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Autore: carachiel    05/05/2023    1 recensioni
E anche così, il sollievo è tanto forte da essere quasi doloroso, da fargli mancare il fiato e non sembrargli reale, la prima volta che riescono a sedersi tutti allo stesso tavolo e a non litigare, a non lanciarsi addosso non così metaforici coltelli e a restare in pace. [...]
Una pace sottilissima e scricchiolante come un velo teso, fino quasi al punto di rottura, ma
vera.
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Una semplice retrospettiva dal punto di vista di Three
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Arclight/ Three
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'è sempre una prima volta per tutto.
E alla prima, inevitabilmente, segue sempre, in un periodo indefinito di tempo dopo, un'ultima volta.
È una legge semplice, per Three, e gli è sempre andata bene.
Accettare che le cose vadano, scorrano inesorabilmente, che alla prima volta segua sempre un'ultima e che se si siede sull'argine prima o poi vedrà passare il cadavere del suo nemico, il sangue – che non è opera sua, lo sa – a sporcare l'acqua cristallina, come gli aveva insegnato suo padre, tanti anni prima.
Aspettare, tuttavia, non è e non era mai stato così semplice: non quando tutto quello che aveva della sua famiglia stava lentamente cadendo in pezzi, non quando suo padre era tornato – e il sangue dovevano versarlo loro stavolta, doveva essere sulle loro mani e non nel fiume – e non quando suo fratello, lo stesso che aveva giurato di proteggerli, li aveva abbandonati, a lui e a Thomas, in quel luogo buio. E a lui non piaceva il buio. Non gli piacevano nemmeno gli altri bambini, che ridevano e gli dicevano che loro non avevano una famiglia, per essere lì.
E non era vero, aveva replicato Thomas quando a lui era mancata la voce e le lacrime minacciavano di soffocarlo, loro la avevano, una famiglia, l'avevano avuta e un giorno l'avrebbero riavuta, se la sarebbe ripresa. Anni dopo, aveva giurato che sarebbe stato lui a riportarla indietro. A proteggerli, come Chris non aveva fatto e a tenere fede alle promesse come anche loro padre non aveva fatto.

(A ben pensarci, non è riuscito a fare nessuna di queste tre cose)

Yuma, in questo senso, era stato quasi un sollievo, quando gli aveva spiegato che non poteva prendersi tutte queste responsabilità, che non era davvero colpa sua, che non doveva – e a ripensarci, tempo dopo, si rende conto che Yuma l'ha, più o meno involontariamente, sollevato dal suo complesso del martire, dai rischi di atti eroici fatti con troppa cognizione di causa – e che certe cose, semplicemente, accadono.
E così, due anni dopo la lotta coi Bariani, due anni dopo il WDC, due anni dopo che la loro famiglia era finita in pezzi e si era ricostruita, suo padre era tornato.
E lui non voleva davvero pensare che fosse accaduto. No, era accaduto perché Five, o Chris, a conti fatti non sanno più nemmeno come chiamarsi, lo aveva riportato indietro. Era merito suo se avevano di nuovo l'ultimo pezzo della loro disastrata famiglia. O colpa sua. Forse entrambi.

(Anche ora che lo ha di nuovo, tuttavia, non chiede a suo padre perché, che senso ha sedersi sull'argine e aspettare. Tuttavia lo fa lo stesso. Non succede niente.)

Due anni prima, durante il regno di Tron, la sua supremazia, non c'erano state ferite. No, perché Tron il sangue gliel'aveva cavato via tutto, dalle arterie, goccia a goccia. Molto prima del rituale, gli aveva tolto la loro umanità e la voglia anche solo di pensare di scappare, di ribellarsi. Di andare lontano e di non voltarsi indietro, il timore di vedere quell'unico occhio giallo nel sole che tramonta.
Certo, Four aveva protestato, sonoramente, ma nemmeno lui era mai riuscito a pensare di farlo.
Non davvero, non così.
Alla fine, lui era stato il primo a piegarsi.

Due anni dopo che la sua vita è finita e ricominciata di nuovo, capisce davvero cosa ha significato il suo martirio autoinflitto, la sua abnegazione a difendere e a proteggere anche quello che gli sembrava senza speranza. Cosa intendeva Yuma col suo ottimismo senza fine e che continuare a scaricare tutte le sue ire su Faker – nonostante anche lui abbia subìto le conseguenze dei suoi piani, e questo non lo aveva capito davvero, all'epoca – non porterà nulla di buono.
Alla fine, pensa, è stato Yuma a farsi carico delle sue sofferenze, di quelle dei suoi fratelli, di quelle di Kite, come scoprirà dopo, delle sue stesse speranze per un futuro migliore, speranze che credeva ormai sparite, annichilite dalla realtà.
Digerite, forse, nella pancia di un mostro che non è così dissimile dal buio di cui era terrorizzato anni prima.
Quello che ha fatto Yuma, nella sua innegabile fiducia nel genere umano e, per proprietà intransitiva, anche in Faker – anche se lui non è più sicuro che il suddetto sia realmente umano, ma con Tron di mezzo, è difficile stabilire chi sia ancora tale, anche solo di forma – gli ricorda Atlante, contretto a tenere il peso del mondo sulle spalle e tutti i suoi errori.
Tranne che Yuma l'ha fatto volontariamente, con il sorriso stampato in faccia e di conseguenza è difficile sapere chi più di loro due abbia il complesso del martire, per salvare tutte le cose che non possono essere salvate.

Tron... Tron no. Lui non poteva essere salvato, nemmeno dalla sconfinata fede nell'umanità di Yuma, al punto che dubita persino che Five ci sia riuscito. No, loro padre è come se si fosse salvato da solo, rompendo la gabbia e portandoli a confrontarsi con l'orrenda ipotesi che Tron non fosse davvero loro padre, che non lo fosse mai stato, che tutto quello che avevano fatto era stato invano.
Eppure lo sapeva, quello che ha fatto, aveva ripetuto Four ossessivamente, lo sapeva perché se lo ricordava, forse, e se se lo ricordava...
A parer suo, c'erano cose peggiori. Tuttavia, non poteva dire di non capire: suo fratello aveva pagato il prezzo più alto, per dimostrare la sua devozione a Tron, solo per un dubbio, per scoprire di aver venerato un idolo fasullo. Una marionetta.

Faker era, in qualche modo, forse più scusabile di Tron, secondo lui: almeno era giustificato dalla disperazione, dalla mancanza di un piano B, dal fatto di aver fatto tutto ciò per il figlio, per Hart – e quando l'ha chiesto a suo padre, l'ha guardato con un sorriso spezzato, che sapeva di tristezza, di consapevolezza e gli aveva risposto che sì, fosse stato lui, avrebbe fatto lo stesso, mille volte ancora –, per quel ragazzino che Five aveva rapito, ingannato, portato fino alla magione e— no, Tron al confronto non era minimamente scusabile.
Aveva fatto tutto ciò solo per sé, non per loro che erano solo un comodo agnello sacrificale di cui disporre all'uopo e non certo per lui, lui che era stato così pazzo da chiedergli il potere, quello stesso potere che lo aveva portato a scontrarsi con Yuma, con Yuma che lo voleva soltanto aiutare e in qualche modo fallire, fallire ancora, anche così.
Sperava di riuscire a riportare Tron alla ragione, di salvare – forse per la prima volta – ciò che restava della sua famiglia e aveva fallito, scontrandosi con la sua stessa impotenza.
La sua prima volta si era tramutata nella sua ultima.

(E anche così, ora che per la prima volta le cose sembrano aver trovato un loro posto, che sembrano andare bene, non può fare a meno di domandarsi quando tutto questo finirà, quando tutti i tasselli che ora compongono il loro scampolo di felicità si sparpaglieranno nuovamente nel più grande schema delle cose e improvvisamente sarà l'ultima volta che potranno mai essere felici.)

E anche così, il sollievo è tanto forte da essere quasi doloroso, da fargli mancare il fiato e non sembrargli reale, la prima volta che riescono a sedersi tutti allo stesso tavolo e a non litigare, a non lanciarsi addosso non così metaforici coltelli e a restare in pace.

(E non c'è bisogno di sangue da versare per ciò, perché ne è stato già versato abbastanza.)

Una pace sottilissima e scricchiolante come un velo teso, fino quasi al punto di rottura, ma vera.
Per la prima volta non devono sforzarsi a trovarsi nomi o numeri o titoli di sorta per chiamarsi, perché hanno automaticamente smesso di avere importanza e non è davvero un problema se dalla stanza opposta risponde la persona sbagliata, stanno parlando, stanno comunicando, ed è già abbastanza.

Forse, pensa, forse per una volta non ci deve essere per forza un'ultima volta, l'ultima volta che qualcuno dirà il suo nome – o, se ci sarà, forse non se ne deve preoccupare ora – e Yuma aveva ragione, perché l'aveva capito molto tempo prima, lui – loro – hanno il diritto di essere felici, di usufruire di una seconda opportunità.

(Forse aspettare è davvero servito a qualcosa)




Angolo Autrice:
Questo esperimento dalla dubbia riuscita è da imputarsi (leggasi: da incolparsi) in larga parte a Naoko-chan/Galatea delle sfere, che mi ha suggerito di scrivere sul succitato pandoro rosa. Suggerimento che, in primis mi ha causato seri problemi, considerando che è un personaggio che ho esplorato poco e che mi ha sempre interessato marginalmente.
Ma, del resto, chi sono io per non inserirci dosi massicce di Angst e dubbi?~
   
 
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