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Autore: Kakashi_Haibara    11/06/2023    0 recensioni
Stati Uniti, 1985
Il governo statunitense ha indetto una caccia spietata ai mutanti, esseri umani dotati di poteri soprannaturali, per proteggere l'umanità in pericolo.
Feliciano Vargas è un mutante arrestato dall'esercito e rinchiuso nell'inespugnabile fortezza di Westbrook, dove vengono catturati e studiati i mutanti più temuti. Dovrà sopravvivere all'interno della prigione, tra esperimenti e lavori forzati, per poter tornare a casa e riabbracciare il fratello maggiore, aiutato nel frattempo da un gruppo di mutanti rivoluzionari determinati a salvare i prigionieri.
È una storia in cui due mondi opposti si scontrano e si uniscono continuamente tra il dolore, l'amore, l'amicizia e l'odio.
[Mutant!AU, supernatural powers]
(Coppie principali: GerIta, Spamano, FrUK)
!ATTENZIONE! il rating potrebbe salire da arancione a rosso, per scene future con contenuti violenti e/o sessuali espliciti
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 5

 

3 febbraio 1985, laboratorio della fortezza, Maine, USA

 

L'eco dei passi dei soldati risuonava nel silenzio del corridoio del laboratorio.

Il bianco monotono delle pareti e delle piastrelle stava cominciando a dare la nausea a Feliciano, che a stento riusciva a sostenere l'andatura veloce degli uomini che lo trascinavano.

Aveva tante domande per la testa: Che cosa gli avrebbero fatto? Quanto sarebbe stato lì? Sarebbe sopravvissuto? Avrebbe rivisto suo fratello?

Ogni volta che chiedeva spiegazioni, veniva zittito o strattonato. Il soldato dai capelli ramati, che intuì fosse un colonnello per via della targhetta di metallo che portava sulla divisa, spesso gli rivolgeva occhiate ostili, per niente rassicuranti. Non sentiva nemmeno i passi di Ludwig dietro di loro, sperò solo che non avesse deciso di rimanere fuori dal laboratorio, avrebbe preferito avere una presenza amica, sempre se si potesse chiamare tale.

All'improvviso gli ritornarono in mente le parole e l'espressione terrorizzata di Matthew. “Non ho resistito neanche mezza giornata”. Feliciano non era forte come lui. Se fosse arrivato al limite delle forze, si sarebbero fermati? O avrebbero continuato gli esperimenti incuranti delle sue suppliche, come avevano fatto con Francis? E se, così facendo, il suo corpo avesse ceduto? E se avessero scoperto di suo...

“Feli, mi raccomando, non devi uscire per nessun motivo, hanno aumentato i controlli in città”. Suo fratello Romano lo fissava con sguardo severo sulla soglia del loro appartamentino a Manhattan. Le mani dentro le tasche della giacca scura, la sciarpa di lana avvolta intorno al collo per proteggersi dal vento pungente di quel giorno, gli scarponcini ancora umidi per via della nevicata abbondante di quella stessa mattina. Ma l'espressione seria di Romano non durò molto e si trasformò in un caldo sorriso, che serbava solo a pochi, in particolare al suo fratellino. “Se avanzano soldi, ti compro un cornetto alla crema, va bene?”

Quello era l'ultimo ricordo che aveva del viso di suo fratello maggiore. Se solo lo avesse ascoltato, se solo non avesse fatto di testa sua come al solito, adesso non sarebbe in una fortezza anti-mutanti, pronto a essere usato come cavia da laboratorio. Voleva riabbracciarlo, voleva potergli stare vicino, dirgli quanto gli dispiacesse per avergli disubbidito e quanto gli volesse bene. Non voleva morire lì dentro.

Cominciò a sudare freddo.

Il colonnello si fermò di fronte ad una porta. - Siamo arrivati. Ti consiglio di non fare mosse azzardate con questo esaminatore, non gradirebbe e potrebbe finire molto male per te.

Feliciano non ci vide più. Si divincolò dalla morsa dei soldati e si accucciò a terra, nascondendo la testa tra le braccia. - Non voglio! Non voglio morire!

Allistor fece una smorfia di disapprovazione. - Alzati subito, lurido mutante. E non lo ripeterò un'altra volta. - Indicò l'italiano con un cenno della testa, ordinando agli altri due soldati di sollevarlo.

Feliciano oppose resistenza più che poté, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Il cuore batteva all'impazzata. Tremava come un cane sotto la pioggia e gli mancava l'aria. Il coraggio che aveva trovato qualche attimo prima era scemato del tutto.

- Sei il secondo mutante di questa inutile giornata che ignora i miei ordini. - Il colonnello avanzò e la sua ombra sovrastò il corpo accovacciato di Feliciano. Sfilò dalla sua cintura una frusta di cuoio nero e sollevò il braccio. Gli occhi verdi si illuminarono di una luce crudele. - Non posso permettere un tale atteggiamento da uno come te.

- Allistor! - la voce imperiosa di Ludwig risuonò per tutto il corridoio e Allistor bloccò il braccio a mezz'aria. - Me ne occupo io. Con la violenza non risolverai nulla, è terrorizzato.

I loro sguardi si scontrarono in un duello silenzioso carico di tensione.

- Come dici? - sibilò Allistor, socchiudendo gli occhi da serpe.

- Non faresti che peggiorare la situazione. - Ludwig sostenne il suo sguardo senza batter ciglio. - Per di più, lo indeboliresti troppo e sai benissimo che sarebbe un problema. Avanti, posa l'arma.

Il rosso digrignò i denti, seccato di dover dare ragione al suo sottoposto, e con un ringhio abbassò la frusta, facendola schioccare sul pavimento.

Ludwig si fece largo tra gli altri due soldati e si inginocchiò accanto al ragazzo. - Feliciano, mi senti? - non ottenne nessuna risposta, il viso dell'italiano era ancora coperto tra le braccia. Con esitazione, il soldato appoggiò una mano sulla sua schiena tremante. Lanciò un veloce sguardo ai suoi compagni. Allistor lo fissava, battendo il piede sul pavimento con un'espressione eloquente: dovevano muoversi. Il biondo sospirò e si piegò in avanti per far sì che Feliciano lo sentisse meglio. I suoi capelli erano ancora bagnati e profumavano di bagnoschiuma. - So che sei spaventato, ma ormai siamo qui e non possiamo tornare indietro. Ti prometto che non verrai ucciso. Io sarò dentro la stanza per tutto il tempo, farò in modo che non vadano oltre il limite consentito. Ti fidi di me, vero?

Il respiro di Feliciano si fece meno affannoso man mano che Ludwig continuava a parlare. La sua voce grave gli infondeva calma e tranquillità. Smise di tremare e trovò la forza di alzare lo sguardo, incrociando quello fermo e serio del soldato. - P-prometti di non andare mai via?

Ludwig sgranò appena gli occhi, sorpreso da quella domanda. - Promesso. - vide con la coda dell'occhio Allistor che alzava gli occhi al cielo, scuotendo la testa. - Ma adesso dobbiamo andare. - Afferrò le mani fredde di Feliciano e lo aiutò a rimettersi in piedi.

Allistor gli lanciò l'ultimo sguardo carico di disprezzo prima di aprire la porta ed entrare nella stanza.

- Oh! Finalmente siete qui, temevo vi foste persi come degli incapaci.

Fu un uomo con un camice da laboratorio a parlare. Si avvicinò al gruppo con un sorriso inquietante stampato sul viso. Risaltavano all'occhio i capelli tagliati corti, talmente chiari che tendevano al bianco. Gli occhi violacei brillavano di gioia, ma non per questo la sua figura incuteva meno terrore. Era probabilmente alto due metri, con le spalle larghe il triplo di Feliciano. Dietro di lui, un ragazzo dai capelli castani si mangiava le unghie di una mano, stringendo una cartella di plastica contenente dei documenti con l'altra. Rispetto al primo scienziato, probabilmente il suo superiore, sembrava un bambino, complice anche il camice che gli andava largo. Gli occhi blu, timorosi, si spostavano velocemente da Feliciano allo scienziato. Lesse il nome scritto sulla targhetta del grembiule: Raivis Galante.

- Ivan Braginsky... - sibilò Allistor a denti stretti. - Sempre molto spiritoso. Abbiamo avuto dei contrattempi venendo qui.

- Capisco. - rispose l'altro elargendogli un altro sorriso forzato. Poi voltò lo sguardo verso Feliciano e la sua espressione di felicità mutò in confusione. - Non mi sembra molto... cinese.

- Uno dei nostri contrattempi. - disse il rosso, sistemandosi su una sedia a braccia conserte. - Questo è il prigioniero Feliciano Vargas, si è offerto come volontario per i tuoi stupidi esperimenti al posto di Kiku Wang. Non è un mutante di Livello Omega, ma che importanza ha? Uno vale l'altro.

- Ma certo, che importanza ha... - Il sorriso dello scienziato, se possibile, si accentuò ulteriormente. Poi appoggiò con forza le mani sulle spalle di Raivis, il quale sussultò e divenne tutto a un tratto pallido in viso, e lo accompagnò verso l'uscita. - Credo che per oggi non avrò più bisogno di te, vai pure a fare quello che vuoi!

Raivis, se possibile, impallidì ancora di più. - Q-quello c-che voglio? N-ne è proprio s-sicuro, signor Braginsky? - chiese con voce tremante.

- Altrimenti puoi restare qui. - disse Ivan con tono accondiscendente, ma Raivis scosse energicamente il capo e corse via.

Ivan si chiuse la porta alle spalle con un sorriso compiaciuto e si avvicinò a grandi passi a Feliciano. Lo squadrò dalla testa ai piedi con attenzione, facendolo sentire tremendamente a disagio. Poi gli prese il polso tra le dita per sentire il battito cardiaco, mentre con l'altra mano gli controllò le pupille, puntandogli contro una piccola torcia che aveva estratto dalla tasca. Inclinò la testa, riponendola al suo posto, poi gli tastò le costole con entrambe le mani. Feliciano dimenticò come respirare e rabbrividì al tocco pesante dello scienziato.

Quando ebbe finito, Braginsky incrociò le braccia, senza staccare lo sguardo dal prigioniero, come se stesse decidendo se fosse un valido candidato per chissà quale suo esperimento. In particolare venne attratto dal ciuffo arricciato assai inusuale del ragazzo, che sfiorò con la punta delle dita.

- Sembri in salute... - mormorò. - Livello?

- Beta. - intervenne Ludwig.

- Oh! Ci sei pure tu, Ludwig caro. Non ti avevo notato. - esclamò lo scienziato, battendo le mani.

Il soldato schioccò la lingua. - Non siamo amici, Braginsky, non chiamarmi per nome.

L'altro storse le labbra. - Che scontroso. - tornò a concentrarsi su Feliciano. - Bene, direi che il mio piano iniziale salterà, ma questo non vuol dire che non debba sfruttare l'occasione di avere un mutante volontario. - si avviò verso la scrivania ridacchiando. Aprì un raccoglitore rosso e cominciò a sfogliare le numerose pagine. Quando finalmente trovò quella che cercava, prese una penna dal taschino del camice e cominciò a scrivere. - Giorno 03/02/85. Prigioniero Feliciano... Vargas, eh?

Feliciano aggrottò le sopracciglia, confuso. Deglutì un groppo di saliva prima di rispondere. - Sì, è il mio cognome.

Lo scienziato gli rivolse un altro dei suoi sorrisi di accondiscendenza. - Capisco. - finì di scrivere qualcos'altro che non rivelò e poi si alzò. - Il fisico è a posto, ma il tuo livello indica che non sei tanto forte per una prova fisica e neanche troppo resistente per un esperimento vero e proprio... Vada per il prelievo, è probabilmente l'unico a cui potresti sopravvivere. - Gli afferrò un braccio in una morsa solidissima, trascinandolo in fondo alla stanza, in cui dominava una grande capsula di vetro dalla forma cilindrica, collegata a degli enormi macchinari situati alla sua sinistra tramite una ventina di tubi e cavi.

- A-aspetta! - Feliciano piantò i piedi per terra e strattonò il braccio, liberandosi dalla presa dello scienziato sotto gli sguardi stupiti degli altri soldati presenti. - Voglio sapere a cosa sto andando incontro prima di entrare là dentro. Voglio delle spiegazioni su cosa consistono i vostri esperimenti!

Braginsky lo fissò per un tempo interminabile con un'espressione stupita stampata sul volto. Feliciano temette che potesse sfociare in un eccesso di rabbia, come accadeva di solito con molti soldati della fortezza, invece quello si limitò a sorridere.

- E va bene, Vargas. - congiunse le mani e usò il tono più allegro possibile, come se stesse per raccontare una bella fiaba. - Come immagino tu già sappia, in questa base militare miriamo innanzitutto a trovare una cura che possa prevenire la formazione del gene X, causa principale dello sviluppo di abilità e poteri sovrumani in certi soggetti, e debellarlo una volta per tutte. Per fare ciò abbiamo bisogno di effettuare dei prelievi non solo di sangue mutante, ma anche di poteri, di energia proveniente dal mutante stesso. Questo è ciò che farai oggi, caro: donerai alle nostre macchine un po' della tua energia, che verrà registrata nel nostro database e che noi procederemo a studiare in laboratori appositi. Non sarà difficile, credimi. Sei sfuggito per un pelo ai due step successivi. Infatti, per poter creare una cura, non possiamo basarci solamente sullo studio post-operam del gene, sarebbe troppo poco efficace, ma dobbiamo anche analizzarlo mentre è in azione, capisci? I tuoi compagni mutanti vengono sottoposti a vari esperimenti che li costringono a utilizzare i loro poteri e noi studiamo le loro caratteristiche nel mentre. Chissà se hai già conosciuto il nostro miglior candidato, il francese...

- Francis. - a Feliciano mancò un battito.

- Proprio lui! - esclamò contento l'altro. - Quella degli esperimenti è una prova molto stancante, ma fondamentale per noi studiosi, non tutti i mutanti sono adatti, rischierebbero di collassare privi di forze, ma lui è speciale! Il suo potere rigenerativo gli permette di durare anche più giorni, non è magnifico?

- È terrificante. - rabbrividì al solo pensiero.

- Ma non è finita qui. - continuò Ivan, ignorandolo. - Lo studio del gene X ci porta non solo alla creazione di un antidoto, ma anche di armi, perché, sai, ci sono ancora tanti mutanti in circolazione e non tutti sono così gentili e disponibili da farsi trasportare qui pacificamente. Dunque, noi creiamo le armi e le testiamo in una stanza apposita, situata proprio in questo laboratorio. Io la chiamo “palestra”, non suona male, vero? E chi meglio dei mutanti può testare queste armi anti-mutanti? - gli sfuggì una risata piena di gioia.

- Ma è orribile! E pericoloso! Rischiano di...

- Morire? Oh sì, è capitato, ma è raro: per quella prova scegliamo i mutanti più potenti e adatti. E poi stiamo attenti, non possiamo permetterci di perdere dei soggetti così preziosi. In ogni caso, alcuni frutti dei nostri studi li avrai già conosciuti: i proiettili sedativi anti-mutanti, ad esempio. Non sono fatti per uccidere, purtroppo gli esperimenti per creare delle pallottole vere e proprie richiedono tempo, ma piuttosto sono simili ai proiettili di vernice che semplicemente indeboliscono il soggetto che ne è venuto a contatto. Sono una versione meno efficace e di breve durata del collare che indossi adesso, il quale, per la cronaca, ho brevettato io: annulla completamente i poteri del mutante che lo indossa, privandolo delle energie derivanti dal gene X. E infine le Sentinelle, un'altra mia invenzione di cui avrai sicuramente sentito parlare.

- Come dimenticarle... - borbottò Feliciano.

- È tutto chiaro adesso o hai bisogno di interrompermi un'altra volta, togliendo del tempo prezioso alle scienza?

Feliciano non fiatò. Era sconcertato da ciò che gli era appena stato raccontato. Un laboratorio creato appositamente per distruggere un tratto genetico. E i progressi non tardavano ad arrivare. Quella fortezza esisteva solo da cinque anni, le ricerche sul gene erano iniziate ufficialmente intorno al 1975. In soli dieci anni avevano fatto talmente tanti studi da riuscire a creare robot, collari e proiettili sedativi, mentre quelli letali erano in via di brevetto. Per un attimo ebbe le vertigini.

Lo scienziato batté le mani. - Perfetto! Possiamo cominciare la nostra attesissima seduta. - indicò la capsula con fare disinvolto e ritornò alla scrivania. - Prima di entrare, spogliati di tutti i tuoi indumenti, poi potremo toglierti il collare.

Feliciano sgranò gli occhi. - C-come, scusa?

L'uomo prese in mano il raccoglitore e si voltò alzando un sopracciglio. - Non deve esserci alcuna interferenza dentro la capsula, che siano vestiti o accessori. - disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo e si avviò verso i macchinari.

- M-ma... C'è troppa gente qui. - gli occhi imbarazzati di Feliciano incrociarono inconsciamente quelli di Ludwig, i quali erano carichi di pietà. - I-io non posso farlo.

- E invece dovrai. - aggiunse Ivan senza neanche degnarlo di uno sguardo, più impegnato ad accendere le varie sezioni della macchina. - Allistor è un mio superiore, non posso ordinargli nulla. Gli uomini con lui devono rimanere per prassi, sono autorizzati a intervenire nel caso tu decidessi di fare qualcosa di altamente stupido come attaccarmi.

- M-ma io non voglio attaccare nessuno! - protestò il ragazzo.

L'altro lo ignorò. - L'unico fuori posto qui è il caro Ludwig. - rivolse al soldato un'occhiata interrogativa. - Immagino che potremo far togliere a lui il collare, così si rende utile. Altrimenti può levarsi di torno, è chiaro, Ludwig?

L'interpellato dovette sforzarsi per non rispondere a tono e Feliciano lo vide stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche. - Chiarissimo.

- Bene, ora niente storie o obbligherò quei due soldati a toglierti i vestiti a forza.

Feliciano deglutì. Prese un gran respiro e si voltò verso la capsula, sfilandosi riluttante la maglia bianca. Un brivido gli percorse la spina dorsale. Si sentiva mille sguardi addosso, talmente umiliato, che gli occhi gli si riempirono di lacrime. Lanciò un'occhiata allo scienziato alla sua sinistra, che era ancora impegnato a mettere in funzione tutti i macchinari.

Feliciano si fece forza e si sfilò anche la parte inferiore. Era nudo davanti a cinque estranei. Nudo, indifeso, umiliato, inerme. Avrebbe voluto piangere. Piuttosto la morte.

- Hey. - la voce grave di Ludwig lo risvegliò dai suoi pensieri.

Si guardarono negli occhi. Quelli di Ludwig mandavano un solo messaggio: “Mi dispiace”.

In un certo senso, Feliciano fu grato che ci fosse anche lui, ogni volta che lo guardava o semplicemente gli era vicino, si sentiva al sicuro. La sua fisionomia in certi versi era molto simile a quella dello scienziato russo, ma gli trasmetteva emozioni completamente opposte. Mentre l'enorme stazza di quest'ultimo gli incuteva timore, le larghe spalle di Ludwig sembravano fatte apposta per proteggerlo da quel posto angusto. Gli occhi chiari di Ludwig che prima lo spaventavano tanto, ora li apprezzava, perché sapeva che oltre all'apparenza, erano buoni e docili. Quelli scuri di Ivan, al contrario, ostentavano gentilezza, ma nascondevano crudeltà.

- Feliciano Vargas, - esordì con tono monotono Ivan, come se avesse ripetuto la stessa frase per anni. - Una volta sfilato il collare, non potrai utilizzare alcun potere finché ti troverai al di fuori della capsula o saremo obbligati da ordini superiori a sparare e bla bla bla, hai capito, procediamo.

Ludwig gli lanciò un'occhiata innervosita, ma tirò comunque fuori dalla tasca dei pantaloni una chiave dalla inusuale forma cilindrica. Feliciano sentì la sua mano calda appoggiarsi sul suo collo, mentre con l'altra inseriva la chiave in una fessura del collare posizionata sotto la nuca. Click . L'anello metallico si allargò lentamente e Ludwig poté sfilarlo via dal collo del mutante. In un attimo, Feliciano sentì il proprio corpo rinvigorirsi. L'energia di cui il collare lo privava, stava tornando.

Proprio in quel momento il vetro della capsula si aprì con uno sbuffo, facendolo sobbalzare dallo spavento.

- Entra pure. - continuò Ivan. - Ludwig, sai cosa fare.

Il soldato prese per mano Feliciano e lo aiutò ad entrare dentro la capsula. Una volta dentro, il biondo afferrò vari fili appesi ad un gancio, ognuno con un'estremità sottile e quadrata. - Sono come adesivi. - mormorò Ludwig, intuendo i possibili dubbi del mutante. Attaccò il primo adesivo alla tempia destra di Feliciano, poi a quella sinistra. Sul collo, tre su petto e schiena e quattro per ogni arto.

Quando ebbe finito, Ludwig si allontanò dalla capsula e tornò dall'altra parte della stanza. Il vetro si richiuse, dando immediatamente all'italiano una sensazione di claustrofobia.

Ivan sorrise fiero. - Quei cavi servono per captare ogni scarica di energia emanata dal tuo corpo, sono posizionati nei punti di maggior flusso. - Feliciano sentiva la sua voce ovattata oltre il vetro. - Non preoccuparti se tra qualche attimo ti sentirai un po' debole.

- I-in che senso? - A ogni suo respiro il vetro della capsula si appannava e poteva già a sentire la temperatura alzarsi.

- Una volta acceso il macchinario, quei fili prelevano parte della tua energia per mandarla al nostro database. Sarà come avere indosso il collare, ma più potente. Tu dovrai soltanto utilizzare i tuoi poteri, quindi... Essere te stesso. Buffo, no?

Lo scienziato premette un pulsante e la capsula si mise in funzione, cominciando a produrre un rumore metallico ripetitivo.

Feliciano si osservò il corpo costellato di adesivi a loro volta collegati a fili che scomparivano in varie fessure alla base del cilindro. Non si sentiva diverso, per ora. Lanciò un'occhiata ai presenti. I due uomini che l'avevano trascinato erano intenti a parlare tra di loro. Il comandante Allistor lo fissava con un ghigno stampato sul volto, il che lo fece rabbrividire. Ludwig teneva lo sguardo basso.

- Mh... - Ivan passeggiò lentamente fino a posizionarsi perfettamente davanti a Feliciano. - Non va bene, le onde sono molto deboli. Ho bisogno di stimolare le tue abilità. Proviamo così: la tua cartella dice che puoi leggere nel pensiero. Prova con me.

Feliciano sbiancò. - N-non capisco...

- Ho detto: usa i tuoi poteri su di me. - Ivan incrociò le braccia. - La capsula in teoria dovrebbe frenarli, ma più ci proverai, più manderai impulsi alla macchina e noi raccoglieremo maggiori informazioni. Avanti, concentrati come se dovessi finire dentro la mia testa.

Feliciano deglutì. Se ci avesse provato, il macchinario avrebbe capito che i suoi pensieri sono collegati soltanto a una persona al di fuori della fortezza? Non lo sapeva. Ma se non ci avesse provato, Ivan avrebbe capito che c'era qualcosa sotto e chissà cosa avrebbero potuto fargli in seguito. Lo avrebbero obbligato a confessare i suoi veri poteri, avrebbero scoperto l'esistenza di Romano e lui sarebbe stato ucciso per aver mentito.

Trasse un respiro profondo, doveva provarci. Chiuse gli occhi e pensò all'unica persona con cui potesse comunicare telepaticamente: Romano. Il ciuffo arricciato, che i due fratellini chiamavano scherzosamente “antenna”, ebbe un fremito e da quel preciso istante cominciò l'inferno. All'improvviso si sentì come se gli stessero spremendo la testa con uno schiaccianoci. La colonna vertebrale venne percorsa da una scarica elettrica e i punti in cui erano attaccati gli adesivi cominciarono a bruciare. Sentì come se una parte del suo potere venisse risucchiato da essi.

Feliciano gridò spaventato e cadde in ginocchio, cercando invano di aggrapparsi al vetro. Il dolore si affievolì. - C-che cosa mi sta succedendo? - ansimava e gli arti tremavano di paura.

- Te l'ho detto. - Ivan gli sorrise al di là del vetro. - Ogni volta che userai il tuo potere, parte dell'energia che hai utilizzato verrà risucchiata via dal tuo corpo tramite i fili e registrata in quel macchinario laggiù. - Allungò lo sguardo verso il computer incorporato nella macchina. - Sei stato bravissimo, ma non è una quantità di potere sufficiente per i nostri studi. Mettici un po' più di impegno, altre quattro o cinque volte magari?

Feliciano spalancò le iridi, terrorizzato. Altre... volte? Solo una gli era bastata per sentirsi come se gli stessero bruciando il corpo dall'interno, non avrebbe mai resistito per altre cinque prove. Tentò di deglutire, ma non aveva più saliva in bocca. Con lo sguardo appannato dalle lacrime intravide Allistor, che si accarezzava il mento con fare pensoso, mentre lo squadrava, e Ludwig, il quale era diventato più pallido del solito e la cui fronte era costernata da rughe di preoccupazione. Feliciano si chiese se fosse la prima volta che assisteva a una delle “sedute” dello scienziato.

- Felicianooo... - Lo chiamò in tono canzonatorio Ivan. - Coraggio o dovrò costringerti con una bella scossa.

Il ragazzo fu certo che l'uomo avesse utilizzato l'elettricità anche prima... Si stava prendendo gioco di lui? Scosse il capo per allontanare le domande e si costrinse a continuare senza indugio. Doveva farlo per suo fratello.

Si rimise in piedi, aiutandosi con le mani appoggiate al vetro della capsula, e chiuse gli occhi. Immaginò di dover comunicare con Romano e per figurarselo, si abbandonò ai ricordi.

 

Vide lui e suo fratello ancora bambini che giocavano nei campi di grano intorno alla loro casa di campagna in Toscana. L'odore delle foglie di granturco si insinuava nelle narici del bimbo che correva tra le spighe per sfuggire al fratello maggiore.

- Ti prenderò, brutto mascalzone! Non ruberai mai più il mio oro! - la voce acuta di Romano provocò la risata divertita del piccolo Feliciano. Stringeva nei pugnetti dei chicchi di mais che ogni tanto scivolavano via e rotolavano sul terreno sabbioso: il loro oro.

Poco prima che potesse svoltare a destra per seminare il suo inseguitore, sentì le braccia del fratello serrarsi intorno alla sua vita e sollevarlo da terra. Feliciano gridò dalla sorpresa e prima che potesse sfuggire, Romano si buttò a terra, trascinando il minore con sé. Rotolarono in mezzo alle spighe fino a che l'attrito non li fermò. Le risate dei due bambini riecheggiarono per tutta la campagna toscana.

 

Il dolore acuto di prima tornò a invadere il suo corpo. Sentì come se le sue tempie fossero sul punto di esplodere, gli adesivi sparsi sul busto parevano volessero comprimerglielo e sentì la sua poca energia usata per il collegamento telepatico fluire via attraverso i cavi sparsi sul suo corpo. Gridò sofferente. Il bruciore improvviso derivante dall'adesivo attaccato al collo gli smorzò il fiato per quelli che parvero minuti. Il battito del cuore accelerò pericolosamente, gli arti cominciarono a tremare per l'affaticamento e fu costretto ad inginocchiarsi per non svenire.

Boccheggiò come se fosse appena riemerso fuori dall'acqua alla disperata ricerca di aria. Le lacrime cominciarono a bagnargli il viso contratto dalla fatica e dal dolore. Con gli occhi annacquati a malapena riuscì a scorgere i visi dei presenti, ma capì che gli sguardi di tutti erano puntati su di lui. Annaspò per lungo tempo prima di prendere un'altra grossa boccata d'aria e ricominciare il collegamento. Doveva farcela.

 

Il ricordo di poco prima prese ancora una volta spazio nella sua mente. I due bimbi erano ancora sdraiati a pancia in su uno di fianco all'altro e ridevano divertiti.

Romano scattò a sedere e cominciò a fare il solletico alla pancia di Feliciano. - Adesso molla l'oro, furfante! Ti arresterò nel nome della legge!

Il minore si divincolava stringendo ancora di più i pugni colmi di mais. Quando non seppe più resistere, lanciò in aria tutti i chicchi ridendo.

Romano, dopo la sorpresa iniziale, balzò in piedi e sollevò ancora una volta il fratellino come un sacco di patate, provocando non poca ilarità. - Ho preso il ladro!! - strillò incamminandosi verso la casa. - Papà, ho preso il ladro d'oro!

Man mano che avanzavano verso l'abitazione, Feliciano poté sentire il profumo del pane appena sfornato della mamma. Sulla soglia c'era il padre, un uomo robusto e dai capelli ricci molto scuri, intento a lavorare il grano con la macina a pietra. Sollevò lo sguardo, asciugandosi con la manica il sudore sulla fronte, e salutò i figli con un grande sorriso.

Quando Romano rimise a terra Feliciano, il bimbo scattò dentro casa, puntando dritto verso la cucina. Le manine paffute afferrarono la gonna della madre, intenta ad apparecchiare la tavola. - Mamma, mamma, salvami! - gridò con un sorriso innocente stampato in faccia.

La madre gli sorrise dolcemente, si portò dietro l'orecchio una ciocca di capelli ramati e poi prese in braccio il figlio, baciandogli la guancia arrossata per la corsa.

 

Gli si appannò la vista per la fatica, facendogli vedere macchie nere ovunque. La testa gli girava talmente tanto che vomitò tutto il cibo che aveva nello stomaco.

A malapena sentì la voce ovattata di Ludwig che urlava a Braginsky di fermare l'esperimento.

Non sentì le parole dello scienziato, ma fu certo che volesse che continuasse.

Feliciano aveva il fiato corto, ma ci riprovò. E fu uno sforzo enorme.

 

La scena divenne molto confusa, il dolore non gli permetteva di avere ricordi chiari. Mentre il piccolo Feliciano restava abbracciato alla mamma, sulla soglia comparve suo nonno Cesare con il suo inconfondibile sorriso spavaldo. Alla vista del nonno, Feliciano si rallegrò ancora di più.

Vide le grosse mani del nonno prendergli il visino, muovendo la bocca sorridente intento a rivolgergli parole perse nel tempo.

 

Una fitta acuta di dolore lo colpì dritto al petto, togliendogli il respiro. Si contorse su se stesso, incapace di far nient'altro. Sentì appena la voce preoccupata di Ludwig che urlava “Lo ucciderai!” e quella calma di Ivan che rispondeva “No, può ancora farcela. Mi serve più energia”.

Feliciano ebbe a malapena il tempo di prendere fiato, che una scarica elettrica gli trapassò il corpo all'improvviso. Il dolore fu immenso e senza nemmeno accorgersene, la sua mente fu sbattuta in un altro ricordo.

 

Le grosse mani del nonno serravano il viso bagnato dalla pioggia e dalle lacrime di un Feliciano ancora bambino. Le labbra erano curvate ancora una volta in un sorriso, il quale tuttavia veniva tradito dallo sguardo preoccupato.

- Dovete essere forti, va bene? - gli sembrò di sentire.

Il pavimento di legno ondeggiava: erano su una nave, quella che li avrebbe portati negli Stati Uniti per sfuggire alla cattura in Italia. Com'è ironica la vita...

Si sentì stringere la mano destra e, voltando lo sguardo, vide suo fratello maggiore che singhiozzava. Concentrandosi sul suo viso, gli fluirono davanti come in una pellicola di un film altrettanti ricordi che riguardavano Romano: loro due abbracciati sotto una coperta di lana, sdraiati sul letto dell'appartamentino newyorkese del nonno; poi mentre correvano nei vicoli bui di Hell's Kitchen dopo aver rubato una mela; Romano che gli accarezzava la testa sorridendo, che lo rassicurava quando era giù di morale, che si prendeva cura di lui quando stava male, che gli raccomandava di non uscire dall'edificio...

 

A ogni ricordo, Felicano sentiva come se l'anima lo stesse a poco a poco abbandonando.

Ormai era accovacciato in posizione supina, colto da spasmi, con la bava alla bocca e gli occhi vacui. In una disperata richiesta di aiuto, si aggrappò a un'ultima immagine di Romano, la quale tuttavia non proveniva da alcun ricordo: indossava gli stessi abiti dell'ultimo giorno in cui si erano visti. Era in piedi di fianco a un lampione e guardava in alto con la sua solita aria irritata. I capelli erano mossi dal vento, il naso e le guance si erano arrossate per via del freddo e a ogni suo respiro fuoriusciva una nuvoletta di vapore. All'improvviso, Romano sussultò e si voltò verso di lui con gli occhi sgranati. Fu in quel momento che Feliciano perse i sensi.

 

 

 

 

 

Quella fu probabilmente la cosa più crudele e disgustosa a cui Ludwig avesse mai assistito. Ormai il sole era calato, erano state ore di agonia.

Non riusciva a togliersi le grida di Feliciano dalla mente, le immagini del suo corpo minuto che si contorceva dal dolore, gli sguardi di supplica che gli rivolgeva quando le forze gli permettevano di alzare la testa. Ora invece c'era silenzio. Vide gli occhi di Feliciano capovolgersi mostrando soltanto la sclera poco prima che svenisse.

- Mmh... - sentì la voce pensierosa di Braginsky. - Ancora una volta.

Fu un attimo. A quelle parole, Ludwig scattò in avanti e afferrò il braccio dello scienziato, bloccando il suo dito a qualche centimetro dal pulsante della scarica elettrica.

- Sei impazzito?! - tuonò imperioso, cercando di non far trasparire la preoccupazione nella sua voce. - È appena svenuto, non resisterà ancora! Morirà!

Gli occhi sorridenti di Braginsky lo fronteggiarono senza timore. - Non sei tu lo scienziato, Ludwig. Stai al tuo posto. - un lampo malvagio gli balenò nelle iridi violacee.

Ludwig mollò la presa dal braccio per afferrare il colletto del camice dello scienziato. - Apri subito la capsula, non fare scherzi o giuro che-

- Che baccano. Ludwig, lascia stare il signor Braginsky.

Quella voce gli fece raggelare il sangue. Lui qui? Si affrettò a lasciare il camice e a fare il saluto militare verso il suo interlocutore: suo nonno, Walter Beilschmidt, nonché generale delle forze armate degli Stati Uniti e capo della fortezza anti-mutanti.

Gli occhi severi del nonno si posarono sui suoi e Ludwig dovette sforzarsi per non abbassare lo sguardo, a disagio. I lunghi capelli biondo platino erano legati in una coda composta e gli ricadevano sulla divisa pulita e ordinata. Le mani erano appoggiate sul suo bastone di legno.

Suo nonno fece un passo dentro la stanza e Ludwig potè scommettere che ogni singolo individuo all'interno fosse rabbrividito, persino Allistor, braccio destro del generale. - Non tollero tali atteggiamenti tra i miei soldati e lo sai bene. - Lo ammonì, aggrottando le fini sopracciglia. - Ma d'altronde mio nipote ha ragione, Braginsky, se il soggetto non è più in grado di fornire alcuna energia, è inutile spremerlo fino alla morte, potrebbe essere prezioso. Apri pure la capsula.

Ludwig potè giurare di aver visto Braginsky fare una smorfia, mentre azionava i comandi della macchina. Il vetro della capsula si aprì con uno sbuffo, facendo fuoriuscire del vapore. Feliciano era ancora sdraiato in posizione supina, dalla sua bocca fuoriuscì un mugolo.

- Nome del prigioniero? - chiese Walter disinteressato, come se fosse solo una domanda di cortesia.

Braginsky sorrise nel suo tipico modo inquietante. - Feliciano... Vargas.

Le sopracciglia del generale ebbero un fremito e Ludwig se ne accorse. Suo nonno che si scomponeva per un nome... Lo conosceva?

Una vena di interesse comparve nello sguardo del generale, che si incamminò verso la capsula.

Lo scienziato continuò. - Vent'anni, italiano, abilità principale: telepatia.

Ludwig vide il nonno inginocchiarsi di fronte alla capsula. Feliciano, ancora sdraiato all'interno, sollevò a fatica la testa, cercando di individuare la figura di fronte a lui. Walter afferrò il mento del ragazzo con la mano guantata per osservarlo meglio, incurante dei residui di vomito e saliva scivolati sotto le labbra. Con lo sguardo vacuo e distrutto, probabilmente Feliciano non lo vide nemmeno. Il generale squadrò il viso del mutante con attenzione. Attirato poi dal suo ciuffo ribelle, lo prese tra le dita come se avesse voluto studiarlo.

Ludwig aggrottò le sopracciglia, confuso. Non capiva cosa il nonno stesse vedendo nel ragazzo, ma a lui non importava, stava morendo dalla preoccupazione, Feliciano aveva bisogno di un medico al più presto o sarebbe-...

- Ludwig, occupati tu del mutante. - Il generale lasciò il viso di Feliciano, che ciondolò appesantito, e si alzò in piedi, rivolgendo a ognuno un'occhiata gelida. - Braginsky, il tuo lavoro in questa stanza è concluso, analizza subito i dati raccolti. E Allistor, vieni nel mio ufficio, dobbiamo discutere di alcune questioni. Sospetto che il capo dei rivoluzionari, Arthur Kirkland, stia pianificando un attacco alla fortezza. Tu conosci meglio di me i suoi poteri, dobbiamo contrastarli e fare in modo che non ci arrechi danni. - Si incamminò verso l’uscita, passando di fianco al nipote, ma senza degnarlo di uno sguardo, e scomparve al di là della porta.

Il rosso aveva perso ogni compostezza e si limitò a fare spallucce, con il suo solito ghigno. - Come vuole lei, capo. - ordinò ai due soldati di tornare ai loro compiti e uscirono tutti e tre, seguendo il generale.

Braginsky lavorò qualche attimo al computer, prima di afferrare il suo raccoglitore e avviarsi verso l'uscita. - Ci vediamo, Ludwig. - sorrise divertito e andò nella direzione opposta ai primi quattro.

Quando sentì la porta chiudersi dietro di sé, Ludwig si fiondò davanti alla capsula. - Feliciano! - sollevò delicatamente il suo corpo, prendendolo da sotto le ascelle, e lo trascinò fuori dalla capsula. In qualche modo riuscì a metterlo in ginocchio. Si slacciò il giaccone della divisa e lo mise sulle spalle del ragazzo, talmente piccole che la divisa pareva una coperta.

- I tuoi vestiti, te li porto. - il soldato ispezionò la stanza con lo sguardo fino a che non individuò gli abiti del mutante, appallottolati in un angolo.

Fece per alzarsi, ma venne trattenuto: le mani di Feliciano si aggrapparono debolmente alla sua uniforme, il ragazzo lo guardò con un'espressione disperata. - No! Non andare via! Non lasciarmi, ho paura! - affondò il viso bagnato di lacrime nel petto di Ludwig e cominciò a singhiozzare.

Ludwig spalancò gli occhi per la sorpresa, che poi divenne pura pietà. Piano piano, avvolse le braccia attorno al corpo tremante di Feliciano e lo strinse a sé delicatamente, come se avesse paura di fargli male. Cominciò ad accarezzare i suoi capelli grondanti di sudore. - Va tutto bene, non ti farà più nulla, è finita adesso.

Quello, se possibile, non fece che aggravare il pianto del mutante. Si limitò a rimanere in silenzio e a stringere a sé il corpo esile di Feliciano, in un senso di protezione. Non si mosse fino a che non fu sicuro che Feliciano si fosse addormentato.







Spazio dell'Autrice
Bonjour a todos! Lo so, sono sparita, ma ero incasinata con gli esami, la tesi, il lavoro, teatro, TUTTO e quindi arrivavo distrutta ogni domenica con la voglia di essere produttiva sotto zero.
Però adesso sono qui con il Capitolo 5! Personalmente è uno dei miei preferiti in assoluto, adoro essere sadica con i personaggi muahahah Povero Feliciano, vorrei abbracciarlo (disse dopo averlo fatto soffrire malamente).
Spero possa piacere tanto quanto piaccia a me!
Buona lettura e alla prossima!! <3

   
 
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