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Autore: Milly_Sunshine    11/06/2023    3 recensioni
Kay è una giornalista radiofonica affermata e conduce un programma di cronaca, accerchiata da un entourage di fedelissimi, il marito Anthony, a sua volta giornalista, il loro collega Samuel e l'assistente Theresa. Fissata con i crimini irrisolti, matura un'ossessione insolita nei confronti dell'omicidio di un'anziana locandiera che le costa a sua volta la vita. Kay si ritrova a sua volta vittima di un delitto, lasciando le persone che le stavano intorno, oltre che la collega Rebecca, con la quale aveva una feroce rivalità appianata soltanto nelle sue ultime settimane di vita, a interrogarsi su chi l'abbia eliminata e perché, su chi fosse la femme fatale che si aggirava presso la sede della radio il giorno prima del delitto, oltre che sulle ragioni per cui fosse così in fissa con lo specifico caso della locandiera assassinata. // Long fiction scritta nel 2015 sulla base di un'idea già in parte sviluppata cinque anni prima, unisce elementi del giallo classico e del thriller.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Kay controllò nel retrovisore: aveva parcheggiato entro le linee bianche. La paranoia della sera precedente non era svanita nel nulla, come aveva sperato, e si stava già chiedendo se fosse stata una buona idea quella di lasciare la macchina all’interno di Radio Scarlet. Qualcuno avrebbe potuto chiedersi che cosa fosse andata a fare alla sede di sabato.
«Non essere ridicola, Katherine» borbottò. «Dentro ti vedrebbero e scoprirebbero comunque che sei stata qui. E poi, per male che vada, puoi sempre inventarti una scusa.»
Non sarebbe stato difficile. Bastava dire di avere dimenticato qualcosa e di non potere aspettare tutto il weekend per rientrarne in possesso.
“Nessuno potrebbe anche solo ipotizzare che io sia venuta a incontrare la mia più grande rivale.”
Si sfilò gli occhiali e li ripose nella custodia, che poi appoggiò sul cruscotto.
Scese dall’automobile e richiuse la portiera a chiave, prima di avviarsi verso l’entrata. Si fermò un attimo e si guardò intorno: non c’era nessuno, nelle immediate vicinanze, nessuno che potesse mettersi tra lei e il proprio obiettivo.
Si diresse a passo spedito verso l’ingresso dello stabile.
Varcò la soglia e passò di fianco alla reception.
«Kay!» esclamò Michelle.
Kay, che fino a quel momento non l’aveva degnata di uno sguardo, decise di comportarsi come di consueto: si girò verso di lei e la salutò sorridendo.
La receptionist le domandò, con la sua solita curiosità: «Come mai ti fai viva da queste parti anche di sabato?»
Kay sospirò.
“A quanto pare anche lei, pur essendo guidata dalle migliori intenzioni, non può evitare di fare domande.”
Si sforzò di apparire sempre di buon umore, mentre rispondeva: «Ho dimenticato un po’ di roba in ufficio. Volevo lavorarci su oggi pomeriggio, quindi sono passata a prenderla.»
«Capisco.» Michelle sorrise. «Potevi mandare tuo marito. È un tipo galante, sarebbe stato felice di...» La ragazza si interruppe. «Scusami, non avevo intenzione di sembrare invadente.»
Kay continuò a sorridere.
«Non preoccuparti.»
«No, davvero» insisté Michelle. «Me lo diceva sempre anche mia madre, quando ancora abitavo insieme a lei. Era convinta che non riuscissi a fare a meno di intromettermi negli affari degli altri... e aveva ragione.»
«In fondo, a chi non interessa nemmeno un po’?»
«Mhm...» Michelle esitò. «A te? Non mi sembra che tu sia un’impicciona...»
«Io sono un’impicciona elevata alla massima potenza» puntualizzò Kay. «Il mio lavoro consiste proprio in questo.»
Michelle obiettò: «È diverso. Tu ti occupi di cronaca...»
«Che cos’è la cronaca, se non una mega-intromissione nei fatti di qualcun altro?» Kay rise. «Certo, questa intromissione è dettata da una ragione più edificante che dal semplice non poter fare a meno di ficcare il naso da qualche parte, ma si tratta pur sempre dello stesso principio.» Notando che Michelle continuava a guardarla con aria interrogativa, decise di rispondere anche alla domanda che aveva ignorato fino a quel momento. «Per quanto riguarda i documenti che mi servono, non ho mandato Anthony perché non sa di cosa si tratta. Sai, sono un po’ disordinata. Volevo evitare che mi portasse a casa qualcosa che non mi serviva, lasciando qui ciò che mi preme davvero.»
Senza aggiungere altro, si allontanò dalla reception imboccando il corridoio sulla destra. Non prese l’ascensore; quegli aggeggi non le piacevano. Salì due piani di scale, oltrepassò l’archivio e infine giunse nell’ufficio che condivideva con Anthony, Samuel e Theresa.
Chiuse la porta e andò a sedersi alla propria scrivania, guardando l’orologio. Mancava ancora qualche minuto alle dieci e Rebecca, che tendeva più ad arrivare in ritardo che in anticipo, naturalmente non era ancora arrivata.
Kay si mise a leggere, distrattamente, un foglio di carta stampata appoggiato alla tastiera del suo computer. Non era niente di utile, quindi lo appallottolò e lo lanciò verso il cestino dei rifiuti, collocato accanto alla porta.
«Dannazione!» esclamò, nel mancare l’obiettivo per pochi centimetri.
Si alzò in piedi e, mentre si stava chinando per raccoglierlo, il telefono iniziò a squillare. Non desisté dal proprio intento e, quando finalmente il foglio fu dentro al cestino, si diresse verso la scrivania e portò il ricevitore all’orecchio.
«Sei tu, Michelle?» domandò, sedendosi.
Fu una voce maschile a risponderle.
«No, non sono Michelle.»
Kay rabbrividì.
«John?»
«Come hai fatto a indovinare?» ribatté lui. «Temevo che ormai non fossi più capace di riconoscere la mia voce.»
«Ti ricordo» replicò Kay, «Che ci siamo sentiti anche ieri.»
«Sì, certo.»
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Ho fatto lo stesso numero e, quando mi ha risposto la ragazza del centralino, ho chiesto di parlare con la signora Brooks.»
Kay sbuffò.
«Non era a questo che mi riferivo!»
«E a che cosa, allora?» obiettò John. «Mi hai fatto una domanda e io ti ho risposto.»
«Non farmi perdere tempo, John» sbottò Kay. «Io non vengo quasi mai di sabato. Come facevi a sapere che oggi sarei stata qui?»
«Fortuna.»
«Non ti credo.»
«Sei libera di non credermi, ma ti assicuro che è andata così. Al massimo la ragazza della reception avrebbe potuto dirmi che non c’eri.»
Kay si gettò all’indietro, appoggiandosi allo schienale.
«Avrebbe dovuto farlo lo stesso» replicò. «Posso almeno avere l’onore di sapere che cosa vuoi da me?»
John puntualizzò: «Ti ricordo che non sono io che voglio qualcosa da te, ma è piuttosto l’esatto contrario.»
«Ne abbiamo già parlato.»
«Appunto. Tu volevi qualcosa da me.»
«Sì, esatto» confermò Kay, «E tu mi hai detto che non se ne faceva niente e che dovevo pensarci io, perché tu non vuoi saperne niente.»
«In effetti è quello che ti ho detto» ammise John, «Ma ne ho parlato con Suzanne e mi si è aperta la mente.»
Kay spalancò gli occhi.
«Mi stai dicendo che la tua signora ti ha convinto a prendere la decisione migliore?»
John rise.
«Non proprio. Suzanne è stata chiarissima: non devo assolutamente intromettermi in affari che non mi riguardano, secondo lei.»
«Eppure tu stai prendendo in considerazione l’idea di disobbedire ai suoi ordini» dedusse Kay. «Non si fa così, John.» Rise. «Certo, dal mio punto di vista stai prendendo la decisione migliore, ma dovresti...»
«Non dirmi quello che dovrei o che non dovrei fare» la interruppe John. «Ci ha già pensato Suzy. Per il resto mi sono semplicemente detto che quello che accadde ha qualcosa a che vedere anche con me, quindi non posso comportarmi come se non mi riguardasse.»
«Bravo, John, finalmente inizi a ragionare.»
«Io sarei disposto a darti quel video, ma...»
Si interruppe.
Kay attese qualche istante e, dal momento che John non aggiungeva altro, lo esortò: «Ma...?»
Dopo quella che le parve un’infinità, finalmente lui ammise: «Quello che ti ho raccontato non è vero. O meglio, lo è, ma non ti ho detto una cosa fondamentale: alla fine anche Suzanne s’è convinta.»
«Molto bene» concluse Kay, «Ma non capisco dove vuoi arrivare.»
«Non lo capisco nemmeno io. O meglio, lo capisco, ma non è stata un’idea mia. Suzanne vuole dei soldi.»
«Dei... dei soldi?» Kay esitò. «Di che soldi parli?»
«Dice che devi pagare, se vuoi quella videocassetta.»
Kay sospirò.
«Non cambierai mai.»
«Ti ho detto che non è stata un’idea mia» si difese John. «Suzanne dice che, se proprio dobbiamo aiutarti, tanto vale che...»
Kay non lo lasciò finire.
«Ti saluto, John. Posso fare a meno di quella cassetta.»
Lui obiettò: «Non vedo come...»
Kay lo interruppe: «Ci sentiamo un’altra volta, John. Quando deciderai di essere più ragionevole, sempre che questo momento arrivi, prima o poi, arriveremo senz’altro a un accordo. Per il momento non se ne parla. Non ho intenzione di tirare fuori un centesimo, almeno finché non avrò le prove di quello che ha combinato il nostro amico.»
«Senza offesa, Kathy, non credo di potermi definire amico di quell’individuo. Non mi ricordo nemmeno che aspetto avesse.»
«C’è il video.»
«A proposito di quel video» le ricordò John, «Non sono sicuro che tu voglia davvero che venga alla luce. È compromettente, dopotutto.»
Kay rabbrividì.
Sapeva che correva dei rischi e, in effetti, non aveva intenzione di divulgarlo, a meno che non fosse necessario. Qualcuno avrebbe potuto usarlo contro di lei, rivelando il suo legame con una delle persone coinvolte.
“Qualcuno come Suzanne.”
Quell’idea la fece rabbrividire.
«Solo un’ultima cosa, John.»
«Ti ascolto.»
«Che cos’hai raccontato a tua moglie?»
«Che c’è un filmato» fu la risposta di John. «Tu sei convinta che ci siano delle prove schiaccianti, ma non mi è chiara la base su cui lo affermi. È tutto quello che le ho raccontato. Gliel’ho anche fatto vedere, in realtà.»
Kay si sentì sollevata.
«Quindi non sa chi sia quella donna?»
«No.»
«Mi raccomando, John...»
Lui la interruppe: «Certo, Kathy, Suzanne non sa niente. In ogni caso, non mi è chiaro quale sia il tuo obiettivo, se non vuoi che qualcuno sappia chi sei veramente.»
«Qualunque cosa non ti sia chiara, non è un problema mio» puntualizzò Kay. «Te l’ho detto: tu-sai-chi è coinvolto fino al collo. Potrebbe essere una catastrofe, per lui, se quel filmato venisse alla luce.»
«Vuoi ricattarlo» dedusse John.
«No, voglio incastrarlo.» Kay rabbrividì. «Voglio incastrarlo, e lo farò.»
«In pratica vuoi rovinarlo.»
«È il minimo.»
«Sì, ma hai idea di quanto potrebbe essere pericoloso, se le cose stanno davvero come pensi? Non ti viene in mente che, se davvero ha commesso un delitto a sangue freddo, come sei pronta a sostenere, potrebbe farlo di nuovo?»
Qualcuno bussò alla porta.
«Scusa, ma devo andare.» Kay si preparò a riattaccare e abbassò la voce. «Smettila di cercarmi in ufficio. Ti richiamo io, tra qualche giorno. Tu, nel frattempo, cerca di convincere la tua Suzanne che, per permettere alla giustizia di trionfare, non bisogna sempre guardare al tornaconto economico. Oppure cerca di farmi avere quella videocassetta senza che lei lo sappia, se proprio non puoi fare a meno di eseguire i suoi ordini.»
Sbatté giù il ricevitore proprio mentre chi la stava cercando bussava di nuovo.
«Avanti.»
La porta si spalancò e ne entrò quella che, in apparenza, era più adatta in uno studio televisivo piuttosto che alla radio.
Kay non poté fare a meno di lanciarle un’occhiataccia.
«Sei in ritardo, Shepard.»
Rebecca si guardò intorno.
«Vedo che sei da sola, senza la tua troupe di cani da guardia.»
Kay si alzò in piedi e le andò incontro.
«Non ti ho chiamata qui per fare polemica o per litigare» chiarì. «È un affare serio, questo.»
«È un vero peccato che tu non mi abbia invitata qui per litigare» ribatté Rebecca, chiudendo la porta. «Se non sbaglio è quello che sappiamo fare meglio.»
«Me ne rendo conto, Shepard, ma in certe circostanze è necessario allearsi con le persone più improbabili.» Kay indietreggiò e si sedette sul bordo della scrivania. «È stata una decisione difficile, ma alla fine ho scelto proprio te.»
Rebecca aggrottò le sopracciglia.
«Hai scelto me per che cosa?»
Kay accennò un lieve sorriso.
«Non preferiresti sapere perché ho scelto te?»
«Effettivamente anche questo è un dubbio interessante» ammise Rebecca, scostando la sedia e accomodandosi. «A cosa devo questo onore?»
Spinse indietro la sedia e appoggiò i piedi sul bordo della scrivania.
Kay le scoccò un’occhiataccia.
«Le scarpe sono pulite» puntualizzò Rebecca, che calzava un paio di decolleté nere. «È la seconda volta che me le metto.»
Kay la ignorò.
«Ci sono persone di cui ci fidiamo e altre dalle quali siamo abituati a guardarci.»
Rebecca annuì.
«Ti seguo.»
«A volte qualcuno ci colpisce alle spalle» proseguì Kay, «E i colpi ricevuti alle spalle di solito sono quelli fatali.»
«Anche qui, continuo a seguirti.»
«Il problema di fondo è che soltanto quelli di cui ci fidiamo riescono a colpirci alle spalle.»
«La tua teoria è molto interessante» osservò Rebecca, «Ma non comprendo dove vuoi arrivare.»
Kay la guardò negli occhi.
«Se vuoi che arrivi al dunque, eccoti accontentata: tu non conosci i miei punti deboli, quindi ti sarà più difficile metterti contro di me.»
Rebecca scosse la testa, con decisione. I suoi capelli ramati ondeggiarono.
«Avrei mille modi per mettermi contro di te, Brooks. Se non lo faccio è solo perché credo che, alla fine, chiunque verrà premiato per i propri meriti.»
Kay sbuffò.
«Non hai ancora finito di rivangare il passato, Shepard? Capisco le tue frustrazioni: non deve essere facile vivere con la consapevolezza che l’uomo che hai sposato preferisce un’adolescente dai capelli viola a te, ma non vedo perché tu debba prendertela con me.»
Rebecca si alzò di scatto.
«Io, invece, non vedo perché tu debba intrometterti nella mia vita privata. Io faccio per caso allusioni al fatto che tu e Samuel passiate tutto il giorno a flirtare davanti agli occhi di tuo marito?»
Kay spalancò gli occhi e scese con un salto dalla scrivania.
«Tu stai delirando, Shepard. Io e Samuel siamo...»
«Sì, siete solo amici» la interruppe Rebecca. «Conosco questa storiella e nemmeno me ne importa, se devo essere sincera. Ti ricordo che sei stata tu la prima a parlare di faccende personali. Per quanto ne sapevo io, dovevamo parlare di un caso di cronaca di cui ti stai occupando.»
«Infatti ti ho chiamata proprio per questo.» Kay si sforzò di calmarsi, nonostante la piega che gli eventi stavano prendendo. «C’è qualcosa che devi vedere.» Si avvicinò alla borsa, appoggiata di fianco al monitor del computer, e vi rovistò dentro finché non ne trovò la chiave che apriva i cassetti della scrivania. Notando che Rebecca la guardava con aria interrogativa, chiarì: «Te l’ho detto, non mi fido. Preferisco che, quando non ci sono, nessuno possa frugare tra le mie cose.»
L’altra non replicò.
Kay premette il pulsante di accensione del computer, mentre apriva l’ultimo cassetto in fondo. Ne estrasse una cartellina e la aprì.
Rebecca si avvicinò.
«Cos’è quella roba?»
Kay la fissò, mentre si sedeva.
«Te lo spiego subito.»

«Sono solo articoli» osservò Rebecca, indicando i ritagli di giornale posati sulla scrivania, dopo che Kay le ebbe esposto le proprie teorie. «Un uomo ha un colpo di sonno al volante. Precipita in un burrone. La macchina esplode. Non c’è null’altro, a parte supposizioni.»
Kay scostò la sedia e si alzò.
«Ne ho le prove.»
«Tu non conoscevi quell’uomo» replicò Rebecca. «Ora vieni a dirmi che...»
Kay la interruppe: «So dove si nasconde ora.»
Rebecca si prese la testa tra le mani, appoggiando i gomiti sulla scrivania.
«Kay, quell’uomo è morto.»
«Un uomo è morto» convenne Kay, «Ma quali prove abbiamo sulla sua identità? La sua macchina, certo... ma se non fosse stato lui, al volante?»
«Sono solo supposizioni» insisté Rebecca. «Se fossi al posto tuo, frenerei un po’ il tuo interesse.» Si alzò in piedi. «Potrebbe essere una tua fantasia... oppure qualcosa di veramente pericoloso. Non ti consiglio di esporti troppo.»
Kay le lanciò un’occhiata di fuoco.
«In pratica mi stai dicendo che dovrei occuparmi di faccende di poco conto, come accadeva quando c’eri tu al posto mio.»
Eccola, finalmente Rebecca la riconosceva. Kay Brooks era bravissima a recriminare, nonostante fosse lei stessa quella che calpestava gli altri e faceva di tutto per mettersi contro di loro.
«Io impostavo la trasmissione alla mia maniera» si affrettò a puntualizzare. «Non mi atteggiavo a fonte universale della conoscenza.»
«Nemmeno io lo faccio.» Kay abbassò lo sguardo. «Il punto è che certe cose le so.»
«Ed è per questo che mi hai chiamata?»
Kay infilò gli articoli nella cartellina da cui li aveva presi fuori e gliela allungò.
«Portatela a casa.»
Rebecca spalancò gli occhi.
«Io dovrei...»
«Dovresti portarla a casa» ribadì Kay.
«Perché?!»
«Perché tutti sanno che io te non siamo mai state amiche. Se dovesse accadermi qualcosa e qualcuno cercasse questi ritagli, non penserebbe mai che io li abbia dati proprio a te.»
Il suo tono era dannatamente serio. Per la prima volta da quando era entrata nel suo ufficio, Rebecca iniziava a pensare che Kay non stesse esagerando. Semplicemente non le aveva detto tutto, ed era molto probabile che non si fosse esposta con nessun altro.
Prese in mano la cartellina e Kay la pregò: «Mettila via, in modo che nessuno la veda. Poi c’è un’altra cosa che devo darti. Ce l’ho sul computer. Se ti sposti, te la stampo.»
Rebecca si alzò e infilò la “collezione” di articoli nella borsa, mentre Kay si sedeva davanti al computer. La vide aprire una schermata di Wordpower, che la colpì.
«Fammi capire, tu ce l’hai impostato così?»
Kay si girò a guardarla.
«Cosa c’è di strano?»
«Lo sfondo rosso» rispose Rebecca. «Non mi sembra un colore molto normale. Capisco che tu voglia a tutti i costi apparire alternativa...»
«Io lo vedo bene» replicò Kay, «Ed è uno dei colori di default. Infine, non capisco perché stiamo parlando delle mie impostazioni personalizzate di Wordpower. Devo stamparti una cosa importante.»
«Riguarda il tizio volato giù per il burrone?»
«Sono semplicemente appunti. Potrebbero esserti d’aiuto.»
Rebecca la guardò, aggrottando la fronte.
«D’aiuto per che cosa?»
Kay sorrise.
«Per scoprire che cosa mi è successo davvero, se dovesse accadermi qualcosa di spiacevole.»

   
 
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