Film > Salvate il soldato Ryan
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Autore: Abby_da_Edoras    19/05/2023    6 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 8: I am free

 

I was riding on the horse of fear
The laughter of the trees
With the night wrapped around me
I went on my way
The tops of the trees dancing in the wind

The forest seems untouched and I am free
I am free, free
I am free, free
Only when the last star stopped shining
And the last snow fell
Only when will my hope die

 (“I am free – Moonsun)

 

Mellish si sentiva parecchio scombussolato dopo aver trascorso la prima notte d’amore con Saltzmann… o meglio, dopo aver lasciato che lui gli facesse quello che voleva ed essersi abbandonato come se non ci fosse un domani! Quella notte, anche per via del solito sedativo, era piombato in un sonno profondo e aveva dormito fino a tardi il mattino seguente, quando proprio il tedesco lo aveva svegliato con tenerezza, come se ormai lo considerasse una specie di suo compagno o chissà che altro.

“Tardi stamani” gli aveva detto, “io lezione con Upham subito. Penso lui capire, ma io ora andare. Passa buona giornata, mio Stan.”

Il giovane americano era ancora mezzo addormentato quando Saltzmann lo aveva baciato dolcemente e salutato prima di prepararsi per la lezione e poi uscire dalla stanza; tuttavia, rimasto da solo, aveva avuto modo di pensare a quello che era successo quella notte e la cosa lo aveva sconvolto, non tanto per il rapporto in sé (che gli era piaciuto più di quanto volesse ammettere anche con se stesso…), quanto per ciò che, a quanto pare, quell’avvicinamento aveva significato per Saltzmann. Era come se adesso l’uomo si ritenesse sposato con lui, come se avesse già pianificato il loro futuro insieme, e questa cosa a Mellish non andava bene per niente.

Mio Stan un corno, insomma” si disse, mentre anche lui si preparava per uscire. “Va bene, siamo stati insieme stanotte ed è stato bello, ma cosa significa? Io ho ventun anni, non mi voglio certo prendere un impegno per la vita adesso e soprattutto in questa situazione! Sarà bene che Saltzmann se lo metta in testa, magari dovrei farglielo spiegare nella sua lingua da Upham, tra una lezione di inglese e l’altra.”

E così fece. Prima ancora di passare a prendersi un caffè, corse a cercare Upham e gli chiese se, per favore, aveva cinque minuti da dedicargli. Il caporale disse a Saltzmann che potevano fare una piccola pausa e di andare a fare due passi o qualsiasi altra cosa volesse, perché aveva capito che Mellish voleva parlargli a tu per tu e probabilmente la cosa riguardava proprio il tedesco: si sentiva in colpa, era stato lui la sera prima a lasciarli da soli in camera e chissà, magari era accaduto qualcosa che Mellish non voleva e adesso era lì per lamentarsi. Era meglio che Saltzmann non fosse nei paraggi.

“Tu sapevi tutto, vero? Altro che aiutare Wade in infermeria, tu eri d’accordo con Saltzmann per lasciarci soli ieri sera” esordì infatti subito il ragazzo.

“Beh, sì… Senti, se è successo qualcosa che non volevi mi dispiace tanto” rispose Upham. “Io mi sono fidato di Josef, non pensavo che potesse fare qualcosa che ti mettesse a disagio, ma forse avrei dovuto parlarne anche con te…”

“Questo di sicuro” tagliò corto Mellish, “comunque non ti preoccupare, non c’è stato niente di male e anzi… beh, posso anche ammetterlo, siamo stati bene insieme. Però non è questo il punto. Il vero problema è come Saltzmann abbia vissuto la cosa. Per lui il fatto che siamo stati insieme una notte è qualcosa di definitivo, un po’ come se ci fossimo praticamente sposati! Lui immagina che ora sarà così tutte le notti e non solo qui, anche in America, che ormai sono suo e che vivremo insieme e tutte quelle cose che dice sempre. Io ho cercato di spiegargli che non è così automatico, ma lui non capisce, o finge di non capire, perché a me sembra che l’inglese lo sappia solo quando gli fa comodo. Ma tu glielo devi dire chiaramente in tedesco, così non potrà fingere di non capire.”

Upham era confuso.

“Mellish, a dirti la verità non ci ho capito niente nemmeno io” disse. “Hai detto di essere stato bene con lui, e allora cosa c’è che non va?”

“Cosa c’è che non va? C’è che io ho ventun anni e non mi voglio certo sentire legato fin d’ora con uno che conosco appena!” esclamò il giovane, esasperato. Possibile che nessuno riuscisse a comprendere come si sentiva in trappola? “Non so cosa farò della mia vita, non so cosa farò quando torneremo a casa, quindi non ho nessuna intenzione di prendermi un impegno così serio con Saltzmann né con chiunque altro al mondo, se è per questo. Certo, continuerò a aiutarlo a integrarsi in America, sarò suo amico, magari chissà, potremo anche continuare a stare insieme, ma solo perché lo voglio anch’io, non perché ormai sono suo o cose del genere. Glielo devi spiegare bene in tedesco così che non ci siano equivoci, ci siamo capiti adesso?”

“Sì, ma… va bene, cercherò di dirgli tutte queste cose, però è chiaro che Saltzmann ci rimarrà male e mi dispiace” ribatté Upham.

“Beh, spiegagli che non c’è niente di personale, è solo che io sono ancora un ragazzo, non è colpa mia se lui ha l’età del nostro capitano, più o meno! Voglio dire, se uno come Reiben, per esempio, conoscesse una bella ragazza francese e si piacessero e finissero a letto insieme per un po’, mica per forza poi dovrebbe sposarla e portarsela in America, no? E questa è la stessa cosa: siamo stati bene insieme, ma non è detto che debba essere per sempre!”

“Ho capito, ma Josef ha già avuto una moglie e l’ha perduta, ora immagino che stia cercando di rifarsi una vita e si è innamorato di te, si è innamorato veramente, rimarrà davvero molto deluso” cercò di obiettare il caporale.

“Meglio che se ne faccia una ragione subito piuttosto che rimanerci anche peggio più avanti” replicò Mellish, lapidario. “E poi non è mica detto che io non voglia stare con lui, è solo che ci devo pensare, che non voglio decidere ora e che, soprattutto, non voglio sentirmi obbligato e intrappolato.”

“Lui però ti ama veramente tanto e…”

“Senti, non mi importa come glielo dirai, quello che conta è che tu gli spieghi bene tutto quello che ti ho detto. E fallo subito, prima di riprendere la lezione con lui. Siamo d’accordo, caporale?” Mellish lo fissava imbronciato.

“Va bene, va bene, farò come dici tu” si arrese Upham.

“Okay, allora è tutto a posto. Grazie, ci vediamo” concluse il giovane, congedandosi in fretta. Non aveva nessuna voglia di imbattersi in Saltzmann proprio in quel momento…

Passò dalla mensa per prendersi un caffè e lì incontrò Ryan, Reiben e Jackson. Reiben sembrava particolarmente di cattivo umore.

“Ehi, ciao, Mellish” lo salutò Ryan. “Sono contento di vederti, così magari puoi unirti a noi. Il direttore dell’albergo ci ha chiesto, già che siamo qui, se vogliamo renderci utili in qualche modo e, siccome le aiuole e i giardini sono stati rovinati nel periodo in cui questo hotel era stato requisito come sede della Luftwaffe, il nostro incarico sarebbe quello di potare le siepi, pulire e rastrellare le foglie dai prati e dalle aiuole, insomma, ridare nuova vita a questi giardini.”

“Io mi sono arruolato per fare il soldato, non il giardiniere!” brontolò Reiben. Ora si capiva la ragione del suo cattivo umore!

“Va bene, tanto mi stavo annoiando e mi fa piacere avere qualcosa da fare” acconsentì Mellish con un sorriso. “Tra l’altro, anche a casa mia abbiamo un grande giardino e spesso mio padre mi chiedeva di tagliare l’erba o cose del genere. Sarà un po’ come essere a casa!”

“Vero? Lo pensavo anch’io, anche se il mio lavoro alla fattoria era ben più faticoso” replicò felice Ryan. “Allora, andiamo?”

“Dare una mano a rimettere a posto i giardini mi va bene” disse Jackson, cupo, “ma se poi il direttore dell’hotel ci chiede di servire a tavola o rifare i letti lo mando a quel paese. Siamo Rangers in attesa di essere rimandati a casa, non i suoi servitori!”

I giovani si incamminarono verso i giardini con tutti gli attrezzi necessari: guanti, rastrelli, vanga, cesoie e altri utensili. Ryan e Mellish camminavano davanti e sembravano soddisfatti dell’incarico, mentre Jackson e Reiben li seguivano controvoglia. Reiben in particolare sembrava un condannato al patibolo! Poco dopo, mentre rastrellavano e ripulivano le aiuole, Mellish lanciò una battuta al compagno, divertito nel vederlo così oltraggiato nel suo onore di soldato scelto!

“Ehi, Reiben, vedila così: anche questo è un modo di combattere i tedeschi. Noi stiamo rimettendo in ordine quello che i nazisti hanno rovinato e distrutto mentre erano qui, non ti pare? Facciamo la guerra con i rastrelli invece che con i fucili!” scherzò.

“Io preferisco sempre il mio fucile di precisione, comunque quello che dici è vero” commentò Jackson, che lavorava poco distante e aveva sentito le parole di Mellish. “Quelli sanno solo distruggere, noi adesso riportiamo ordine e normalità come i nostri compagni stanno facendo in battaglia.”

“Strano che proprio tu parli male dei tedeschi, Mellish, visto quanto ti sei legato a Saltzmann” fece Reiben, ancora astioso per il lavoro che era costretto a fare.

“Ti ricordo che lui mi ha salvato la vita e che non combatte più con i nazisti, e comunque anche prima è stato arruolato a forza. In Germania è così che funziona, sai? O vai in guerra o ti spediscono in qualche prigione abbandonata o che so io” replicò il ragazzo. Quello era un argomento che non voleva toccare, specialmente quel giorno!

“Oh, ma quante cose sai del tuo amico tedesco, e lo difendi pure. Si vede che siete diventati molto intimi…” cercò ancora di provocarlo Reiben.

“Mellish ha ragione: in Germania ti arruolano a forza e ho sentito che prendono anche ragazzini di quattordici o quindici anni” intervenne Ryan, sperando di cambiare argomento. Si era accorto che Mellish era imbarazzato e Reiben non lo avrebbe lasciato in pace tanto facilmente. “Noi qui ripariamo almeno ad una parte dei danni che hanno causato e, quando avremo vinto la guerra, faremo in modo che tutto il mondo sia rimesso in ordine e ricostruito dopo le distruzioni causate da Hitler e dai suoi.”

“Ragazzini? Sono proprio delle bestie…” mormorò Jackson continuando a rastrellare con più impeto, forse pensando di sbattere il rastrello in faccia a Hitler e a tutti i suoi accoliti.

Per fortuna Ryan era riuscito a dirottare il discorso, altrimenti Mellish non avrebbe resistito ancora a lungo. Per distrarsi, si sforzò di concentrarsi meglio sul lavoro che stava facendo e sul significato che poteva avere: riportare ordine e bellezza in quei giardini poteva essere davvero una soddisfazione per lui e per i suoi amici (a parte Reiben, a quanto sembrava!) e, in effetti, era anche una metafora della ragione per la quale lui, e altri come lui, si erano arruolati. Era contento che Ryan la pensasse come lui ed era anche convinto che il capitano Miller l’avrebbe pensata allo stesso modo e sarebbe stato orgoglioso dei suoi soldati quando avesse visto che bel lavoro avevano fatto.

Trascorsero lì quasi l’intera giornata, fermandosi solo per un panino all’ora di pranzo. Volevano portare avanti il lavoro il più possibile finché era ancora giorno e poi, verso le cinque, riordinarono gli attrezzi e si guardarono attorno. Erano stati bravi, anche grazie a Ryan e Jackson che erano cresciuti in una fattoria e quindi esperti di quel genere di cose: ora i giardini avevano un aspetto del tutto diverso e anche Reiben, suo malgrado, dovette ammettere di essere fiero del bel lavoro che avevano fatto. Restava ancora qualcosa da aggiustare e sistemare, ma ci avrebbero potuto pensare la mattina dopo. Complimentandosi l’uno con l’altro, il gruppo dei giovani soldati si preparò a rientrare in albergo per farsi la doccia e cambiarsi per la cena.

Era tutta un’altra storia potersi fare una bella doccia calda in un vero bagno e non sotto le tende umidicce e fredde degli accampamenti. Mellish, poi, avrebbe avuto il bagno a sua completa disposizione, visto che Upham e Saltzmann non erano ancora tornati in camera. Un vero lusso per lui, che non si sarebbe potuto permettere neanche a casa sua dove viveva con i genitori e un fratello e una sorella adolescenti e tre bagni a disposizione (che, per quel tempo, erano già molti… ma la famiglia di Mellish era abbastanza ricca). Il giovane si prese tutto il tempo per godersi quel privilegio e si sentì sempre più soddisfatto: aveva passato una bella giornata produttiva, era fiero del suo lavoro e adesso si poteva rilassare in una vasca di acqua calda. Le preoccupazioni e i dubbi di quella mattina sembravano dissolti e, del resto, lui era convinto che Upham avrebbe spiegato tutto dettagliatamente a Saltzmann e che non ci sarebbero stati più fraintendimenti e problemi.

La cosa iniziò a sembrargli meno semplice del previsto quando, giunta l’ora di cena, non si erano visti né Upham né Saltzmann. Possibile che avessero fatto lezione fino a quell’ora? O magari c’era voluto così tanto tempo perché il tedesco non aveva voluto accettare le spiegazioni di Upham? Ad ogni modo, era appunto ora di cena e il giovane americano scese alla mensa dove si trovavano i suoi compagni e là c’erano anche Upham e Saltzmann, ma si erano seduti in fondo alla tavolata e continuavano a parlare tra loro.

Mellish si strinse nelle spalle e lasciò perdere. Era comunque contento che Upham lo avesse ascoltato e avesse deciso di aiutarlo a spiegare la situazione al tedesco.

Dopo cena e dopo qualche chiacchiera e sigaretta con gli amici, il ragazzo tornò in camera e fu proprio lì che trovò Saltzmann che lo aspettava, seduto sul suo letto, con uno sguardo triste e un’espressione delusa sul volto.

Eccoci all’acqua, pensò allora Mellish.

“Beh, mi sembra di capire che Upham ti ha parlato e ti ha spiegato quello che io non riuscivo a farti capire” disse subito, mettendo le mani avanti.

“Upham parlato con me, ma io non capire davvero” rispose l’uomo. “Noi insieme, ora tu mio Stan, io amo te. Perché tu allontanare me?”

“Io non ti sto allontanando!” esclamò il giovane, esasperato. “Upham ti avrà anche detto che sono stato bene con te e che non sono pentito. Ma quello che non voglio è sentirmi obbligato a decidere fin d’ora della mia vita futura, qui e in America. Ho ventun anni, sono libero e voglio rimanere così. Libero di essere solo tuo amico oppure libero di stare con te, ma perché sarò io a deciderlo. Possibile che tu non riesca a capirlo?”

“Capito questo, io non obbligo te a niente” disse Saltzmann, in tono pacato. Ora non sembrava più deluso, ma solo triste. Triste, però, non per se stesso. Guardò bene in volto Mellish, fissandolo negli occhi, come sfidandolo a sostenere il suo sguardo. “Ma tu rispondi a me ora: tu allontani me o allontani ricordi che non vuoi? Perché tu non dire a te stesso vero su cose successe in stanza a Ramelle quando io salvato te?”

A quelle parole Mellish impallidì e fu come se si sentisse tremare la terra sotto i piedi. Che voleva dire? Certo che sapeva cos’era successo e come lo aveva salvato: aveva sparato al soldato nazista e così lui era uscito da quella situazione terribile sano e salvo. Cos’altro c’era da sapere?

“Tu non dire a nessuno come io salvato te, tu non parlare di quella cosa con amici o tuo capitano” insisté il tedesco. “Io so perché ero lì con te, noi due soli sappiamo, vuoi allontanare me per questo?”

“Cosa sappiamo, ma cosa? Di che diavolo parli, si può sapere?” reagì il ragazzo, sempre più agitato. Qualcosa di oscuro cercava di affacciarsi alla sua mente, alla sua coscienza, ai suoi ricordi, e gli faceva paura, ma non capiva perché. Era gelido, doloroso, spaventoso…

“Tu non volere quei ricordi, ma quelli restare se non parlare di loro. Perché tu non dire mai niente a nessuno di tuoi amici o a tuo capitano?” domandò ancora l’uomo.

“Perché se ne parlo allora diventerà reale!” gridò Mellish, prima ancora di rendersi conto di quello che diceva. E la verità, quello che Saltzmann cercava di fargli ricordare e ammettere, gli piombò addosso in tutto il suo orrore.

Fine capitolo ottavo

  

 

   
 
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