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Autore: Mairyelf    22/05/2023    0 recensioni
Eliana è una donna dalle ali di drago: ardofili, li chiamano quelli come lei. Vive con suo fratello minore e altre centinaia di creature disgraziate nelle viscere umide e buie di un monte vecchio come il mondo, confinata fino a quando non avrà guadagnato abbastanza soldi da meritare la luce. Eliana lavora da una vita. Minatrice, operaia, mercenaria: si è sporcata le mani con la terra e con il sangue, ma la libertà sembra ormai vicina. O così crede.
Alisea è una donna dalle ali di farfalla: fate, le chiamano quelle come lei. Vive con le sue quattro sorelle in un palazzo con mura di cristallo e tende di seta, tra agi e responsabilità. Alisea è l'erede al trono del suo regno, in competizione con le sorelle da una vita: solo la più bella, più aggraziata, colta e scaltra fra loro potrà diventare regina. Alisea si impegna a dimostrarsi la migliore da tutta la vita e ormai la corona sembra a un passo da lei. O così crede.
Perché la vita è sempre piena di imprevisti, che possono prendere le sembianze del tagico crollo di una miniera o di un re venuto da lontano, che pretende la mano di una regina che non ama.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tre settimane prima
Sotto il Monte Candus, nei pressi di Clivis,
11 settembre, 25 post-Rivolta.
 
Eliana trascorse la soporifera mattinata successiva al suo arrivo a svolgere il proprio lavoro: controllare carichi, pesature, ricavi e tabelle fitte di numeri che neppure sapeva leggere. Le era stata mostrata l’organizzazione della miniera, delle paghe dovute, il numero di operai e tutta una serie di cose che teoricamente avrebbe dovuto riferire al proprio committente, ma che in pratica aveva solo finto di ascoltare e appuntare.
La sua attenzione si era risvegliata solo nel momento in cui le erano stati mostrati i turni di lavoro dei minatori. Vi erano in totale sei squadre che scendevano nelle profondità del monte a due a due e ogni dieci giorni circa tornavano in superficie a riposare e dare il cambio alle altre. In tutto l’accampamento c’erano un fos, Vega, e tre mezzi fos: il loro compito era quello di accompagnare tutte le missioni per fare luce ai minatori. Non appartenevano a una squadra specifica, ma si davano il cambio quando serviva. Notò come Vega coprisse la maggior parte dei turni di notte, ma soprattutto come Petro fosse nella lista.
 
«Necessito di vedere i contratti» ordinò allora e l’ennesimo elenco non tardò ad arrivare. Ovviamente, chi aveva programmato quella spedizione non aveva speso più dello stretto necessario: il contratto era uno solo, scritto a inchiostro su un foglio che doveva aver visto decine e decine di mani e portava sul fondo altrettante firme disposte a caso. Non mancavano una manciata di croci fatte dai lavoratori analfabeti.
L’ardofila si prese il proprio tempo per leggere tutte e cinque le righe del contratto, ignorando i sospiri spazientiti dell’orade che si era offerto di aiutarla. Non si faceva alcun tipo di menzione alle fate, esclusion fatta per l’imposizione di recapitare al forte di Clivis la metà del materiale estratto.
Piuttosto prevedibilmente, tutti gli organizzatori della spedizione si erano sollevati da qualsiasi responsabilità in caso di lesioni o danni nei confronti dei lavoratori. Si rigirò i fogli con le firme tra le mani, più e più volte, faticando a decifrare quell’intreccio di caratteri sconnessi, e infine lo trovò: Petro di Petra, firmato in nero con una grafia tremolante a lei familiare.
Eliana si lasciò sfuggire una smorfia. Lo ricordava ancora, Petro, quando non voleva saperne di imparare neppure quattro lettere. Aveva combattuto per giorni affinché scrivesse quantomeno il proprio nome e lui si era dimostrato testardo già all’epoca: firmarsi voleva dire per lui accettare quel nome che la strada stessa gli aveva affibbiato, accettare di essere il povero orfano abbandonato, cresciuto da solo nei vicoli di Petra, che doveva il proprio nome a una città piuttosto che a un genitore.
Eliana sapeva per esperienza che non sarebbe stato difficile scegliersi un nome diverso, ma non glielo aveva mai proposto: era convinta che dovesse venire da lui.
Lei era cresciuta come Eliana di Pioniera e aveva versato sangue, sia proprio che altrui, affinché tutti si riferissero a lei come alla Guercia, e così anche Petro avrebbe dovuto trovare il coraggio di farsi valere per conto proprio.
Il giovane dimedio, però, non era come Eliana: non aveva l’interesse né il coraggio necessari a prendersi una nuova identità con la forza.
«Ci ho pensato. Se non fossi finito in strada, non ti avrei mai incontrata» le aveva detto la stessa mattina in cui lei lo aveva scoperto con un bastone in mano a scrivere il proprio nome nella terra. «Non fosse stato per questa città, oggi non sarei nulla».
Tutto sommato, all’epoca era stata orgogliosa della scelta del fratello, ma quel giorno, con quel contratto tra le mani, desiderò di non avergli mai insegnato a scrivere.
Ricacciò il foglio nelle mani del Neorade.
«Attenderò il rientro della spedizione prima di ripartire» pontificò senza dare alcuna spiegazione e si allontanò.
 
*** 
 
Sotto il Monte Candus, lato Orade,
15 settembre, 25 post-Rivolta.
 
I canti a squarciagola dei Neoradi la tirarono giù dal letto facendole sbattere la fronte sulla dura pietra sopra di lei. I giacigli in quel posto osceno erano loculi incavati nel muro, con a malapena lo spazio necessario a dormire su un fianco.
Eliana, che in quei giorni aveva già maledetto tutto il maledicibile, ricominciò da capo la lista. «In malora Petro e i suoi capricci da ragazzino. In malora la casa nei campi. In malora queste miniere e la gente che la mattina non sa stare zitta!»
«Ma come, a differenza di ieri e dei giorni precedenti, questa mattina non apprezzi i canti dei minatori?»
«E in malora pure tu!»
Vega scoppiò a ridere, infilando la testa tra le tende di pelle che separavano il giaciglio di Eliana dall’esterno. L’ardofila dovette pararsi l’occhio buono con un braccio a causa della luce troppo intensa e improvvisa.
«Ogni tanto potresti provare a non accecare l’unico occhio buono che mi resta?» Sbottò.
«Sono un fos, funziono così…»
«Lo so cosa sei. Togliti dal mio spazio vitale!» ordinò, cacciandolo fuori con una pedata.
«E io che ero venuto a portare buone notizie» piagnucolò lui.
«Quanti anni hai, tre?» Sbottò l’ardofila, saltando fuori dalla cuccetta per sgranchirsi gli arti.
«Cinquanta» rispose lui, quasi canticchiando. «Ma a noi fos piace prenderla con comodo… Sono ancora un ragazzino! Corrisponderanno, non so, a venticinque dei vostri?»
«Hai comunque cinquant’anni» lo freddò Eliana.
«Sì, ma fisico e mente si sviluppano diversamente e anche la mia percezione della re-» Vega si rese conto dello sguardo dell’ardofila. «Va bene, va bene. Come siamo suscettibili…»
«La gente normale, alla tua età, ha una famiglia a cui badare e non bighellona per le miniere a infastidire chi lavora sul serio. Giusto, dimenticavo… Sei un fos.»
La luce di Vega vacillò per un istante, ma si riprese immediatamente. «Mh, non sapevo fossi così tradizionalista oltre che razzista, Ely. E in ogni caso, nemmeno tu mi sembri tanto giovane, no?»
Eliana strinse i pugni. «Ti taglio la lingua.»
«Un giorno mi dovrai spiegare tutto questo astio nei miei confronti» borbottò Vega.
«Non sei tu il problema; tutta la tua razza lo è» sbottò. I dedali rocciosi del Candus erano pieni di dimedi bastardi lasciati indietro dai fos: i più fortunati venivano cresciuti dall’altro genitore, i rimanenti venivano abbandonati a morire o a farsi adottare da qualcun altro. Petro ne era un esempio. I fos non si erano mai schierati in nessun conflitto, non avevano famiglia, né legami né una nazione loro, né tantomeno un codice morale. Esistevano per esistere e l’unica cosa che sapevano fare era divertirsi creando scompiglio nelle vite altrui.
«Sì, decisamente razzista», bofonchiò Vega. «Ma, dopotutto, non è che la gente possa scegliere cosa nascere». Poi si zittì e uscì mogio dalla stanza.
Eliana ignorò volutamente il suo cambio d’umore improvviso e si avviò per fare colazione.
Giunta alla mensa dei minatori, acciuffò un piatto di terracotta sbeccato, si mise in fila, si fece rifilare il fondo molliccio del calderone e andò a sedersi in un angolo.
Vega si sedette dinnanzi a lei lentamente, a capo chino, senza proferire parola. Eliana sbuffò, irritata dalla sua resilienza, ma si trattenne dall’aggiungere altre cattiverie: non c’era gusto a infierire su un animo già affossato.
Sapeva che si sarebbe ripreso a breve: Vega aveva dimostrato di essere parecchio volubile riguardo al suo temperamento, passando da attimi di totale euforia a momenti di serietà quasi inquietante con la stessa velocità con cui si poteva accendere e spegnere una lampada ad olio.
Un altro coro spontaneo, e stonato, giunse di colpo da qualche parte in mezzo ai tavoli, investendo di allegria tutti i presenti. L’arodfila per poco non si strozzò.
Vega alzò la testa lentamente e, a proposito di volubilità, dopo un istante di interdizione scoppiò a ridere e cantare come un bambino.
«L’allegria non fa proprio per te, eh?» Sghignazzò, guardandola. Le sue iridi brillanti strizzate tra le palpebre.
«Ma tu non ti offendi mai?» Sbottò Eliana.
«E per cosa?»
«Ho insultato te, la tua razza…»
«Ah, sì, ma poi ricordo che la vita è troppo lunga e troppo piena di sofferenza per rimuginare troppo su ogni parola detta da un’ardofila frustrata. Inoltre, vedere una musona come te avere a che fare con dei vecchi ubriaconi è molto più divertente.»
Eliana pensò che lui fosse assurdo, ma non lo ritenne un commento per cui valesse la pena sprecare fiato, così lo tenne per sé.
D’un tratto, in mezzo al coro, un pezzo di osso colpì dritto in mezzo alla fronte un Neorade panciuto e un sasso di qualche tipo atterrò nel piatto di un mezzo ardofilo lì vicino.
Il coro si fermò di colpo.
Calò un silenzio di tomba.
«Chi è stato? Bastardo, fatti sotto!» Ringhiò il Neorade grasso.
«La mia zuppa!» Piagnucolò il mezzo ardofilo, facendosi subito serio. «Se trovo chi è stato…»
«Rissa!» Gridò qualcuno e fu l’inizio del caos.
Cibo, posate e persone presero a volare per la sala, imbrattando tavoli, ferendo arti e sfondando sedie senza distinzione.
L’ardofila trattenne il desiderio di urlare e si strinse in un angolo. Giuro che li brucio tutti. Tutti.
Vega sembrava non aver mai visto nulla di più esilarante in tutta la sua vita.
Brucio pure lui se non la pianta di sghignazzare. Eliana stava per levarsi di torno, quando un neorade magro con una folta chioma nera come la notte entrò nella sala. Eliana lo riconobbe: era uno dei gestori della spedizione, mezzo orade e mezzo sidhe, lo stesso con cui aveva avuto a che fare durante la conta delle merci. 
«Sono tornati i minatori della prima ondata» sbraitò quello. Nessuno parve udirlo minimamente; Eliana lo capì solo perché il suo udito, per compensare l’occhio, era diventato parecchio più fino. Scattò in avanti e prese a farsi strada a spintoni. Petro era tornato.
«Dove vai?» La chiamò Vega, ma venne ignorato.
«I minatori! Qualcuno mi ascolti!» Provò nuovamente il mezzo sidhe.
Una qualche sostanza verdognola si spalmò sulla sua veste, che aveva l’aria di essere appena stata lavata. A quel punto, carnagione grigiastra del neorade si tinse di rosso, e lui strinse i pugni; dal terreno sotto i suoi piedi crebbe una stalattite che lo sollevò da terra di qualche spanna e contemporaneamente una bolla nera assorbì tutta la luce della sala. Eliana sbuffò, fermandosi di colpo: caratteristica simpatica del buio sidhe era che al suo interno si annullavano sia la luce che la percezione del calore. L’unico tipo di buio in cui anche lei diventava totalmente cieca.
Un ultimo piatto si infranse contro il muro e presenti si zittirono.
«Ah, detesto i sidhe…» Borbottò Vega. Eliana si voltò verso di lui: in tutta la sala lui era l’unica cosa a brillare ancora, ma la sua luce era più flebile del normale. Eliana quasi riuscì a vederlo in volto. Quasi, perché in quel momento la sua attenzione era rivolta a tutt’altro.
«Ascoltatemi, razza di imbecilli! I minatori sono tornati» tuonò il tizio del buio. «e sono incappati nella tana di una talpa delle rocce.»
Eliana si sentì mancare e strinse i pugni. Merda.
Vega sgusciò al suo fianco. «Tutto bene?» Chiese, poi alzò la testa. «Senti, uomo del buio, almeno guardaci in faccia mentre parli!»
«Sì, scusate...» La luce tornò di botto e la folla riprese ad accalcarsi verso il mezzo orade, sbraitando frasi sconnesse.
«Ci sono feriti?»
«La bestia li ha squartati?»
«Sicuro! La talpa delle rocce ha degli artigli lunghi quanto me!»
«Qualcuno è sopravvissuto?»
«Per forza, idiota, come sarebbero tornati sennò?»
«Giusto... Qualcuno è morto?»
«Hanno portato i cadaveri?»
«Aspettate. Alle talpe piacciono i materiali preziosi!»
«Vero! Hanno trovato cose ricche
«Quindi avremo un aumento!»
«Muovetevi, vecchie lumache, che voglio andare a vedere!»
Eliana osservò e ascoltò la folla sciamare all’esterno, ma non riuscì a muoversi dal suo posto. Non ebbe difficoltà ad ammetterlo a se stessa: aveva paura. Quella di trovare suo fratello morto squartato sul pavimento o, peggio, di non trovarlo neppure.
«Ehi, tutto bene? Non vai più a vedere?» Vega era rimasto in piedi vicino a lei, a osservarla.
Eliana si riscosse, gli lanciò uno sguardo fugace e si gettò anche lei nel corridoio, subito dietro al grosso della folla. Vega le urlò qualcosa, ma neppure lo sentì.
Una volta nella sala principale, dove il soffitto era più alto, Eliana si alzò in volo.
La sala era pregna dell’odore pungente del sangue e lei poteva percepire anche una nota dolce proveniente dalla decomposizione di qualcosa; non si sentivano i lamenti dei feriti.
Per un istante temette che avrebbe visto solo cadaveri, ma quando il suo occhio buono mise a fuoco la scena fu la rabbia a montarle in corpo al posto della disperazione.
Al centro della folla sempre più numerosa stavano alcuni minatori sporchi di terriccio e sangue secco, tutti stretti intorno a una grossa carcassa di animale: una talpa, grossa quanto quattro di loro, col pelo irto e scuro. Gli artigli e gli occhi le erano stati cavati e dalle piccole orbite vuote colava ancora un sangue denso e nerastro.
In groppa all’animale senza vita stava un ragazzino smilzo dalla pelle bronzea e due ali d’ardofilo sproporzionatamente piccole. Aveva delle occhiaie profonde, doveva essere molto stanco, ma nel suo sguardo brillava una scintilla di euforia. Eliana sapeva che era solo quella a tenerlo in piedi: una volta passata, sarebbe caduto a terra come un sacco vuoto e ci sarebbero voluti giorni prima di tirarlo giù dal letto.
Sorrideva, accondiscendente con la folla, ma le gote arrossite tradivano il suo imbarazzo. Eliana sapeva che qualcuno ce lo doveva aver messo in quella posizione, perché quel ragazzino non era mai stato abbastanza ardito da prendere un’iniziativa simile, ma sapeva anche che in quel momento stava gongolando dalla fierezza.
Il ragazzino finse di non notarla minimamente, tenendo lo sguardo fisso dinnanzi a sé, ma Eliana sapeva che l’aveva vista non appena si era alzata in volo. Lo salutò con un gesto della mano e un sorrisetto sghembo, poi si accomodò su una delle balaustre di legno marcio che sporgevano dalle pareti di roccia.
Festeggia ora, Petro, perché appena ti acciuffo…
Un orade mastodontico, grosso come un tronco, con una folta barba grigia che si intrecciava ai capelli, si fece strada tra la gente per raggiungere la carcassa.
«Silenzio!» Ordinò con autorità e, come un solo animale spaventato, la folla obbedì.
«Rocca, cos’è ‘sta cosa? Perché c’è un moccioso in groppa alla bestia?» Gli domandò un tizio ancor più grosso di lui, con il capo glabro, folti baffi biondi e due occhi infossati ma brillanti come stelle: un altro mezzo fos.
Rocca, quello a quanto pareva era il suo nome, spalancò le braccia platealmente, come se avesse atteso quel momento per giorni, e tirò su col naso grugnendo.
«Ieri, alcuni dei nostri minatori sono sbucati in una grotta piena di minerali preziosi. Bling. Credevano di aver trovato un tesoro, ma invece si erano ficcati nella tana di questa talpa» battè una mano sulla carcassa. «Hanno rubato quello che gli ci stava in mano e sono tornati al campo base per cercare qualcuno che li aiuta-» si fermò un attimo a riflettere, poi annuì a se stesso «aiutava a prendere il resto. Ma non si sono accorti che la bestia li aveva seguiti fino, nascondendosi sotto la roccia. Shhh…» Fece passare una mano sotto l’altra, mimando qualcosa che strisciava. Eliana si ritrovò con un sopracciglio alzato. «E poi, zam!, la bestiaccia è sbucata in mezzo a noi, facendo cacare tutti addosso!»
La folla di omaccioni sussultò.
«Tutti correvano in giro, venivano lanciati in giro dalle zampone dell’animale, ma un certo punto... Boom! Di colpo il nostro giovane dimedio ha acceso le sue ali di luce, come se erano una stella, e woah!» Tentò di mimare un volo impressionante, ma il risultato fu solo lui che mulinava le braccia a caso. «Poi, giuro, non so come abbia fatto, ha mosso le fiamme delle torce la bestia ha preso fuoco! Aaaah!»
Eliana si domandò in che modo Aaaah! fosse un suono adatto a descrivere il fuoco, ma alla fine dovette ammettere che, per esperienza, il verso che seguiva una sua fiammata di solito era quello. Quindi si lasciò convincere.
Il neorade pelato dal baffo biondo, invece, osservava la scena perplesso.
Rocca se ne rese conto e si fermò di colpo. «Scusate, non sono bravo a raccontare…»
Tirò su col naso di nuovo e abbassò la testa, mortificato.
Il capo della spedizione gli diede una pacca sulla spalla che avrebbe potuto stendere una bestia come quella alle loro spalle e rise.
«Su, su, non temere, Rocca, sei fin troppo bravo, ma sappiamo tutti bene che le tue qualità sono altre e ben più grosse» fece l’occhiolino e tutti i minatori, Pedro compreso, scoppiarono a ridere.
Eliana diede una manata sulla fronte. Sono circondata da imbecilli.
«Vorrà dire che ci faremo raccontare la storia dal diretto interessato» aggiunse il baffuto.
Petro non se lo fece ripetere due volte. Con sguardo di sfida, palesemente rivolto a Eliana, balzò giù dalla carcassa.
«La talpa è apparsa per la prima volta sul versante dell’accampamento opposto al mio...» Cominciò, come in procinto di raccontare l’impresa della propria vita. Lo era, in effetti. «Io ero già sveglio, perché la notte spesso mi trattengo ad allenarmi fino a tardi.»
Il pubblicò applaudì. Eliana incrociò le braccia, sapendo benissimo che quei suoi allenamenti di solito somigliavano più a una scappata al bagno.
«Quando la bestia è arrivata, bucando la terra proprio sotto i piedi dei due compagni, non sono stato immediatamente pronto» confessò, indicando il fondo della grotta.
La folla si accigliò. Tutti si voltarono verso i due i feriti che effettivamente si stavano allontanando sulle barelle: uno sventolò un braccio come per salutare, l’altro sbraitò qualcosa che fece ridere il gruppetto di dimedi che lo circondava. Appurato che, tutto sommato, i feriti sembravano stare bene, i presenti sorrisero e la loro attenzione tornò su Petro.
«Tranquillo, ragazzo, continua pure!» Sbraitò qualcuno.
Petro non si lasciò pregare. «La prima cosa che ho sentito sono state le loro urla. Sono uscito immediatamente e loro mi sono volati dinnanzi agli occhi, schiantandosi sulla roccia ai miei piedi…»
Tutti i presenti trattennero il fiato, alcuni sibilando con empatia per il dolore che i due poveri minatori dovevano aver provato.
«Sapevo che non sarei riuscito a prenderli al volo: sono solo un mezzo ardofilo e le mie ali, purtroppo, non sono mai state abbastanza forti da reggermi in volo...»
«Che umiltà…» Sussurrò qualcuno nella folla sotto Eliana. L’ardofila sbuffò. Quando sarebbero stati fuori dal Candus, lo avrebbe fatto allenare tanto che avrebbe volato pure con quelle ali mingherline.
«Ma ci sono molte altre cose che un dimedio può fare e non lo dico solo per me, ma anche a tutti i dimedi presenti, a coloro che si sono sempre sentiti dire di essere inferiori. Io sono sia un fos che un ardofilo, ho pensato! Così mi sono subito fiondato lì, ho illuminato le mie ali che credevo inutili e ho stordito la bestia, poi con le fiamme delle torce le ho bruciato le zampe. Per il resto dovete congratularvi con tutti gli altri, che hanno combattuto valorosamente.»
Era saltato in piedi per dare più enfasi al tutto.
La folla applaudì e fischiò d’esultanza. I dimedi in particolare si sgolarono per dimostrare barbaricamente il loro supporto.
«Viva i dimedi!» Cominciò a gridare Petro.
Eliana decise di non assistere oltre a quella baggianata. Era stata giorni in pena solo per vedersi sbattere in faccia la vanagloria di un ragazzino stupido e borioso, che a quanto pareva aveva pure deciso di farsi paladino di una causa inutile.
Andò a buttarsi di nuovo sul suo giaciglio, in attesa che lo spettacolino finisse e, sola con il mormorio lontano dei minatori, si lasciò cadere nel sonno per un altro po’.
 
***
 
«Alloggia qui l’ardofila guercia?» Eliana si risvegliò di colpo. «Quella con l’occhio bianco, sì…»
Eliana non udì la risposta, ma qualunque essa fosse, era corretta perché in quattro e quattr’otto la tenda di pelle della sua conca venne scostata.
Petro era furioso. «Mi spieghi che cazzo ci fai qui?» Le inveì contro.
«Salve a te, grande eroe, niente banchetto in tuo onore?» Lo schernì lei.
«Non sfottere, Eliana, e rispondimi!» Aveva le guance rosse di rabbia: all’ardofila faceva quasi tenerezza.
«Ti riporto a casa» spiegò con calma.
«A casa! Seguendomi nelle viscere della montagna vorresti riportarmi a casa?»
«Abbassa la voce, ti sta sentendo mezza miniera.» Eliana sgusciò fuori dal giaciglio, per non dovergli parlare da sdraiata.
«Che sentano! Quella dannata volta che riesco a fare qualcosa da solo, eccoti qui!»
«Siccome non sei in grado di trovarti un lavoro serio, sono venuta a raddrizzarti.»
«Un lavoro serio? E quale sarebbe un lavoro serio, eh? Accompagnare qualche mercante di carote da Pioniera a Culmen, fare la guardia al negozio di stoffe di un tizio paranoico o spalare carbone per una settimana? O lo è per caso scortare due vecchi nobili fino a casa della nipotina?»
Spalancò le ali, lo faceva sempre quando si arrabbiava: un atteggiamento molto ardofilo.
Eliana non aveva ancora perso la calma. «Meglio dei lavori semplici dal risultato assicurato che questo» disse, allargando le braccia.
«Certo, meglio le cazzate che mi rifili tu piuttosto che un lavoro che mi sono trovato da solo!»
«Senti, senti» Eliana si grattò la cicatrice sull’occhio. «Quindi saresti venuto a farti ammazzare non per i soldi ma per orgoglio, per dimostrarti grande. Non ti facevo così idiota.»
«Mi sono rotto di te che mi fai da cazzo di balia!»
Eliana strinse un pugno e con l’altra mano gli puntò il viso. «Adesso tu torni a casa» ordinò, perentoria. Nel farlo, voltò leggermente il capo in modo che l’occhio cieco fosse rivolto a Petro. Era una reazione ormai istintiva, la sua: quando voleva intimorire qualcuno, mostrava cicatrice e iride bianca. «La pianti con queste stronzate da megalomane e torni ad accompagnare i tuoi cazzo di neoradi da un lato all’altro del Candus. Zappi anche l’orto per loro, se serve, chiaro?»
Per un istante Petro parve realmente intimorito, come accadeva quando era più piccolo. Ma da allora erano passati anni, lui era diventato più alto, la sua voce più roca e il suo animo più testardo: non sarebbe più stato così facile spaventarlo.
«Non hai nessun diritto di ordinarmi cosa fare» rispose a denti stretti.
«Io ti ho sfamato per cinque anni, ti ho dato un tetto, dei vestiti e quel minimo di cultura grazie al quale riesci a farti figo davanti a degli idioti» ringhiò lei. «Ora impari a fare qualche scintilla in più e ti senti abbastanza forte da trattarmi in questo modo? Oh, no. Non sai neppure stare al mondo. Sono stata io, io!, a insegnarti tutto quello che sai. Dimostrami rispetto, ragazzino!»
«Io non ti devo nulla! Potevi lasciarmi a crepare!» Sbraitò lui in risposta, con gli occhi lucidi.
«Non dire cazzate!»
«Voglio essere indipendente, Eliana, ce la fai a capirlo?»
«Non sai nemmeno trovarti un lavoro decente senza di me!»
«Ho fatto fuori una talpa delle rocce!»
Eliana si lasciò sfuggire un ghigno. «L’hai fatta fuori perché sei andato nel panico. Non ti sei pisciato addosso solo perché l’istinto del fuoco ha agito prima di te. Non sai neppure come hai fatto a colpirla, anzi…» Lo guardò fisso negli.
Lo sguardo di Petro vacillò, il naso pallido si arrossò e all’ardofila bastò come conferma.
«Non sbaglio, vero? Sei ancora un bamboccio spaventato. Un bimbetto non ancora cresciuto che crede di potersela cavare solo perché ha avuto una botta di culo» sputò con rabbia. «Be’, ti svelo un segreto: ci sono due razze intere che sanno fare le stesse cose che fai tu, ma meglio. E loro sanno controllare quello che fanno.»
Petrò chinò la testa e non rispose.
«Andiamo a casa.» Si allontanò verso l’uscita, vittoriosa. Era certa che lui l’avrebbe seguita con la coda tra le gambe. Petro, effettivamente, le andò dietro, ma non nel modo in cui lei si sarebbe aspettata.
«Sei una stronza!» Gridò lui con la voce rotta dall’ira. Uno schiocco di dita e una fiammata scaturì dal ragazzino, riversandosi contro di lei.
Eliana percepì il calore un istante prima che la investisse; spalancò le ali, lasciando che il fuoco vi si accumulasse sopra, poi, ruotando su sé stessa, dissipò facilmente la fiammata.
Si voltò. Petro se ne stava in posizione d’attacco, con le ginocchia piegate e le ali tese sulla schiena. Aveva uno sguardo deciso: le iridi, lucide per il potere di fos e per lacrime non ancora versate, puntate su di lei.
«Sei impazzito?» Domandò.
«Perché mi tratti così?» E lanciò una seconda fiammata, che Eliana deviò con un colpo d’ala come nulla fosse. Una terza fiammata, una quarta, poi una quinta. Le deviò tutte senza fatica, mentre lo sguardo di Petro era sempre più offuscato dalle lacrime. Alla sesta, lui abbassava le braccia in segno di resa. Eliana fece per avvicinarsi; lo aveva ferito, se ne rendeva conto, ma era necessario per riportarlo in riga.
Non fece in tempo ad aprir bocca che il ragazzino si alzò in volo.
Eliana credette di avere le traveggole. In altri contesti avrebbe esultato di gioia, si sarebbe congratulata con lui e, forse, gli avrebbe anche detto che l’aveva sempre saputo che ce l’avrebbe fatta, ma quel momento richiamò tutt’altro. Come prontezza di riflessi.
La fiammata che le arrivò addosso fu potente il doppio delle altre; riuscì a bloccarla, ma per la sorpresa si fece scaraventare a terra.
«Doveva essere una sorpresa» gridò lui, esponendo la voce rotta dal pianto. «Ma tu hai deciso di insultarmi!»
La sala intorno al loro si era lentamente popolata di curiosi, che Petro teneva sotto controllo con occhiate rapide.
Eliana se ne rese immediatamente conto. «Levatevi di torno!» sbraitò. I presenti si scambiarono qualche sguardo, borbottarono qualcosa e, evidentemente intimoriti, si dileguarono in fretta.
«Non potevi proprio provare ad ascoltarmi, eh?» Soffiò il ragazzo appena rimasero soli, crollando a terra in ginocchio. «Devi sempre decidere tu! Devi sempre prendere i lavori duri per te, devi sempre fare tutto tu!» E a quel punto le lacrime presero a scendere. La sua espressione fiera si incrinò irrimediabilmente: Eliana vide di nuovo l’orfano sperduto che aveva salvato dalla strada.
Non riuscì più a trattenersi; gli si avvicinò a grandi falcate, posò una mano sulla sua nuca e lo strinse a sé. «Scusami. Ho esagerato.»
«Lo so che ti devo tutto, lo so che mi hai insegnato tutto… Lo so… Per questo volevo ripagarti… Volevo ringraziarti per avermi offerto da mangiare quel giorno di cinque anni fa e per aver continuato a farlo ad ogni pasto successivo. Per avermi dato una casa; per avermi insegnato a scrivere, a parlare bene, a combattere… Volevo dimostrarti che sono cresciuto e posso aiutarti anche io… Ma tu non hai capito un cazzo come al solito!» Si sfogò lui con il volto affondato nei capelli della sorella.
Eliana lo carezzò dolcemente, poi alzò lo sguardo, fissò per qualche lungo istante uno spuntone di roccia piuttosto prominente che spuntava dal soffitto e sospirò. «Oh me ne pentirò, eccome se me ne pentirò...»
Prese il fratello per le spalle e lo scostò da sé.
«Di cosa?»
«Silenzio», l’ardofila si schiarì la voce. «D’accordo. Nonostante ora tu stia piangendo come un poppante, mi hai dimostrato di essere cresciuto…»
«No. Non lo stai dicendo davvero…» Gli occhi del ragazzino brillarono come il sole di mezzogiorno.
«Puoi andare.»
   
 
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