuni vasi caddero dalle credenze e si frantumarono sul pavimento. Le cavallette saltarono fuori dai piatti, le blatte ronzavano in aria.
Mi tappai le orecchie.
L'uomo grasso e la donna bionda mutarono pelle come la madre e la aiutarono a uccidere l'insetto. Mio fratello se ne stava immobile sulla sedia, lo sguardo assente.
I vetri delle finestre esplosero.
Mi voltai. Tre occhi rosso arancio ci scrutavano oltre le finestre, nella nebbia.
— Lily, smettila di gridare! — disse l'anziana.
Quella non si fermava. Correva nella stanza, urlava, si scompigliava i capelli impigliati di cavallette e blatte.
Temevano una coccinella. Perché?
Un potente urlo gutturale invase la sala. Era l'Uomo della Nebbia.
Madre e figli si voltarono verso le finestre. Lily si rannicchiò in un angolo, le braccia strette attorno le ginocchia, un occhio che sbucava guardingo da dietro i capelli scompigliati e impigliati di insetti.
Le ombre apparvero attraverso i muri. Erano figure nere puntellate di minuscole luci bianche che luccicavano come bagliori di stelle. Forse erano proprio stelle.
La coccinella si posò sulla fronte di mio fratello.
Madre e figli si precipitarono verso di lui, ma qualcosa li scaraventò contro le credenze.
L'urlo si intensificò.
Mi accasciai sul pavimento e gridai dal dolore, le orecchie che mi sanguinavano. Sentivo la testa vibrare, esplodere, gli occhi schizzarmi fuori dalle orbite.
Dozzine di ombre erano immobili nella stanza. L'anziana si alzò e li fissò, minacciosa.
Il potente urlo cessò.
Una figura imponente si materializzò nella sala, la pelle di un nero pece tempestata di galassie e nebulose e nei tre occhi aveva il sole.
La coccinella volò via dalla fronte di mio fratello. Lui mi guardò e si sciolse come cera.
— Matt! — gridai, scioccata.
L'Uomo della Nebbia mi fissò per un momento, poi mi afferrò per il collo e mi sollevò, la bocca spalancata dentro cui c'era una spirale nebulosa.
Ero troppo debole per liberarmi. E forse non ci sarei nemmeno riuscita.
L'insetto si posò sulla mia mano.
L'Uomo della Nebbia mi lasciò cadere a terra con un sibilo, arretrò e lanciò un urlo lancinante.
Un boato assordante.
Madre e figli furono spazzati via, le pareti esplosero, il tetto crollò. Ma qualcosa di invisibile mi protesse dai detriti.
La coccinella sbatteva le ali sopra la mia spalla. Era stata lei?
L'onda d'urto aveva diradato la foschia, ma l'Uomo della Nebbia e le ombre erano ancora là e mi fissavano.
Guardai la coccinella volare sull'altra spalla. Ero spaesata e confusa. Come poteva una cosa così minuscola avere così tanta forza?
Una mano schiacciò l'insetto alle mie spalle. — Ti ho uccisa!
Mi voltai.
Era Lily. Era sopravvissuta. — Cosa hai fatto?
— Le coccinelle non possono stare qui. Sono il male! Sono cattive!
L'Uomo della Nebbia ci afferrò entrambe per il collo.
— Non puoi mangiarmi! — gridò Lily, arrabbiata. — Non puoi! Lasciami! Lasciami! Brutto cattivo, lasciami!
Quello ingoiò prima lei e poi me. Precipitavo verso la spirale nebulosa alla velocità della luce. Stelle, galassie e nebulose delle vaghe macchie colorate sullo sfondo. E poi nemmeno quelle. Solo oscurità.


 

Mi ritrovai seduta in macchina. L'auto si muoveva in una strada fiancheggiata da conifere. Chilometri di alberi sotto un cielo tempestato di stelle. Boschi familiari di cui conoscevo ogni centimetro.
Tornavamo a casa.
Mi voltai.
Mio fratello era alla guida della sua Camaro, una sigaretta tra le labbra. Mi guardò. — Che c'è? Oh, cazzo. Giusto! Il fumo ti da fastidio. — Abbassò il finestrino e gettò la sigaretta. — E prima che cominci a fare la hippie saputella, ti ricordo che là fuori si gela. Non prenderà fuoco niente.
Continuavo a fissarlo, sconvolta. L'avevo visto sciogliersi sotto i miei occhi. Come poteva essere vivo?
— Tutto bene? — domandò Matt, serio.
Corrugai la fronte, turbata. Mi sembrava tutto così strano. Non più strano di quello che avevo vissuto poco fa.
Lui era reale? O il mio incubo aveva solo cambiato scena? Non ci capivo più niente.
— Em, stai bene? — chiese Matt.
— Sì, io...
— Che succede?
— Niente. Sto... sto bene.
— Sicura?
— Sì.
Restammo in silenzio per un momento, l'orizzonte illuminato dai bagliori della città.
— Prima cosa volevi dirmi? — chiese Matt.
— Prima? Quando? — risposi, confusa.
— Sì, hai parlato di una caverna vicino al mare o qualcosa del genere.
Di cosa parlava? Io ero apparsa dal nulla. — Tu non sei reale. Tutto questo non è reale.
Lui scosse la testa con un sorriso. — Ci risiamo. Finisci sempre per parlare di... di spiritismo o cose del genere. Dovresti farci un podcast, credimi. C'è gente che adorerebbe sentirti parlare di queste cazzate, ma non io. — Accese la radio. Il brano folk 
Too Old to Die Young dei Brother Dege
 invase l'abitacolo.
Solo mio fratello poteva rispondermi così. Non poteva essere frutto della mia mente. — Mi sono addormentata, prima?
— Prima quando?
— Poco fa.
— No, non credo. Stavi fissando la luna. Dicevi qualcosa su una caverna, poi ti sei zittita.
— Zittita?
— È quello che ho detto.
Che avessi sognato tutto? Che fosse stato solo un incubo? Uno di quelli reali da cui era quasi impossibile svegliarsi? Non ci credevo, o forse non volevo crederci. Ma ora ogni aspetto di quell'incubo assumeva tinte surreali. Mio padre, mia sorella, la Signora del Buio, l'Uomo della Nebbia, l'Uomo Sfigurato. Non poteva essere successo davvero. Era stato solo un sogno. Uno stupido sogno a cui stavo dando troppo importanza.
Appoggiai la testa sul sedile e rilassai le spalle. L'incubo mi aveva scossa emotivamente. Mi sarebbe rimasto dentro a lungo, forse per tutta la vita. Le sensazioni provate erano state troppo profonde da dimenticarle in nonnulla.
Sospirai e guardai fuori dal finestrino. La luna piena illuminava un campo puntellato di balle di fieno. Luci accese dietro i vetri di una fattoria in lontananza.
Mi voltai a guardare la strada davanti. La città era vicina, la imponente Ford Tower che troneggiava luminosa sugli altri edifici. Mezzo milione di persone prese dalla loro vita. E io ero una di loro. Una persona qualunque in mezzo a tante altre.
Sorrisi.
Non vedevo l'ora di arrivare a casa per bermi una tazza di cioccolata calda e guardare un film. Magari una commedia. Ne avevo proprio bisogno. Avrei rimandato lo studio a domani. Tanto l'esame di medicina era tra due mesi e io sapevo quasi tutto a memoria.
Sospirai e il mio sguardo cadde sullo specchio retrovisore interno. C'era qualcuno seduto sul sedile posteriore. Qualcuno con un ghigno impresso sulle labbra raggrinzite. La canzone terminò di colpo.
— Vuoi un tazza di tè, mia cara?

   
 
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