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Autore: Puffardella    26/05/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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LUDWIG
Gli uomini erano pronti e aspettavano il re davanti alla porta della fortezza, che era stata già aperta.
I cavalli erano nervosi non meno dei loro cavalieri. Alle loro spalle, i guerrieri della fanteria pregavano sottovoce Vingedorr, il dio della guerra, e Odino, padre di tutti gli dei, perché li assistessero nella battaglia imminente.
Una inconsueta nebbia primaverile avvolgeva ogni cosa, destando in Ludwig non poche preoccupazioni, così come l’assenza del re. Ludwig constatò che il sole si era già affacciato sull’orizzonte, eppure suo nipote tardava ad arrivare. Teneva per le redini il cavallo del re che scalpitava impaziente di mettersi in movimento, forse percependo a sua volta l’impazienza di Kaleva il quale, al suo fianco, continuava a girarsi verso la fortezza.
Si chiese se non fosse meglio mandare qualcuno a chiamarlo. Proprio quando si decise a farlo, scorse la sua ombra, ammantata dalla nebbia, uscire dalla torre. Indossava la pelliccia d’orso, come al solito, ma aveva qualcosa di inconsueto. Il re gli si affiancò e, senza dirgli una parola, salì agilmente sul suo cavallo. Ludwig tornò a pensare che c’era qualcosa di insolito nel modo di muoversi e di comportarsi del nipote. Soprattutto si stupì del fatto che, messo di traverso sulla schiena, portasse il suo arco cerimoniale, quello in osso istoriato con l’impugnatura di pelle rossa, che di solito usava per le occasioni in cui voleva fare mostra di sé - quasi mai per cacciare e assolutamente mai per combattere. Questo fatto lo allarmò, ma non disse nulla. Poi, il re fece un’altra cosa decisamente insolita: si calò sulla testa il cappuccio ricavato dalla pelliccia della testa dell’orso, cosa che non aveva mai fatto in vita sua. Fu sul punto di chiedergli come stesse ma, conoscendo il suo carattere irascibile, desistette. E poi non gliene avrebbe dato nemmeno il tempo. A Kaleva rivolse appena una fuggevole occhiata, dopodiché sollevò in alto la spada e, gridando come faceva sempre per caricare i suoi uomini, spronò il suo cavallo al galoppo.

LUCIO
Lucio si era aspettato quell’attacco. Se lo aspettava ormai da giorni e non si fece cogliere impreparato.
In piedi sopra una delle torrette di guardia delle mura fortificate, ordinò alla cavalleria di contrattaccare e, contemporaneamente, dispose la fanteria intorno alle mura per proteggerle dall’assalto dei Germani. Per fortuna, la fitta nebbia scesa nella notte aveva iniziato a diradarsi, consentendo una discreta visuale.
Mentre le due cavallerie procedevano una incontro all’altra, Lucio scrutò attentamente il nemico in cerca dell’Orso, ritenendo che in quello spazio relativamente ridotto sarebbe riuscito per lo meno a intravederlo.
«Eccolo, è lui» disse uno dei legati al suo fianco, indicando verso nord ovest un gigante con la pelliccia d’orso che, cavalcando un cavallo dal pelo fulvo, andava incontro alla cavalleria romana.
Lucio si sporse in avanti sul parapetto, come a voler coprire la distanza che lo separava dal Germano. Strinse gli occhi in due piccole fessure, con la fronte increspata. Sembrava lui, ma qualcosa non quadrava. Non combatteva con la spada, come faceva di solito, ma usando un enorme arco.
«Si comporta in modo insolito…» rifletté ad alta voce. «Sembra lui, però…»
«È lui senz’altro. Non farebbe indossare a nessun altro quella sua dannata pelliccia» disse l’ufficiale.
«Sì, hai ragione» ne convenne Lucio.
Intanto, anche le due fanterie avevano ingaggiato battaglia e le urla dei guerrieri si mischiavano con il rumore del cozzare delle armi.
Lucio fremette eccitato.

ADRIAN
Adrian si era appena svegliato quando Fionn aveva fatto irruzione nella sua tenda per avvisarlo dell’attacco dei Germani.
Aveva a sua volta svegliato Kayden e tutti e tre si erano diretti verso il punto di vedetta, su una gibbosità dalla quale si aveva una discreta visuale di tutta la valle.
«Il fatto che il re abbia deciso di attaccare può significare solo una cosa…» disse Adrian.
«Sono rimasti senza scorte di cibo» concluse per lui Kayden.
«Esattamente.»
«Che facciamo, ora? Non possiamo scendere ad aiutarli, sarebbe un massacro. Avrebbe senso solo se i Germani riuscissero a sfondare il muro, ma diversamente…» intervenne Fionn.
Adrian iniziò a ragionare in fretta per trovare un modo efficace di intervenire, ma giunse presto alla conclusione che, semplicemente, non ce n’era nessuno. Con i pochi uomini rimasti non potevano fare molto. Fionn aveva ragione, avrebbe avuto senso solo se i Germani fossero riusciti a sfondare il muro, dando loro modo di raggiungerli. Ogni altra azione sarebbe equivalsa a un suicidio. Per tanto, al momento, non rimaneva altro da fare che osservare la battaglia e sperare che i Germani riuscissero a compiere un miracolo. Strinse i pugni e li incrociò dietro la testa emettendo un verso rabbioso, di impotenza e frustrazione. 
«Forse, non tutto è perduto…» disse a quel punto Kayden.
Adrian si voltò a guardarlo, pieno di speranza. «Che vuoi dire?»
«Guarda là» rispose Kayden, indicando con il dito una collina a occidente.
Sia Adrian che Fionn si voltarono nella direzione indicata da Kayden. Rimasero un po’ a scrutare l’altura coperta da una fitta vegetazione, poi Adrian scosse la testa.
«Cosa dovrei guardare, fratello? Non vedo niente di particolare» protestò.
«Perché non lo stai facendo nel giusto modo e ti sfuggono i dettagli. Guarda di nuovo e dimmi cosa noti» lo esortò Kayden.
Adrian odiava quando suo fratello si comportava in quel modo, cioè quando, anziché andare direttamente al nocciolo della questione, lo costringeva ad arrivarci da solo, facendogli perdere tempo. Tuttavia, mise da parte la voglia di riempirlo di improperi e fece quanto gli aveva suggerito. Tornò a scrutare la collina, focalizzando l’attenzione sui particolari più piccoli, cercando nell’oscurità, tra il fitto degli alberi.
«Cosa dovrei guardare, dimmelo, dannazione! Io non vedo un accidenti di niente!» sbottò irritato dopo un po’.
«Luccichii» intervenne a quel punto Fionn.
Adrian tornò a voltarsi verso occidente, ma stavolta guardò il panorama nell’insieme e fu allora che i suoi occhi furono in grado di notare quei piccoli dettagli di cui parlava Kayden. Qualcosa tra quei boschi rifletteva la luce del sole nascente, producendo decine di piccoli lampi di luce.
Qualcosa di lucido, forse di metallico.
«Spade!» raggiunse la conclusione Adrian.

WILLIGIS
Willigis osservava incredulo i combattimenti che stavano avendo luogo all’interno delle mura, nella distesa di terra sulla quale, fino a qualche settimana prima, sorgevano le capanne del villaggio germanico.
Aveva raggiunto la Valle dei Lupi il giorno prima, nel tardo pomeriggio. La prima cosa della quale si era occupato, ovviamente, era stato far allestire l’accampamento. Dopodiché, lui, Ganhart e un’altra manciata di uomini avevano approfittato delle poche ore di luce rimaste per effettuare una veloce ricognizione e verificare il numero dei campi legionari e la loro dislocazione.
Lucio ne aveva fatti costruire quattro all’esterno e solo uno all’interno, per via dello spazio ridotto. Quelli all’esterno erano stati collocati intorno al muro fin dove esso era stato innalzato, quindi meno che in direzione nord ovest, là dove la posizione elevata e l’inclinazione del terreno, che cadeva a strapiombo sul lago e su parte della valle, garantivano da soli una difesa naturale e non consentivano nessuna via di fuga.
La sera era scesa prima che fosse riuscito ad ispezionare adeguatamente la zona, perciò si era riproposto di continuare il giorno dopo.
All’alba era quindi tornato ad affacciarsi sulla valle, ma aveva dovuto aspettare che la nebbia si sollevasse per poter riprendere il sopralluogo. E poi era accaduto l’incredibile: mentre prendeva nota del numero delle coorti dislocate in ciascun campo al fine di stabilire quale punto fosse più vulnerabile, in maniera del tutto inaspettata, i Germani avevano iniziato ad attaccare.
Willigis aveva immediatamente mandato Ganhart a radunare gli uomini.
Ora, mentre aspettava il loro arrivo, osservava, dalla posizione elevata in cui si trovava, i combattimenti all’interno del villaggio, le cui capanne erano state rase al suolo per lasciare spazio ad una distesa di terra sulla quale combattere più agevolmente. Lungo tutto il perimetro interno del muro era stato scavato un fossato nel quale erano stati infilati pali appuntiti. 
Alcuni guerrieri germanici, muniti di pertiche, graticci e arpioni, erano riusciti a superare il fossato e a raggiungere le mura, mentre i soldati romani che si trovavano sul rondello cercavano di difenderle scagliando su di loro frecce e pietre.
Individuò Lucio su una delle torrette occidentali, che seguiva con la sua stessa febbricitante attenzione lo sviluppo della battaglia. Poi, il suo sguardo venne catturato da una figura a lui familiare. In mezzo alla solita ressa guerresca vide Chrigel in sella al suo stallone mentre caricava l’arco e faceva partire una freccia destinata ad un cavaliere romano, il quale cadde a terra un istante dopo. Chrigel caricò di nuovo puntando un altro cavaliere. Prima che trovasse il tempo di far partire la freccia, quello si spostò alla sua destra. Chrigel non riuscì a far girare in tempo il cavallo e alla fine la freccia mancò il bersaglio. Quel particolare insospettì Willigis, il quale prese ora ad osservare il cugino con un interesse diverso. Il re indossava la solita pelliccia d’orso e la stazza sembrava la sua, eppure c’era qualcosa nel suo modo di muoversi e di agire che non lo convinceva. Intanto non combatteva con la spada, ma con l’arco. E, soprattutto, non cavalcava nel suo solito modo, con la sicurezza di sempre. 
«Cosa stai combinando, fratello?» si chiese.
Un attimo dopo, fu raggiunto dai suoi uomini. Ganhart lo affiancò e, con un sorriso sghembo, disse: «Tutta questa strada solo per tornare al punto di partenza. E il bello è che, se anche riuscissimo a battere i Romani, di sicuro l’Orso non ci mostrerà alcuna riconoscenza.»
«È molto peggio di così: ci farà addirittura guerra» sentenziò Willigis. Scosse la testa e sorrise amaramente, riflettendo che, solo qualche giorno prima, non si sarebbe mai nemmeno sognato di trovarsi in quella situazione. «E dire che una volta rimproveravo mio cugino di essere uno che si complica la vita.»
Ganhart fece spallucce. «Per come la vedo io alla fine cambia solo la forma, non la sostanza. Sono anni che ci prepariamo a morire per la nostra terra ed è quello che accadrà oggi, in un modo o nell’altro. Giusto?» disse.
Willigis guardò il guerriero con riconoscenza. «Giusto» rispose.
«Mi dispiace solo per una cosa…» aggiunse Ganhart.
«Per cosa?»
«Non poter vedere in faccia il Romano quando capirà che lo stiamo fottendo» rispose ridacchiando.
Willigis annuì. «Già. Un vero peccato, cazzo.» Sghignazzarono ancora un po’, infine Willigis si riempì d’aria i polmoni e disse: «Pronto a morire da Germano?»
«Pronto!» gli fece eco Ganhart. 
A quel punto, Willigis impugnò la spada e, sollevandola in alto, incitò i suoi uomini all’attacco.

LUDWIG
La nebbia si era dissolta del tutto e il teatro di guerra era ora rischiarato dalla luce del giorno. Ludwig aveva perso di vista Chrigel ma non Kaleva, che, insieme a lui, continuava con coraggio ad affrontare la cavalleria romana.
Alcuni guerrieri avevano iniziato ad arrampicarsi sulle mura a est, anche se non erano ancora riusciti a raggiungere il camminamento di ronda.
Intorno a lui impazzava la follia della guerra, con il solito potente frastuono e i soliti odori aggressivi, di sangue e sudore e vomito e urina e quello più ributtante proveniente dagli intestini e in generale dalle interiora sparse ovunque.
Poi avvenne qualcosa di imprevisto. Un urlo possente, proveniente dalle colline a ovest, si unì alle grida degli uomini che combattevano nel villaggio. Ludwig sollevò la testa e si voltò per vedere cosa stesse accadendo. Quando vide l’esercito dei mercenari capeggiato da Willigis, sentì uno strappo al cuore. Stavano attaccando, e di sicuro non loro. Emise un grugnito soffocato mentre si portava una mano sul cuore dolorante, che non aveva retto alla violenta emozione e si era arrestato per un secondo. Nello stesso istante, qualcuno, approfittando della sua distrazione, lo colpì di striscio sulla schiena, all’altezza della scapola. Ludwig gridò di dolore e fastidio e si preparò ad affrontare il cavaliere che lo aveva ferito. Ma non fece in tempo. Kaleva intervenne in suo aiuto trafiggendo il soldato con un giavellotto, probabilmente sottratto a qualche astato.
«I mercenari stanno caricando i Romani!» lo informò il giovane nipote, raggiante.
«Lo so» replicò Ludwig. Entrambi si impegnarono ad affrontare degli avversari, dopodiché Ludwig indicò con la testa gli uomini che stavano cercando di conquistare le mura e gridò, rivolto a Kaleva: «Questo è il momento giusto per tentare di assaltare le mura. Va’, ragazzo!»
Kaleva parve rifletterci sopra un attimo, poi annuì. Fece voltare il cavallo e sparì tra la folla, diretto verso est. Ludwig lanciò una nuova occhiata ai mercenari, che intanto stavano raggiungendo la valle, e disse, rivolgendosi a suo figlio: «Dovevi attendere tutto questo tempo per ravvederti, razza di idiota...»

LUCIO
Quando aveva udito il grido di guerra alle sue spalle, Lucio si era voltato in quella direzione. I mercenari provenienti da ovest stavano scendendo giù da una collina e caricavano gli uomini rimasti nei fortini sulla valle. Si sentì ribollire di una cieca rabbia.
«Traditore» sibilò tra i denti, indignato ma non particolarmente sorpreso. Non si era mai fidato del tutto del Rinnegato, ecco perché aveva lasciato il grosso della cavalleria a presidiare le mura esterne. Diede l’immediato ordine di contrattaccare e la cavalleria si mosse tempestivamente contro Willigis e i suoi uomini, seguita dalla fanteria disposta in formazione di difesa. Appena furono a tiro, Lucio fece gettare sui mercenari grosse pietre lanciate con le catapulte e gli onagri, prima che il confondersi dei soldati lo rendesse impossibile.
Mentre Lucio seguiva gli sviluppi della battaglia su quel nuovo fronte, una freccia gli sibilò vicinissima all’orecchio, mancandolo di un soffio.
Allarmati, gli ufficiali gli fecero da scudo per proteggerlo, ma Lucio li spinse via e si sporse a guardare il campo di battaglia dentro le mura. L’Orso se ne stava immobile sopra il suo cavallo, il volto parzialmente nascosto sotto un cappuccio, e lo fissava con aria di sfida. Un istante dopo, prelevò dalla faretra un’altra freccia e caricò nuovamente l’arco, ma fu ostacolato da un cavaliere romano che ingaggiò con lui uno scontro. Il Germano dovette abbandonare l’arco per affrontarlo con la spada. Lucio approfittò di quella sua momentanea distrazione per scendere dalla torretta fino al camminamento di ronda. Si avvicinò ad un arciere e, senza tanti complimenti, gli strappò dalle mani l’arco. Si appropriò anche della faretra, dopodiché si voltò a guardare il Germano, solo per scoprire che si era allontanato e non era più a tiro.

ADRIAN
L’attacco improvviso e imprevisto di Willigis aveva fatto sì che il grosso delle truppe romane si convogliasse verso di lui, consentendo ad Adrian e ai suoi uomini di sostenere gli sforzi dei Germani che erano nel frattempo riusciti a raggiungere il camminamento di ronda a est. Così, mentre loro si occupavano dei legionari a terra, i guerrieri germanici potevano iniziare la discesa sul versante esterno senza essere ostacolati. Adrian fu contento quando si accorse che uno di loro era il principe.
La corda che i Germani stavano usando per scalare il muro arrivava fino a tre piedi circa da terra. Kaleva perciò dovette saltare per raggiungere il suolo, e cadde in ginocchio. Adrian lo raggiunse e lo aiutò a rimettersi in piedi. Lo trovò ulteriormente cresciuto, ora era alto quasi quanto lui.
«Ed io che pensavo che facevate la fame, lì dentro. Ti sei mangiato qualcuno per essere cresciuto così tanto, ragazzino?» lo salutò senza rinunciare al tono sarcastico.
Kaleva sbuffò sonoramente. «Tra tutte le persone che potevo incontrare in questo momento, dovevo beccare proprio te!» contestò.
Adrian sorrise e gli offrì l’avambraccio. «Sono proprio contento di vedere che stai bene!» gli confessò poi. Kaleva gli strinse l’arto e sorrise a sua volta. «Non l’avrei mai detto, ma sono contento anche io!»
«Fate con comodo, voi due!» intervenne a quel punto Kayden, mentre agitava l’ascia bipenne sotto il naso di un nerboruto legionario.
Adrian e Kaleva si scambiarono un’occhiata complice, poi decisero all’unisono di intervenire in suo aiuto. Uno colpì il soldato con un fendente sulla schiena, l’altro lo finì con un taglio alla gola.
«Non ti si può lasciare solo un attimo» scherzò Adrian. Kayden lo guardò di sbieco, poi scosse la testa e si occupò di un soldato alle sue spalle, a cui fracassò il cranio con un paio di poderosi colpi d’ascia.
Tutti e tre iniziarono a muoversi spalla a spalla, parando colpi e infliggendone altrettanti. A mano a mano che dal muro scendevano altri Germani e si univano a loro, i tre, insieme ad altri guerrieri, si spostavano sempre più verso la porta a ovest.
Mentre guadagnavano terreno un pezzettino alla volta, videro Willigis sfrecciare nella direzione opposta, esattamente da dove provenivano loro.
«Ma dove sta andando?» chiese Adrian rivolto a Kayden, che scosse la testa.
«Non ne ho la più pallida idea…» gli rispose.

 
   
 
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