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Autore: Rameo_Laufeyson8    06/06/2023    0 recensioni
Sin da bambina Eden cerca di sopravvivere in una realtà crudele e apocalittica. Era appena tredicenne allo scoppio dell'epidemia di cordyceps, e dopo dieci anni dai primi contagi vaga ancora per i resti delle insidiose città fantasma alla ricerca di viveri, spinta dall'istinto disperato di sopravvivere nonostante gli orrori nascosti in ogni angolo. Seppur Eden sia una viandante disperata non è un eremita. Da cinque lunghi anni Pietro è la sua ombra, pronto a sacrificare la sua stessa vita per proteggerla. I due sono in simbiosi, indissolubilmente innamorati per promesse che vanno ben oltre l'immaginario umano. Ma è quando si separano tragicamente che i loro destini vengono alterati con tremenda crudeltà. E a salvare la vita di Eden sarà Joel Miller.
Ma questa non è una storia d'amore, oh no; questo racconto è scritto col sangue della vendetta.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ellie, Joel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All'interno delle mie ossa avvampa un dolore caldo e pulsante. E' tremendamente complicato riuscire a trovare le parole adatte per descrivere la sensazione di agonia che mi percuote ogni fibra nervosa che mi è in corpo. Non è la carne ricucita e gonfia a farmi contorcere e irrigidire, come se fossi vittima di un violento susseguirsi di doglie e contrazioni. No, è l'osso del femore a farmi sudare per lo sforzo di trattenere il dolore. Provo a gestire la mia immane sofferenza da ore; l'effetto della morfina è svanito del tutto, e nessuno sa darmi -o vuole darmi- un prognostico di quanto ancora durerà questa fase critica.

Per mia fortuna l'osso non ha riportato una frattura scomposta, per tanto mentre ero incosciente e sotto le mani abili del medico mi sono state applicate due piccole placche in lega di titanio. Un vero pezzo raro, offertomi con privilegio dalle mie condizioni critiche all'arrivo qui a Jackson.

Queste piccole lamine serviranno a far rimarginare il danno al mio femore, eppure sento di soffrire peggio di quando mi sono violentemente squarciata la gamba sulla roccia.

Stremata arranco alla ricerca di un attimo di riposo, vorrei tanto dormire ma la smania del dolore mi fa fremere nel letto, adesso sfatto e fradicio di sudore.

Un forte senso di nausea mi ha già fatto rimettere quella scarsa porzione di cibo che mi è stata concessa, oramai non sono più in grado nemmeno di bere. L'unica cosa che riesco a fare è mugugnare e gemere, con la gamba ferita rigida come fosse di legno. Stringo le lenzuola nei pugni, mi conficco le unghie nella gamba sana e creo profondi graffi sulla pelle candida.
 

Quanti giorni sono passati?

Spero molti, a questo punto. Sono talmente confusa, la febbre sale e scende e mi rende fortemente confusa. Non riesco a scandire le giornate, ma se fossero trascorsi solamente due giorni da questo calvario darei davvero di matto.

Vengo controllata spesso da diverse persone, tutte facce nuove e fuggenti, distinguo quella del medico, ma la maggior parte sono uomini o donne che passano per darmi una ripulita, assicurarsi che mi nutra con qualcosa o che io sia ancora viva.

Odio la loro presenza, e non dovrei essere tanto ingrata con le persone che mi stanno accudendo. Ma il dolore mi rende irrequieta e aggressiva, e cosa peggiore non ha messo da parte il mio lutto per Pietro.

Pare che il tormento alla gamba, invece che distrarmi dall'agonia della morte di Pietro, aggravi il mio stato d'animo, che oramai non riesco nemmeno a definire.

Sono un relitto quasi putrescente di lacrime e lamenti, se nessuno si fosse preoccupato di avermi levato i drenaggi alla cicatrice, medicandomi quotidianamente, puzzerei davvero di carne morta.

Sto soffrendo un caldo tremendo, mi straccio il colletto della maglia bagnata che indosso ma non riesco a strapparlo. Lo farei se lasciassi che i miei istinti prendessero il sopravvento, ma non voglio aggiungere anche l'umiliazione di farmi trovare nuda dalla prossima persona che entrerà da quella porta.

E ringrazio il cielo di non essermi denudata come una selvaggia quando nella mia stanza entra Joel.

L'odore dei suoi abiti puliti mi travolge, e mi rendo conto di quanto io sia disgustosa rispetto a lui. Volto il capo e poggio una parte del viso sul cuscino stropicciato. Ansimo velocemente, i capelli biondi mi si sono incollati alla fronte per il sudore.

Stringo più forte le coperte sotto di me per provare a trattenere una fitta di dolore. Joel se ne accorge, ma continua ad avvicinarsi a me con sguardo serio.

Mi accorgo solo dopo che nelle mani tiene un vassoio con sopra un piatto di carne morbida e un bicchiere di vetro pieno d'acqua fresca. Il profumo del coniglio speziato mi fa girare la testa, forse riuscirà a saziare la mia fame nauseata.

Poggia il cibo sul tavolino accanto al mio letto e mi sorride appena. Lo prendo come un cordiale saluto.

Serro le labbra un po' tremante, puntando lo sguardo sul piatto fumante. Mi viene l'acquolina in bocca, lo stufato di coniglio mi fa davvero venire un sano appetito.

Joel estrae qualcosa dalla tasca della sua camicia, quasi la nasconde nella mano con imbarazzo.

Esita, e finalmente guardo lui anziché la leccornia che mi ha offerto. È stato l'unico a portarmi qualcosa di veramente appetitoso da mangiare che non fosse riso in bianco o brodo di pollo.

-Come ti senti?- mi domanda, ma credo si sia pentito subito di farmi una domanda tanto stupida. Basta guardami per ricevere una risposta.

Sfoggio un amaro sorriso che somiglia ad una smorfia; -Porca puttana sto impazzendo di dolore. Tu che mi dici invece?-

Non sono in vena di scherzare, il mio tono è parecchio aggressivo e provocatorio, anche se non vorrei prendermela proprio con Joel.

-Sono un idiota.- Joel scuote in capo. Mi sento mortificata per averlo fatto sentire così, vorrei dirgli che sono contenta che sia venuto a trovarmi. All'improvviso ho paura che non possa più tornare, che si senta di troppo. Eppure mi aveva garantito che sarebbe stato sempre dietro quella porta, è la mia unica certezza in questa terribile situazione.

-No, scusami. Sono troppo scortese, è che me la sto vedendo davvero brutta.- dico gesticolando con le mani ed indicandogli la gamba nuda tappezzata di cerotti bianchi.

-Dovrei scusarmi io, volevo venire qui per parlare di altro, se ti va naturalmente.-

-Di cosa?-

Joel fa spallucce, alza le sopracciglia e la sua espressione mi mette a mio agio; -Qualsiasi cosa tu voglia. Possiamo anche rimanere in silenzio.-

-Finché ho la forza di parlare voglio sfruttare l'occasione, altrimenti sprecherò il fiato solamente per lamentarmi.- provo ad essere meno dura ma serro i denti per via dell'ennesima ondata di dolore.

Joel sembra sentirsi più leggero. Il suo viso si rilassa e apre il pugno porgendomi ciò che aveva estratto dalla tasca poc'anzi.

Guardo il suo palmo, le dita sono rovinate dalla fatica e dal tempo. Tra le diverse cicatrici bianche nella sua mano noto il dono che ha deciso di portarmi; è un ciondolo d'oro, talmente vecchio che da giallo è diventato bianco. Distinguo nella forma un piccolo angelo, in verità ha solamente la testolina capelluta, le piccole braccia sul viso e le ali piene di dettagli. Chissà se è stato realizzato appositamente senza il corpo o questa dannata apocalisse ha rotto persino questo splendido gioiello.

Con stupore prendo il piccolo ciondolo tra le dita senza nemmeno chiedergli il permesso. Lo guardo contro la luce che penetra dalla finestra e sorrido come una bambina che ha appena ricevuto quello che sognava da sempre.

-Troverò anche una collana, così potrai indossarlo.- mi dice. Gli si scalda il cuore vedere questa povera ragazzina malata stupirsi per il suo bel pensiero.

-Non preoccuparti, è stupendo anche così.- per un attimo mi sono distaccata dal mio fardello alla gamba. Rivolgo un dolce sguardo a Joel e lo ringrazio, la voce mi esce a mal appena perché sto iniziando a commuovermi.

Joel cala in fretta lo sguardo, per imbarazzo probabilmente. Non avrei mai pensato che qualcuno facesse un gesto talmente prezioso per me. Pietro ormai se n'è andato per sempre dalla mia vita, non esiste nessun altro al mondo che mi regalerebbe un angelo d'oro.

Questo momento sospeso nel silenzio si spezza, e ne sono grata perché incrociare lo sguardo con Joel mi fa arrossire in maniera spontanea. La cosa mi imbarazza molto, ma noto che la cosa è reciproca perché anche le guance di Joel si sono fatte rosa.

Ellie ha bussato alla porta e si permette di entrare. Ci saluta dicendo che ha avuto il piacere di passare a trovarmi, sapendo che Joel fosse già qui.

Anche con Ellie adesso mi sento a mio agio, lei è giovane ma la differenza d'età tra noi due sembra molto evidente. Ellie è abbastanza loquace, ed è grazie alla sua parlantina che mi rianimo abbastanza da mangiare metà dello stufato di carne ancora caldo.

Mangio a rilento, gustando ogni piccolo boccone con la speranza che rimanga nel mio stomaco abbastanza a lungo da ridarmi le forze.

Joel ed Ellie sono seduti ognuno su di uno sgabello, proprio di fianco al mio letto. Per fortuna si risparmiano lo spettacolo disgustoso della mia gamba ferita, che si trova nel lato opposto.

Chiacchieriamo cordialmente, la mia mente si alleggerisce da tutte le cose orribili che mi sono accadute in questi giorni, e per gestire gli attacchi di dolore all'osso ora chiudo gli occhi di colpo e arriccio il naso, chiudendo la bocca per non lamentarmi a voce troppo alta. Una volta che il peggio è passato i miei due visitatori riprendono a stento il discorso frivolo che stavamo facendo.

È all'ennesima scarica di dolore che Ellie e Joel non riescono a riprendere il filo della discussione. Non voglio che si sentano assolutamente indisposti, che se ne vadano pensando di dovermi lasciare del tempo per riposare.

Getto lo sguardo su un braccio di Ellie e decido di essere sfacciata, fintanto che trovo qualcosa di cui parlare; -Cosa hai fatto al braccio?-

Ellie impallidisce. Sembra che l'abbia colta in flagrante in qualcosa di orribile. Di rimando abbassa il braccio avvolto dalla medicazione pulita, e lo nasconde.

-Oh- guarda Joel come per cercare conferma su qualcosa -una brutta bruciatura, nulla di grave. E invece tu, come ti sei procurata quella cicatrice da dura?-

Rido. Lo faccio per non piangere. Spero proprio che mi faccia sembrare una tosta e non una storpia.

Racconto ad entrambi di come gli infetti ci hanno colto di sorpresa, dalla fuga e di come infine sono rotolata giù dal pendio, con il mostro che tentava di sbranarmi. Ometto i dettagli più disturbanti, e non mi va nemmeno di parlare nello specifico di cosa ha fatto o detto Pietro. Pensarlo mi incupisce di nuovo.

Joel se ne accorge. Anche se la curiosità di sapere cosa diavolo mi sia successo l'ha spinto ad ascoltare ogni dettaglio, adesso capisce che non ci sia bisogno di dire altro.

Si rivolge ad Ellie: -Perché non vai a prendere la chitarra? Se Eden non è troppo stanca potremmo farle ascoltare qualcosa prima di andare a casa.-

Ad Ellie brillano gli occhi. Scatta in piedi e segue la proposta di Joel. Io sono rimasta a bocca aperta. Ho dimenticato l'ultima volta in cui ho sentito della musica, della vera musica.

Il cuore mi batte all'impazzata. Stringo nel pugno sudato il ciondolo che Joel mi ha regalato, e lo guardo con immensa gratitudine.

-Per caso sai suonarmi qualcosa dei Nirvana?- gli chiedo speranzosa. Joel sorride di gusto.

-Non sono un tipo molto rock.-

-Allora immagino che non te ne intenda nemmeno di Beyoncé.- lo stuzzico.

-Mi dispiace, sono solo un povero vecchio rimasto fermo agli anni ottanta.- mi dice.

Trattengo una smorfia di dolore, non voglio rovinare questo momento. Annuisco deglutendo a fatica, con i pugni al petto.

-Andranno bene anche gli anni ottanta, sono una che di musica se ne intende. Non trovi?-

Ecco che arrossisco ancora, c'è qualcosa in Joel, nel suo viso -o nel suo corpo magari?- che mi agita.

-Eccome.- il suo sguardo, ora, sembra proprio che riesca a toccarmi. Ma non l'anima, io a quella non credo. Si poggia sulla mia pelle, non ha bisogno di chiedermi il permesso perché sa già che glielo concederei senza esitare un istante.

 

   
 
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