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Autore: smarsties    18/05/2023    0 recensioni
Nelle taverne si cantò per molti anni la storia dei due marinai che persero la rotta verso la Cina.
In alcune versioni erano ricordati come sventurati amanti, in tutte come pirati esemplari che, fedeli alla loro nave, avevano scelto di affondare con essa.
Quanto si dissero coi loro ultimi respiri, quanto rimase sottinteso nei gesti e negli sguardi – quello giace tutt’ora sul fondale dell’oceano.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Edward Teach/Barbanera, Stede Bonnet
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: mi ci è voluto più un anno per scrivere qualcosa su questi due – ci ho provato, più di una volta, ma nulla mi convinceva. Poi, è arrivata L’ONDA – la morte del marinaio di Madame, che mi ha fornito l’assist perfetto. Non so se quanto segue abbia effettivamente senso, l’ho scritto di getto come valvola di sfogo dopo aver subito un brutto lutto. Non so nemmeno se questa storiella possa considerarsi un finale alternativo alla 1x09, oppure un episodio ambientato in un futuro prossimo in cui si sono ritrovati e sono fuggiti assieme. Interpretatela come vi pare. E spero che questo delirio possa piacervi. xx












Seguiremo l’onda



Edward ne aveva viste tante di tempeste, e altrettante ne aveva dominate – destreggiandosi con maestria fra pioggia e fulmini, la presa salda attorno al timone, e gridando indicazioni ai mozzi su come maneggiare le vele. Sotto la sua guida esperta, la nave scivolava in maniera irreale sul mare agitato, e i minacciosi cavalloni non potevano fare altro che piegarsi alla mercé della chiglia.

C’era un non so che di sprezzante, di superbo quasi, nel modo in cui prendeva il comando in quelle situazioni. Nel suo immaginario, quelle onde erano metafora di morte, e cavalcarle senza grosse difficoltà voleva dire sfoggiare entrambi i diti medi in faccia al mietitore, deriderlo perché era riuscito a sfuggirgli per l’ennesima volta – perché Edward aveva paura di morire, nonostante fosse stato più volte vicino ad essere cinto dal gelido abbraccio di lei, nonostante talvolta fosse andato a stuzzicarla di sua sponte solo per sentire l’adrenalina scorrergli nelle vene.

Non lo spaventava l’ignoto, era convinto che l’aldilà non esistesse e che il destino del suo corpo esanime fosse diventare cibo per vermi. Il timore era acuito piuttosto da un perenne stato di insoddisfazione, dalla ricerca costante di nuove avventure e sensazioni che non erano mai abbastanza, e quindi dalla consapevolezza che probabilmente avrebbe cessato di esistere senza aver trovato la pace.

Il continuo spingersi fino al limite del precipizio, assaggiare il senso di vertigine mentre il battito cardiaco gli rimbombava incalzante nelle orecchie, per poi indietreggiare di colpo e rimettersi al sicuro, era il suo personale modo di ricordare alla morte che era lui a detenere il controllo, e che solo lui poteva decidere il giorno in cui avrebbe compiuto il fatidico salto nel vuoto. Credere di essere colui che reggeva le redini lo faceva sentire potente, vivo.

La realtà era ben diversa, naturalmente. Era conscio che, prima o poi, essa l’avrebbe punito per tutta quell’audacia. Da gran bastarda com’era, aveva atteso il momento perfetto.

Si presentò sottoforma di tempesta, come mille altre volte prima di quella, e Edward, che aveva presto imparato a distinguere le battaglie meritevoli di essere combattute da quelle perse in partenza, intuì il finale tragico già dalle prime battute.

Non c’era altro termine per definire le onde scure se non mastodontiche, non s’era mai imbattuto in nulla di simile, e ci volle poco per cominciare a imbarcare acqua. Del tutto a sfavore era anche il forte vento da levante, che rombava feroce tra le assi di legno del ponte e nelle sue orecchie, e che aveva già abbattuto il bompresso e l’albero di prua.

La nave si piegava verso destra e poi verso sinistra, in un dondolio sempre più incostante e intenso che, come le lancette di un orologio, scandiva i minuti rimanenti. Nonostante ciò, Edward si scoprì incapace di reagire e se ne stava immobile al centro del ponte, gli occhi vacui, ancora più scuri per via del cielo grigio, fissi in avanti verso la tempesta sua giustiziera – perché non c’era nulla che potesse fare, questo era chiaro, ma aveva fra le sue mani la promessa di una nuova vita, al fianco dell’unico uomo che aveva mai amato, e valeva la pena di provare quantomeno a cercare di difenderla.

Non ci riusciva. Tanto, non avrebbe fatto alcuna differenza.

Stede, al contrario, non si dava per vinto. Guidato dallo spirito di sopravvivenza, si spostava da una parte all’altra, mentre compiva gli stessi gesti che lui aveva fatto un’infinità di volte, solo più goffamente perché gli mancava l’esperienza, e infatti poteva captare ogni sua mossa anche in mezzo al caos dei tuoni.

Ciò che percepì da chilometri di distanza fu la sua voce che lo chiamava, e solo al secondo «Ed?», più deciso del precedente, i suoi muscoli ripresero a funzionare e si girò a guardarlo.

«Che facciamo?»

Non c’era speranza nella domanda, né cercava qualche tipo di consolazione. Forse, se si fosse fermato un altro po’ a studiare quelle iridi color nocciola, avrebbe trovato residui di quelle emozioni. Per il resto, le labbra di Stede erano piegate in un sorrisetto amaro, dettaglio più rilevante di un’espressione rassegnata che già aveva intuito la risposta, ma aspettava comunque di sentire la conferma a parole.

Non appena aprì la bocca, quelle uscirono fuori in automatico, arrochite per via del silenzio prolungato.

«Niente. È finita.»

Stede abbassò le palpebre e si concesse un respiro profondo, riempiendo per bene i polmoni d’aria per poi rilasciarla gradualmente. Quando le rialzò, i suoi occhi erano lucidi.

«Ok.», e quelle due sillabe furono accompagnate da un lieve cenno del capo e un singulto mal soffocato.

Edward si lanciò in fretta in suo soccorso, senza curarsi né del pavimento bagnato, né del ginocchio malandato che già gli doleva più del solito a causa dell’umidità, figuriamoci se lo sottoponeva pure a sforzi superflui. Non scivolò, e comunque Stede sarebbe stato pronto a riprenderlo al volo in caso contrario, e un secondo dopo teneva il suo viso fra le mani e lo sguardo incatenato al suo.

«Non doveva andare così.», e nel dirlo si accorse di quanto vicino fosse alle lacrime. «Mi dispiace.»

Quello era un conto in sospeso fra lui e la morte. Stede non aveva colpe per i suoi atti di superbia, eppure sarebbe stato punito lo stesso. Non c’era modo di poter salvarlo. Per questo gli dispiaceva.

Poi c’era tutto un aspetto più egoistico, e cioè non gli andava giù l’aver avuto a disposizione talmente poco tempo con lui. Avrebbe voluto chiedergli di sposarlo una volta a terra, e aveva in mente un’infinità di progetti per il loro futuro. Non ne avrebbe realizzato nemmeno uno e, sebbene fosse una cosa infantile da pensare, era tremendamente ingiusto.

Stede poggiò le mani sui suoi polsi, lasciando che i pollici vagassero sulla sua pelle in piccoli movimenti circolari.

I suoi polpastrelli non erano morbidi come quando si erano conosciuti, il lavoro sporco e il sale marino li avevano induriti. Anche il suo viso era più duro, secco, bruciacchiato dal sole battente. I capelli erano più lunghi, mento e mandibola erano ricoperti da una folta peluria bionda, e dal lobo dell’orecchio destro pendeva un cerchietto dorato. Dell’aristocratico con un’intera libreria nella sua cabina restava solo l’immensa tenerezza con cui lo stava fissando.

«Non fa niente.»

«Sì, invece. Non è quello che ti avevo promesso. Noi due dovevamo-»

«Ed, non fa niente.», gli ripeté Stede, sempre con tono soave, senza smettere di accarezzarlo. «C’eravamo giurati “fino alla fine dei nostri giorni”, e così sarà. Non importa che siano state solo diverse paia di settimane, sono comunque state le più felici di tutta la mia vita.»

A Edward venne di nuovo da piangere, stavolta per tutt’altro motivo. Forse lo stava facendo, con le guance già umide sarebbe comunque risultato difficile capire dove cominciava l’acqua piovana e finiva quella salata.

Lo commuoveva che Stede non ce l’avesse con lui per averlo convinto a seguirlo verso l’incerto, sottraendolo alla sua nave e alla sua ciurma, ‘ché a lui fare il pirata piaceva. Ancora più commovente era che lo amasse così perdutamente da esser pronto ad affondare al suo fianco.

«Sei felice anche adesso?», azzardò a chiedere con un filo di voce.

Il suo sorriso si allargò un altro po’.

«Con te lo sono sempre.»

Il petto gli smise di dolere di un peso che solo allora si era accorto di portare.

S’era trattato di una reazione a catena. Edward iniziò a provare qualcosa, e l’istante dopo far stare bene Stede divenne la sua missione principale. Gliene servì un altro per comprendere di non esserne all’altezza, di non aver niente da offrire – e non intendeva beni materiali, quello era scontato. Non aveva esperienza con sentimenti del genere, non conosceva il modo corretto per esprimerli, e forse non si piaceva abbastanza per accettare che qualcuno potesse veder del buono in lui.

Stede quel qualcosa l’aveva trovato – passando oltre a ogni sua insicurezza, dando senza pretendere granché in cambio, non facendolo sentire una persona orribile forse per la prima volta in vita sua – e tanto gli bastava.

Così come a Edward bastava saperlo felice, e a fronte di ciò ogni piano futuro smise di avere rilevanza. La pace tanto agognata sapeva di sollievo ed euforia, ed era più forte della paura della morte, che adesso gli appariva come una vecchia amica, come un porto sicuro cui ritornare.

Le sue orecchie non percepivano più i boati dei tuoni, né i fulmini sempre più prossimi a colpire la nave, né lo scrosciare della pioggia. Pareva che il tempo avesse smesso di scorrere, e ora restava sospeso in un limbo fra luce e buio al cui centro c’era Stede, c’erano i suoi occhi gentili e le sue mani tiepide nonostante il vento freddo, e lo stava aspettando per accompagnarlo verso la fine.

Si sporse in avanti per baciargli le labbra a stampo, poi poggiò la fronte contro la sua. L’altro, di riflesso, si rilassò al suo tocco e, cingendogli entrambe le spalle con le braccia, se lo portò più vicino.

«Lo sono anch’io, sempre.», e Edward finalmente chiuse gli occhi, beandosi di quell’odore familiare un’ultima volta, in attesa dell’onda fatale che stavolta avrebbe docilmente seguito.







Nelle taverne si cantò per molti anni la storia dei due marinai che persero la rotta verso la Cina.

In alcune versioni erano ricordati come sventurati amanti, in tutte come pirati esemplari che, fedeli alla loro nave, avevano scelto di affondare con essa.

Quanto si dissero coi loro ultimi respiri, quanto rimase sottinteso nei gesti e negli sguardi – quello giace tutt’ora sul fondale dell’oceano.

  
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