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Autore: Fiamma Drakon    14/09/2009    5 recensioni
Questa è la mia prima fic su Detective Conan, senza pretese, scritta in un momento d'ispirazione. Ringrazio in anticipo coloro che recensiranno.
Quel bacio sapeva di fiele, veleno che, maligno, gli scorreva dentro, rifluendo nelle sue vene, infettando ogni parte di lui con la quale riusciva ad entrare in contatto.
Dolce e al contempo amaro, segnava il confine tra proibito e concesso.
Ogni sua fibra nervosa tremava di passione repressa, mentre lentamente iniziava a seguire le labbra dell’amico, ricercandole a sua volta, rispondendo alla richiesta disperata che l’altro tacitamente gli imponeva.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Heiji Hattori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Poison Kiss - Heiji... Heiji... -.
Quella voce già da qualche giorno lo richiamava, dolce e incessante, nel sonno, senza dargli tregua, senza lasciarlo dormire tranquillamente.
Era una voce dal tono affettuoso, incredibilmente familiare.
Tuttavia, non riusciva a ricordare né ad intuire dove l’avesse già udita, e ciò lo frustrava alquanto.
- Heiji! -.
Aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto della propria stanza.
Ancora quel sogno...
Si posò un braccio sulla fronte, sospirando, maledicendo tra sé e sé quel sogno che, da qualche giorno a questa parte, lo tormentava al punto da non permettergli più di dormire.
Era incredibilmente tediosa la sensazione che accompagnava il suo risveglio, tutte le mattine, inclusa quella: era un misto di frustrazione e tristezza, come se, inconsciamente, fosse dispiaciuto dalla fine di quel sogno.
Sembrava quasi che il suo inconscio desiderasse udire ancora e ancora quella voce, senza mai svegliarsi, senza mai porre la parola “fine”.
Era davvero una curiosa quanto bizzarra sensazione che mai, fino ad allora, aveva provato.
- HEIJI! -.
Sua madre lo chiamò di nuovo dall’altra parte della porta, accompagnando il richiamo con qualche colpo sulla porta.
- Sì, mamma, vengo subito! - replicò lui in tono acceso, completamente sveglio, sedendosi sul bordo del letto, continuando a lambiccarsi sul sogno che gli stava distruggendo, pezzo dopo pezzo, l’esistenza.
Era come assistere al crollo del muro che altro non era se non la metafora concreta della sua vita: mattone dopo mattone, non sarebbe rimasto più niente.
Si alzò con uno sbuffo a metà tra il rassegnato e l’esasperato, quindi iniziò a vestirsi.
Uscì dalla camera pochi minuti più tardi e, passando in corridoio, si fermò un istante a fissare la propria immagine riflessa in uno specchio: gli occhi erano cerchiati da occhiaie ormai troppo visibili perché sua madre non se ne accorgesse e non gli andava affatto di rispondere alle sue domande inquisitorie e decisamente inopportune.
Decise di tornare in camera a prendere il suo cappellino da baseball: se non altro, la visiera gli avrebbe coperto gli occhi e sua madre non si sarebbe accorta di niente o, almeno, così sperava.
Scese quindi in cucina, sedendosi a tavola in silenzio, iniziando a fare colazione mantenendo lo sguardo basso e il capo inclinato.
- C’è qualcosa che non va, Heiji? Sei stranamente silenzioso... -.
Beccato.
- No, niente... - rispose in tono piuttosto basso, continuando a tenere chinata la testa.
- ... sicuro? -.
Ancora sua madre tentava di espugnare la sua resistenza, ma era inutile: era deciso a mantenere il silenzio su quel maledetto sogno.
- Sì... - replicò pacatamente.
Un giorno, presto o tardi, certamente l’avrebbero premiato per le doti da attore.
- Ciao, mamma, io vado! - esclamò, una volta finita la colazione, alzandosi e avviandosi verso la porta, prendendo lo zaino.
- A più tardi, tesoro - lo salutò sua madre.
Il ragazzo si issò la spallina dello zaino sulla spalla e si diresse verso la scuola, continuando imperterrito a ragionare su quel sogno.
Ancora non riusciva a ricordare, per quanto si sforzasse, dove aveva già sentito quella dannata voce.
Era come se un blocco gli impedisse di arrivarci, un qualcosa che non riusciva a definire in alcun modo e che non faceva altro che intensificare ulteriormente la sua già forte frustrazione.
Poco più tardi arrivò a scuola e, mentre si avviava verso l’entrata, vide Shinichi passargli accanto di corsa, senza degnarlo di uno sguardo né di un misero “ciao”.
Sospirò: in fondo, era stato così anche nei giorni addietro.
Era da un po’ che Shinichi non gli rivolgeva più la parola e sembrava evitarlo, anche quando era lui stesso a cercarlo: trovava sempre una qualche scusa per lasciarlo lì, impalato, a fare la figura del perfetto demente.
Ora si chiedeva se non avesse qualche problema.
Probabilmente, tale pensiero gli era sorto alla mente come frutto della paranoia su quel sogno ricorrente: vedeva misteri dovunque, anche dove non c’erano.
Scosse la testa con vigore, cercando di scacciare quel dubbio, quindi riprese a camminare verso la scuola.
Durante le lezioni, non riuscì proprio a fare a meno di ripensare a quel suo infondato sospetto, che sembrava tuttavia acquisire sempre più concretezza ogni secondo che passava a ragionarci.
Gli sembrava di scorgere sul suo viso, nei suoi movimenti, in ogni suo più piccolo gesto, un che di profondamente tormentato che lo rese non poco curioso e sospettoso.
Alla pausa pranzo si alzò velocemente dal banco e lo raggiunse.
- Shinichi... - esordì, incerto, ma quest’ultimo si volse a guardare la porta.
- Scusami, devo andare... - replicò, freddo, allontanandosi, piantandolo di nuovo in asso, lasciandolo da solo come un perfetto scemo.
Ritornò al proprio posto, amareggiato: non gli andava giù d’essere trattato così senza saperne il motivo.
Doveva indagare.
- Heiji? -.
Il ragazzo sobbalzò e si volse: era Ran.
- Sì? - chiese, in tono perfettamente innocente.
- Ho visto che... poco fa hai parlato con Shinichi... - esordì.
- Non direi proprio “parlato”... piuttosto direi che mi ha gentilmente scacciato - replicò lui con voce che lasciava perfettamente intendere una nota d’indignazione.
- Oh... capisco... non credevo che lo facesse anche con te... - rispose lei, triste.
- Uhm? Che intendi? - domandò Heiji, perplesso.
- Anche con me... sembra essere diventato stranamente... restio. Non mi parla più... - spiegò brevemente Ran.
Ora era semplicemente stupito: addirittura si rifiutava di parlare con Ran? Adesso ne era certo: c’era decisamente qualcosa che non andava in Shinichi e lui l’avrebbe scoperto, in un modo o in un altro.
Nelle successive ore di lezione, Heiji pianificò il suo metodo d’indagine, attendendo con impazienza il momento opportuno per intervenire: l’ora di educazione fisica.
Durante quest’ultima, Shinichi si offrì di andare a prendere nel ripostiglio della palestra le attrezzature ginniche, come era solito fare.
Fu a quel punto che Heiji decise di entrare in azione.
- Professore, devo andare in bagno - esclamò ad un tratto.
- Sbrigati, Hattori! Abbiamo bisogno di te per la staffetta - replicò in tono sbrigativo l’insegnante.
Heiji si allontanò in fretta, prendendo la strada che riportava all’istituto, ma sviando verso il ripostiglio della palestra non appena abbastanza lontano dalla classe per esser certo di non essere visto.
Una volta raggiunta la sua meta, si appostò dinanzi alla porta, facendo per sbirciare all’interno.
Mentre stava cercando di scorgere ciò che vi era dentro, la porta scorrevole venne aperta e lui trascinato di peso all’interno, scaraventato brutalmente a terra.
- Ahio, ma che...?! -.
Ci fu un colpo secco contro qualcosa che lo convinse a tacere.
Si massaggiò la testa, che aveva pesantemente sbattuto contro la base di un cavallo e, quando riaprì gli occhi, si ritrovò sovrastato dalla figura in controluce di Shinichi, posizione che non gli permetteva di vederlo bene in volto.
Questo sbatté violentemente il palmo della mano destra contro la parete, tremando.
- Ho cercato di starti lontano... ho cercato di ignorarti... tutta fatica sprecata!! - esclamò con veemenza e rabbia.
- Ma perché? Se c’è qualche problema lo sai che puoi parlarne con me... - disse Heiji in tono comprensivo, cercando di ignorare il dolore alla testa.
- Parlarne con te? Tsz! È evidente che non hai capito... -.
Shinichi si piegò su di lui, stringendo nella sua presa i suoi polsi, chinandosi sul suo viso, finché non si trovarono a pochissimi centimetri di distanza.
- Il problema sei proprio tu... Heiji... - sussurrò.
In quell’istante il suo nome gli suonò alle orecchie come uno schiaffo, mentre il suo cervello realizzava ciò che non era riuscito a comprendere fino a quel momento: la voce che così a lungo aveva udito in sogno, era quella di Shinichi.
Assieme a quella rivelazione a dir poco scioccante, sentì riversarsi in lui un gran tumulto d’emozioni simili e contrastanti, che distingueva a fatica, tant’erano intricate e confuse.
- Heiji... io... - mormorò ancora Shinichi, lasciando volutamente la frase incompleta, avvicinandosi ulteriormente al viso dell’amico.
Silenzioso, un bacio si posò sulle sue labbra, mozzandogli il respiro, lasciandolo palesemente stupito.
Quel bacio sapeva di fiele, veleno che, maligno, gli scorreva dentro, rifluendo nelle sue vene, infettando ogni parte di lui con la quale riusciva ad entrare in contatto.
Dolce e al contempo amaro, segnava il confine tra proibito e concesso.
Ogni sua fibra nervosa tremava di passione repressa, mentre lentamente iniziava a seguire le labbra dell’amico, ricercandole a sua volta, rispondendo alla richiesta disperata che l’altro tacitamente gli imponeva.
- Shinichi... - sussurrò poi a fior di labbra, quando l’altro si staccò appena dalle sue.
- Shh... Heiji... - mormorò Shinichi in risposta con quel tono dolce e affettuoso che anche prima aveva utilizzato.
La sua voce ammaliatrice riuscì a farlo star zitto, ma il ragazzo gli pose comunque un dito sulle labbra, che Heiji mordicchiò con fare intenzionalmente provocatorio.
- Io ti amo, Heiji... - confessò Shinichi in un mezzo sussurro.
- Anch’io... -.
Quelle parole, semplici eppure incredibilmente complesse, scivolarono fuori dalle sue labbra senza alcun timore o resistenza da parte sua: si era accorto di amarlo nell’istante in cui le loro labbra si erano sfiorate.
Aveva avvertito la sua passione come fosse propria del suo essere.
E quel bacio avvelenato, intriso di amara passione repressa, era stato l’elemento chiave per scoprire i suoi veri sentimenti, per aprire il suo cuore a Shinichi.
Nella penombra scorse un sorrisetto ironico apparire fugacemente sulle sue labbra.
Sentì la sua presa allentarsi sui suoi polsi.
Sentì il suo respiro allontanarsi.
- No, non così presto... - lo supplicò Heiji: aveva ancora così voglia di star da solo con lui, di incontrare di nuovo le sue labbra, di avvertire l’eccitazione del proibito pervaderlo, simile a scosse elettriche.
Lo afferrò per i fianchi, attirandolo di nuovo a sé, quindi gli prese dolcemente il mento, riavvicinandolo al proprio viso.
- Un ultimo... bacio... - sussurrò.
Shinichi sorrise di nuovo, portando una mano sulla sua testa, affondando le dita fra i suoi capelli, sfiorando il punto dove aveva sbattuto contro l’attrezzo.
- Va bene... - acconsentì, chinandosi di nuovo su di lui, poggiando la mano libera sulla sua spalla ed il proprio petto sul suo, reclinandogli appena il capo all’indietro, in modo che potesse baciarlo più agiatamente.
Heiji si abbandonò alla sua presa, alle sue carezze e a quel bacio implorato col cuore.
Un bacio intriso di passione crescente, libera d’essere espressa.
Un bacio dal sapore velenoso e proibito.
L’ultimo, forse, per quel giorno.
   
 
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