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Autore: Usagi    14/05/2023    1 recensioni
Seguito de "Il Richiamo della Terra". Per Hitomi è l'inizio di una nuova vita insieme all'uomo che ama, tuttavia tra responsabilità e una Gaea da ricostruire, il suo destino si intreccerà ancora una volta con quello dell'antico popolo di Atlantide. « E' giunto il momento di sperimentare le potenzialità della Macchina di Atlantide. » Storia revisionata al 05/2017 e attualmente in prosecuzione.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merle, Millerna Aston, Nuovo personaggio, Van Fanel
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Cieli di Gaea '
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The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


 
10
 
Possibilità

« Ti sbagli, giovane fanciulla
 
Anche su Gaea è scorso molto sangue. 
 Il sangue versato nelle battaglie che si combattevano qui come sulla Terra già molto prima del mio arrivo. 
»

 

Hitomi aveva preferito andarsene, perché a quel punto, aveva finito le parole da poter usare con Rakos.

Ancora con le vivide immagini della visione in testa, riuscì ad avanzare con passo sicuro fino all’uscita. Si sentiva sollevata perché l’uomo non aveva provato in alcun modo a fermarla e grata al suo corpo che riuscisse a resistere tanto. Quella visione l’aveva… nauseata. Era stata molto più intensa di quelle avute solitamente e, per la prima volta, inconsapevolmente, aveva lasciato che qualcun altro che non fosse Van condividesse l’esperienza dell’illusione. 

Era stato a causa della strana macchina che si era attivata oppure erano stati i suoi poteri? Lei credeva più alla prima ipotesi. 

Frustrata, si appoggiò ad un corridoio per riprendere fiato. Le girava la testa e aveva ancora nel naso l’odore di fumo e di morte che aveva respirato nel ricordo.

Come poteva quell’uomo essere rimasto completamente indifferente alla vista della caduta della città di Atlantis? L’antica capitale che era stata ricostituita quando la forza di Gaea aveva mondato tutto il sangue che era stato versato nella Guerra contro Zaibach. Rimaneva ancora inaccessibile, fortunatamente, se non per coloro che riuscivano ad utilizzare il potere dei desideri. 

Hitomi cercò di riflettere. Era stata portata a Zaibach per un motivo. 

In quella sala c’erano ancora molte delle attrezzature utilizzate dagli alchimisti e dall’Imperatore Dornkirk. Rakos aveva utilizzato su di sé la Macchina di modifica del Destino per acquisire le ali di Folken ed ottenere così, seppur in maniera artificiale, la discendenza e il sangue degli Uomini-draghi-divini. 

Lei era stata condotta a Zaibach ma per quale ragione? 

Quella macchina… in qualche modo, quella macchina aveva amplificato i suoi poteri. Lo aveva percepito con facilità. Le era bastato solo un pensiero a guidarla. “Fa che lui possa vedere quella sofferenza”. Ed era riuscita a condividere quella visione. 

Distaccandosi dal muro, continuò ad avanzare, lasciando che i suoi pensieri la guidassero verso il suo ragionamento ed i suoi piedi in direzione della sua stanza. 

La sera prima era successo qualcosa a cui non era riuscita a darsi una spiegazione. Era arrivata in quella sala quasi come se stesse sognando, guidata da una musica che… era stata la stessa che aveva udito poco prima! Un canto lontano con parole che non aveva riconosciuto. 

Una fitta acuta alla testa la fece arrestare all’improvviso e riuscì a soffocare un’esclamazione di dolore perché rimase letteralmente senza fiato.

Ancora l’effetto della visione? Si chiese, dopo qualche secondo, cercando di capire se il dolore perdurasse. A cosa stava pensando? Ah, sì. Alla sera prima, a quando aveva iniziato a sentire quella strana musica, eppure come faceva?

Questa volta il dolore alla tempia fu così forte che fu costretta a portarsi entrambe le mani alle tempie, le dita a premere con forza sulla pelle. 

«  Mia Signora, Hitomi! » 

Riconobbe la voce di Elyse prima ancora di riuscire a vederla. Aveva svoltato un angolo, oramai doveva essere prossima a raggiungere la sua stanza, quando si era trovata davanti la giovane cameriera. 

Quest’ultima si accorse immediatamente che c’era qualcosa che non andava perché l’osservò con aria preoccupata. « Cosa avete? Avete male da qualche parte? »

Hitomi scosse il capo, la testa aveva finito di pulsare dolorosamente. Elyse le si affiancò sfiorandole un braccio con una mano. Osservandola meglio la ragazza si allungò con la mano e Hitomi lasciò che le sfiorasse il viso. La reazione di lei fu immediata.

« Ma voi state scottando! Dovete avere la febbre! »

Hitomi sbatté gli occhi e, improvvisamente, realizzò una cosa molto importante.

Il suo potere era in subbuglio o, cosa che non aveva previsto, si stava evolvendo. Era sempre stato così da quando la sua essenza aveva iniziato a rispondere al potere di Gaea. Evidentemente, il suo corpo non era in grado di gestire quella forza magica e, per questo, allo scopo di adattarsi, tentava di affrontarla allo stesso modo di come avrebbe fatto con un germe o un batterio. Combatteva fino a quando l’energia non si stabilizzava dentro di sé e, allora, riusciva a gestirne un po’ di più, ad acquisire qualcosa che prima non era stata in grado di compiere. 

« Sto bene. Passerà. » tentò di dire, ma si stava impegnando davvero tanto per rimanere in piedi. « Devo solo dormire un po’… » sarebbe stato più veloce adattarsi al nuovo cambiamento. Non poteva permettersi di essere inutile.

« Lasciate che vi accompagni in camera vostra. Coraggio. » Notò quanto la fanciulla fosse preoccupata ma lei poteva resistere.

Poteva farcela…

Quando arrivò a sedersi sul letto, rilasciò un sospiro esausto. 

« Riposate, adesso. Vi metto qualcosa di freddo sulla fronte, non vi muovete. » Aveva detto Elyse, andando in direzione della porta. 

Hitomi annuì lievemente e lasciò che andasse, grata di essere lasciata ancora un momento sola, a riflettere.

Si sdraiò sul letto, portandosi l’avambraccio destro appoggiato sulla fronte. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, ignorando il pulsare doloroso della testa a causa della febbre. Cercò di focalizzare l’attenzione dentro di sé, cercando di capire e capirsi, di dare una spiegazione a quello che le stava succedendo, ma se sperava di ricevere delle risposte interiori, queste non arrivarono. 

Apprezzando il silenzio che le si era creato intorno, conciliata dal sonno che sarebbe giunto presto, non badò quando sentì la porta aprirsi, certa che si trattasse di Elyse, che aveva fatto prima di quanto credesse. 

Con la coscienza ridotta ad lontanissimo sussurro nella sua testa, Hitomi scivolò nell’incoscienza del sonno qualche istante dopo.

 

Rakos aveva bussato e quando non aveva ricevuto risposta dall’interno era entrato quasi senza pensare alle conseguenze, rendendosi conto solo l’istante successivo che stava entrando nella camera di una donna senza che fosse stato invitato a farlo.

Certo, si era comportato in modo assolutamente indegno e, dunque, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di quello? Aspettandosi di ricevere un rimprovero dalla ragazza, si era invece immobilizzato sulla porta quando si era reso conto che Hitomi giaceva addormentata. Aveva notato la posizione insolita, un braccio quasi a proteggerle gli occhi e la vista, ma in quella camera non c’era tanta luce che potesse darle fastidio. Osservò ancora qualche istante e, dal movimento regolare del petto che si sollevava ed abbassava lentamente, intuì che stesse dormendo profondamente, anche se lei aveva lasciato la sua sala non più di mezz’ora prima. 

A quel punto, Rakos avrebbe dovuto dare retta a quel poco di educazione che gli era rimasta e sarebbe dovuto uscire: doveva ottenere in tutti i modi la fiducia di quella ragazza e, certamente, farsi trovare nell’unico luogo che avrebbe dovuto farla sentire al sicuro non era stata di certo una buona idea. Tuttavia…

Lo incuriosiva, quella ragazza era piena di fascino e mistero ed era bastato poco per accorgersi che quell’attrazione non era limitata unicamente ai poteri che possedeva. Rimase ad osservarla tenendosi ancora a qualche metro di distanza, incerto se avvicinarsi ancora o rimanere lì, quasi sull’ingresso, per concederle quel poco di spazio d’intimità che le aspettava di diritto.

Dormiva profondamente, segno che la visione che aveva avuto l’aveva indebolita. Se lo aspettava. Anche prima di conoscerla, aveva avuto modo di leggere alcuni rapporti stilati da alcuni alchimisti, sotto diretto comando dell’Imperatore Dornkirk. Informazioni tratte dalle spie che erano state ad Asturia avevano accuratamente riportato gli effetti causati dalle visioni su quella giovane ragazza. Per lo più perdita di coscienza, debolezza e… quella volta nel Principato di Freid, persino a sfiorare la morte. 

Rakos scosse il capo, avrebbe certamente dovuto darle più tempo, ma anche lui aveva oramai iniziato a sentire gli effetti che l’alterazione del Destino aveva comportato sul suo fisico. Anche se non era riuscito a calcolare quanto tempo gli restasse, riusciva a sentire la consapevolezza che quest’ultimo si assottigliava sempre di più. Guardando la ragazza dormire pensò che anche lui si meritava un po’ di felicità, ma ne valeva la pena sottrarla a chi aveva lottato in prima persona per raggiungerla?

Si voltò, pensando di andarsene, combattuto dalla certezza che non era giusto che stesse ancora in quella stanza. Proprio mentre compiva un passo sentì un fruscio alle sue spalle. Voltandosi, notò che la ragazza aveva spostato il braccio dalla fronte, facendolo scivolare all’altezza dello stomaco, trovando una nuova posizione, sicuramente più confortevole. Anche se aveva appena pensato di andarsene, trovò un buon motivo per indugiare ancora qualche istante: si fermò a guardarla in volto. I capelli corti ricadevano lievemente scomposti sul cuscino e le palpebre erano chiuse, rivelando un sonno tranquillo. Hitomi possedeva lunghe ciglia che si muovevano a malapena e la bocca era dischiusa leggermente. Rakos mosse un passo e poi un altro, fino ad esserle di fronte. Il suo sonno doveva essere molto profondo e lui si era mosso volontariamente con molta cautela, senza produrre il minimo rumore. 

Era venuto lì per approfondire alcuni elementi che avevano condiviso nella stessa visione ma mentre la guardava, in quel preciso momento, sentì che era solo una scusa. Trovare un buon motivo per parlare non era che un pretesto per giustificare la ricerca della sua compagnia. Lo realizzò in quel momento, e la forza di quella consapevolezza lo spinse a chiedersi quando avesse iniziato a provare quella strana curiosità per quella fanciulla.

I suoi pensieri si interruppero improvvisamente quando, continuando ad osservarla, si accorse che c’era qualcosa che non andava. Il suo respiro era visibilmente accelerato. Si sporse lievemente, allungando una mano. 

« Mio Signore! Cosa ci fate qui? » 

Ritirò immediatamente la mano, sentendosi come se stesse fosse stato colto in fallo nel fare qualcosa di sbagliato. Elyse era appena entrata, con un catino e una brocca riempita di acqua. 

Hitomi continuò a dormire, senza accorgersi di nulla.

Rakos fece due passi indietro, osservando i suoi movimenti. La ragazza si sentì in dovere di rispondere. « Eravate preoccupato anche voi? Sembra che abbia la febbre. Forse a causa della stanchezza del lungo viaggio. »

Si fece avanti e Rakos si spostò di lato. « Sì, sarà certamente per questo. »

Elyse sorrise, volgendogli un’occhiata serena. « Si rimetterà presto, vedrete. » Iniziò a versare l’acqua nel catino e immerse una pezzuola all’interno.

Rakos tornò a guardare la ragazza dormiente annuendo leggermente, senza sapere cosa rispondere.

« Elyse. » Disse, quasi sussurrando. « Lasciate che mi prenda cura personalmente della nostra ospite. È il minimo che possa fare. » avrebbe voluto parlarle ancora, non di Atlantide o dei suoi piani per il futuro.

La ragazza strizzò il panno fino a quando l’acqua in eccesso non si ridusse a poche gocce e, un po’ incerta, glielo passò. « Come desiderate, mio signore. » e dicendo questo, si sporse lievemente, porgendogli il panno.

Elyse, sulla porta, si volse un’ultima volta indietro, guardando ancora la ragazza addormentata, con un pensiero che non ebbe voce e poi, lasciò la stanza.

Rakos si sedette sulla sedia che Elyse aveva predisposto affinché potesse occuparsi di Hitomi. Fu incerto che potesse svegliarsi da un momento all’altro quando con un movimento lento appoggiò la pezzuola sulla fronte. La ragazza ebbe un lieve sussulto e sembrò quasi che stesse per svegliarsi. Trattenne il fiato, sentendo il battito del cuore accelerare. Non successe nulla: dopo qualche istante riprese a dormire, sembrando persino più rilassata. Lui continuò sforzandosi di non imprimere forza o di essere indelicato. Con movimenti leggeri percorse l’intero ovale del viso e quando notò che il volto della fanciulla aveva perso un po’ di rossore febbricitante si ritenne soddisfatto. Restò in silenzio lunghi minuti a guardarla, in silenzio. Il cuore non aveva smesso di battere più forte del solito.

 

Non era stato facile capire come rendere inoffensiva quell’arma e nelle ore successive, avevano preferito trovare un luogo sicuro prima di tentare di manometterla, piuttosto che evacuare immediatamente tutta la popolazione di Fanelia.

L’avevano trovata nel fitto della foresta, sorvegliata da un uomo solo che si era allontano dalla nave di Basram, trasportando segretamente l’ordigno nel fitto della vegetazione di Fanelia. Probabilmente Rakos non aveva scelto con molta cura quegli uomini, si era tradito accendendo un fuoco e, dunque, attirando la sua attenzione dopo interi giorni trascorsi a nascondersi. Con molta probabilità, se non avesse commesso quella leggerezza, sarebbe potuto rimanere nascosto ai loro occhi con facilità. 

Fortunatamente, una volta fatto prigioniero, l’esito dell’interrogatorio aveva finalmente portato alla luce delle informazioni interessanti: l’uomo aveva rivelato dove fossero nascoste le altre armi definitive che il Regno di Basram aveva segretamente trasportato e, perfettamente in linea con quello che Van aveva visto nella sua visione, aveva conferma che c’erano altre due unità che erano state piazzate al fine di tenere sotto scacco i regni vicini: Palace, la capitale di Asturia e Godashim del Principato di Freid.

La reazione degli esponenti dei regni presenti a Fanelia fu immediata.

« Preferirei che tu rimanessi qui, saresti certamente più al sicuro che a Palace. » aveva detto Dryden a Millerna, mentre questa iniziava a fare i bagagli per ritornare in patria immediatamente. La Principessa di Asturia aveva scosso il capo e con uno sguardo determinato aveva osservato il marito.

« Sarei più utile lì, qualsiasi cosa possa succedere al mio popolo. Non sappiamo neanche se riusciremo a fare in tempo. »

« Insistere non avrebbe alcun effetto, non è vero? » 

Millerna annuì gravemente. « Vista la forza con cui si è imposto mio nipote Chid, un bambino, come potrei dirmi degna del suo rispetto e di quello del mio popolo se facessi diversamente? »

Dryden aveva annuito, stupito anche lui della forza e della perseveranza che aveva dimostrato il nipote nel sovrastare tutti i dignitari in primis il Sommo Voris nel rispetto di quella che era la sua volontà. 

« Non resterò qui a nascondermi come un codardo! » aveva detto, rammentando ancora il sacrificio che il padre aveva compiuto durante lo scontro contro l’Impero di Zaibach. In quella occasione era stato costretto a fuggire, salvato dai suoi alleati, evitando una battaglia che tutti avevano detto essere impossibile ma che suo padre si era ostinato comunque a combattere. Questa volta sarebbe stato diverso, aveva detto, con un moto di orgoglio, riuscendo a spuntarla. Lui era andato via prima che fosse calato il sole. Asturia si trovava geograficamente più vicina e si poteva raggiungere in poche ore di volo. Probabilmente avrebbero lasciato Fanelia il mattino seguente in quanto, quella sera, era in programma una riunione del Consiglio che avrebbe deciso su come procedere.

« Io spero solo che Van abbia un piano per mettersi in contatto con Hitomi. Dopotutto, se in qualche modo è riuscito ad avere una visione del futuro, forse c’è anche la possibilità che possa scoprire dov’è tenuta prigioniera. » aveva concluso Millerna, dando una seconda occhiata al proprio bagaglio, con il dubbio di aver dimenticato qualcosa.

Dryden aveva incrociato le braccia: « Se c’è qualcuno che può farlo, quello è lui, non c’è alcun dubbio. » 

 

Van aveva i nervi a fiori di pelle.

Dopo che i suoi sospetti e la sua visione avevano trovato conferma nei fatti, si sentiva ancora più agitato e scosso, travolto dall’urgenza: Hitomi era in pericolo! E lui si trovava ancora lì, a Fanelia, impossibilitato ad andare da lei.

Le delegazioni di Asturia e Palace avevano intenzione di continuare a supportarlo per la battaglia, tuttavia, l’emergenza di liberare le proprie capitali dalla minaccia dell’arma definitiva aveva reso necessario svolgere alcune manovre di dislocamento militare non previste. Questo significava che in primo luogo bisognava rendere sicure le città e, dunque, la liberazione di Hitomi era stata messa in secondo piano. Comprensibilmente, aveva pensato lui, ma maledicendosi perché a quest’ora, se si fosse mosso con l’Escaflowne, avrebbe potuto raggiungere il Regno di Basram in metà del tempo. 

Tuttavia, si era detto, non avrebbe atteso l’alba prima di partire. 

Presto sarebbe stata servita la cena e, concluso il pasto, avrebbero deciso cosa fare, se concentrare il grosso delle truppe a Basram o tentare un approccio a tenaglia, su più fronti. 

Lui si era rinchiuso nella sua stanza, convinto che avrebbe dovuto usare quel tempo per rintracciare Hitomi, ovunque lei si trovasse.

Era riuscito ad elicitare una visione, che gli aveva permesso di ottenere un vantaggio tattico che certamente Rakos non si aspettava. In questo modo, avrebbe reso vuote le sue minacce, inconsistenti i suoi tentavi di tenere sotto scacco gli abitanti e, dunque, smascherare quella strategia permetteva loro di pensare ad un attacco mirato.

Tuttavia, Van era martellato da un dubbio. Dove si trovava Hitomi?

Era opinione diffusa che Rakos l’avesse condotta a Basram ma, per quelli che potevano essere i suoi piani, quell’uomo avrebbe potuto certamente portarla verso la regione di Asgard, direttamente dove sorgeva il portale di Atlantide. 

Eppure, Van sapeva che nel caso si fosse sbagliato, non avrebbe più avuto il tempo per tornare indietro. Avrebbe perso settimane nell’andare in direzione di Asgard e poi, in caso avverso, ritornare indietro. A quella consapevolezza c’era arrivato da solo, ma Allen era stato d’accordo con lui. Affrontare un viaggio di quel tipo oltre a richiedere una preparazione importante, doveva presupporre l’assoluta certezza di ritrovare Hitomi, una volta giunti a destinazione. E lui non aveva alcun indizio, alcuna certezza su dove fosse davvero.

Portava ancora con sé il suo ciondolo. Lo aveva tenuto in mano tante volte, nella speranza che lui potesse guidarlo da lei, ma non era arrivata alcuna visione e lui brancolava nel buio e nell’incertezza.

Osservando il sole calare, trascorso l’ennesimo giorno senza di lei, Van sentì il suo stomaco fare una capriola, colma di malessere. Quando calava la sera era il momento peggiore, perché era proprio in quel frangente della giornata in cui si rendeva conto di non essere arrivato a nessuna conclusione, di essere esattamente nel punto di partenza, quando aveva lasciato che lui la portasse via.

Strinse la sua spada tenendo i pugni saldamente chiusi.

Proprio in quel momento sentì la porta scorrevole aprirsi delicatamente.

Merle fece capolino da uno spiraglio.

« Signorino Van… vi stavo cercando. »

Lui rimase fermo d’innanzi la finestra che rimandava una tiepida luce arancione. Non si voltò neanche. « Cosa succede, Merle? » 

La ragazza gatto abbassò le orecchie, lui aveva un tono di voce così triste. Lei lo conosceva perfettamente e sapeva quanto in quelle giornate lui fosse stato turbato.

Fece un passo avanti, timidamente, sentendosi di troppo in quel dolore. Era stata incapace di aiutarlo a trovare una soluzione, era stata incapace di assolvere all’unico compito che lui le aveva affidato. Van aveva detto soltanto di restare vicino ad Hitomi, che si fidava più di lei che di chiunque altro per quel compito. Ma lei non era stata assolutamente all’altezza delle aspettative. Si era scusata più volte, inutilmente, giacché lui le aveva detto da subito che sapeva che aveva fatto del suo meglio e che non doveva affliggersi per una colpa che non aveva. Quella sua compassione le aveva fatto del male perché, forse, avrebbe preferito che lui si arrabbiasse con lei, piuttosto che mostrarle tutta quella tristezza che non poteva guarire, che non poteva alleviare in alcun modo.

Quella sera, però, aveva pensato a qualcosa.

« Rammentate quella volta in cui vostro Fratello Folken vi aveva portato sulla fortezza volante? Poco dopo che avevamo conosciuto il Signor Allen. » 

Van si volse, guardandola in maniera perplessa e incuriosita al contempo. « Sì, perché? »

Merle riacquistò un po’ di fiducia in se stessa vedendo finalmente accendere in lui l’interesse. « Ecco… quella volta fu Hitomi a trovare il luogo esatto dove vi avevano portato. »

Vide negli occhi del Re di Fanelia un’ombra di dubbio. « Sì…e con questo? »

Adesso arrivava la parte complessa. « Beh… ecco, io sono convinta che potreste riuscirci anche voi! »

Adesso l’espressione di Van era semplicemente basita. « Questo è impossibile, Merle. Non ho neanche un briciolo dei poteri di Hitomi. »

Ma lei non la pensava allo stesso modo, strinse i pugni e scosse il capo con forza.

« Non è vero! Già in passato avete dato prova in combattimento degli insegnamenti di Hitomi. » Van capì, ricordando quando era riuscito ad entrare così in sintonia con l’Escaflowne al punto da riuscire a prevedere le mosse dei suoi nemici e sconfiggerli facilmente. 

« Ti sbagli, Merle. Quella volta… io ero accecato dall’odio e dalla sete di sangue. »

Ma la gatta scosse ancora il capo con veemenza. « Vi sbagliate! Anche la visione che avete avuto ne è la prova! Il vostro legame con Hitomi vi ha permesso di raggiungerla anche quando si trovava sulla Luna dell’Illusione, non ricordate? »

Van sussultò, colpito nel segno: aveva ragione. Quella volta era stato guidato dai suoi sentimenti. L’Escaflowne aveva sentito la profondità e la forza del suo desiderio e aveva creato una colonna di luce che lo aveva portato, senza alcuna difficoltà, esattamente dove doveva arrivare, d’innanzi a lei.

« Adesso avete anche il suo ciondolo! Io ricordo che lo aveva con sé, ve lo ha lasciato per un motivo. Hitomi ha fatto in modo che voi l’aveste perché sapeva che avreste tentato di ritrovarla. »

Van, però ci aveva già provato. Da solo, aveva tentato più volte di provare a visualizzare Hitomi e di trovare una risposta alla domanda su dove fosse, ma non era arrivato nessun suggerimento.

« Ci ho già provato, Merle. Ma non ci riesco. »

Sul viso della gatta apparve un’espressione speranzosa. In quel momento Allen fece il suo ingresso nella stanza, mettendosi accanto alla gatta, era rimasto indietro per tutto il tempo. Aveva in mano una pergamena arrotolata che sollevò con la mano quasi sventolandola.

« Ma credo che tu non l’abbia fatto nello stesso modo in cui lei c’era riuscita! »

 

Così avevano piazzato sul tavolo la pergamena, che altro non era che una mappa dell’intero continente e gli avevano spiegato per filo e per segno quale era stata la strategia di Hitomi.

« Noi ti aiuteremo concentrarci pensando intensamente ad Hitomi e tu… tenterai ancora una volta! »

Le parole di Allen e di Merle gli avevano dato una speranza che quasi temeva di coltivare. La loro sicurezza in merito alle sue capacità lo faceva dubitare di se stesso, temendo di deludere loro e se stesso ancora una volta, ma avrebbe tentato una strada che già in passato aveva utilizzato Hitomi. Avrebbe tentato qualsiasi cosa pur di ritrovarla. Sedendosi, guardò negli occhi il Cavaliere Celeste e Merle, che considerava quasi una sorellina, e vide nei loro sguardi una fiducia autentica e speranza.

Fece un respiro profondo e sollevando il braccio con la mano che teneva il ciondolo di Hitomi iniziò a concentrarsi, chiudendo gli occhi, facendo muovere gentilmente il pendolo sulla mappa.

Insieme, l’avrebbero trovata.

 

Si risvegliò con la luce del tramonto a filtrare dalla sua finestra.

Aveva dormito serenamente e il mal di testa atroce che aveva avuto qualche ora prima era passato. Sollevandosi leggermente, la pezzuola umida che era rimasta sulla fronte si spostò cadendole in grembo. Aveva avuto la febbre? Si chiese, perplessa.

Nel silenzio che venne accompagnato dai suoi movimenti, si rese conto di essere sola. Era un sollievo, in quanto in quel momento le sovvenne l’urgenza di iniziare a pensare a qualcosa per togliersi da quella situazione. Seppure avesse tentato di convincere Rakos di Basram riuscendo in un modo che le era stato del tutto sconosciuto a condividere con lui la sua visione, si rendeva conto che non era stato sufficiente a fargli cambiare idea. 

Se quell’uomo aveva preferito utilizzare la macchina di modifica del destino su di sé, incauto delle conseguenze – che sarebbero state le stesse di Folken – evidentemente aveva ragione di credere che lei avrebbe accettato di aiutarlo, volente o nolente. 

L’entità delle conseguenze che aveva visto nella sua visione la spaventavano, ma non poteva arrendersi di fronte ad una possibilità che avrebbe fatto di tutto per non realizzare. 

Si alzò dal letto e si sentì rincuorata quando le sue gambe la sostennero senza fatica. Si sentiva di nuovo abbastanza bene.

Proprio in quel momento Elyse entrò piano piano nella stanza. Quando si avvide che era in piedi s’illuminò il volto. « Siete sveglia! Come vi sentite? »

« Devo parlare con Rakos immediatamente. » 

La fanciulla rimase perplessa ma annuì lievemente.

« Se è quello che desiderate farò in modo di avvisarlo ma prima mangiate qualcosa, d’accordo? »

Lo stomaco di Hitomi rispose prima ancora che potesse farlo lei stessa. 

 

Doveva avere pazienza, si diceva, mentre sentiva le mani di Merle e di Allen sostenere e al contempo pesare sulla propria. 

Era la prima volta che tentava seriamente di rintracciare Hitomi e gli stava costando tutta la sua concentrazione. 

Dischiuse leggermente gli occhi e vide che sia Merle che Allen erano completamente assorti e concentrati. La loro determinazione e la loro fiducia non potevano essere ripagati dall’ennesimo fallimento. I piccoli anelli della catena che sostenevano il ciondolo di Hitomi gli avevano segnato di rosso le dita, tale era la forza con cui le stava stringendo. Tuttavia, nella sua testa c’era solo l’oscurità. Continuava a muovere con lentezza il ciondolo, cercando di soffermarsi su quelle zone in particolare che aveva già avuto modo di vedere in prima persona e che erano anche le più probabili.

Hitomi. Dove sei?

 

« Vi siete ripresa del tutto, vedo. »

L’aveva accolta così Rakos, nuovamente, nel suo laboratorio. Pare che non avesse altre incombenze se non quello di continuare a restare in quella stanza in mezzo a libri, appunti e strani macchinari. 

Hitomi aveva annuito leggermente.

« Ho bisogno di sapere una cosa. » Si mosse in sua direzione, stranamente più calma del loro primo scambio. Non riusciva a spiegarsi da dove fosse sopraggiunta tutta quella sicurezza, eppure, sentiva che Rakos non aveva intenzione di farle del male direttamente e questo avrebbe reso le cose più semplici, forse.

Lui continuò ad osservarla in silenzio, in attesa.

« Cos’è quella canzone? » Questa volta era riuscita a ricordarla senza che la testa le scoppiasse al solo pensiero. 

Rakos sembrò per un momento sorpreso, ma poi volse lo sguardo in direzione della grande macchina che, in quel preciso momento, sembrava assolutamente inattiva.

« Credo che sia… un frammento di un ricordo. Speravo che voi riusciste a comprenderne meglio di me il suo significato. »

« Perché vi ostinate a credere che riportare in vita il Potere di Atlantide possa cambiare in meglio il destino degli abitanti di Gaea? » 

« Ritengo che solo voi possiate utilizzare quel potere alla sua massima espressione. Voi non solo siete un’abitante della Luna dell’Illusione ma avete anche dentro di voi la benedizione di Gaea stessa! Se sarete voi a tenere le redini di un simile potere, potreste garantire la prosperità di questo mondo per sempre! » fece un passo in avanti e Hitomi, seppure volesse indietreggiare, rimase ferma nella sua posizione. 

Rakos, non sembrò stupito ma nei suoi occhi si diffuse una luce di soddisfazione. 

Stava forse pensando di averla convinta?

« Se il vostro scopo è solo questo, allora perché usare su voi stesso la Macchina di Modifica del Destino dell’Imperatore Dornkirk per prendere su di voi… quella maledizione? »

Si riferiva alle ali nere, si riferiva alla condanna a morte che aveva siglato per una ragione che non aveva ancora capito.

Rakos fu punto vivo su quella domanda e si avvicinò ancora. Oramai era di fronte a lei. Hitomi vide distintamente la macchina iniziare ad emettere una debole luce. Si volse, ignorando lo sguardo dell’uomo su di sé e concentrandosi completamente sulla macchina capì che c’era stato un nuovo cambiamento.

Che cosa stava succedendo? Iniziò a diffondersi il suono di ingranaggi che si attivavano e di un movimento che, da qualche parte, era già iniziato.

Rakos le mise le mani sulle spalle e, questa volta, Hitomi cercò di allontanarsi. La presa di lui era forte e non vi riuscì.

« Lasciatemi! Cosa avete intenzione di fare? » Sentì crescere l’agitazione e lo stupore. Ma poi, comprese. Quella macchina era in grado di reagire oltre che alla sua presenza anche alla volontà di Rakos. Una consapevolezza le si fece strada e rammentò di quando, tanto tempo prima, Folken le avesse detto in merito al fatto che la sua sola presenza gettasse un’ombra sul destino ideale creato dall’Imperatore Dornkirk e che, di fatto, gli impediva di controllare pienamente tutti gli eventi. In quel momento, vide le spalle di Rakos contrarsi e, in pochi istanti, ali nere si levarono sulla sua schiena. Hitomi s’irrigidì, stupefatta e al contempo decisamente confusa. Sollevando le mani provò a far perno su di lui per potersi distaccare, ma il suo movimento non fece altro che farlo avvicinare ancora di più. Le mani dell’uomo calarono sulle sue braccia, stringendole per trattenerla a sé, con fermezza ma senza che le facesse male. Hitomi sollevò lo sguardo, osservando il volto dell’uomo, si stupì di vedere nel suo sguardo qualcosa che non aveva mai scorto.

« È il solo modo per avere un frammento di quel potere e di poterlo tramandare grazie alla discendenza che un giorno sarete in grado di creare, se vi unirete a me! »

Hitomi sentì come se le avessero dato un colpo allo stomaco e la paura la fece letteralmente raggelare. « Ch-che cosa? » cercò di dire, mentre il suono delle sue parole veniva sovrastato dal suono degli ingranaggi e della macchina.

Lo sguardo di Rakos si era acceso, gli occhi spalancati e il suo viso, che fino a quel momento aveva sempre mostrato una calma glaciale sembrava pieno di emozione, entusiasmo, no… sembrava invasato. Piume scure iniziarono a volteggiare intorno e a ricadere al suolo.

Si volse ancora una volta in direzione della macchina e questa aveva ripreso ad iniziare a pulsare di luce come stesse rispondendo all’emozioni crescenti dell’uomo. 

Rakos continuò a stringerla e a parlarle. « Hitomi! Qual è la vostra risposta? » 

Hitomi scosse il capo e cercò di divincolarsi, ma la presa di lui non le lasciava alcun margine di manovra. Iniziò ad agitarsi e si puntellò con i piedi, nella speranza di sottrarsi. Gli occhi di Rakos si accesero e lo sguardo fiammeggiante si posò su di lei. L’espressione neutra era svanita, gli occhi blu scuro due pozze in tempesta che non smettevano di fissarla, le dita delle mani che si stringevano attorno alla pelle, nonostante la pesante veste che indossava, la bocca dischiusa e la mente… la mente certamente avvolta da pensieri che non riusciva ad afferrare e trattenere. 

Hitomi capì che quella macchina stava reagendo in risposta alle forti emozioni provate da Rakos e tutto questo probabilmente aveva a che fare con la modifica del destino a cui aveva sottoposto il suo corpo. 

« Rakos! Cosa vi sta succedendo?» lo chiamò ad alta voce e l’uomo per un momento sbatté le palpebre, stupito. Il rumore degli ingranaggi e la luce della macchina sembrarono aumentare. Hitomi sollevò le braccia per tentare di scuotere a sua volta l’uomo al fine di divincolarsi. « Lasciatemi, BASTA! »

Ci fu una luce fortissima dalla macchina che illuminò a giorno tutta la stanza, accecandoli.

La presa sul suo corpo sembrò venire meno e, riuscendo nuovamente a vedere nonostante la luce accecante avvolgesse ogni cosa, Hitomi si ritrovò all’interno di una grande sala. Il pavimento era di bianco e freddo marmo ed i suoi piedi…erano nudi. Non aveva più addosso le sue vesti e neanche la sua uniforme scolastica. Guardandosi si vide addosso una semplice tunica bianca. Bianche, piume candide volteggiavano intorno a lei. Ci mise poco per comprendere che quelle piume provenivano direttamente dalle ali che partivano dalle sue scapole. La veste era intatta, notò con stupore, notando che questa le lasciava la schiena nuda, come se fosse stata disegnata e realizzata con lo scopo di lasciare che le ali si aprissero, senza danneggiarla.

Dove mi trovo?

Voltandosi si accorse che al centro della grande stanza troneggiava una colonna enorme, al cui apice vi era una sfera… non c’erano dubbi, era la stessa che aveva visto a Zaibach. 

Istintivamente, il suo corpo si mosse da solo e si avvicinò, lo sguardo fisso sul punto più in alto che brillava di luce propria, tenue e rassicurante.

Sapeva cosa doveva fare, era il motivo per cui si trovava lì, il solo ed unico scopo della sua esistenza.

S’inginocchiò e focalizzando tutta la sua consapevolezza iniziò a pregare.

Pregò per la stabilità di Gaea, pregò affinché nel cuore dei suoi abitanti non germogliasse il seme dell’odio, che non proliferasse la discordia, che nessuno provasse angoscia, che la natura fiorisse rigogliosa e che il raccolto fosse stato abbondante anche per quell’anno. 

Pregò affinché Van fosse al sicuro, perché non tentasse – ancora una volta – di salvarla dal suo destino. Lei non meritava di essere salvata. Perché lei lo aveva tradito. Aveva preferito barattare la sua felicità, il loro amore, la speranza di una vita insieme, la pace nel loro regno al solo scopo di salvargli la vita. La guerra era stata evitata e, questa volta, non era stato necessario che nessuno perdesse la vita. Di fronte alla minaccia della sua morte, anche se aveva significato perdere ogni speranza di felicità propria, Van era stato risparmiato. Gaea era salva. Gaea avrebbe prosperato. Avrebbe dedicato la sua vita per questo.

Calde lacrime avevano iniziato a scorrerle sulle guance e la sensazione di oppressione nel cuore era sempre lì, sua unica compagna. Non poteva andare avanti così. Quanti anni erano trascorsi da quando si era condannata a quella vita? Quante volte aveva pensato di recarsi sulle montagne vicine e di lasciarsi semplicemente cadere fino alla valle?

A Gaea non è permesso di crollare.

Hitomi si riebbe dalla sua visione. Le lacrime scorrevano sulle sue guance e gli occhi erano spalancati. La visione l’aveva lasciata senza parole. Rakos la stava ancora tenendo ma la sua presa era diventata incerta: non si chiese le motivazioni, ma ne approfittò per indietreggiare e liberarsi. Quando ci riuscì la sua mente era concentrata solo su un singolo obiettivo. Si girò di lato e lasciò che l’impulso la guidasse, senza farsi domande.

Con uno scatto, cercò di avventarsi sulla macchina, con l’unico scopo di distruggerla. 

Non era così distante, pensò, e quello che doveva fare era soltanto tentare di farla rovinare al suolo. Forse, se l’avesse spinta avrebbe permesso alla colonna di sbilanciarsi dal suo pilastro e oscillare fino a cadere del tutto, distruggendo la macchina che operava grazie ad essa.

« Che cosa avete intenzione di fare?! »

Sentì la voce di Rakos mentre si avventava con una spallata sulla colonna, come se volesse tentare di buttare giù una porta. Si rese conto dell’inutilità del suo gesto quando il dolore si propagò dalla spalla a tutta la schiena, la voce le venne fuori per il dolore e la frustrazione, e riuscì a non cadere rovinosamente al suolo perché Rakos fu nuovamente su di lei, ad afferrarla direttamente per i fianchi, stavolta per fare in modo che non si muovesse ulteriormente. 

Tuttavia, quella visione le aveva dato nuova forza ed energia e questa volta si divincolò con maggior forza. 

« Lasciatemi! Vi ho detto che dovete lasciarmi… io.. Devo distruggerla! » 

Rakos continuò a stringerla, ma continuò a protestare facendo sempre più fatica a contenerla. 

« Siete impazzita?! Fermatevi! »

Forse lo era appena diventata, pensò Hitomi, facendo appello a tutte le sue forze. Doveva ritentare, doveva assolutamente trovare il modo di distruggere quella macchina infernale, la fonte della cupidigia dell’Imperatore Dornkirk e, adesso, anche di Rakos di Basram. 

 

Van! Van! Aiutami!

Van ebbe un sussulto nel sentire la voce di Hitomi direttamente nella sua testa. Nella sua mente gli apparvero immagini confuse. Vide Hitomi correre e scontrarsi contro qualcosa di molto alto ed imponente, sembrava un… pilastro luminoso? 

Nel brevissimo istante successivo, vide Rakos di Basram, teneva Hitomi che sembrava tentasse di divincolarsi dalla sua stretta, all’interno di quella che sembrava una sala molto grande, avvolta dall’oscurità. 

Cercò di mantenere la concentrazione anche quando Merle fu la prima a staccarsi, urlando il nome di Hitomi, probabilmente anche lei aveva visto quella visione. 

« Non… cedere ora. » sentì la voce di Allen, arrivare alle sue orecchie piuttosto calma, anche se era evidente che anche lui si stava sforzando per fare in modo che il passo successivo fosse quello di individuare l’esatta locazione adesso che erano riusciti a stabilire un legame.

Fu in quel momento che Van continuò a vedere ancora la prosecuzione di quello che stava succedendo.

Rakos sembrava in difficoltà nel tentare di calmare e contenere Hitomi che, invece, aveva il viso e lo sguardo completamente stravolto e stava utilizzando tutte le sue forze per fuggire o forse… no, sembrava che fosse desiderosa di raggiungere ancora quel pilastro. L’uomo allora, evidentemente stanco delle continue proteste della donna, aveva liberato una mano solo per muoverla ed assestarle un colpo netto e deciso sulla nuca. Vide Hitomi spalancare gli occhi per un breve momento, immobilizzarsi e afflosciarsi, inerme e priva di sensi direttamente sulle braccia del nemico che la sostennero, impendendole di finire al suolo. 

Fu in quel momento che la visione si concluse e che Van aprì gli occhi.

Allen fece altrettanto e indietreggiò di un passo, incerto su quello che aveva visto, provato dall’esperienza e dai lunghi minuti di concentrazione. Si portò una mano alla bocca quando vide lo sguardo sconcertato del Re di Fanelia.

Il ciondolo aveva preso ad oscillare in un punto preciso della mappa.

Non c’era più alcun dubbio.

Avevano trovato la loro destinazione. 

Hitomi si trovava a Zaibach. 


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Eccomi qui! 

Passa sempre troppo tempo tra un aggiornamento e l'altro ma spero sempre che seguiate la mia storia. 

Ci stiamo avvicinando in prossimità del climax e le cose iniziano finalmente a sbloccarsi.

Spero di non farvi attendere molto per il prossimo capitolo ma, come sempre, non posso assicurarlo.

Grazie a chiunque legga ancora la storia. Mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate, lasciate pure un commento anche solo per dire che siete passati!

A presto!

Usagi

  
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