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Autore: Desperatestudent99    21/05/2023    0 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore][Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]Ricomincio da dove ci siamo lasciati. Ho tenuto anche la seconda pt della seconda stagione come canon per semplicità eccetto il fatto che Calogiuri abbia scelto in autonomia di modificare il tragitto: in questa storia ciò non avviene, ma le macchine durante il trasferimento subiscono un agguato in cui il cecchino dapprima spara alle ruote, poi a loro.
Inizialmente i capitoli erano divisi diversamente, poi ho accorpato i capitoli "originari" 1&2 e 3&4 per motivi di lunghezza (la divisione andrebbe fatta alla fine in effetti.
Enjoy e recensite, ogni critica è benvenuta!
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Lunedì 3 luglio
Il rumore dei tacchi che pestavano il pavimento lucido rimbombò per il corridoio del Madonna delle Grazie, all'ora della'alba quasi deserto. Si fermò di fronte ai due ascensori di metallo argenteo. Sulle porte di uno di essi, campeggiava un cartello giallo recante la scritta nera "guasto". La dottoressa alzò gli occhi al cielo: Dio non voglia che per una volta funzioni tutto come dovrebbe in Italia. Pigiò il pulsante rotondo per chiamare l'altro ascensore, aspettandosi ci impiegasse del tempo per scendere al pian terreno, e invece le porte si aprirono. Entrata, premette il tasto per il primo piano, e quando le porte si chiusero rumorosamente il suo cuore sobbalzò. L'insonnia di quei giorni aveva cominciato davvero a provarla mentalmente, oltre che fisicamente: la sua testa aveva molte virtù, ma ancora mancava di un interruttore acceso/spento che le consentisse di decidere se e quando preoccuparsi. In una manciata di minuti, uno dei pochi affiliati alla mafia che avevano arrestato era stato ucciso, e un carabiniere sotto sua responsabilità era stato ridotto in fin di vita. Che poi che cavolo c'aveva nella testa dico io, dimenticarsi così il giubbotto antiproiettile... non è da lui. 

L'ascensore sussultò per un secondo, poi le porte si aprirono su un altro corridoio deserto. Andò a destra, come le aveva indicato Capozza, e superò la porta tagliafuoco color carta da zucchero. Con lo sguardo cercò a destra e sinistra una porta sorvegliata da un dipendente dell'Arma ma non vide nessuno. 
Mo che fine han fatto questi? Frugò nella borsa e ne tirò fuori il cellulare, e compose il numero dell'appuntato. 

Rispose una voce dall'accento romagnolo. "Dottoressa, mi dica pure"

Si curò di moderare il tono di voce. "Bartolini scusi l'ora, ma in che camera stava Calogiuri?" 

"Guardi dottoressa, il numero della camera del maresciallo non lo ricordo, ma sicuramente la riconosce dal collega in piedi lì fuori"

"Mi piacerebbe Bartolini, ma qua non c'è nessuno proprio, manco a pregare; ma chi è che era di turno fino alle 7?"

"Mi pare De Magistris... mi sembra strano dottoressa, un collega dovrebbe stare fuori la camera, e uno fuori la porta del corridoio del reparto, subito dieci metri a sinistra delle scale e degli ascensori."

Il pubblico ministero si prese un secondo per chiedersi se avesse sentito bene. "Bartolini, a sinistra hai detto?" girò i tacchi e ritornò sui suoi passi fino al punto da cui era arrivata.
Voltato l'angolo vide un uomo in divisa che si mise sull' attenti quando la vide. "Capozza neanche un semplice destra o sinistra sa dire, manco quello proprio!"

La giovane al telefono sembrò confusa a giudicare dal suo tono di voce. "Come?"

"Niente Bartolini, sproloquio mio. Grazie, a dopo". Chiuse la chiamata e oltrepassò la porta tenutale aperta dal carabiniere. 

Vide De Magistris impalato come uno spiedino davanti alla porta antistante il banco delle infermiere.
Stava per salutare l'appuntato quando una voce femminile alle sue spalle la fece voltare. "Dottoressa Tataranni? Mi hanno avvisata che sarebbe passata, prego mi segua." 

Fecero pochi passi fino alla porta accanto quella della camera. Ormai aveva familiarità con la procedura, Calogiuri in pochi giorni era uscito e rientrato in terapia intensiva. 
Consegnò all'infermiera la borsa e il cellulare, si lavò le mani e per ultimo si infilò dei guanti e un camice usa e getta con cuffietta in tinta. Intravide il proprio riflesso nel vetro che separava la camera dallo spazio adibito alle procedure di sanificazione. Le occhiaie solcavano il suo volto, e la stanchezza accentuava le linee che marcavano la sua pelle. "Una befana proprio", allargò le braccia in maniera teatrale. Sfilò una mascherina dal contenitore apposito, la aprì e se la allacciò.

"Dottoressa!" la voce squillante dell'infermiera interruppe il suo pensiero. "Non dimentichi i copricalzatura!"

Si  guardò i piedi, ed effettivamente i suoi tacchi leopardati non erano ricoperti. "Giusto, scusi".
L'infermiera sorrise e sparì, mentre Imma rivestì della plastichina azzurra le sue belle scarpe. Realizzò che anche solo quella dimenticanza avrebbe potuto destabilizzare ancora la salute già precaria del maresciallo e si i bloccò lì dov'era, chinata e con la mano prossima al piede. Deglutì a fatica al pensiero che sarebbe bastato così poco per metterlo in pericolo più di quanto già non fosse. Scosse la testa e controllò di essersi effettivamente ricoperta tutta. Sembro un pinguino costi affari. Si avvicinò alla porta scorrevole che subito si aprì.

C'era un'aria di tensione e di pace allo stesso tempo nel silenzio della stanza, e il solo suono che poteva sentire era il lento e costante segnale acustico del monitor cardiaco a cui era collegato il maresciallo.
Non aveva mai visto una camera d'ospedale con tanto spazio, sebbene escludendo il letto sembrasse più l'officina di un elettricista che una stanza di terapia intensiva.  Le uniche cose ingombranti lì dentro erano un comune carrello ospedaliero e un macchinario del quale ignorava lo scopo, ma a giudicare dai tubi ordinatamente arrotolati sopra di esso doveva essere un respiratore. Una striscia di muro poco sopra il letto era costellata da quelle che erano una sorta di prese per la corrente e per l'ossigeno, di lì vari fasci di cavi ordinati si immettevano nei più disparati aggeggi elettronici. Pose lo sguardo un po' più sotto.
 Due aste argentee per le terapie ad infusione spiccavano vicino al cuscino direttamente dal letto, che così si stagliava dallo sfondo sembrando un mesto baldacchino. Non pensare a quello, non siamo affatto a quel punto. 

Inspirò a pieni polmoni, gonfiando l'addome. Quei giorni non le veniva facile placare le sue ansie. Certo, non serviva una laurea in medicina per sapere che una ferita d'arma da fuoco non si sposava bene con una polmonite contratta in ambito ospedaliero, ed era sufficiente a farsi prendere dalle peggiori ansie. Avrebbe voluto avere qualche competenza in più, però, per avere la completa contezza della gravità o meno dello stato di salute del suo collega passo dopo passo. Per conoscere meglio o perché così avresti tutto sotto controllo anche questa volta? Sgranò gli occhi per il pensiero che la aveva colta impreparata. Nelle settimane scorse si era abituata a sentirsi così.

Avanzò di un passetto, ma restò lì, immobile e in piedi a più di un metro dal letto a guardare il pavimento lucido. Credeva che a quel punto la parte difficile sarebbe già stata affrontata, entrare lì. Prima di arrivare, aveva potuto chiamare per informarsi sulle condizioni del maresciallo, camminare nervosamente in procura o affrettarsi per arrivare fino all'ospedale. Prima era in grado di fare qualcosa. Ora che aveva varcato la porta ed era rimasta sola con il quasi perfetto silenzio della stanza, non sapeva più che fare con il proprio corpo. Si sentì inerme di fronte a tutta la propria impotenza a cui quella situazione la aveva consegnata.
Doveva uscire da quell'immobilismo: alzò il capo e con due lunghi passi arrivò allo sgabello blu scuro posto a fianco del letto e ci si sedette. Le servì racimolare il coraggio sparpagliato in ogni anfratto della sua anima per sollevare gli occhi e finalmente guardarlo.
 Il pugno allo stomaco non tardò ad arrivare quando lo vide. Le sembrò cullato da un sonno profondo, e respirava così piano che avrebbe voluto mettergli una mano sul petto per accertarsi che si stesse sollevando ed abbassando come doveva. Non era più pallido del solito, e questo la rincuorò; sul viso era comparsa una cortissima barbetta che lo faceva apparire ancora più giovane. 

Un colpo di tosse interruppe la sua fase di contemplazione, e l'illusione che Ippazio stesse solo dormendo e non fosse in ospedale si schiantò per terra e si ruppe in mille pezzi. Ebbe l'impulso irrefrenabile di toccarlo, e si mosse in avanti, appoggiando la mano sul materasso di fianco al suo braccio. Quando stava per posarla su di lui, si accorse che sull'avambraccio il tubicino di una flebo ben fissato alla pelle, mentre un altro sbucava dall'accesso venoso sul dorso della mano. Il dito indice era coperto da un saturimetro grigio, dal quale scendevano un altro paio di fili. Dei cavetti colorati uscivano da sotto il camice ed erano collegati al monitor dall'altro lato del letto e la plastica trasparente della cannula nasale risaltava sul suo viso.
Riguardò tutti i fili e i tubi che entravano o uscivano dal suo corpo e le si inumidirono gli occhi. Come ti hanno ridotto, Calogiù? Fece per stringergli la mano con tutta la sua forza, poi si ricordò che lì gli era stato inserito un ago. Una lacrima sfuggì al suo controllo e si infilò sotto la mascherina. Rinunciò a stringerlo come avrebbe voluto e cominciò ad accarezzargli l'interno del polso con le dita, disegnando cerchi immaginari sulla sua pelle candida. Provò un moto di irritazione nel non poter avere nemmeno il contatto pelle a pelle, e si sarebbe tanto volentieri strappata quei cavolo di guanti, ma servivano a proteggerlo. Alzò gli occhi al cielo, cercando di ricacciare indietro un'altra lacrima ribelle. Imma, cerca di riaverti.

Quando riabbassò gli occhi, vide due pozzi azzurri che la guardavano ricoperti da un velo trasparente. "Dot-" la parola gli morì sulla bocca e una forte tosse lo costrinse a sedersi più ritto sul letto. 

La pm balzò in piedi e gli si avvicinò "Calogiuri, devo chiamare qualcuno?" Lui fece cenno di no con la testa, ma lei restò in piedi, pronta a scattare. Dopo una manciata di secondi, l'attacco di tosse cessò, lasciando il carabiniere ansimante e quasi piegato su se stesso. 

Gli passò una mano su e giù sulla schiena, e la lasciò lì. Attese ancora qualche secondo. "Passato?"

Calogiuri annuì. Alzò la testa e parlò con un filo di voce: "Mi passereste l'acqua?".

"Certo". Era ben contenta di poter fare qualcosa invece che stare imbambolata e incapace di fare alcunché. Senza spostare la mano si guardò attorno, e vide un bicchiere di carta sul carrello. Lo recuperò e glielo pose. Con il braccio non coinvolto nell'operazione, Calogiuri si portò alla bocca la cannuccia rosa. 

 Si allungò verso la sua sinistra e posò il bicchiere sul tavolino. "Grazie" Le abbozzò un sorriso dei suoi, quelli colmi di gratitudine tanto da sfiorare la devozione.

 Trafficò col comando del letto e lo sistemò in posizione quasi seduta, poi riprese a guardarla. "Che ore sono?" la guardava con quegli occhi da cerbiatto, sbattendo le palpebre lentamente. 

La dottoressa girò l'orologio il cui quadrante era scivolato sull'interno del polso. "Sono quasi le sei del mattino." Registrò solo in quel momento che fosse così presto: si era svegliata alle tre, per lei era quasi ora di pranzo. "Non volevo svegliarti, scusami".

"No, dottoressa figuratevi, non siete stata voi... mi sveglio di continuo - fece una pausa e tossì ancora - non riesco molto a riposare, il giro visite comincia la mattina presto e l'infermiera passa ogni ora. Sono solo un  poco stanco".

Imma provò ulteriore senso di colpa, già era sconvolto, si vedeva, e lei andava a quell'ora, che poi manco avrebbe potuto, a dirla tutta. "Hanno fatto un'eccezione in reparto e mi hanno lasciata venire ora, così prima di andare in procura, che la sera poi chissà a che ora finisco!"

Lo vide sorridere, come sempre. Avrebbe ripreso ad accarezzarlo, per poterlo vedere riaddormentarsi così,  ma sospettò si trattasse di un'idea diabolica che le avrebbe procurato il biglietto di sola andata verso l'ignoto. Cominciò a tormentarsi il vestito, non sapendo cosa fare con le mani. Si fece seria. "Come ti senti?"

"Diciamo che mi sono sentito meglio, però me la cavo". 

Certo che neppure la morfina lo cambiava a lui, mai una lamentela, e ne avrebbe avute di buone ragioni per lamentarsi. A giudicare dalla nota di preoccupazione che tinse la sua domanda non stava avendo grande successo nel contenere il suo nervosismo. "La ferita?"

"La tosse non aiuta a stare fermi, e ormai mi hanno tolto la morfina da qualche giorno... - vide i suoi occhi perdersi nel vuoto e tornare subito su di lei - ma voi? Voi come state? A me hanno sparato, ma avete l'aria più stanca di me."

La dottoressa scosse la testa con finta riprovazione. "Calogiuri, tu sì che sai come lusingare una donna!"

Il maresciallo divenne paonazzo "Ma no dottoressa, scusate, è che-"

Gli posò una mano sulla spalla per rassicurarlo. "Calogiù sto scherzando".

Il giovane carabiniere rilassò la postura. "Non mi avete risposto, però".

Dopo due anni che lavorava al suo fianco, Immacolata giunse alla conclusione che il suo sottoposto non avrebbe mai finito di sorprenderla. Lui stava in un letto in degenza chirurgica, ma chiedeva a lei come stava. Il maresciallo era sicuramente più coraggioso di lei, che anche solo al sentire la sua tosse aveva avuto la tachicardia. 

"Sto bene, non ti devi preoccupare per me. Molte cose per la testa."

Sembrò soddisfatto della risposta, e annuì. Rimasero in silenzio, ognuno coi propri pensieri, ma si sorrisero. Per la prima volta in più di una settimana si sentì a casa.
   
 
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