Cap. 8: I am free
I
was riding on the horse of fear
The laughter of the trees
With the night wrapped around me
I went on my way
The tops of the trees dancing in the wind
The forest seems untouched and I am free
I am free, free
I am free, free
Only when the last star stopped shining
And the last snow fell
Only when will my hope die
(“I am free – Moonsun)
Mellish si sentiva parecchio scombussolato
dopo aver trascorso la prima notte d’amore con Saltzmann… o meglio, dopo aver
lasciato che lui gli facesse quello che voleva ed essersi abbandonato come se
non ci fosse un domani! Quella notte, anche per via del solito sedativo, era
piombato in un sonno profondo e aveva dormito fino a tardi il mattino seguente,
quando proprio il tedesco lo aveva svegliato con tenerezza, come se ormai lo
considerasse una specie di suo compagno
o chissà che altro.
“Tardi stamani” gli aveva detto, “io lezione
con Upham subito. Penso lui capire, ma io ora andare. Passa buona giornata, mio Stan.”
Il giovane americano era ancora mezzo
addormentato quando Saltzmann lo aveva baciato dolcemente e salutato prima di
prepararsi per la lezione e poi uscire dalla stanza; tuttavia, rimasto da solo,
aveva avuto modo di pensare a quello che era successo quella notte e la cosa lo
aveva sconvolto, non tanto per il rapporto in sé (che gli era piaciuto più di
quanto volesse ammettere anche con se stesso…), quanto per ciò che, a quanto
pare, quell’avvicinamento aveva
significato per Saltzmann. Era come se adesso l’uomo si ritenesse sposato con lui, come se avesse già
pianificato il loro futuro insieme, e questa cosa a Mellish non andava bene per
niente.
“Mio
Stan un corno, insomma” si disse, mentre anche lui si preparava per uscire.
“Va bene, siamo stati insieme stanotte ed è stato bello, ma cosa significa? Io
ho ventun anni, non mi voglio certo prendere un impegno per la vita adesso e
soprattutto in questa situazione! Sarà bene che Saltzmann se lo metta in testa,
magari dovrei farglielo spiegare nella sua lingua da Upham, tra una lezione di
inglese e l’altra.”
E così fece. Prima ancora di passare a
prendersi un caffè, corse a cercare Upham e gli chiese se, per favore, aveva
cinque minuti da dedicargli. Il caporale disse a Saltzmann che potevano fare
una piccola pausa e di andare a fare due passi o qualsiasi altra cosa volesse,
perché aveva capito che Mellish voleva parlargli a tu per tu e probabilmente la
cosa riguardava proprio il tedesco: si sentiva in colpa, era stato lui la sera
prima a lasciarli da soli in camera e chissà, magari era accaduto qualcosa che
Mellish non voleva e adesso era lì per lamentarsi. Era meglio che Saltzmann non
fosse nei paraggi.
“Tu sapevi tutto, vero? Altro che aiutare
Wade in infermeria, tu eri d’accordo con Saltzmann per lasciarci soli ieri sera”
esordì infatti subito il ragazzo.
“Beh, sì… Senti, se è successo qualcosa che
non volevi mi dispiace tanto” rispose Upham. “Io mi sono fidato di Josef, non
pensavo che potesse fare qualcosa che ti mettesse a disagio, ma forse avrei
dovuto parlarne anche con te…”
“Questo di sicuro” tagliò corto Mellish, “comunque
non ti preoccupare, non c’è stato niente di male e anzi… beh, posso anche
ammetterlo, siamo stati bene insieme. Però non è questo il punto. Il vero
problema è come Saltzmann abbia vissuto la cosa. Per lui il fatto che siamo
stati insieme una notte è qualcosa di definitivo,
un po’ come se ci fossimo praticamente sposati!
Lui immagina che ora sarà così tutte le notti e non solo qui, anche in America,
che ormai sono suo e che vivremo insieme e tutte quelle cose che dice sempre.
Io ho cercato di spiegargli che non è così automatico, ma lui non capisce, o
finge di non capire, perché a me sembra che l’inglese lo sappia solo quando gli
fa comodo. Ma tu glielo devi dire chiaramente in tedesco, così non potrà
fingere di non capire.”
Upham era confuso.
“Mellish, a dirti la verità non ci ho capito
niente nemmeno io” disse. “Hai detto di essere stato bene con lui, e allora
cosa c’è che non va?”
“Cosa c’è che non va? C’è che io ho ventun
anni e non mi voglio certo sentire legato fin d’ora con uno che conosco appena!”
esclamò il giovane, esasperato. Possibile che nessuno riuscisse a comprendere
come si sentiva in trappola? “Non so cosa farò della mia vita, non so cosa farò
quando torneremo a casa, quindi non ho nessuna intenzione di prendermi un
impegno così serio con Saltzmann né con chiunque altro al mondo, se è per
questo. Certo, continuerò a aiutarlo a integrarsi in America, sarò suo amico,
magari chissà, potremo anche continuare a stare insieme, ma solo perché lo
voglio anch’io, non perché ormai sono suo
o cose del genere. Glielo devi spiegare bene in tedesco così che non ci
siano equivoci, ci siamo capiti adesso?”
“Sì, ma… va bene, cercherò di dirgli tutte
queste cose, però è chiaro che Saltzmann ci rimarrà male e mi dispiace” ribatté
Upham.
“Beh, spiegagli che non c’è niente di
personale, è solo che io sono ancora un ragazzo, non è colpa mia se lui ha l’età
del nostro capitano, più o meno! Voglio dire, se uno come Reiben, per esempio,
conoscesse una bella ragazza francese e si piacessero e finissero a letto
insieme per un po’, mica per forza poi dovrebbe sposarla e portarsela in
America, no? E questa è la stessa cosa: siamo stati bene insieme, ma non è
detto che debba essere per sempre!”
“Ho capito, ma Josef ha già avuto una moglie
e l’ha perduta, ora immagino che stia cercando di rifarsi una vita e si è
innamorato di te, si è innamorato veramente, rimarrà davvero molto deluso”
cercò di obiettare il caporale.
“Meglio che se ne faccia una ragione subito
piuttosto che rimanerci anche peggio più avanti” replicò Mellish, lapidario. “E
poi non è mica detto che io non voglia stare con lui, è solo che ci devo
pensare, che non voglio decidere ora e che, soprattutto, non voglio sentirmi
obbligato e intrappolato.”
“Lui però ti ama veramente tanto e…”
“Senti, non mi importa come glielo dirai,
quello che conta è che tu gli spieghi bene tutto quello che ti ho detto. E
fallo subito, prima di riprendere la lezione con lui. Siamo d’accordo,
caporale?” Mellish lo fissava imbronciato.
“Va bene, va bene, farò come dici tu” si
arrese Upham.
“Okay, allora è tutto a posto. Grazie, ci
vediamo” concluse il giovane, congedandosi in fretta. Non aveva nessuna voglia
di imbattersi in Saltzmann proprio in quel momento…
Passò dalla mensa per prendersi un caffè e lì
incontrò Ryan, Reiben e Jackson. Reiben sembrava particolarmente di cattivo
umore.
“Ehi, ciao, Mellish” lo salutò Ryan. “Sono
contento di vederti, così magari puoi unirti a noi. Il direttore dell’albergo
ci ha chiesto, già che siamo qui, se vogliamo renderci utili in qualche modo e,
siccome le aiuole e i giardini sono stati rovinati nel periodo in cui questo
hotel era stato requisito come sede della Luftwaffe,
il nostro incarico sarebbe quello di potare le siepi, pulire e rastrellare le
foglie dai prati e dalle aiuole, insomma, ridare nuova vita a questi giardini.”
“Io mi sono arruolato per fare il soldato,
non il giardiniere!” brontolò Reiben. Ora si capiva la ragione del suo cattivo
umore!
“Va bene, tanto mi stavo annoiando e mi fa
piacere avere qualcosa da fare” acconsentì Mellish con un sorriso. “Tra l’altro,
anche a casa mia abbiamo un grande giardino e spesso mio padre mi chiedeva di
tagliare l’erba o cose del genere. Sarà un po’ come essere a casa!”
“Vero? Lo pensavo anch’io, anche se il mio
lavoro alla fattoria era ben più faticoso” replicò felice Ryan. “Allora,
andiamo?”
“Dare una mano a rimettere a posto i giardini
mi va bene” disse Jackson, cupo, “ma se poi il direttore dell’hotel ci chiede
di servire a tavola o rifare i letti lo mando a quel paese. Siamo Rangers in
attesa di essere rimandati a casa, non i suoi servitori!”
I giovani si incamminarono verso i giardini
con tutti gli attrezzi necessari: guanti, rastrelli, vanga, cesoie e altri
utensili. Ryan e Mellish camminavano davanti e sembravano soddisfatti dell’incarico,
mentre Jackson e Reiben li seguivano controvoglia. Reiben in particolare
sembrava un condannato al patibolo! Poco dopo, mentre rastrellavano e
ripulivano le aiuole, Mellish lanciò una battuta al compagno, divertito nel
vederlo così oltraggiato nel suo
onore di soldato scelto!
“Ehi, Reiben, vedila così: anche questo è un
modo di combattere i tedeschi. Noi stiamo rimettendo in ordine quello che i
nazisti hanno rovinato e distrutto mentre erano qui, non ti pare? Facciamo la
guerra con i rastrelli invece che con i fucili!” scherzò.
“Io preferisco sempre il mio fucile di
precisione, comunque quello che dici è vero” commentò Jackson, che lavorava
poco distante e aveva sentito le parole di Mellish. “Quelli sanno solo
distruggere, noi adesso riportiamo ordine e normalità come i nostri compagni
stanno facendo in battaglia.”
“Strano che proprio tu parli male dei
tedeschi, Mellish, visto quanto ti sei legato a Saltzmann” fece Reiben, ancora
astioso per il lavoro che era costretto a fare.
“Ti ricordo che lui mi ha salvato la vita e
che non combatte più con i nazisti, e comunque anche prima è stato arruolato a
forza. In Germania è così che funziona, sai? O vai in guerra o ti spediscono in
qualche prigione abbandonata o che so io” replicò il ragazzo. Quello era un
argomento che non voleva toccare, specialmente quel giorno!
“Oh, ma quante cose sai del tuo amico tedesco,
e lo difendi pure. Si vede che siete diventati molto intimi…” cercò ancora di
provocarlo Reiben.
“Mellish ha ragione: in Germania ti arruolano
a forza e ho sentito che prendono anche ragazzini di quattordici o quindici
anni” intervenne Ryan, sperando di cambiare argomento. Si era accorto che
Mellish era imbarazzato e Reiben non lo avrebbe lasciato in pace tanto
facilmente. “Noi qui ripariamo almeno ad una parte dei danni che hanno causato
e, quando avremo vinto la guerra, faremo in modo che tutto il mondo sia rimesso
in ordine e ricostruito dopo le distruzioni causate da Hitler e dai suoi.”
“Ragazzini? Sono proprio delle bestie…”
mormorò Jackson continuando a rastrellare con più impeto, forse pensando di
sbattere il rastrello in faccia a Hitler e a tutti i suoi accoliti.
Per fortuna Ryan era riuscito a dirottare il
discorso, altrimenti Mellish non avrebbe resistito ancora a lungo. Per
distrarsi, si sforzò di concentrarsi meglio sul lavoro che stava facendo e sul
significato che poteva avere: riportare ordine e bellezza in quei giardini
poteva essere davvero una soddisfazione per lui e per i suoi amici (a parte
Reiben, a quanto sembrava!) e, in effetti, era anche una metafora della ragione
per la quale lui, e altri come lui, si erano arruolati. Era contento che Ryan
la pensasse come lui ed era anche convinto che il capitano Miller l’avrebbe
pensata allo stesso modo e sarebbe stato orgoglioso dei suoi soldati quando
avesse visto che bel lavoro avevano fatto.
Trascorsero lì quasi l’intera giornata, fermandosi
solo per un panino all’ora di pranzo. Volevano portare avanti il lavoro il più
possibile finché era ancora giorno e poi, verso le cinque, riordinarono gli
attrezzi e si guardarono attorno. Erano stati bravi, anche grazie a Ryan e
Jackson che erano cresciuti in una fattoria e quindi esperti di quel genere di
cose: ora i giardini avevano un aspetto del tutto diverso e anche Reiben, suo
malgrado, dovette ammettere di essere fiero del bel lavoro che avevano fatto.
Restava ancora qualcosa da aggiustare e sistemare, ma ci avrebbero potuto
pensare la mattina dopo. Complimentandosi l’uno con l’altro, il gruppo dei
giovani soldati si preparò a rientrare in albergo per farsi la doccia e
cambiarsi per la cena.
Era tutta un’altra storia potersi fare una
bella doccia calda in un vero bagno e non sotto le tende umidicce e fredde
degli accampamenti. Mellish, poi, avrebbe avuto il bagno a sua completa
disposizione, visto che Upham e Saltzmann non erano ancora tornati in camera. Un
vero lusso per lui, che non si sarebbe potuto permettere neanche a casa sua
dove viveva con i genitori e un fratello e una sorella adolescenti e tre bagni
a disposizione (che, per quel tempo, erano già molti… ma la famiglia di Mellish
era abbastanza ricca). Il giovane si prese tutto il tempo per godersi quel
privilegio e si sentì sempre più soddisfatto: aveva passato una bella giornata
produttiva, era fiero del suo lavoro e adesso si poteva rilassare in una vasca
di acqua calda. Le preoccupazioni e i dubbi di quella mattina sembravano
dissolti e, del resto, lui era convinto che Upham avrebbe spiegato tutto
dettagliatamente a Saltzmann e che non ci sarebbero stati più fraintendimenti e
problemi.
La cosa iniziò a sembrargli meno semplice del
previsto quando, giunta l’ora di cena, non si erano visti né Upham né
Saltzmann. Possibile che avessero fatto lezione fino a quell’ora? O magari c’era
voluto così tanto tempo perché il tedesco non aveva voluto accettare le
spiegazioni di Upham? Ad ogni modo, era appunto ora di cena e il giovane
americano scese alla mensa dove si trovavano i suoi compagni e là c’erano anche
Upham e Saltzmann, ma si erano seduti in fondo alla tavolata e continuavano a
parlare tra loro.
Mellish si strinse nelle spalle e lasciò
perdere. Era comunque contento che Upham lo avesse ascoltato e avesse deciso di
aiutarlo a spiegare la situazione al tedesco.
Dopo cena e dopo qualche chiacchiera e
sigaretta con gli amici, il ragazzo tornò in camera e fu proprio lì che trovò
Saltzmann che lo aspettava, seduto sul suo letto, con uno sguardo triste e un’espressione
delusa sul volto.
Eccoci all’acqua, pensò allora
Mellish.
“Beh, mi sembra di capire che Upham ti ha
parlato e ti ha spiegato quello che io non riuscivo a farti capire” disse
subito, mettendo le mani avanti.
“Upham parlato con me, ma io non capire
davvero” rispose l’uomo. “Noi insieme, ora tu mio Stan, io amo te. Perché tu
allontanare me?”
“Io non ti sto allontanando!” esclamò il
giovane, esasperato. “Upham ti avrà anche detto che sono stato bene con te e
che non sono pentito. Ma quello che non
voglio è sentirmi obbligato a decidere fin d’ora della mia vita futura, qui
e in America. Ho ventun anni, sono libero e voglio rimanere così. Libero di
essere solo tuo amico oppure libero di stare con te, ma perché sarò io a
deciderlo. Possibile che tu non riesca a capirlo?”
“Capito questo, io non obbligo te a niente”
disse Saltzmann, in tono pacato. Ora non sembrava più deluso, ma solo triste.
Triste, però, non per se stesso. Guardò bene in volto Mellish, fissandolo negli
occhi, come sfidandolo a sostenere il suo sguardo. “Ma tu rispondi a me ora: tu
allontani me o allontani ricordi che non vuoi? Perché tu non dire a te stesso
vero su cose successe in stanza a Ramelle quando io salvato te?”
A quelle parole Mellish impallidì e fu come
se si sentisse tremare la terra sotto i piedi. Che voleva dire? Certo che
sapeva cos’era successo e come lo aveva salvato: aveva sparato al soldato
nazista e così lui era uscito da quella situazione terribile sano e salvo. Cos’altro
c’era da sapere?
“Tu non dire a nessuno come io salvato te, tu
non parlare di quella cosa con amici o tuo capitano” insisté il tedesco. “Io so
perché ero lì con te, noi due soli sappiamo, vuoi allontanare me per questo?”
“Cosa sappiamo, ma cosa? Di che diavolo
parli, si può sapere?” reagì il ragazzo, sempre più agitato. Qualcosa di oscuro
cercava di affacciarsi alla sua mente, alla sua coscienza, ai suoi ricordi, e
gli faceva paura, ma non capiva perché. Era gelido, doloroso, spaventoso…
“Tu non volere quei ricordi, ma quelli
restare se non parlare di loro. Perché tu non dire mai niente a nessuno di tuoi
amici o a tuo capitano?” domandò ancora l’uomo.
“Perché se ne parlo allora diventerà reale!”
gridò Mellish, prima ancora di rendersi conto di quello che diceva. E la
verità, quello che Saltzmann cercava di fargli ricordare e ammettere, gli
piombò addosso in tutto il suo orrore.
Fine capitolo ottavo