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Autore: Shainareth    13/09/2009    4 recensioni
[Gundam SEED] Era sorprendete il paradosso rappresentato dall’esistenza di quella sconosciuta: un attimo sfoderava tutta la propria spavalda e violenta sconsideratezza, che assai poco si addiceva ad una donna, e subito dopo riusciva ad apparire delicata ed indifesa. Dolce, persino.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Athrun Zala, Cagalli Yula Athha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Falò




Prima non lo aveva notato, ma adesso era china su di lui e aveva le spalle al piccolo falò che avevano acceso per riscaldarsi durante le ore notturne, aggravate dall’acquazzone monsonico fuori stagione che si era abbattuto sull’isola quel pomeriggio e che aveva fatto scendere la temperatura. A quella scoppiettante luce, i suoi capelli biondi sembravano quasi fili d’oro. Era sorprendete il paradosso rappresentato dall’esistenza di quella sconosciuta: un attimo sfoderava tutta la propria spavalda e violenta sconsideratezza, che assai poco si addiceva ad una donna, e subito dopo riusciva ad apparire delicata ed indifesa. Dolce, persino.

   Anche ora, se pure una parte di lui gli raccomandava di stare all’erta per sventare un qualsiasi altro attacco suicida di lei, l’altra non poteva fare a meno di continuare a rilassarsi. Era strano. Perché sapeva che non era il caso di farlo, perché non era uno stato d’animo che aveva già provato in precedenza. Fu solo quando i loro occhi si incrociarono che si accorse che la ragazza aveva finito di medicargli la ferita.

   «Fa male?»

   «No.» Sorrise. Egli stesso non ne capì la ragione. Tuttavia si rese presto conto di avere in volto un’espressione sciocca, perché lei aggrottò un sopracciglio. «Grazie.»

   «Non dirlo neanche», mormorò la bionda, spostandosi per sedergli accanto. «È colpa mia.»

   Nessuno dei due parlò per qualche minuto, ma Athrun la vide issare le ginocchia al petto per poggiarvi su le braccia, lo sguardo fisso sul fuoco.

   «Mi spiace averti spaventata.»

   Si volse nella sua direzione con aria sconvolta. «Sono stata io ad attaccarti per prima.»

   «Sei stata sempre tu a trovarti con le spalle a terra e ad urlare.»

   Il giovane la sorprese mentre avvampava per l’ennesima volta nel giro di poche ore, nascondendo il viso. Si convinse allora che, per quanto ella sbraitasse, doveva essere piuttosto timida in certe situazioni. Abbandonò la schiena contro la parete rocciosa dell’antro in cui si erano rifugiati e rabbrividì, ricordandosi di essere ancora mezzo nudo.

   Litigando con la parte meno razionale del suo essere che gli faceva notare quanto fosse sfortunato ad essersi ritrovato a spogliarsi proprio quando lei si rivestiva, allungò una mano verso la maglietta, abbandonata poco distante. Mentre la infilava, notò che la fanciulla era tornata a sbirciare nella sua direzione, tradendo una certa curiosità nei suoi confronti. Athrun si chiese se lei fosse consapevole del fatto di essere stata baciata dalla dea bendata: un altro, al posto suo, forse non sarebbe stato altrettanto corretto nelle stesse imbarazzanti circostanze.

   «Che c’è?»

   «Niente», si sentì rispondere.

   «Non hai paura di me?», volle sapere.

   «È per questo che ti ho sparato.»

   «Prima. Ma ora?»

   «Mi hai salvato la vita e ti sei preso cura di me.» Dirlo la faceva sentire tremendamente vulnerabile, tanto che tornò a guardare davanti a sé.

   «Potrei far leva sui tuoi sensi di colpa e approfittare della situazione, non ci hai pensato?», le suggerì lui in modo serio, sperando che quell’incosciente imparasse a non abbassare la guardia in futuro.

   Benché presa alla sprovvista da quella constatazione, la bionda parve non perdersi d’animo. «Se tu ci provassi, aspetterei che ti calassi i pantaloni per…» Quel che Athrun udì dopo lo costrinse a crollare su un fianco e a tenersi la pancia con le braccia. Di nuovo rossa sulle gote, lei ebbe tutta l’aria di offendersi. «Perché ridi?»

   Il soldato non riuscì a trovare la forza per spiccicare parola se non dopo che l’altra borbottò un’imprecazione fra i denti. «Una ragazza non dovrebbe nemmeno pensarle, certe cose», le fece presente, restando semidisteso in terra.

   «Ti ho solo spiegato che saprei cavarmela comunque», si giustificò lei.

   Vederle mettere il muso intenerì ulteriormente il cuore del suo compagno di naufragio, il quale di colpo si rese dolorosamente conto di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva riso: non lo aveva più fatto dalla morte di sua madre.

   Si rimise a sedere con una certa indolenza, considerando che, a conti fatti, non era poi stato così disgraziato nell’incappare in quella matta dal temperamento indomito. Si soffermò a scrutarne il profilo e si accorse che il fuoco faceva brillare i suoi occhi in modo anomalo, quasi che lei avesse avuto delle pagliuzze dorate ad ornarle le iridi ambrate. Li trovava davvero belli, emanavano molto più calore del piccolo falò innanzi a loro, come se dentro di lei ardesse un’energia forte abbastanza da tenerlo in vita.

   Sentendosi osservata, la fanciulla spostò su di lui la propria attenzione e Athrun preferì non infastidirla oltre. Si rialzò sulle gambe, tornando ad infilare anche la parte superiore della sua tuta da pilota, e si allontanò di qualche passo, fingendo poi di controllare qualcosa nella borsa con gli approvvigionamenti ed il kit di pronto soccorso per potersi sistemare dall’altra parte della grotta e liberarla dal disagio di ritrovarsi a sonnecchiare spalla a spalla con uno sconosciuto.

   «Si è fatto tardi, conviene dormire», disse poco dopo. «Se hai freddo, qui c’è la coperta.»

   «Grazie», fu l’ultima cosa che le sentì dire prima che entrambi, occhieggiandosi timidamente a vicenda nel silenzio della notte, si appisolassero in attesa dei soccorsi.













Finalmente, in onore della settantesima shot pubblicata qui (perché in realtà credo di averne una o due inedite da qualche parte), sono riuscita nella titanica impresa di scrivere qualcosa di serio. *_* E volendo non mi sembra neanche troppo banale per i miei standard. ... Forse.
Un bacio ed un grazie a tutti i lettori, a chi commenta e a chi aggiunge le mie storie fra quelle preferite.
Shainareth
P.S. Dimenticavo: pare che il nome di Cagalli derivi da kagaribi, che vuol dire appunto falò.




  
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