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Autore: Quebec    25/05/2023    0 recensioni
In una coppia ci sono castelli di sabbia e sogni impossibili. Un noi e un tutto. La realtà e il delirio. Uno inciampa e l'altro gli cade addosso. E il caos dilaga, brucia. Resta l'eco e la cenere. Un messaggio per gli abissi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ti ho conosciuta quando l'estate sussurrava all'autunno. Quando amavi perderti nella natura e rinnegavi il futuro. Ora le cose sono cambiate. Tu sei cambiata. La sabbia non scotta più e il mare è tremendamente piatto.
Il tempo ti ha plasmata. Sei diventata tutto ciò che odiavi. Tutto ciò da cui scappavi. Sei tu, ma non sei tu.
E ora ti guardo seduto sul divano mentre sorridi e ridi davanti a un cellulare. Se provo ad avvicinarmi, volti lo schermo. Hai paura che guardi. Perché? Nascondi qualcosa? Non sono mai stato troppo geloso. Ti ho sempre lasciato i tuoi spazi, le tue cose. Non ti ho mai impedito di fare niente. Ma ora perché ti comporti così? Perché non sei più tu? Cos'è cambiato?
— Questa sera devo uscire con un'amica.
— A che ora torni?
— Verso le dieci.
— Esci con Stefania?
— No, con una ragazza che ho incontrato in palestra.
Con il tuo istruttore o con un tipo incontrato là, vuoi dire? Lo so che non uscirai con nessuna donna. Ti stai vedendo con qualcuno, ma non hai il coraggio di dirmelo, di mollarmi. Perché? Vuoi che lo faccia io?


Sono le otto. Me ne sto seduto sul divano a guardare la TV, ma in realtà ti ho tenuta d'occhio. Hai canticchiato mentre ti preparavi per uscire. Lo hai fatto persino mentre ti truccavi. Lo fai sempre quando sei felice. L'ultima volta è successo tre anni fa. Il nostro viaggio a Miami. Eri così contenta che non la smettevi di canticchiare. Abbiamo fatto così tante volte l'amore che abbiamo parlato solo quella lingua per due mesi sotto un'afa infernale. Sguardi, baci e sesso. Nient'altro. Noi e le spiagge assolate di Miami. Eravamo in completa sintonia.
Poi qualcosa si è rotto.
Sei cambiata. Eri diversa, assente, quasi distaccata. Il tuoi occhi erano spenti e apatici. C'era un vuoto, un abisso. E non ho mai capito perché.
So solo che non eri più tu.
Non con me.
— Esco. Ci vediamo dopo!
Non mi saluti nemmeno. Neanche uno sguardo. Niente. Fili dritta alla porta e scompari. È già tanto che tu mi abbia accennato un saluto.
Rimango a guardare la TV. Altri ti avrebbero pedinata, ma non io. A che serve? So già dove sei diretta. Nessun bar. Nessun pub. Forse a scopare in hotel o in macchina. Certe cose le sento. E questa è una di quelle. Non sei più mia. Appartieni a un altro.


Torni che sono quasi le undici. La casa è immersa nel buio. Non mi vedi. Io sono seduto al balcone a bere una birra. Ti osservo andare in cucina e bere un bicchiere d'acqua. Sei felice. Il tuo viso è luminoso, allegro. I tuoi capelli sono un poco scompigliati. Ti sei divertita con lui. E tanto, direi.
Non ricordo più l'ultima volta che lo sei stata con me. Sono io la causa della tua infelicità? Ti ho spinta io nelle braccia di un altro? Perché? Cosa ho fatto?
Ora sorridi davanti al cellulare. Te lo porti all'orecchio e sorridi come una bambina.
È lui? Ti ha inviato un messaggio vocale? Ti deve piacere moltissimo. Se qualcuno mi chiedesse di definire la felicità, descriverei il tuo volto raggiante.
Ti accorgi di me quasi con spavento, come se avessi visto un fantasma. E celi la tua felicità dietro fredda apatia. I tuoi occhi mi guardano, ma non tu. Tu non ci sei. Sei altrove. — Oh, sei sveglio. Pensavo dormissi.
Non rispondo. Che devo dirti? La tua è una frase fatta. Non mi chiedi nemmeno perché sono fuori al balcone, perché bevo da solo. Sai che non mi piace bere da solo. Ma a te non interessa. Non più.
Te ne vai in camera.
'Notte.


L'indomani mi sveglio sul divano e guardo l'orologio al polso, le otto e mezza. Mi alzo e vado in cucina.
Sei seduta a sorseggiare un tazza di caffè. Non alzi nemmeno lo sguardo, oppure non hai il coraggio di guardarmi in faccia? Non mi chiedi nemmeno perché abbia dormito sul divano. Non ti interessa. La tua testa è ancora altrove.
Mi verso una tazza di caffè e vado sul balcone a osservare il traffico sottostante. La città pulsa di vita. Odore di smog, di disperazione, di sogni infranti. Forse dovrei lasciarti, andarmene di punto in bianco.
— Perché hai dormito sul divano?
Mi volto a guardarti. — Ho preso sonno.
Ti fermi accanto a me. — Mi hai fatto dormire da sola. Lo sai che non mi piace.
Già, non ti piace. Più ti guardo negli occhi, più non capisco se tu sia sincera o ti meriti un Oscar per la recitazione.
— Ce l'hai con me?
— No, perché?
— Non lo so. Mi sembri... strano.
Non più strano di te. — Sto bene.
Mi guardi. Forse non mi credi, o forse non ti frega. Cambi sguardo come cambi i tuoi eyeliner. E non parliamo dell'umore. — Ora devo andare. Vado a fare compere con una mia amica. Torno a mezzogiorno.
Certo, compere, come no.
Te ne vai di nuovo senza un bacio. Niente. Sono i dettagli a parlare. Quei piccoli dettagli che sommandoli diventano una montagna. Tu sei la mia montagna, il mio Everest. E io devo scarpinare giù, prima di morire assiderato.


Mi trovo nella mia casa a mare, il dolce suono delle onde che si spiaggiano sulla battigia. Sono seduto a guardare uno yacht. Un punto bianco su uno sfondo blu dalle acque cristalline.
Non so se ho fatto bene a lasciarti su due piedi. Ho fatto le valigie e me ne sono andato. Non lo so. So solo che ora penso a te, a noi, ai nostri momenti insieme.
Ti ricordi il nostro viaggio a Ibiza? Io non volevo andarci, ma tu mi hai convinto. Ci divertiremo, hai detto. Faremo qualcosa di diverso. Non facciamo mai niente di divertente. Sono stufa delle nostre scampagnate nei boschi. Voglio fare qualcosa di diverso.
E avevi ragione. Ci siamo divertiti, finché ho spaccato il naso a un tizio che ti ha toccato il culo. Tizio che aveva il padre giudice. Mi sono fatto un anno dentro. Niente domiciliari. E tu non sei venuta a trovarmi nemmeno una volta. Dicevi che la mia reazione era stata esagerata, che lui non ti aveva toccata. Vallo a dire alle telecamere.
Dovevo capirlo. Tra noi è finita in quel momento. La tua prima bugia. Quel dannato viaggio a Ibiza.
L'inizio della fine.
Il mutare delle maree.
Squilla il cellulare. Sei tu. Non rispondo. Forse dovrei cancellare il tuo numero, bloccarti o cambiare numero. No, non così immaturo. Certe cose non le faccio, né le concepisco come alternative. Andarmene mi è sembrata la cosa più giusta da fare. Non posso curare il nostro giardino da solo. L'erbaccia cresce troppo velocemente e rischio di soffocare. Lo so io, come lo sai tu.
Un'ora dopo siamo a trenta chiamate perse e continui a chiamare ancora, ancora e ancora. Non molli. Sono tentato di rispondere. Forse è urgente, forse ti è successo qualcosa. Prendo il cellulare, ma lo getto subito sul tavolino. Devo lasciarti andare. Tu non ne sei capace, perciò devo farlo io per te. Anche se sarai da tutt'altra parte, anche se ti guarderò da lontano, ti amerò ancora come la prima volta. Non importa. Voglio solo che tu stia bene, che tu sia felice.
Il cellulare continua a squillare.


Mangio un piatto di pasta e sugo in cucina. È la prima cosa che metto tra i denti da tutto il giorno. Mastico e butto giù per il nervoso. Non ho fatto altro che pensare a te, fissare il tuo viso sul cellulare mentre squillava. Ottanta chiamate in tutto. Centodue messaggi e quaranta messaggi vocali. Sono tentato di rispondere, ma non posso. Devo starti lontano. Lo faccio per te.
I fanali di un auto invadano il soggiorno, lo scricchiolìo delle ruote sulla ghiaia. Qualcuno si è fermato nel vialetto. Vado a guardare dalla finestra quando qualcuno bussa alla porta. Colpi forti, ripetuti.
— Lo so che sei lì dentro! Apri!
Sei tu! Mi hai trovato. Come hai fatto? Non conoscevi questo posto. Non te ne ho mai parlato.
Apro la porta.
I tuoi occhi sono due strette fessure infernali che mi scrutano l'anima.
Entri in casa. — Perché?
Non rispondo. Cosa devo dirti? Sai già le risposte.
— Vuoi restare muto o hai intenzione di parlare?
— Come mi hai trovato?
— Tua sorella. Mi ha detto dov'eri. Perché hai fatto le valigie? Perché te ne sei andato? Rispondi!
— Non dovevi venire qui.
— No? Perché? C'è qualcuna in casa?
— Non c'è nessuno.
Ti aggiri per le camere come una pazza. Non ti ho mai vista così. Controlli sotto il letto, negli armadi, nel giardino e sulla spiaggia. — Vuoi calmarti?
Ti volti a guardarmi con occhi spiritati, il mare alle spalle, i capelli scompigliati dalla brezza estiva. — Calmarmi? Sei sparito senza dire una parola e io devo calmarmi?
— Rientriamo in casa.
— No! Non mi muovo da qui finché non mi dirai perché te ne sei andato?
Sospiro. Fingi ancora di non sapere? Davvero?
— Allora?
— Mia sorella è a Milano. E non parlo con lei da una settimana. Come mi hai trovato?
— Non cambiare discorso, Giusè. Rispondimi!
Rientro in casa.
— Ehi! Dove credi di andare?!
Mi segui e sbatti la porta-finestra. — Sto parlando con te! Torna qui!
Mi giro a guardarti. Non ce la faccio più. — Hai un altro, vero?
Abbozzi un sorrisetto nervoso, gli occhi che si posano ovunque tranne nei miei. Ti ho colta in fallo. Pensavi che non lo sapessi? Che fossi andato via per niente? Oppure fingevi di non sapere? Proprio come fai ora.
Cala il silenzio.
Me ne vado in cucina, apro il frigo e mi stappo una birra. Non ho voglio di litigare. Non ho voglio di fare niente, se non bere in santa pace. Magari ubriacarmi fino a perdere i sensi. Poi si vedrà. Domani è un altro giorno, un altro inferno.
Ritorni da me. — Non ti ho mai tradito. Mai!
Ti guardo. Non rispondo.
— Te lo giuro! Non ti ho mai tradito, credimi!
I tuoi occhi. Quei bellissimi occhi verdi attorniati dalle lentiggini mi mentono. Mi guardi e menti. Come fai? — Devi andartene.
— No! Non vado da nessuna parte. Io ti amo, non lo capisci?
Anche io ti amo. Ti amo così tanto che devo lasciarti andare. Ma tu non me la rendi facile. — Lo ami?
Distogli lo sguardo. Non riesci a guardarmi. Non puoi.
Non è solo una scopata, vero? C'è dell'altro. E ora sei divisa tra me e lui. Te lo leggo negli occhi. — Senti, puoi anche non dirmelo, ma lo so. Quindi...
— Ma io ti amo!
— Non basta. Non basta più, Terè. Lo vuoi capire?!
I tuoi bellissimi occhi si riempiono di lacrime. Vorrei asciugartele, dirti che andrà tutto bene, ma non è così.
È finita.
Lo capisci anche tu, vero? Lasciarmi andare ti costa un pezzo di te, come è costato un pezzo di me. Non facciamoci a pezzi. Non siamo abbastanza forti da ricomporci, poi. Disarmiamo le atomiche.
Esco in veranda e mi siedo sulla sdraia a guardare il mare mosso.
Sento il motore della tua auto, le ruote sulla ghiaia, la pugnalata nello stomaco, il cuore implodere.
Ora siamo un eco del passato. Un castello di sabbia sgretolato tra la schiuma del mare. Sogni impossibili in una bottiglia di vetro in balia delle onde. Un messaggio per gli abissi, i nostri abissi.
Eravamo tutto.
E ora siamo niente.
   
 
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