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Autore: Fiore di Giada    29/05/2023    0 recensioni
L’altro alzò le spalle in un gesto apparentemente noncurante.
− Sbagli. Per me, sarebbe stato orribile vivere senza la possibilità di scegliere. Ormai, ero solo un corpo schiavo di una volontà non mia. Per me, la schiavitù è un destino peggiore della morte. − proclamò lo spettro, fermo, seppur malinconico.
Sandokan, per alcuni istanti, tacque, come sorpreso dalle sue parole. Di nuovo, Yanez aveva abbassato la maschera, di fronte a lui.
Aveva scoperto la ferma fragilità del suo cuore, che pure, ostinato, aveva cercato di proteggere.
Questo atto era un segno di affetto mai svanito.
[Seguito di "Il prezzo della vittoria" e "Vuoto e solitudine"]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce della luna filtrava da un’ampia finestra e si adagiava ora sui muri, ora sul pavimento della stanza, accendendoli di vaghi riflessi argentei.
Sandokan, steso sul letto, fissava il soffitto, lo sguardo vitreo e le mani incrociate dietro la testa. Il tempo, in quel momento, gli pareva lento.
I secondi, inesorabili, si accumulavano sul suo cuore dilaniato.
Scosse la testa e strinse le labbra, mentre le lacrime cadevano sulle sue guance. Certo, aveva respinto l’assalto di Suyodhana, ma tale, importante vittoria aveva richiesto un prezzo terribile.
Yanez de Gomera, il suo amato fratellino, era stato usato come un’arma contro di lui.
Di scatto, si alzò e strinse il pugno, frenando un ruggito di rabbia. Quel demonio aveva perduto la guerra, ma era riuscito a prendere la vita del suo migliore amico.
Di Yanez era rimasto un corpo apparentemente privo di ferite, gelido di morte.
Un lungo brivido attraversò la sua schiena e, d’istinto, il giovane re si passò le mani sugli avambracci. Suyodhana, ne era sicuro, stava ridendo, ovunque fosse.
Forse, aveva previsto la sua sconfitta e aveva adottato un’altra, crudele strategia.
Si avvicinò ad una rastrelliera, a cui erano appese delle armi, e fissò lo sguardo su Nandaka. Quella spada, così potente, gli aveva permesso di vincere.
Quell’infame, forse comprendendo il suo destino, aveva abbandonato il corpo di Yanez, come fosse una bambola rotta.
Forse, ha pure riso mentre moriva…, pensò. Ne era sicuro, aveva udito una lugubre risata.
Prima di morire, Suyodhana si era beffato di lui.
E, anche se gli costava ammetterlo, aveva ragione.
Avrei dovuto stare attento… mormorò Sandokan, la voce incrinata dall’amarezza. Se lo avesse soccorso in tempo l’europeo, non sarebbe morto.
Ma si era lasciato incatenare dalla gioia di una vittoria a lungo inseguita.
Ma aveva pagato il prezzo della sua stupidità.
Nessun suono, per quanto esile, aveva raggiunto il suo orecchio, quando aveva posato la testa sul torace del portoghese.
Quel silenzio, così doloroso, aveva annientato qualsiasi sua emozione.
Di nuovo, gli era parso di udire l’estrema, crudele risata di Suyodhana rimbombare in quella montagna cupa.
E aveva ragione a ridere di me…, si disse il monarca, sempre più amareggiato. Gli aveva strappato il suo amato fratello.
Col cuore di Yanez, si era fermato il suo spirito.
Girò le spalle e, a passo rapido, uscì dalla stanza. No, non poteva più restare nel palazzo.
Aveva bisogno di sentire le voci della natura.

Percorse alcuni metri, la testa china sul petto, poi si fermò, alzò la testa e fissò lo sguardo davanti a sé.
La luce della luna piena rischiarava il cielo notturno, d’un intenso color cobalto, e si adagiava sul mare, illuminandolo di vivi riflessi argentei.
Una lieve brezza increspava la superficie dell’acqua, come una carezza, mentre gli uccelli, leggeri, vi volavano sopra, in cerca di preda.
Sembra Mompracem…, si disse il giovane re. Tante volte aveva osservato quello splendido paesaggio.
Il mare, con la sua apparenza sempre mutevole, donava calma al suo cuore, dilaniato dai ricordi della sua infanzia.
E Yanez, nonostante i loro contrasti, gli aveva fatto sentire la sua vicinanza.
Hai sbagliato… Eppure, mi sei sempre stato fedele. mormorò. Aveva espresso dubbi rabbiosi su Marianna e un litigio, implacabile, era divampato.
Il tempo, però, aveva dato la possibilità al suo amico di cambiare idea su di lei.
Con un gesto nervoso, Sandokan allontanò le lacrime, che minacciavano di cadere sulle sue guance. L’amore per Marianna, per quanto intenso, non aveva cancellato i suoi amari ricordi d’infanzia.
La solitudine donava al suo cuore un frammento di serenità.
E Yanez lo aveva ben compreso.
Lui, così vivace e ciarliero, in quei momenti, fissava con occhio benevolo la sua figura.
Poteva sentire il suo sguardo avvolgerlo, come un abbraccio invisibile.
Perdonami, se non l’ho capito prima… mormorò, amaro.
Un uccello notturno, quasi avesse capito, lanciò un lungo, stridulo lamento.

Ti fai problemi che non esistono, fratellino! urlò una voce ironica, seppur affettuosa.
A quelle parole, il corpo di Sandokan si irrigidì, come una sbarra di ferro. No, si era ingannato.
La sua nostalgia, così dilaniante, creava orribili allucinazioni uditive.
Eppure, il battito del suo cuore era accelerato.
Una risata ironica rispose al silenzio del monarca.
Puoi voltarti, fratellino? O sei diventato sordo?domandò ancora.
Sandokan inspirò ed espirò, cercando di calmare i battiti furiosi del suo cuore, poi, con studiata lentezza, si girò verso destra.
Il suo sguardo, esterefatto, si posò sull’alta figura di Yanez, in piedi, a pochi passi di distanza.
Il corpo del portoghese tremolava, come un’immagine riflessa sull’acqua, e i raggi della luna lo attraversavano, accendendolo di candidi bagliori.
L’asiatico, per alcuni istanti, rimase immobile, poi alzò il braccio e posò le sue dita sulla spalla destra dell’altro.
La mano, di scatto, si richiuse a pugno, come se cercasse di stringere aria.
A quel gesto, lo sguardo del portoghese brillò d’una luce ironica.
Non puoi abbracciare l’aria, amico mio. Nessuno ancora ci è riuscito. Ma sono felice di poterti vedere e parlare. − cominciò, un sorriso sottile sulle labbra.
L’altro annuì, malinconico. Come riusciva a non guardarlo senza odio?
Nulla sembrava essere cambiato.
La fronte di Yanez, ad un tratto, si aggrottò. Aveva cercato di ironizzare, ma non era servito a nulla.
Percepiva, come un masso enorme sulle spalle, il rimorso del suo amico.
Non posso odiarti, Sandokan. La mia morte non è stata voluta da te. − cominciò, il tono pacato. Forse, quel loro ultimo incontro poteva donare quiete all’animo dilaniato di Sandokan.
Ti dimentichi di quello che è successo? − domandò, a sua volta, il principe malese. Continuava a non capire l’estrema calma di Yanez.
Quella serenità era simulata o autentica?
Una breve risata risuonò sulle labbra spettrali dello spettro. La fiera limpidezza d’animo di Sandokan, a volte, gli impediva di vedere la verità.
Non dimentico… So che tu non ti sei fatto ingannare dai suoi trucchi. E… hai fatto quello che era più giusto, amico mio. confessò.
Di scatto, reclinò la testa, come se non volesse fare vedere il suo viso.
Una luce benevola, per alcuni istanti, balenò negli occhi di Sandokan. Nemmeno la morte aveva cambiato l’indole del suo amico.
Il suo cuore era limpido e fermo, ma lui si ostinava a coprire la sua anima con una maschera d’orgoglio e ironia.


Quello che era più giusto? La tua morte non è giusta, amico mio. dichiarò il monarca.
L’altro alzò le spalle in un gesto apparentemente noncurante.
Sbagli. Per me, sarebbe stato orribile vivere senza la possibilità di scegliere. Ormai, ero solo un corpo schiavo di una volontà non mia. Per me, la schiavitù è un destino peggiore della morte. proclamò lo spettro, fermo, seppur malinconico.
Sandokan, per alcuni istanti, tacque, come sorpreso dalle sue parole. Di nuovo, Yanez aveva abbassato la maschera, di fronte a lui.
Aveva scoperto la ferma fragilità del suo cuore, che pure, ostinato, aveva cercato di proteggere.
Questo atto era un segno di affetto mai svanito.
Sai… Quando Suyodhana si serviva di me, io vedevo e capivo i suoi atti. Non potevo oppormi e questo mi dava dolore. La mia morte ha risparmiato tanto sangue innocente. − proseguì ancora, il tono mesto.
I suoi occhi, per alcuni istanti, si fissarono sull’immensità dell’oceano.
Sono… Ehm… Sono stato un avventuriero. Non ho vissuto correttamente nel corso della mia esistenza, ma non ho ucciso nessun innocente. Mai. Sono felice di essere morto con le mani pulite.continuò ancora.
Non avevo mai considerato questo…, si disse il re. Il suo strazio gli aveva annebbiato la mente e non aveva pensato alla pena del suo amico, prigioniero di un incantesimo crudele.
Fedele a se stesso, anelava alla morte, pur di non contaminare il suo onore.
E, con la sua pena, lo aveva condannato ad una prigionia insensata.
Lo spirito, dopo un po’ si girò e fissò i suoi occhi sul viso dell’amico. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non era possibile…
Quella barriera, invisibile, eppure solida, impediva loro un contatto.
Ma aveva scorto un mutamento nel suo atteggiamento.
Me lo prometti, amico mio? Mi prometti che andrai avanti, anche senza di me? − chiese, la voce vibrante di speranza.
Sandokan, per alcuni istanti, fissò il viso dello spettro, gli occhi velati di lacrime. Sì, avrebbe ripreso a sorridere.
Non avrebbe dato ulteriore pena al suo fraterno amico.
Sì, lo farò. Sarai libero, fratellino. dichiarò, deciso. In quel momento, sentiva il suo cuore libero da quell’oppressione dolorosa.
Con un gesto deciso, l’altro si tolse il cappello e si chinò, esibendosi in un teatrale inchino.
Sono felice di averti conosciuto, Sandokan. Spero di rivederti, ma tra molti anni. dichiarò, prima di dissolversi, come un miraggio in un deserto.
   
 
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