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Autore: Ghostclimber    21/05/2023    4 recensioni
Dopo la partita contro il Sannoh, Sakuragi dice a Rukawa qualcosa di apparentemente assurdo.
Servirà l'intervento di Sendoh e della sua ossessione per i film Disney per far capire a Rukawa il significato della sua frase.
HanaRu
Genere: Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SONO TORNATAAA!
/Mitsui dalla regia si asciuga una lacrimuccia di commozione/
"Ehi, niente commenti da rompicazzo, stavolta?"
"No, sono commosso, il mio retaggio rimane... sniff"

E niente, RAGA L'AVETE VISTO IL FILM? IO ANCORA STO IPERVENTILANDO CIOE'
Comunque, sommate il film al fatto che sono un jukebox umano per il mio figlioccio che a volte si calma solo se la qui presente gli canta la Disney, insomma era praticamente ovvio che ne sarebbe scaturita una delle mie boiate.

Enjoy, e se vi aggrada battete un colpo!
XOXO






Rukawa pensava che di Sendoh uno sarebbe anche potuto diventare amico.


Un bravo ragazzo, gioviale ma non insistente, capace di lasciare i propri spazi e ritmi alle persone, un sorriso che anche in caso di fallimento nel basket gli avrebbe garantito una fruttuosa carriera nel mondo delle pubblicità di dentifrici e una generosità che l'avrebbe spinto a condividere i proventi di suddetta carriera.


Ma Sendoh aveva un difetto. E pure bello grosso.


Una dipendenza apocalittica da film Disney.

Il problema peggiore? Al campo estivo della nazionale juniores, nessuno sembrava avere alcunché in contrario all'idea di passare una sera a settimana a guardare tutti i grandi classici Disney.

 

Almeno stavolta non è Cenerentola, pensò Rukawa soffocando uno sbadiglio.

Mulan poteva anche starci, se non fosse che Rukawa aveva già i coglioni sfranti dalla maratona di principesse Disney del cazzo e da una notte passata ad allucinare malissimo "Puoi Volar".

 

Rukawa guardò l'ora. A occhio e croce, si avvicinavano alla fine del film, e lode agli dèi. Alzò gli occhi in tempo per vedere Li Shang che si rivolgeva a Mulan dicendo: "Tu… combatti bene."

 

Uno strano campanello risuonò nella mente di Rukawa, che aggrottò appena le sopracciglia, ma le risate dei compagni al buffo exploit della nonna di Mulan resero vano il tentativo di Rukawa di capire esattamente quale turba psichica gli fosse appena stata risvegliata dal buon vecchio Walt Disney.

 

Fu solo ore più tardi, quando un caritatevole supervisore aveva spedito tutti a letto, ponendo termine all'ennesima rievocazione di "Molto Onore Ci Darai" che Rukawa finalmente collegò i puntini.

 

*****

 

Odore di corpi sudati, di popcorn e del detergente per il parquet del campo da gioco.

Il lampeggiare dei fulmini fuori dal palazzetto, il buio della tempesta che si stava abbattendo sopra di loro, maglie rosse sudate e t-shirt bianche e calzoni neri, una camicia immensa e capelli bianchi.

Manate sulle spalle, qualcuno che gli mette in mano una bottiglietta di Pocari, qualcun altro che gli piazza un asciugamano sulle spalle, il gomito che affondava in un fianco morbido e caldo.

Il suono della folla che smetteva di incitare il Sannoh per cominciare ad inneggiare allo Shohoku, qualche voce nota e ormai cara nel coro, riconoscibile come la porta di casa propria.

 

E altri input sensoriali: sudore più acido di quello di una persona che ha appena compiuto uno sforzo fisico, sudore di una persona che sta soffrendo.

Altro rosso, una divisa dello Shohoku, zuppa di sudore, la macchia bianca dell'asciugamano intorno al collo e un ciuffo di capelli a spazzola di un rosso quasi arancione.

Una mano calda, quasi febbricitante, grande e forte, callosa negli stessi punti in cui sono callose le mani di Rukawa stesso, sudata da fare schifo, che si chiudeva intorno al suo polso.

Occhi castani nei suoi, sopracciglia folte aggrottate in un'espressione quasi disperata, e un filo di voce strozzata: "Tu… giochi bene a basket."

 

Null'altro, poi.

Sakuragi aveva ceduto al dolore, aveva perso i sensi e la mano era ricaduta al fianco della barella su cui giaceva e un paramedico l'aveva appoggiata sul suo petto.

Le luci dell'ambulanza che si accendevano, il tonfo dello sportello posteriore che si chiudeva, poi ogni rumore cancellato dal canto disperato della sirena.

Anzai che piombava a sedere su una panchina, le mani a coprirgli il viso.

Mitsui che correva da lui insieme ad Akagi, entrambi pronti ad aiutarlo in caso di necessità.

Ayako e Kogure, abbracciati a trattenere le lacrime.

Il resto della squadra lì in piedi, in silenzio, tutti con l'aria di non sapere esattamente che farsene del proprio corpo, della propria mente, del tempo del dubbio fin quando l'ospedale non avrebbe chiamato per aggiornarli sulle condizioni di Sakuragi.

Haruko, in piedi sotto la pioggia a guardare la curva dietro la quale l'ambulanza era sparita, le sue amiche un paio di passi indietro, incerte.

Mito e gli altri ragazzi, ridicoli in quel modo che sembra spezzarti il cuore, rimpiccioliti a bambini nei loro vestiti di tutti i giorni, con ancora in mano i giornali arrotolati e le bottiglie con dentro delle monetine che avevano usato per fare casino durante la partita.

Hotta che arrotolava il suo stendardo per Mitsui con aria assente: non era il momento di celebrare.

Lo Shohoku aveva sconfitto il Sannoh, ma a quale prezzo?

E lui, Rukawa, quanto era responsabile? Non era stato proprio lui a invitare Sakuragi a "seguirlo come se ne andasse della propria vita"?

Che frase del cazzo.

Dèi, che frase del cazzo!

Forse aveva ragione Sakuragi a chiedersi chi cazzo Rukawa si credeva di essere.

 

Una mano sulla spalla, Miyagi: "Ce la farà," stava dicendo, per poi tentare una battuta, "Ci vorrà ben più che questo per levarcelo dalle palle!"

"Nh," l'unica risposta che Rukawa era riuscito a trovare.

 

L'Aiwa li aveva poi asfaltati con la facilità con cui si calzano un paio di ciabatte appena alzati dal letto.

Sakuragi avrebbe parlato di vittoria sleale, e forse sotto un certo punto di vista lo era: l'ospedale aveva chiamato, riferendo che Sakuragi avrebbe dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico e poi essere ricoverato per almeno un mese in un centro di riabilitazione.

Se tutto fosse andato per il meglio, forse sarebbe potuto tornare in campo, ma non prima della fine dell'anno.

Forse.

Lo Shohoku era sceso in campo con meno dubbi del giorno prima, ma con un extra di preoccupazioni: il best case scenario, Sakuragi che doveva essere legato alla panchina dopo aver scoperto di aver solo stirato male un paio di muscoli, era definitivamente eliminato. Il worst case scenario, invece, era ancora lì in un angolo della scena, come il coro greco in una tragedia; e mentre Akagi saltava per il confronto a due, a pochi chilometri da lì un bisturi stava forse già incidendo la pelle di Sakuragi.

L'Aiwa aveva proprio sparato sull'ambulanza, quasi alla lettera.

 

*****

 

Rukawa si alzò a sedere nel futon; nell'altro letto della stanza, qualcuno di cui Rukawa non si era disturbato a imparare il nome russava piano, ma per il resto era tutto immerso nel silenzio. Forse, tendendo l'orecchio Rukawa avrebbe potuto sentire appena appena i primi cinguettii degli uccellini più mattinieri, ma la sua attenzione non era rivolta al presente.

"Tu… giochi bene a basket."

Era stupido.

Molto stupido.

Non che Sakuragi invece sia un pozzo di scienza, borbottò una voce sarcastica dal fondo della mente di Rukawa.

Ma se fosse stato anche vero?

Di cose stupide al mondo ce n'è per tutti, dopotutto.

In primis, non era stupido che Sakuragi si fosse ritrovato con tre ernie da rimettere a posto proprio quando stava cominciando ad essere un compagno affidabile?

Non era stupido che lo Shohoku fosse dovuto scendere in campo invece di starsene a rompere le scatole in sala d'attesa all'ospedale?

Non era stupido che…

 

"Oh, al diavolo." bisbigliò Rukawa, gettando da un lato il lenzuolo che si era tenuto addosso tutta notte solo perché notoriamente protegge da mostri e serial killer (e se qualcuno stesse prendendo appunti, che aggiungesse anche questo alla lista delle cose stupide che però funzionano).

Prese un paio di calzoncini dall'armadio e una canottiera completamente a caso, infilò calze e scarpe e corse fuori, verso la spiaggia.

Verso il centro di riabilitazione dove già più volte aveva intravisto Sakuragi.

 

Quando arrivò, Sakuragi stava camminando lentamente sul bagnasciuga, un paio di calzoni leggeri arrotolati fin sotto al ginocchio e una maglietta che sembrava cadere in maniera strana sul suo torso muscoloso; Rukawa rallentò di colpo, realizzando che probabilmente Sakuragi doveva portare un busto.

 

"Ciao, Volpe, sei tornato a schiaffarmi in faccia quanto sei bravo?" chiese Sakuragi, senza neanche voltarsi. La sua voce suonava così spenta e demotivata che Rukawa dovette prendere il respiro un po' di volte prima di riuscire a parlare con voce salda.

"Veramente, passavo a vedere come stavi. Ma se devi fare lo stronzo torno indietro." Sakuragi sbuffò una risata.

"Ma fai sul serio?"

"Nh."

"Beh."

"Quindi?" chiese Rukawa.

"Quindi cosa?"

"Come stai?" Sakuragi si fermò, e si voltò con cautela per guardare in faccia Rukawa. Sembrò scrutarlo per cercare di capire se ci fosse qualcosa sotto, poi fece un gesto con la mano come a dire così così.

"L'intervento è andato bene. La fisioterapia prosegue bene. Potrei tornare a giocare già a settembre, se continuo a fare il bravo e se evito di stare in campo tutto il tempo."

"E allora cos'è quella faccia?"

"Quale faccia?"

"La tua."

"Che ha che non va la mia faccia, eh?"

"Ha che sembri uno che ha ricevuto pessime notizie."

"Beh, sì, insomma…"

"Cosa?"

"Minchia, Rukawa, ti ha punto l'ape della fretta o che cosa?" Rukawa accelerò il passo per bloccare Sakuragi e lo prese per le spalle. Decise coscientemente di ignorare il suo sguardo perplesso e confuso e chiese: "Che ti prende?"

Sakuragi esitò per un minuto buono, infine rispose a mezza voce: "Non so se riesco."

"Idiota. Perché non dovresti?"

Finalmente, un riflesso del vecchio Sakuragi rompiscatole e polemico emerse: "Ma perché cazzo, dai, guardami! Faccio le cose a cazzo di minchia, l'ho sempre fatto, imito la gente perché sono troppo stupido per sedermi a studiare come le devo fare, e non negare! Lo so per certo, perché qui dentro non c'è mai niente da fare quindi ho preso un manuale di basket e ho capito così poco che a momenti disimparo a palleggiare! Solo che con sei chiodi nella schiena a quanto pare devi smetterla di fare le cose a cazzo di minchia, devi pensare prima di muoverti, e mi spieghi come cazzo posso riuscirci?"

"Idiota."

"Bella risposta, Rukawa, cazzo, certe volte la tua eloquenza mi lascia davvero sbalordito." Rukawa si fermò e gli lanciò un'occhiata di sghimbescio: "Hai letto dei libri?"

"Sì, con e senza le figure, perché?"

"Perché non ti esprimi a grugniti."

"E lo vedi che sei stronzo? Adesso ho voglia di menarti, ma mi hanno detto niente risse fino almeno a ottobre. Di' la verità, sei venuto a cercare di sabotare il Genio!" Rukawa non poté trattenersi. Si lasciò sfuggire uno sbuffo di risata.

"Oh cazzo, ora è pure umano!" berciò Sakuragi.

"Quello mai." rispose Rukawa, e per un istante furono solo loro e il sole che si alzava, insieme a condividere un sorriso che apparteneva solo a loro.

Un momento piccolo eppure potente, come il cinque che si erano scambiati dopo la partita contro il Sannoh.

 

Ripresero a camminare piano lungo la battigia, a debita distanza perché Rukawa non voleva bagnarsi le scarpe.

Rukawa si leccò le labbra più volte, cercando un modo per cominciare un discorso, ma quel metro e mezzo tra loro sembrava gelargli le parole in gola.

Finalmente, prese una decisione: si tolse scarpe e calze, le prese in mano e si avvicinò a Sakuragi. Camminarono insieme, stavolta fianco a fianco, le mani che quasi si sfioravano, ancora per un paio di minuti, poi Rukawa disse: "Non ti serve metterti a studiare la teoria. Le regole, quelle sì, ma non ti serve un cazzo di libro per giocare a basket."

"Rukawa, ma se ti ho appena detto che…"

"Ho un'idea migliore." Sakuragi sospirò: "Sentiamo questa meravigliosa idea."

"C'è un giocatore dei Bulls, Dennis Rodman. Il tuo stile di gioco ricorda molto il suo, ed è uno dei migliori pivot dell'NBA."

"Okay, hai la mia attenzione."

"A me i Bulls piacciono parecchio."

"L'avevo intuito, non so come."

"Questo significa che ho molti video dei Bulls."

"Stai dicendo…"

"Se impari per imitazione, potresti venire da me a vedere qualche video con Rodman. Imitare lui."

"Rukawa, io…"

"Solo." Rukawa avrebbe voluto usare una di quelle parole che risuonano come sospese, come quando i presentatori dei talk show introducono qualche ospite per cui il pubblico urlerà, ma la tensione gli soffocò il finale di frase.

Sakuragi si fermò e si voltò a guardare Rukawa, che restituì lo sguardo cercando di forzarsi a non mostrare la minima emozione. Si sentiva al tempo stesso potente e vulnerabile, lì a sentire la sabbia anche gli scivolava da sotto le dita e l'acqua del mare che gli lambiva le caviglie, sul tetto del mondo e di fronte a un bersaglio.

"Se vieni a vedere i video dei Bulls, credo che poi… che ti chiederò se vuoi restare per cena." Sakuragi sgranò gli occhi. Le sue pupille si dilatarono nonostante la luce del giorno fosse già intensa, mentre le sue guance si tingevano di rosa.

Rukawa capì di averci visto giusto, e a voce molto bassa aggiunse: "Oppure per sempre."

"Non hai una nonna che lo faccia per te?" chiese Sakuragi. La sua voce tremava, ed era quasi inudibile nel rumore della risacca.

"Ce l'ho, ma è un po' tocca, si dimenticherebbe la battuta."

"Capisco…"

"Quindi?" chiese Rukawa.

Sakuragi gli si avvicinò di un passo. Non erano mai stati così vicini senza la scusa di prendersi a cazzotti, e per Rukawa fu l'ultima goccia.

Quando Sakuragi alzò una mano a sfiorargli il braccio, Rukawa si protese in avanti e lo baciò aggressivamente.

Sakuragi ci mise poco a riprendersi dalla sorpresa: il suo bacio era come lui, inesperto ma appassionato, aggressivo, deciso a mostrare quanto anche lui ce la potesse fare, e pure meglio di un sacco di altri stronzi, grazie tante.

Rukawa passò le braccia sotto a quelle di Sakuragi e gli cinse piano la vita, mentre la sua lingua si faceva strada tra le sue labbra.

Si baciarono in piedi, le scarpe di Rukawa penzolanti dalle sue dita informicolate che toccavano piano le natiche di Sakuragi, le mani calde ma stavolta asciutte di Sakuragi che tenevano il viso di Rukawa come a farne da coppa e rifugio, a impedirgli di allontanarsi; la pacata disperazione del suo tocco, quasi come se fosse convinto che quello altro non era che un sogno che sarebbe svanito un po' di più ad ogni passo che lo allontanava dal letto, era palpabile nel tremore appena accennato del suo corpo.

Sakuragi tremava sempre quando desiderava fare qualcosa, e Rukawa sentiva che una parte si sé l'avesse sempre saputo; per un attimo si sentì spaventato nel comprendere quanto quel rumoroso, fastidiosissimo ragazzo gli fosse entrato sotto la pelle, poi si lasciò di nuovo andare al bacio.

 

Un gabbiano stridette, da qualche parte sopra di loro, e Sakuragi e Rukawa si separarono con un sussulto.

"Cazzo, brutto uccellaccio mangiaspazzatura di merda. CREPA, BASTARDO!" sbraitò Sakuragi.

Rukawa controllò l'orologio e disse: "Cazzo."

"Devi rientrare?"

"Dovevo farlo mezz'ora fa, in effetti."

"Beh, io sono sempre qui."

"Torno."

"Ci conto. Su tutto." Rukawa depositò un ultimo bacio di commiato sulle labbra di Sakuragi e si mosse verso la direzione da cui erano arrivati.

Dopo un paio di passi, si fermò e si voltò: "Ehi."

"Eh?"

"Anche tu giochi bene a basket." disse Rukawa, poi corse via.


 
   
 
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