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Autore: Losiliel    02/06/2023    0 recensioni
Morifinwë Carnistir Fëanárion, giovane nipote del re dei Noldor, vive in un meraviglioso palazzo nella splendente città di Tirion, in una terra benedetta da ogni ricchezza, circondato da una famiglia unita e numerosa. La sua vita sembra perfetta sotto ogni aspetto.
Peccato che lui non la pensi affatto così.
.
[ Caranthir-centrico | coming of age | vita dei Noldor in Aman | Anni degli Alberi ]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caranthir, Fëanor, Figli di Fëanor, Nerdanel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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24

La Corsa del Cacciatore

(o quando, finalmente, riesci a non farti sopraffare dalle tue paure)


 

L’Oscuramento dello stagno di Lairë era molto, molto più frequentato di quello di Ulvórë.

Morifinwë non se n’era accorto prima perché aveva passato tutta la sera nell’area riservata alle selezioni per la finale della Corsa del Cacciatore, dove non erano ammessi spettatori.

Ma ora, ai margini del Lago Lucente chiuso dal pavimento di legno e già allestito per la gara, notò che le due gradinate ai lati della pista si innalzavano ben più alte di come se le ricordava, e che il numero di spettatori radunatosi per assistere alla competizione era quasi il doppio della volta precedente.

Morifinwë si passò le mani sui pantaloni e liberò dai denti il labbro inferiore. Káino gli strinse un braccio quel tanto che bastava per ricordargli che non era solo, poi lo lasciò andare.

I due erano appena fuori dal circuito, nei pressi della pedana su cui presto sarebbe salito il giudice per dare inizio alla gara più attesa di tutta la serata. Con loro c’era un nutrito gruppetto di sostenitori. Torondo e Malagàl, coi quali erano rimasti in buoni rapporti dopo l’ultima edizione dell’Oscuramento, non vedevano l’ora di scatenarsi per incitare il loro nuovo amico. Arion e Huinion avevano rinunciato al consueto posto sulla torretta per stare accanto a Morifinwë e prendersi cura di Morvail, che si trovava tra loro accudito e vezzeggiato. E infine, ovviamente, c’era Tyelkormo, il suo Lanciere.

Per una volta il fratello aveva fatto lo sforzo di adeguare il suo abbigliamento a ciò che richiedeva la circostanza. Indossava la divisa dell’atleta – pantaloni chiusi alla caviglia e un gubbino senza maniche – e aveva imprigionato la sua voluminosa chioma in una lunga treccia, stretta e senza un capello fuori posto, molto simile a quella del loro fratello minore (talmente simile, in effetti, che Morifinwë si era chiesto se non gliel’avesse fatta lo stesso Curvo). Serio e concentrato come lui non l’aveva mai visto, Tyelkormo alle gare di selezione era stato in assoluto il Lanciere migliore di tutti.

Morifinwë riprese a torturarsi il labbro inferiore e risalì con lo sguardo l’affollata gradinata di sinistra finché non trovò, al centro, il gruppo degli Anziani. Voleva individuare il padre, ma la sua attenzione fu attratta da due alte figure avvolte in mantelli bianchi dai bordi d’argento, che spiccavano tra tutti gli altri vestiti di scuro.

Káino seguì il suo sguardo ed esclamò: – Ecco spiegato il perché di tutta questa folla! Ci sono due Rilasciati, oggi.

– Erano diversi anni che non se ne vedevano – disse Malagàl, – ormai molti hanno perso le speranze di ricongiungersi con i loro vecchi compagni caduti.

“Solo alcuni tornano tra noi”, gli aveva detto una volta il nonno parlando degli amici rimasti uccisi in Endórë, e quando Morifinwë aveva chiesto spiegazioni al suo insegnante di storia sul perché questo accadesse, aveva ricevuto in risposta solo vaghe ipotesi. La vista dei due biancovestiti, invece che rallegrarlo, gli apparve come un infausto presagio.

Ci pensò Tyelkormo a scacciare il malumore, a modo suo. – Occupiamoci di quelli che devono ancora cadere, per adesso – tagliò corto il fratello, piantando la lancia a terra a due dita dallo stivale di Morifinwë, e aggiunse con un sogghigno, – almeno finché restano tali.

Poi, in un istante, tornò serio e gli chiese: – Allora, cosa intendi fare?

Nonostante il brusco cambio di argomento, era chiaro a cosa si stesse riferendo.

Morifinwë aveva passato la selezione per arrivare tra i dieci finalisti senza dover ricorrere alla variante Hellë. Non aveva vinto tutte le gare, ma i suoi risultati erano stati più che sufficienti per fargli ottenere il diritto di gareggiare davanti al pubblico, agli Anziani e, cosa più importante, a suo padre.

Poteva farsi bastare quello. Avrebbe fatto una gara di tutto rispetto e non sarebbe nemmeno arrivato ultimo: alcuni degli altri nove concorrenti li aveva già battuti nelle prove eliminatorie.

Oppure poteva eseguire la variante Hellë per la prima volta e tentare di strappare il titolo di campione a Nordacil, che nelle gare di qualificazione aveva sconfitto tutti i suoi avversari. Il rischio era altissimo: l’acrobazia gli riusciva solo nove volte su dieci, e quando non riusciva il risultato era, invariabilmente, la caduta da cavallo, con la seria possibilità di farsi male e la certezza assoluta di fare la figura dell’idiota davanti a tutti.

Da quando aveva ottenuto il ciondolo a forma di cavallo che lo indicava come finalista, Tyelkormo aveva cercato in tutti i modi di convincerlo che non era il caso di sfidare la sorte. “Solo aver ricevuto questo” gli aveva detto riferendosi al ciondolo, “è un grande onore”. E più tardi aveva insistito: “con alcuni di loro te la puoi giocare, finiresti sicuramente tra i primi cinque”, confermando, senza saperlo, il pronostico di Káino.

Eppure, se adesso il fratello se ne veniva fuori con quella domanda, voleva dire che anche lui non era così convinto di rinunciare alla grande impresa. Evidentemente, quanto più si avvicinava il momento della gara, tanto più la sua parte competitiva aveva la meglio su quella guidata dalla ragione. E Morifinwë lo capiva, perché provava la stessa cosa. Erano nipoti di Finwë, dopotutto; non era nella loro natura rimanere in disparte. Tantomeno accontentarsi.

Tyelkormo lo prese per le spalle e lo guardò dritto negli occhi.

– Moryo – gli disse, – se vuoi farlo, non ti fermerò.

E dopo una breve esitazione aggiunse: – So che non conta molto quello che penso io, e che non è il mio apprezzamento quello che stai cercando, ma sappi che, qualunque cosa accada, sono fiero di te.

Morifinwë sbatté le palpebre più volte per allontanare un fastidioso pizzicore dagli occhi. Si schiarì la gola. – Conta molto invece – disse.

– Moryo! – li interruppe uno dei gemelli, – arriva il giudice.

Tyelkormo lo lasciò andare.

– Concentrato, ora – disse il fratello. Gli puntò un dito sulla fronte: – Tutto avviene prima qui dentro. – E poi sparì, diretto al punto di ritrovo dei Lancieri.

Quando il giudice salì sulla pedana anche Morifinwë si decise a muoversi. Ricevette qualche frase di incoraggiamento da Káino e dagli altri ragazzi, Malagàl gli baciò una guancia, Arion gli consegnò Morvail e lui raggiunse gli altri concorrenti all’inizio del circuito.

La sua qualificazione lo poneva come quartultimo; dopo di lui avrebbero corso un ragazzo della Piana Calaciryana dal mento appuntito e dalla pelle dipinta di bianco, e una ragazza con piume colorate tra i capelli, che montava un cavallo simile a Haninkë, piccolo e veloce.

Ultimo, come era prevedibile, Nordacil, il campione in carica, sguardo assorto nella sua affascinante tenuta mezzo uomo e mezzo animale.

Morifinwë azzardò un’ultima occhiata alla gradinata degli Anziani. Chissà se suo padre l’aveva già riconosciuto. Hellë gli aveva dato una versione della divisa dell’atleta tutta nera, ed era riuscita a legargli i capelli in un unico nodo in cima alla testa con lacci anch’essi neri, radunando in minuscole trecce anche quelli che normalmente sfuggivano alla coda. La sua carnagione particolare, che spiccava tra le altre più chiare, completava il tutto per tener fede al nome con cui avevano cominciato a chiamarlo durante le selezioni: Moryo lo Scuro.

– La Corsa del Cacciatore! Nell’Oscuramento di Lairë dell’anno…

La voce del giudice lo colse di sorpresa. Era il momento di sgomberare la mente da ogni pensiero, di rivivere l’intera gara nella sua testa nei minimi dettagli, come gli aveva insegnato Hellë.

Hellë.

Quanto avrebbe voluto che fosse stata lì con lui.

Quella mattina, prima di partire, era stato persino sul punto di chiederglielo, ma grazie a Eru era riuscito a trattenersi. Non sapeva cosa sarebbe stato peggio: ricevere un rifiuto o costringerla a partecipare all’Oscuramento contro la sua volontà.

Però le aveva chiesto un parere sincero sulla scelta di applicare la variante.

– Voglio la verità – le aveva detto.

– Puoi piazzarti dignitosamente, hai imparato molto bene – aveva risposto lei, – oppure puoi tentare di vincere. Il rischio è alto e la scelta è tua.

– Tu cosa faresti al posto mio?

– La scelta è tua – aveva ripetuto lei, e poi aveva aggiunto, col suo mezzo sorriso, – è questo che significa diventare grandi, Carnistir.

Il grido di esultanza della folla che applaudiva alla prestazione del primo concorrente riportò Morifinwë alla realtà. Doveva smettere di pensare a Hellë e concentrarsi sugli esercizi di visualizzazione.

Lanciò un’ultima occhiata alla zona dove sostavano i Lancieri per accertarsi che Tyelkormo fosse in posizione, e qualcosa sullo sfondo attrasse la sua attenzione.

Ai piedi della gradinata di destra, in prima fila stretta tra la folla, c’era una donna con un mantello azzurro sbiadito e il volto celato dal cappuccio. Si faceva notare perché era l’unica calma tra il pubblico che le si accalcava intorno, e sembrava stesse guardando proprio nella sua direzione.

Morifinwë si passò una mano sulla faccia, doveva visualizzare la gara, non sognare a occhi aperti. Ma quando tornò a guardare, la donna era ancora lì e aveva portato una mano aperta sul cuore.

Al suo polso c’era un inconfondibile bracciale di cuoio.

Morifinwë sbatté più volte le palpebre per liberarsi dell’allucinazione. Ma non era un’allucinazione: Hellë era davvero lì.

Era lì, all’Oscuramento dello stagno, nonostante i suoi timori di ritrovare vecchie conoscenze, nonostante la sua paura di risvegliare dolorosi ricordi.

Era lì per lui.

Morifinwë si portò la mano sul cuore a sua volta per farle sapere che l’aveva riconosciuta e per comunicarle quanto le fosse grato della sua presenza. Ma era un gesto che non bastava per esprimere tutta la sua riconoscenza.

Ce n’era uno migliore.

Non tutto l’oro brilla, gli aveva detto una volta Hellë per rassicurarlo.

Ma forse era giunto il momento che quell’oro cominciasse a brillare.

Morifinwë chiuse gli occhi e visualizzò l’intera gara, completa di variante. La decisione era presa.

Quando il giudice chiamò il suo nome, lui era pronto.

– Il prossimo concorrente – annunciò l’uomo con voce possente dalla sua pedana, riportando il silenzio nella valle, – Moryo di Tirion.

Morifinwë lasciò Morvail all’inizio del percorso e raggiunse il punto contrassegnato dalla stella sul pavimento. Quando il silenzio fu assoluto entrò in contatto col cavallo ed entrambi cominciarono a muoversi.

E la gara ebbe inizio.

Morifinwë corse, come aveva fatto altre mille volte dal vero e nella sua testa.

Eseguì un balzo perfetto, atterrò sul dorso di Morvail e affrontò il rettilineo. Al momento giusto sollevò il braccio destro e percepì dallo spostamento d’aria la lancia in arrivo. Il tiro precisissimo di Tyelkormo gliela depose in mano e lui non dovette far altro che chiudere le dita sull’asta.

Morvail imboccò la prima curva, lui gli appoggiò la mano libera sul collo e raccolse le gambe sotto di sé. Accucciato, col braccio che teneva la lancia in alto sopra la testa, affrontò la seconda curva.

Morvail quasi s’impennò nel cambio di direzione, Morifinwë ruotò di mezzo giro a destra, dritto verso il bersaglio, fece scivolare un ginocchio sul suo dorso, mantenne l’altro fisso contro il punto da centrare e lanciò.

Non vide il risultato del suo tiro, impegnato com’era a restare in equilibrio su Morvail mentre invertiva la marcia per gettarsi nell’ultimo tratto del circuito, quello in cui di solito i concorrenti prendono la mira per lanciare.

Fece perno con la mano sul collo di Morvail e con un volteggio riportò le gambe da un lato e dall’altro del cavallo, gli strinse i fianchi con le ginocchia e si fermò davanti al bersaglio per ammirare il suo operato: centro perfetto.

Poi si voltò.

Il pubblico su entrambe le gradinate era in piedi, nel silenzio più totale. Per un attimo nessuno si mosse, come dovessero ancora decidere se credere o no a ciò che avevano visto. Morifinwë fece in tempo a sentire il sudore che gli si freddava addosso.

Poi una voce dalla folla gridò: – Moryo lo Scuro!

E tutto d’un colpo si scatenò il putiferio. Tamburi, applausi, piedi battuti per terra, strilli dei flauti globulari usati come fischietti, fecero tremare il suolo e vibrare l’aria, eppure non riuscirono a sovrastare il suono di centinaia voci che scandivano il suo nome.

“Mo-ryo! Mo-ryo! Mo-ryo!”

Nemmeno la visione più audace generata dalla sua fantasia più sfrenata si avvicinava a ciò che stava accadendo in quel momento.

Non c’era una sola persona in tutta la valle che non avesse gli occhi puntati su di lui, ma a Morifinwë importava soltanto di due. Una applaudiva tra gli Anziani, alta e fiera nel suo mantello di pregiate stoffe scure. L’altra stava immobile, ai piedi della gradinata opposta, celata da un mantello molto più modesto.

Morifinwë si ricordò che erano ancora nel bel mezzo della gara. Andò a recuperare la lancia dal bersaglio e condusse Morvail al trotto fino alla postazione dei Lancieri. Tyelkormo balzò sul cavallo dietro di lui con un salto che avrebbe fatto invidia a molti dei concorrenti e che diede nuova linfa all’applauso del pubblico.

La folla esplose in un ruggito finale quando Morifinwë alzò la lancia al cielo in segno di esultanza, e i due Fëanárioni tornarono insieme alla partenza.

Il concorrente successivo, il bianco ragazzo della Piana Calaciryana, fu chiamato con un po’ di ritardo perché le urla del pubblico tardarono a placarsi. Forse scoraggiato dalla prestazione irraggiungibile di chi l’aveva preceduto, salì male e arrivò sbilanciato ad afferrare la lancia, anche se poi il suo tiro si rivelò preciso. Fece meglio la ragazza con il cavallino veloce, che eseguì il percorso in un tempo brevissimo e riuscì a colpire il bersaglio quasi nel centro.

Infine toccò a Nordacil. La prestazione del campione fu identica a quella che Morifinwë aveva già visto la prima volta, e a quelle che gli avevano permesso di qualificarsi come primo concorrente in tutte le gare eliminatorie. Veloce. Precisa. Senza una sbavatura.

Ma non bastò. Non c’era bisogno di aspettare la decisione del giudice per capire chi fosse il vincitore.

Morifinwë ne ebbe la conferma quando Nordacil, tornato a inizio circuito con il suo Lanciere al seguito, si fermò davanti a lui e con un movimento rapido ed elegante fece ruotare la sua lancia e gli offrì l’impugnatura con l’accenno di un inchino.

Morifinwë restò così sbalordito che ci volle un colpo di gomito di Tyelkormo per farlo smuovere. Accettò l’arma e ricambiò l’inchino – il gesto fu accolto dall’ennesima ovazione del pubblico – ma prima che riuscisse a trovare qualcosa da dire, i concorrenti vennero chiamati per la premiazione.

Il giudice confermò la vittoria di Morifinwë e incise la singola tacca sul suo ciondolo giallo. Nordacil dovette accontentarsi della seconda posizione.

Appena libero dalle formalità – strette di mano e complimenti reciproci tra i concorrenti e ringraziamenti ai giudici – Morifinwë tornò a concentrarsi su ciò che più lo interessava.

Tra la gradinata di sinistra, su cui suo padre applaudiva in piedi con tutti gli altri, compresi gli Anziani e i due Rilasciati, e quella di destra, ai piedi della quale aveva visto Hellë, non ebbe dubbi su dove dirigersi per primo.

Solo che lei non c’era più.

Morifinwë soffocò un’imprecazione. – Torno subito – disse al fratello, consegnandogli le due lance e lasciando Morvail alle sue cure, e si precipitò lungo il viale che si allontanava dal Lago Lucente.

Hellë era alta, era l’unica a capo coperto, e viaggiava in direzione opposta alla folla che cercava di avvicinarsi ai concorrenti per festeggiare con loro. Non gli fu difficile individuarla.

– Hellë! – gridò Morifinwë quando la vide.

La donna si voltò di scatto e il cappuccio le scivolò sulle spalle. Dalla sua espressione non si potevano intuire le sue intenzioni e Morifinwë pregò che non decidesse di andarsene; tra le persone che li separavano, la distanza che c’era tra loro e la velocità alla quale sapeva muoversi la ex-Cacciatrice, lui non sarebbe mai stato in grado di starle dietro.

– Hellë, aspetta! – la implorò, sgomitando tra la gente.

E lei aspettò.

Quando Morifinwë riuscì a raggiungerla, fu lei a parlare per prima.

– Carnistir – gli disse, – sei stato impeccabile.

Morifinwë sentì il viso avvampare e fu preso dall’impellente desiderio di abbracciarla, di stringerla a sé, di dirle che non c’era una singola cosa al mondo che fosse più importante di lei nella sua vita.

La folla li costringeva vicini, uno di fronte all’altra. A Morifinwë sarebbe bastata una leggera flessione del gomito, un impercettibile movimento del polso per riuscire a sfiorarle le dita. Strinse i pugni per evitare che le sue mani lo tradissero.

Mossa inutile, perché, del tutto inaspettatamente, furono i suoi piedi a tradirlo. Si misero sulle punte, lo portarono all’altezza giusta e, prima che potesse rendersi conto di ciò che stava per fare, Morifinwë sfiorò le labbra di Hellë con le proprie.

Fu breve, troppo breve per essere definito un bacio. Ma fu abbastanza per mandargli un brivido lungo tutto il corpo e polverizzare ogni sua residua capacità di ragionamento.

Hellë sembrava confusa quanto lui. Sul viso aveva un’espressione che Morifinwë non avrebbe saputo decifrare nemmeno se il suo cervello avesse funzionato a pieno ritmo, e di sicuro non era mai stato più lontano dal farlo.

Però una cosa era certa: non era la faccia di chi sta meditando l’omicidio del malcapitato che gli sta di fronte. Sembrava più un’espressione sorpresa, come se dovesse capire lei stessa ciò che stava provando.

Se era così, Morifinwë era più che intenzionato a farglielo capire immediatamente. Si portò di nuovo sulle punte dei piedi per ripetere l’esperimento, ma questa volta lei frenò il suo slancio mettendogli due dita sulle labbra.

– Eravamo d’accordo che non fosse una buona idea – disse, tenendolo a distanza.

Forse il Morifinwë di qualche tempo prima si sarebbe ritirato, arrossendo fino alla radice dei capelli, umiliato per il rifiuto, sopraffatto dalla vergogna per ciò che aveva fatto. Il ragazzo che teneva troppo al suo aspetto, che invidiava i fratelli, che si preoccupava in continuazione del giudizio degli altri, sarebbe fuggito a gambe levate per non farsi mai più vedere.

Ma questo Morifinwë, che vinceva la Corsa del Cacciatore, che stava come un pari tra i figli dei Nati all’Est, che veniva acclamato all’Oscuramento dello stagno e riceveva gli applausi del padre, non era un tipo che scappava. Prese la mano che gli copriva le labbra con estrema delicatezza e ne baciò il dorso, poi disse: – Perché?

Hellë rispose, a bassa voce: – Ci sono molti motivi, e li conosci anche tu.

Morifinwë ripensò alla conversazione che avevano avuto quel lontano giorno nel frutteto, quando lui le aveva confessato ciò che provava: – Pensi che sia troppo giovane per essere sicuro dei miei sentimenti?

Gli sembrava ragionevole che Hellë lo pensasse. Lui stesso faceva fatica a capire quello che provava in quel momento, era come se qualcuno gli avesse sostituito la testa con una bolla d’aria nella quale i suoi pensieri rimbalzavano l’uno contro l’altro.

Lei lo guardò a lungo prima di rispondere, come se davvero potesse scrutare nel profondo del suo cuore per verificare la sincerità dei suoi sentimenti.

– No – ammise, alla fine. – No, non credo questo.

– Bene – disse Morifinwë, – perché se è vero, come dicono, che gli Eldar scelgono il loro compagno per la vita, io ho già fatto la mia scelta.

Si tolse dal collo il ciondolo su cui spiccava la singola tacca del vincitore e lo appoggiò sul palmo della mano che aveva appena baciato.

– Questo appartiene a te – aggiunse.

Poi chiuse le dita di lei sul simbolo della loro vittoria, e la lasciò andare.

Hellë non si mosse. Non un respiro. Non un battito di ciglia. I suoi occhi erano grigi cristalli indecifrabili. Eppure, dietro quello sguardo impassibile, Morifinwë fu certo di percepire, intrappolato a stento dalla sua ferrea forza di volontà, un vortice di emozioni.

Per un attimo desiderò aprire un varco mentale come quello che li aveva uniti quando lei gli aveva permesso di guardare sotto il suo bracciale, e farsi catturare da quel vortice. Desiderò capire, con tutto sé stesso. Desiderò conoscere, amare.

Poi sentì qualcuno che gli toccava una spalla e la voce di Tyelkormo che lo raggiungeva da dietro, impaziente.

– Andiamo, Moryo. Non facciamo aspettare papà.

Hellë si schiarì la gola e disse: – Vai, Carnistir.

Morifinwë annuì.

Quello che gli importava di dire – e che in un’altra occasione non avrebbe mai avuto il coraggio di dire – era stato detto. Per tutto il resto ci sarebbe stato tempo il giorno dopo. E quello dopo. E quello dopo ancora.

– A domani, Hellë – la salutò, e si lasciò trascinare via da Tyelkormo tra la gente in festa.



 

Le gradinate si stavano svuotando. Gli addetti stavano cominciando a smantellare l’allestimento, le assi che coprivano il Lago presto sarebbero state rimosse per ridare luce alla valle. Fëanáro era nei pressi della pedana del giudice di gara. Accanto a lui, gli Anziani: uomini e donne dai volti chiari e luminosi, i tratti austeri, i lunghi capelli corvini. Dei due Rilasciati non c’era traccia; forse, ora che erano tornati in vita, non volevano rinunciare nemmeno per un istante alla compagnia dei  loro cari, da cui erano stati separati per moltissimi anni.

– Morifinwë, vieni – lo accolse il padre, quando lui fu a portata di voce, – è stata una sorpresa trovarti qui – e lanciò a Tyelkormo un’occhiata che riassumeva quanto a Fëanáro piacessero le sorprese.

Morifinwë, ancora un po’ frastornato per gli eventi incredibili di cui era stato protagonista, non seppe come interpretare quell’affermazione. Il padre parve accorgersene e precisò immediatamente: – Una sorpresa tutt’altro che spiacevole. Ti sei fatto valere questa notte!

Fëanáro gli mise una mano su una spalla e si rivolse agli Anziani, presentandolo: – Questo è mio figlio, Morifinwë.

Morifinwë sentì una fitta di gioia trapassargli il cuore.

Questo è mio figlio. Aveva mai sentito parole più belle?

– Morifinwë – continuò il padre, – sei al cospetto di alcuni tra i più antichi esponenti del nostro popolo, nati in Endórë, le cui coraggiose gesta ci hanno permesso di raggiungere la terra in cui viviamo.

Lui fece l’inchino richiesto dalla circostanza e i cinque risposero con un cenno del capo.

Poi una donna dal viso affilato e dai penetranti occhi grigi abbandonò le formalità e disse: – Una prestazione straordinaria, complimenti!

– Un cambio di posizione davvero difficile da padroneggiare – commentò l’uomo al suo fianco, talmente somigliante a lei che doveva essere suo fratello.

Morifinwë pensò che “padroneggiare” non era il termine che meglio descriveva un successo che si presentava solo nove volte su dieci, ma si guardò bene dal correggerlo e chinò il capo davanti a quei complimenti.

– In effetti, ho conosciuto poche persone in grado di fare una cosa del genere – riprese la donna, – te l’ha insegnato Finwë?

– Ricordo ancora quando gli chiedesti di insegnarti a salire al volo a cavallo – si intromise una terza persona rivolgendosi a Fëanáro e appoggiando una mano sulla sua spalla – quanti anni avevi, nemmeno venti?

Morifinwë guardò l’uomo che si permetteva un gesto così familiare con il padre. Era il più alto di tutti e aveva capelli così lunghi che se non fossero stati parzialmente raccolti in un complicato nodo in cima alla testa avrebbero sfiorato il suolo. Alla debole luce che illuminava la valle, i suoi occhi apparivano scuri come l’abisso, eppure in quella profondità insondabile s’intravedevano remote scintille, come se le costellazioni di un cielo sconosciuto si fossero impresse nelle sue pupille.

Morifinwë fu certo di trovarsi davanti a un Inconcepito, ma quella realizzazione passò in secondo piano rispetto a una, per lui, ancor più sconvolgente.

– Il nonno ti ha insegnato a salire a cavallo al volo? – domandò, rivolto al padre.

Fëanáro annuì. – Prima che – esitò solo per un attimo, – venisse distratto da altri avvenimenti.

Poi la sua attenzione si spostò su qualcosa alle spalle di Morifinwë.

– A quanto pare, ti stiamo sottraendo ai tuoi amici – disse.

Morifinwë lanciò uno sguardo dietro di sé. Ora che le transenne erano state rimosse, Káino, Arion e Huinion, seguiti a breve distanza da Torondo e Malagàl, avanzavano incerti nella loro direzione.

– Vai pure a festeggiare – disse il padre, – parleremo domani, a casa.

Morifinwë non se lo fece ripetere e si congedò con un inchino dall’assemblea degli Anziani, desideroso di raggiungere i suoi amici, mentre il padre prendeva per un attimo in disparte Tyelkormo per dirgli: – Non credo ci sia bisogno di ripeterti cose che ti avrà già detto tua madre.

– “Riportalo a casa intero e non farlo bere troppo?” – citò il fratello, – no, papà, non ce n’è bisogno.



 

Quella notte, Morifinwë tornò a casa tutto intero, ma in quanto alla seconda raccomandazione ci fu qualche intoppo. Vincere la Corsa del Cacciatore – scoprì – era qualcosa che ti procurava un immediato successo di amici e amiche che volevano sapere tutto di te, di come vivevi, di chi ti aveva addestrato, e per ottenere informazioni erano decisi a fare il giro di tutti i chioschi di bevande alcoliche della vallata. A quanto pareva, veniva chiuso un occhio sulla regola dell’età del bevitore quando si trattava dei vincitori della Corsa del Cacciatore.

Strette di mano, baci e abbracci si fecero più numerosi e più decisi man mano che la notte avanzava; molte ragazze e – gli sembrò di ricordare in seguito – anche qualche ragazzo lo trascinarono a ballare, e fu quasi certo che Malagál lo baciò sul serio a un certo punto della serata.

Káino non la smetteva più di raccontare per filo e per segno ogni fase del suo allenamento, talvolta elogiando le doti di Morifinwë al punto che lui si ritrovava ad arrossire, talaltra soffermandosi sulle cadute più imbarazzanti per suscitare le risate del pubblico.

A Morifinwë sembrava di vivere in un sogno, non riusciva a credere che fosse davvero successo ciò che l’evidenza dei fatti testimoniava. In una sola sera aveva vinto la gara più prestigiosa dell’Oscuramento, era stato elogiato da suo padre, si era dichiarato alla donna che amava e aveva dato il suo primo bacio.

Quando Tyelkormo se lo caricò sul cavallo davanti a sé, ciondolante di sonno e stordito dal troppo vino e dall’eccesso di felicità, sentì le braccia forti del fratello che lo circondavano e la sua voce che diceva: – Dormi, piccolo, ti riporto a casa.

Pensò di ribattere che non era piccolo. Non più.

Invece si lasciò andare contro il solido torace del fratello e prima di cadere nel sonno mormorò parole che non aveva mai pronunciato.

– Grazie Tyelko. Grazie di tutto.






 


NOTE

Grazie a chi ha letto!
Anche la nostra lunga corsa è quasi finita... il prossimo capitolo sarà l’ultimo!

 

01.
Ciò che sostiene Moryo riguardo al fatto che gli Elfi si innamorano una sola volta nella vita è un’esagerazione adolescenziale di quanto detto in LaCE: “the Eldar do not err lightly in such choice”, dove la “choice” è la scelta del coniuge. Come possa sostenere una cosa del genere il nipote di Finwë, è un mistero.

02.
I Laghi Lucenti sono bacini in cui vengono conservate la pioggia di Laurelin e la rugiada di Telperion perché siano sorgenti di luce dove i raggi degli Alberi Sacri faticano ad arrivare.

Nomi canonici, conversione Quenya - Sindarin
Morifinwë, Carnistir = Caranthir
Tyelkormo (qui chiamato anche Tyelko) = Celegorm
Curufinwë, Curvo = Curufin
Fëanáro = Fëanor
Endórë = Terra di Mezzo

Personaggi di mia invenzione
Káino, il migliore amico di Morifinwë
Morvail, il cavallo di Morifinwë
Arion, il figlio del responsabile delle scuderie di Rowen
Huinion, il suo gemello
Torondo, un amico di Morifinwë della Piana Calaciryana
Malagàl, una amica di Morifinwë di Alqualondë
Nordacil, il campione indiscusso della Corsa del Cacciatore
Haninkë, il cavallo di Káino

Nomi di mia invenzione
Ulvórë, una stagione a metà tra l’autunno e un mite inverno
Piana Calaciryana, stretta striscia di terra pianeggiante tra Tirion e il mare

Nomi canonici usati non-canonicamente
Lairë, la stagione paragonabile alla nostra estate

 

  
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