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Autore: Kimando714    14/06/2023    0 recensioni
La vita a quasi trent’anni è fatta di tante cose: eventi felici ed eventi che ti mandano in crisi, successi ed insuccessi, traguardi personali e lavorativi, vecchi legami che cambiano e nuovi che nascono … Giulia è convinta di saper navigare il mare di contraddizioni che la vita le sta per mettere di fronte, e così lei anche il gruppo storico di amici. Ma la vita ti sorprende quando meno te l’aspetti, e non sempre sei pronto a ciò che ti pone davanti. E forse, il bello dell’avventura, sta proprio in questo.
“Se è una storia che sto raccontando, posso scegliere il finale. Ci sarà un finale, alla storia, e poi seguirà la vita vera” - Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale
[Terza e conclusiva parte della trilogia “Walf of Life”]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 4 - AVE ATQUE VALE



 
Maybe by the time summer's done
I'll be able to be honest, capable
Of holdin' you in my arms without letting you fall [1]
 
Cercò di controllare l’orario sul display del telefono in meno tempo possibile, la luminosità al minimo per non disturbare i tre ragazzi che aveva seduti sulle poltroncine accanto alle sue.
Erano da poco passate le undici e mezza, ma poco importava: era sabato sera, e almeno una volta alla settimana si sarebbe potuto permettere di andarsene a dormire più tardi del solito.
Alessio si rilassò meglio contro la poltroncina foderata, il buio della sala che lo attorniava, puntando di nuovo gli occhi sul grande schermo di fronte a sé, dove le immagini di Judas and the Black Messiah [2] stavano venendo proiettate. Erano mesi che non metteva piede in un cinema, e cominciava a pensare che quello fosse stato un enorme sbaglio: era riuscito a distrarsi, seppur per quelle due sole ore passate in sala, e a lasciar fuori tutti i pensieri che lo rendevano inquieto nelle ultime settimane.
A giudicare dalle scene che si stavano susseguendo, alla fine del film doveva mancare poco: si sentì per un attimo piuttosto incerto, la voglia di tornare a casa che ancora scarseggiava.
Aveva cominciato a farci il callo, nelle ultime due settimane, a passare le sue serate in solitaria rinchiuso nella camera degli ospiti – ormai da mesi diventata la sua stanza-, o in giro per Venezia, altrettanto da solo. Il silenzio era un sollievo ed una condanna allo stesso tempo: gli permetteva di stare lontano da Alice, di incrociarla il meno possibile per evitare di volerle fare altre domande che, ne era sicuro, gli avrebbero solo fatto male.
Ma era sempre nel silenzio che la sua mente si divertiva a ricordargli costantemente l’ultima vera conversazione che c’era stata tra di loro. Alla mattina la vedeva prepararsi per uscire e andare al lavoro, e non poteva fare a meno di domandarsi se in quel frangente avrebbe visto Sergio: era diventata una routine che non riusciva a spezzare nemmeno sforzandosi, nemmeno facendo leva sul fatto che, in fin dei conti, non gli interessava davvero sapere cosa potesse succedere tra di loro da quel momento in avanti.
Christian rappresentava l’unico lato positivo delle sue ore a casa: era la sua unica compagnia, l’unica che spezzava le serate passate in silenzio steso a letto o le lunghe passeggiate serali per la città. Aveva passato più tempo con suo figlio in quelle ultime settimane di quanto non gli era mai capitato prima.
Qualche minuto dopo, quando gli ultimi secondi del film avevano lasciato spazio allo sfondo nero per i titoli di coda, Alessio strizzò gli occhi infastidito per le luci che si accesero di colpo in sala. Gli ci volle qualche attimo per riabituarcisi, dopo aver passato due ore al buio quasi completo; intorno a sé le poche altre persone presenti cominciarono a rivestirsi ed alzarsi dalle poltroncine, inforcando gli ombrelli ancora umidi per la pioggia di quella sera.
Alessio si decise ad alzarsi, stiracchiandosi brevemente e trattenendo a stento uno sbadiglio. Un po’ di gente era già defluita fuori dalla sala, lungo il corridoio che portava alla sala d’entrata del piccolo cinema; si incamminò anche lui, con fare stanco, verso l’uscita.
Dovette rallentare il passo, trattenendo a stento uno sbuffo: c’era più gente del previsto che stava cercando di uscire in quel momento, e non poté fare altro che accodarsi pensando che, in fin dei conti, non aveva fretta di andare da nessuna parte.
C’erano almeno due famiglie con bambini appresso – Alessio, osservandoli, non poté fare a meno di chiedersi come potessero essere capitati a guardare un film che non avrebbe certo giudicato adatto a bambini così piccoli- che rallentavano la fiumana, e qualche altra persona ancora davanti a lui.
Nella penombra del corridoio stretto che portava fuori dalla sala lasciò vagare annoiato gli occhi sull’uomo alto a qualche metro da lui. Si soffermò sulla linea delle spalle larghe, coperte dal cappotto lungo, e per un attimo si ritrovò ad avere il sospetto di averlo già visto.
Avanzarono ancora un po’, e qualche attimo dopo uscirono tutti. Alessio fece qualche passo verso l’uscita, gli occhi che ancora cercavano l’uomo attraente che era davanti a lui: lo individuò a qualche metro da lui, e solo quando lo vide sotto le luci della sala d’ingresso del cinema poté darsi dell’idiota.
-Pietro!-.
Lo vide voltarsi dopo qualche secondo, forse insicuro di essere proprio lui il Pietro che era stato chiamato. Vide l’espressione dubbiosa sparire nell’istante in cui posò gli occhi su di lui, mentre accelerava il passo per andargli incontro. Alessio gli si fermò di fronte, tra lo sorpreso e l’imbarazzato: aveva dato così tanto per scontato di non incrociarlo lì, proprio quella sera, da non prendere nemmeno in considerazione che quella somiglianza potesse derivare dal fatto che lo conosceva.
-Ciao- Pietro lo guardò inizialmente con la stessa incertezza, appena rosso in viso – Non pensavo di trovarti qui-.
-Nemmeno io, a dire il vero- replicò Alessio, lievemente a disagio. Non ricordava nemmeno quand’era stata l’ultima volta che si era ritrovato a tu per tu con Pietro, completamente da soli: era passato così tanto tempo che gli sembrava quasi un secolo. Sentì il cuore stringersi per un attimo, nel rendersi conto di quel particolare.
-Se avessi saputo che ti interessava questo film ti avrei detto di venire con me- aggiunse subito, cercando di non far trasparire il malumore che non lo abbandonava da settimane.
Non sapeva se fosse stata una buona mossa. Non serviva un genio per capire che, se le cose fossero andate così, Pietro molto probabilmente gli avrebbe rifilato qualche scusa per evitarlo: riusciva a cogliere il suo imbarazzo, nel parlargli così inaspettatamente e da solo, in ogni gesto e in ogni segnale che il suo corpo gli mandava. Lo capiva dalla tensione del viso, dallo sguardo fuggente, e dal tono di voce impacciato.
-È che ho deciso all’ultimo, in realtà- Pietro si passò una mano tra i capelli castani, abbassando lo sguardo per un attimo – E intendo letteralmente cinque minuti prima che iniziasse-.
Alessio si ritrovò ad annuire, senza sorprendersi troppo. Non poteva comunque dargli tutti i torti: lui per primo si era infilato in quel cinema principalmente per sottrarsi alla pioggia che aveva iniziato a scendere non appena uscito. L’idea di tornarsene a casa, in ogni caso, era ancor peggiore di quella di pensare di trovare qualche posto dove passare la serata senza inumidirsi fino alle ossa.
Per un attimo si ritrovò a non sapere che altro dire. Si guardò intorno spaesato, cercando di ignorare la sensazione di malinconia che lo stava affogando: con Pietro non c’era mai stato bisogno di sforzarsi per pensare a qualcosa per rendere più sopportabile il silenzio. Si chiese come avessero potuto arrivare a quel punto, quando tempo addietro persino i loro silenzi significavano tutto.
-Stai andando a casa?- borbottò infine, con così poca convinzione che non riuscì nemmeno a guardare in faccia Pietro.
Quando rialzò a stento lo sguardo lo vide annuire:
-Tu no?-.
-Sì, anche io- Alessio sospirò pesantemente, la voglia di rincasare praticamente sotto i piedi. Pietro non disse nulla: a dispetto di quel che si sarebbe aspettato, non sembrava così desideroso di allontanarsi il prima possibile.
In un attimo, senza rifletterci troppo, Alessio si buttò:
-Ti va se facciamo la strada insieme?-.
Avere Pietro come compagnia gli sembrava l’unico motivo valido per camminare verso casa, nonché l’unica cosa che poteva addolcirgli quel tragitto.
Sperò ardentemente di non essere sembrato troppo avventato: per i primi secondi Pietro lo guardò quasi stupito, poi con l’incertezza a velargli gli occhi scuri. Alessio aveva quasi accantonato tutte le sue speranze, quando lo sentì rispondere:
-Va bene-.
Gli servì più di un secondo per processare quella risposta e realizzare quel che lo attendeva.
 


-Quindi esci spesso ultimamente?-.
Alessio tenne gli occhi abbassati sul terreno, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Era difficile aggirarsi di sera tardi in alcune zone di Venezia, nell’oscurità quasi totale, e la cosa non gli era affatto facilitata dal tentativo di portare avanti quella – strana, fin troppo strana- conversazione con Pietro.
Sospirò appena, optando per la sincerità:
-Non dico tutte le sere, ma quasi- si lasciò sfuggire, stringendo un po’ meglio il manico dell’ombrello, ora richiuso. Erano stati abbastanza fortunati: a quanto pareva, durante il film, aveva smesso di piovere. C’era ancora odore d’umido in giro per le calli, ma Alessio aveva cominciato a non farci nemmeno più caso.
Quando alzò gli occhi vide il volto di Pietro sorpreso:
-E Alice non ti dice nulla?- gli chiese, forse un po’ incredulo – Di questo passo potrebbe pensare che ti vedi con qualcuno-.
L’aveva detto scherzando, ma Alessio percepì una punta d’amarezza nella sua voce.
-Non credo lo pensi- borbottò, trattenendosi a stento dall’aggiungere che, in fin dei conti, tra loro due sarebbe stata Alice quella a voler vedere qualcun altro.
-E tu?- riprese in fretta a parlare, cercando di sviare l’argomento – A parte stasera sei sempre in casa?-.
Pietro alzò le spalle, sbuffando debolmente:
-In pratica … Quando devo scrivere degli articoli la sera è l’unico momento libero che ho-.
Alessio si ritrovò ad annuire, comprensivo: riusciva a capire benissimo Pietro da quel punto di vista. Da quando la Progress aveva iniziato le attività trovare del tempo libero era un miracolo; sospettava che sarebbe servito parecchio tempo prima di stabilizzare la situazione e trovare un po’ di respiro.
-Non pensi mai di darti solo al giornalismo?- gli chiese, voltandosi verso di lui – Ormai potresti passare al livello successivo-.
Pietro lo guardò di rimando, scettico:
-Diventare professionista, dici? Sì, potrei- alzò le spalle, mentre spostava l’ombrello richiuso da una mano all’altra – Forse, prima o poi. Per ora ho già avuto abbastanza casini a cui pensare. Mi va bene così, magari poi tra qualche anno deciderò di fare il salto-.
-Sei bravo-.
Alessio si sentì arrossire, e fu estremamente grato del fatto che ci fosse troppo buio, in quel momento, lungo la calle che stavano percorrendo, per far sì che Pietro riuscisse a notarlo.
Si schiarì la voce, piuttosto in imbarazzo quando si sentì il suo sguardo addosso:
-Voglio dire, ogni tanto mi capita di leggere qualche tuo pezzo. Mi sembri bravo-.
Sorvolò sul dettaglio che, in realtà, ogni suo singolo articolo era stato letto almeno una volta. Era un’abitudine che aveva preso negli ultimi tempi, quando aveva cominciato ad avvertire Pietro sempre più distante: forse poteva illudersi di sentirlo più vicino così, leggendo le parole che aveva intrecciato su un giornale.
-Grazie- mormorò Pietro, e ad Alessio non servì guardarlo in volto per capire che doveva essere stato colto di sorpresa – E a te come va il lavoro?-.
-È una faticaccia, ma mi piace- ammise Alessio, un mezzo sorriso a increspargli le labbra – Non mi posso lamentare, in realtà: ho trovato gente in gamba, e le cose non vanno male per essere così agli inizi … Può solo che migliorare-.
Per un attimo gli parve di notare Pietro accennare un sorriso, ma un secondo dopo aveva già distolto lo sguardo, guardando dritto davanti a sé.
-Buon per te- commentò, mentre svoltavano un angolo per finire in una calle più larga e un po’ più illuminata – Io credo avrei già avuto una crisi nervosa a pensare di mandare avanti una mia azienda-.
Alessio lo guardò con sguardo grave per qualche secondo:
-E chi ti dice che io non ce l’abbia già avuta?-.
Pietro lo guardò attonito per qualche secondo, prima di sciogliersi in una leggera risata. Anche Alessio si lasciò andare: era la prima volta dopo tanto tempo che riuscivano a parlare tranquillamente, come se nulla tra loro fosse mai cambiato. Trovò il sorriso di Pietro sincero, e bello come lo ricordava quando ridevano insieme anni prima, per qualsiasi scemenza.
Quando smisero di ridere rimasero entrambi in silenzio per un po’. Era un silenzio diverso dal precedente: non c’era ancora imbarazzo, né la necessità di riempirlo di parole per farlo pesare meno.
Alessio osservò di sottecchi Pietro, mentre camminavano ancora affiancati: era un po’ cambiato, nel corso degli ultimi mesi, in un modo che nemmeno lui riusciva a definire. Vestiva più elegante, come lo era il cappotto lungo che aveva addosso quella sera: rendeva la sua figura più slanciata e distinta, forse dandogli un’aria di troppa serietà per un uomo di appena ventisette anni.
Sarebbe stato curioso di uscire con lui qualche altra volta la sera: si chiedeva come sarebbe stato riscoprire la loro vicinanza che mancava da tempo.
-Comunque non me ne sto fuori casa così tanto per qualche amante o cose così-.
Alessio abbassò lo sguardo, pentendosi in parte di essersi lasciato prendere dal momento ed aver accennato a quel lato della sua vita che, fino a quel momento, nessun altro conosceva.
Si sentiva gli occhi scuri di Pietro addosso e, per un attimo, si chiese come sarebbe stato parlargliene a cuore aperto: forse Pietro l’avrebbe capito, o forse avrebbe solo fatto finta di comprenderlo. L’unica cosa di cui era abbastanza certo era che, nel bene e nel male, non l’avrebbe fatto sentire giudicato.
-È che semplicemente non voglio restare a casa- mormorò ancora, a mezza voce – Le cose non vanno benissimo-.
Quasi si mise a ridere per quell’eufemismo: dire che le cose non andavano ottimamente era un modo più gentile per evitare di sottolineare ad alta voce quanto stessero andando a catafascio.
Pietro annuì, rimanendo in silenzio per i primi secondi:
-Con Alice?- chiese, senza troppa esitazione.
-Già- sospirò Alessio, d’un tratto di nuovo ripiombato nello stesso stato di insofferenza in cui si ritrovava ogni volta che ripensava a lei.
-Anzi, diciamocela tutta: le cose non vanno proprio- sbottò, ancora a bassa voce – Hanno smesso di andare da tempo-.
-Una gravidanza è sempre un periodo particolare, può capitare- cercò di consolarlo Pietro, senza però troppa convinzione. Era come se si aspettasse già ci fosse dell’altro, ed Alessio quasi si sentì impreparato di fronte a quell’impressione.
Rallentò appena il passo, rialzando lo sguardo e facendolo vagare sul canaletto che costeggiava il marciapiede dove stavano camminando: si perse ad osservare le acque scure, mosse appena dalla brezza gelida che si era alzata.
-Non è per la gravidanza- ammise, con amarezza – Era già da prima, solo che sono stato troppo cieco per non capirlo-.
Si fermò per qualche attimo, lo sguardo perso nel vuoto, i ricordi che cominciavano a farsi così vividi e concreti da sembrargli quasi di essere tornato a quel tempo, sul letto dove si era seduto poco prima che Alice iniziasse a parlargli e a dirgli che non lo amava più.
Ricordava ancora il senso di vuoto, di solitudine, ma non di rabbia: era come se fosse davvero già tutto finito da tempo, ma che fosse successo senza che lui se ne rendesse conto.
-Io ed Alice non stiamo più insieme. Da mesi, ormai-.
Si sentì addosso lo sguardo di Pietro, e pur non voltandosi verso di lui, poteva quasi indovinare – quasi sentire- la sua espressione sorpresa, la sua incredulità.
Quando alzò gli occhi verso di lui, Pietro gli stava di fronte, immobile, gli occhi enigmatici e il viso teso. Alessio non riuscì a capire cosa potesse star pensando in quel momento.
-Sei il primo a cui lo dico- aggiunse subito, lasciandosi andare ad un altro sorriso amaro – Lei non voleva farlo sapere a nessuno, in pratica, almeno fino alla fine della gravidanza. Non si sente ancora pronta a doverlo dire e dare eventuali spiegazioni … Se scopre che te l’ho detto mi uccide-.
Pietro si schiarì la voce, prima di parlare, qualche secondo dopo:
-Mi dispiace. Io … Non ne avevo idea-.
Sembrava sincero, ed Alessio quasi se ne sorprese:
-Sul serio? A me sembrava evidente che non ci parlassimo nemmeno più-.
Si chiese se anche gli altri – Giulia, Caterina, Nicola e Filippo- non sospettassero nulla. Gli sembrava quasi impossibile: per lui era così evidente che con Alice il rapporto si fosse ridotto a poche frasi di circostanza che gli sembrava persino incredibile che la cosa non trasparisse anche all’esterno.
-Beh, forse un po’ strani lo eravate ultimamente, ma non mi sono fatto domande- cercò di spiegarsi Pietro, gesticolando appena.
Per un attimo ad Alessio parve agitato, quasi scioccato: lo vedeva nei gesti d’un tratto nervosi delle mani, nella mascella tesa del viso, negli occhi adombrati.
-L’hai lasciata tu?-.
Alessio alzò le spalle, riprendendo a camminare lentamente, forse per avere una scusa per distogliere lo sguardo:
-Lei, in realtà- ammise, sospirando pesantemente – E forse comincio a rendermi conto solo ora che, in fin dei conti, prima o poi sarebbe comunque finita così: non avevamo più niente da dirci da tempo. Non che il colpo sia stato meno forte-.
Era strano parlare di Alice proprio con Pietro, ed allo stesso tempo era la cosa più ovvia che potesse accadere: non parlavano così intimamente da mesi, ma in momenti come quello il tempo di separazione sembrava non esserci mai stato davvero. Gli stava venendo facile come respirare, come se le parole venissero da sé, come se avesse sempre voluto dirle in quel momento e proprio a Pietro.
Rimasero in silenzio per un po’ di tempo, continuando a camminare nell’oscurità della notte. Cominciava a fare freddo, l’aria pungente salmastra mischiata a quella della pioggia che riempiva le narici di Alessio.
-Stai pensando di andare a vivere da qualche altra parte?-.
Pietro interruppe il silenzio dopo così tanti minuti che Alessio aveva quasi pensato non si sarebbero detti più nulla. Gli sarebbe andato bene anche così, si ritrovò a pensare.
-Non ci ho ancora pensato, anche perché abbiamo deciso di rimanere insieme in quella casa per non destabilizzare troppo Christian. Si vedrà dopo la nascita della bambina- disse, sinceramente – Non avrei abbastanza soldi per farlo subito, in ogni caso-.
Aveva rimandato quel lato della situazione il più a lungo possibile, ma prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo: sapeva già che sarebbe stato difficile farlo con Alice.
-Non so che succederà dopo che nascerà la piccola- continuò, la voce che tradiva stanchezza – Forse continueremo a condividere la casa ed evitarci ancora per un po’-.
Tenne lo sguardo abbassato per un po’, forse conscio di quanto fossero state sincere tutte le parole che aveva pronunciato fino a quel momento.
Si sentiva più leggero, al di là dell’imbarazzo: era come essersi liberato di un peso che l’aveva schiacciato a poco a poco ogni giorno di più, fino a quasi sopraffarlo.
-Non deve essere facile-.
La voce di Pietro gli arrivò appena udibile, come se l’avesse più pensato tra sé e sé che gliel’avesse detto rivolgendosi a lui.
Alessio sbuffò debolmente:
-Niente è mai facile-.
Pietro non disse nulla, ed Alessio non cercò di incalzarlo. Si rendeva conto di quanto potesse essere difficile anche per lui ritrovarsi nella sua posizione, a parlare di qualcosa di così intimo con qualcuno con cui non parlava in quel modo da tempo. Riusciva a comprenderlo, e gli bastava.
Arrivarono di fronte al palazzo di Alessio in pochi minuti, lungo la calle che stavano già percorrendo. C’era un po’ più gente che camminava come loro in quella zona, e vedere qualche faccia in giro risollevò un po’ Alessio: era meno tetro di quanto era stato fino a quel momento, nel passeggiare in vie piuttosto oscure e completamente da soli. Quando arrivarono di fronte al portone, Pietro gli si fermò davanti:
-Comunque stai tranquillo, non ho intenzione di dire in giro questa cosa. Di te e Alice, intendo- disse, le mani sepolte nelle tasche del cappotto pesante ed una ciocca di capelli castani che gli era ricaduta sulla fronte.
-Grazie- Alessio si lasciò andare ad un sorriso esitante – Forse Alice ci risparmierà entrambi-.
Davanti a quel portone ancora chiuso, con la luce giallastra del lampione lì vicino ad illuminarli, Alessio si sentì a disagio come all’inizio, quando aveva fermato Pietro senza pensarci due volte e senza ancora sapere cosa dirgli.
Lo guardò di sottecchi, mentre abbassava il viso per cercare le chiavi nella tasca del cappotto: Pietro sembrava attendere con pazienza, gli occhi scuri che si spostavano dalle acque scure del canale, al cielo ancora nuvoloso. Quando Alessio rialzò il capo, tenendo lo sguardo su di lui, notò una ciglia caduta poco sotto l’occhio: allungò una mano a toglierla in automatico, facendo sobbalzare Pietro quando un secondo dopo si era voltato verso di lui.
-Scusami- Alessio rise appena, imbarazzato – Hai una ciglia sulla faccia-.
-Dove?- Pietro alzò una mano a sua volta, ma Alessio agì per primo: riavvicinò di nuovo la mano, lentamente. Stavolta Pietro non sussultò, né si sottrasse al contatto: lo lasciò fare guardandolo con un misto di sorpresa e impaccio.
-Ce l’hai qui- mormorò Alessio, quando appoggiò i polpastrelli sulla guancia fredda dell’altro – Aspetta, ci penso io-.
Andò a spostargliela con il pollice, passandoglielo sulla pelle fresca e liscia del viso. Alessio deglutì con forza, mentre prolungava di qualche secondo di più il contatto tra la sua mano e il volto di Pietro: si sentiva il suo sguardo addosso, ma staccò la mano solo quando sentì delle risatine mal trattenute da qualcuno vicino loro.
Si voltò appena in tempo per notare due ragazzine – ad una prima occhiata non potevano avere più di quindici anni- passare accanto a lui e Pietro, lanciando loro occhiatine di fronte alle quali Alessio rimase in silenzio e perplesso.
-Guardali, sembrano proprio Jack ed Ennis![3]- bisbigliò la prima, forse pensando di parlare abbastanza a bassa voce per farsi udire solo dall’amica, che commentò subito di rimando con voce stridula:
-Che carini!-.
Li sorpassarono in pochi secondi, e ad Alessio non rimase altro che tenerle osservate ancora qualche secondo a bocca aperta, chiedendosi cosa diavolo stesse passando per la testa a quelle ragazzine un po’ ficcanaso.
Scosse la testa, mentre tornava a voltarsi verso Pietro. A giudicare dall’espressione confusa e imbarazzata del suo volto doveva aver colto anche lui quel dialogo tra le due; quando incrociò gli occhi di Alessio si fece più rosso in viso, prima di lasciarsi andare ad una risata sommessa.
L’unica cosa che Alessio riuscì a fare fu unirsi a sua volta al riso dell’altro, abbassando per un attimo gli occhi e rendendosi conto che, in fin dei conti, Pietro non era l’unico di loro due ad essere arrossito.
-Non pensavo che potessimo diventare così interessanti agli occhi di qualche adolescente- commentò, piccato e divertito allo stesso tempo. Pietro annuì lentamente, schiarendosi la voce:
-Già- prese un sospiro profondo, tornando con gli occhi scuri sul viso di Alessio – Ora è meglio che vada-.
“Sembra che sia giunta la fine anche di questo momento”.
-Certo- la voce con cui Alessio parlò gli parve più amareggiata di quanto avrebbe voluto – Meglio che salga anch’io-.
Ci fu un attimo di silenzio in cui non seppe bene cosa fare: aveva già le chiavi in mano, pronte ad usarle per aprire il portone ed entrare nell’androne del palazzo, ma Pietro non si era spostato, come se avesse improvvisamente cambiato idea. Per un attimo, un attimo fugace, Alessio si ritrovò quasi a sperarlo.
Quando aprì la bocca per dargli la buonanotte, non si stupì davvero molto nel sentirsi dire tutt’altro:
-Mi ha fatto piacere vederti-.
Abbassò per un attimo gli occhi, sentendosi arrossire di nuovo. Si chiese da quando faceva così fatica a dire quel genere di cose proprio a Pietro.
-È stato bello parlare con te- sospirò, a mezza voce – Mi erano mancati questi momenti-.
Avrebbe voluto aggiungere che viverne altri, simili a quello di quella notte, gli sarebbe piaciuto; tacque perché, in fin dei conti, esternandolo la casualità della cosa sarebbe inevitabilmente andata perduta. Non voleva togliere quell’aura di sorpresa che la loro passeggiata aveva mantenuto per tutto il tempo.
-Anche a me-.
Pietro annuì gravemente, prima di rivolgergli un sorriso che ad Alessio parve più malinconico che allegro:
-Buonanotte, Alessio-.
“Perché ti ho lasciato andare così?”.
-Buonanotte-.
Quando Pietro si voltò, incamminandosi, gli occhi di Alessio rimasero su di lui, tenendo osservata la linea delle spalle mentre si allontanava sempre di più. Si costrinse a girare le chiavi nella toppa solo quando lo ebbe perso di vista del tutto.
 
Every time that we run, we don't know what it's from
Now we finally slow down, we feel close to it
There's a change gonna come, I don't know where or when
But whenever it does, we'll be here for it
 
*
 
Remember those walls I built?
Well, baby, they're tumblin' down
And they didn't even put up a fight
They didn't even make a sound
I found a way to let you in
But I never really had a doubt
Standin' in the light of your halo
I got my angel now [4]
 
Lo squillo del telefono interruppe bruscamente il silenzio della stanza, facendolo sussultare.
Pietro alzò gli occhi dallo schermo del pc con fare annoiato, lanciando un’occhiata obliqua al display acceso del suo cellulare. Aggrottò subito la fronte, sorpreso, nel leggere il mittente della chiamata.
Lasciò perdere la revisione dell’articolo che avrebbe dovuto mandare in redazione di lì a pochi giorni, avvicinando una mano al cellulare, accettando velocemente la chiamata prima di accostarlo all’orecchio.
-Pensavo non ti saresti fatto risentire per altri sei mesi-.
Sentì ridere all’altro capo della linea, segno che la sua frecciatina non aveva avuto molto effetto.
-Potrei dire lo stesso di te, tío-.
“Touché”.
A Pietro non rimase che sbuffare:
-Come stai?- cambiò subito argomento, ben consapevole di aver appena ammesso la sconfitta.
-Starei meglio se alla proposta che ti farò entro i prossimi trenta secondi mi dirai di sì-.
Pietro aggrottò ancor di più la fronte, confuso: Fernando poteva talvolta sembrare criptico, ma così era decisamente troppo anche per lui. Aveva evitato elegantemente quella domanda per introdurre un nuovo mistero che stava lasciando Pietro piuttosto disorientato.
-Quale proposta?- si ritrovò a chiedergli, sperando ardentemente che Giada e Giacomo non rientrassero proprio in quel momento dalla passeggiata pomeridiana della domenica.
-Domani fino a che ora lavori?- controbatté Fernando, ignorandolo ancora.
Pietro rimase interdetto: era incerto se fargli notare che i trenta secondi erano appena passati, o che ad una domanda non si risponde mai con una seconda domanda.
Alla fine optò per la terza ed unica altra opzione che aveva:
-Fino alle cinque e mezzo- sospirò, stropicciandosi l’occhio destro.
-Quindi per le sei sarai libero e in città-.
Non era una domanda, né c’era ombra di dubbio nella voce di Fernando: era un’affermazione talmente certa che a Pietro sarebbe quasi dispiaciuto non confermare.
-In linea teorica sì-.
Cercò di ripassare a mente velocemente tutti gli impegni della settimana, ma per il giorno dopo non gli venne in mente nulla. Nessuna visita di Giada, né compere da fare, né nient’altro. Poteva dirsi libero.
-Allora che ne dici di vederci?-.
Solo in quel momento, con quell’ultima richiesta, la voce di Fernando gli era parsa insolitamente esitante. Pietro annuì tra sé e sé, pur consapevole che l’altro non potesse vederlo:
-Dove?-.
La risata di Fernando gli preannunciò che, in un modo o nell’altro, a quella domanda non avrebbe avuto risposta. Non subito.
-Lo scoprirai domani- gli disse, con tono che non ammetteva repliche – Ti passo a prendere alle sei-.
Pietro sapeva già, ancor prima di finire quella telefonata, che avrebbe passato il resto di quella giornata e metà di quella seguente a domandarsi cosa fosse venuto in mente a quel dannato pazzo di uno spagnolo.
 
*
 
-Ci eri mai venuto qui?-.
No, ovviamente non ci aveva mai nemmeno messo piede in quel posto, e Pietro non poté non ammettere l’errore madornale che quella sua mancanza rappresentava.
Conosceva il parco delle Rimembranze solo di fama, ma non lo aveva mai visitato, né ci si era mai anche solo lontanamente avvicinato. Se ne era pentito quasi subito, non appena Fernando aveva cominciato a condurlo lungo i sentieri alberati che fiancheggiavano la banchina del mare. C’era una calma estatica, in quel posto: la pace che a Pietro sarebbe servita in tanti altri momenti.
-No, è la prima volta che ci vengo- ammise, a malincuore – Sembra che tu mi stia facendo scoprire nuovi posti-.
Fernando ammiccò divertito nella sua direzione, prima di rivolgere lo sguardo alla sterminata distesa della laguna che sfociava nel mare. Avevano occupato una panchina di pietra all’ombra di due arbusti, per ripararsi dal sole che, per essere fine Marzo, picchiava quanto quello di piena primavera.
-È il mio posto preferito di Venezia, te l’ho mai detto?-.
Fernando parlò con voce sognante e a tratti malinconica, mentre si voltava di nuovo verso Pietro:
-Qui ho sempre trovato la pace che cercavo in certi momenti-.
“Avrebbe fatto anche al caso mio”.
-È bello qui-.
-Ci rimarrei per sempre, qui- mormorò di nuovo Fernando, inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra.
Quando il pomeriggio prima aveva ricevuto la sua chiamata, Pietro non aveva nemmeno cercato di fare supposizioni sul posto in cui si sarebbero fermati per quel giorno: aveva imparato che, con Fernando, le sorprese si sprecavano in continuazione. Aveva fatto bene a non scervellarsi per cercare di indovinare: qualsiasi opzione che sarebbe potuta venirgli in mente non sarebbe mai corrisposta alla soluzione.
-L’altra sera ho incontrato Alessio al cinema-.
Erano passati alcuni minuti di silenzio, prima che a Pietro venisse in mente quel particolare. Fernando girò appena il volto verso di lui, il sopracciglio alzato per la curiosità.
-Del tutto a caso, senza nemmeno che ci mettessimo d’accordo- proseguì Pietro, trattenendo a stento un sorriso divertito al ricordo – È stato strano-.
Fernando aggrottò la fronte:
-Cosa, incrociarvi per puro caso?-.
-Fosse solo quello- mormorò in risposta Pietro, trattenendo a stento una risata vagamente isterica.
Erano passati a malapena due giorni dalla sera in cui lui ed Alessio si erano incontrati, ma sembrava fosse molto più tempo: ogni momento in cui si era soffermato sul ricordo di loro due mentre passeggiavano di notte, lungo le calli deserte, gli sembrava più di pensare ad un sogno particolarmente vivido piuttosto che alla realtà. Era stato tutto così inaspettato che gli era ancora difficile credere che sabato sera si fossero ritrovati in una situazione simile, da soli, come in tempi lontani.
Si soffermò per un attimo con lo sguardo verso le acque azzurre davanti a sé: sembravano brillare sotto i raggi del sole calante di inizio primavera.
-Abbiamo passeggiato insieme, l’ho riaccompagnato a casa- iniziò a parlare a mezza voce, come se dirlo con un tono più alto significasse spezzare la forza del ricordo – Abbiamo parlato. È stato strano … È passato così tanto tempo dalle nostre serate in solitaria-.
-Non mi sembri dispiaciuto, però- commentò Fernando, con voce soffice. Anche se non era voltato verso di lui, Pietro poteva percepire il lieve sorriso che gli si stava disegnando sulle labbra: non si stupì affatto di notarlo per davvero quando, qualche secondo dopo, alzò gli occhi sul suo viso cereo.
-Diciamo che ora riesco ad essere sufficientemente distaccato da non soffrirci troppo- mormorò, scrollando le spalle – Ad un certo punto sembrava quasi ci stesse provando, e sono riuscito quasi a riderci su, quando sono tornato a casa-.
Rise debolmente nel riportare alla mente le gote arrossate di Alessio e la sua voce imbarazzata quando si era lasciato sfuggire il complimento verso le sue abilità di scrittura. Erano anni dall’ultima volta in cui si era esposto in quella maniera dolce ed impacciata per dirgli che apprezzava qualcosa di lui.
Fernando rise a sua volta, lanciandogli un’occhiata maliziosa:
-Fossi stato in te l’avrei messo alla prova e avrei osservato la sua reazione-.
-Non ho dubbi che tu l’avresti fatto- annuì Pietro, con convinzione.
Si bloccò per qualche secondo, indeciso se proseguire nel raccontargli ciò che, fino alla sera prima, gli era rimbalzato in mente più volte. Si morse il labbro inferiore, in preda all’esitazione: sapeva che con almeno qualcuno ne doveva parlare, anche solo per sfogarsi, ma l’idea di rompere la promessa fatta ad Alessio lo faceva sentire colpevole anche solo al pensiero di farlo.
Guardò Fernando di sottecchi: era forse la persona di cui si poteva fidare di più, in quel momento della sua vita. Era piuttosto sicuro che, se glielo avesse chiesto, non ne avrebbe parlato ad anima viva nemmeno sotto tortura.
-Mi ha detto una cosa, in confidenza-.
-Cosa?- gli chiese subito Fernando, aggrottando appena la fronte.
Pietro si morse il labbro ancora una volta, prima di lasciare da parte le ultime incertezze:
-In realtà gli ho promesso che non l’avrei detto a nessuno-.
Osservò l’altro sbuffare divertito, mentre si stringeva nel suo cappotto di mezza stagione:
-Beh non credo andrò ad attaccare i manifesti per tutta Venezia con la trascrizione di quel che vi siete detti- scherzò, sorridendo appena prima di tornare serio – Lo giuro-.
A Pietro venne quasi da ridere nell’immaginarsi Fernando andare in giro per la città a far sapere a tutti quel che gli stava per dire: in una situazione simile ad Alice, da quel che Alessio gli aveva detto, sarebbe preso un coccolone non da poco.
-Lui e la compagna si sono lasciato da un po’ di mesi-.
Si fermò quasi subito, rimanendo in silenzio per notare meglio la reazione di Fernando: lo vide sgranare gli occhi non appena compreso quel che Pietro gli aveva comunicato.
-Vivono ancora insieme, come se fossero due separati in casa- aggiunse quasi subito – Onestamente tutto mi sarei aspettato, tranne che sarebbe giunto il momento in cui gliel’avrei sentito dire-.
Aveva parlato d’istinto, senza davvero pensare a quel che stava per dire. Per i primi secondi non ebbe il coraggio di alzare ancora lo sguardo per incrociare quello di Fernando, né sentì il bisogno di doversi spiegare meglio: aveva la certezza che fossero bastate quelle parole per chiarire la situazione.
-E come ti senti al riguardo?-.
Pietro sbuffò debolmente, gli occhi piantati a terra, sulle sue scarpe circondate dai primi ciuffi di erba verde che stava iniziando a ricrescere.
-Non lo so- ammise, con un filo di voce.
Chiuse gli occhi per un attimo, il disorientamento che aveva provato nell’esatto momento in cui Alessio gli aveva dato quella notizia che tornava ad essere forte, a farlo sentire sperduto e sconcertato.
Aveva sempre evitato di immaginarsi un momento simile – e poi, quanti anni ci sarebbero potuti volere per sentirgli dire quelle parole? “Io e Alice non stiamo più insieme”, la sua speranza e la sua dannazione-, per il semplice motivo che farlo l’avrebbe tramutato in automatico in un’illusione. Era esattamente quello che si era sempre detto di evitare: non illudersi.
Forse era per quel motivo per cui, quando Alessio glielo aveva detto, era rimasto più spiazzato che altro.
Poi la sua sorpresa si era lentamente trasformata in paura, quando aveva realizzato, in mezzo secondo, che in fin dei conti le sue speranze non si erano mai davvero sopite del tutto.
-Il fatto è che devo mantenere i piedi per terra- si sforzò a dire, più a sé che non a Fernando – Non è che posso andare da lui e invitarlo fuori per un caffè e dirgli “Ehi, è un appuntamento, non un’uscita tra amici”. Non posso-.
La sola idea di avere una qualche speranza, un qualche minimo livello di possibilità di poterlo finalmente fare sul serio, era anche ciò che lo spaventava a morte. Prima di fare un simile passo avrebbe dovuto affrontare Giada, affrontare sé stesso, e poi forse rendersi conto che, per quanto potesse essere tornato single, Alessio poteva ancora guardarsi meglio intorno e scegliere qualcun altro che non era lui.
Fernando scosse per un attimo il capo, e già solo da quel gesto Pietro poté intuire il suo malcontento:
-Continuo a domandarmi perché sei tu per primo a metterti certi paletti. Mi sembra di ricordare che un tempo fossi stato ad un passo dal lasciarli perdere-.
La sua voce risultò ben più dura di quel che Pietro si sarebbe aspettato. Non sembrava davvero arrabbiato, non più di quanto non sembrasse amareggiato.
Cominciava a sentirsi anche lui così: era stato un idiota a tirar fuori quell’argomento, quando poteva benissimo immaginare dove sarebbero finiti a parare per l’ennesima volta.
-È facile parlare per te che non hai due figli- borbottò, torturandosi le mani.
Si pentì subito di averlo detto, ma non si scusò. Aspettò che Fernando si voltasse lentamente verso di lui, tenendolo osservato con sguardo grave, gli occhi scuri che lo tenevano fissato e davanti ai quali Pietro non riusciva a sottrarsi.
-Credi davvero che per me sia facile, Pietro?-.
Era bastato un secondo per cambiare l’atmosfera di timida allegria che, nel bene e nel male, c’era stata tra di loro fino a quel momento.
Pietro rimase in silenzio, dardeggiando con gli occhi sul volto smagrito di Fernando, cercando di carpire se a parlare fosse stata la rabbia, il dispiacere, o qualsiasi altra cosa.
L’unica cosa che riusciva ad osservare erano le sue iridi castane che non accennavano a spostarsi dal suo viso. Non riuscì ad aprir bocca, e forse, si ritrovò a pensare, fu un bene: Fernando sospirò pesantemente, prendendosi il volto tra le mani per alcuni attimi, prima di tornare a guardarlo con intensità.
-Prima ti ho detto che vengo qui per stare tranquillo, lontano dal resto del mondo … -.
La voce di Fernando era cambiata anch’essa, una sorta di malinconica a venarla e a farla risultare ombrosa, a tratti atona.
-E sai, quando ho deciso di chiamarti ieri, ero piuttosto indeciso su dove andare, in quale posto portarti per poterti parlare- proseguì ancora, lentamente come se le parole fossero difficili da trovare – Ma avevo la soluzione sotto il naso, perché qui è perfetto: il resto del mondo è lontano, e io qui mi sento a casa. Mi sento abbastanza sicuro per parlarti di quel che vorrei dirti-.
Pietro sentì il cuore accelerare appena, d’un tratto sulla difensiva. C’era qualcosa – una sensazione, qualcosa di così immateriale da non riuscire nemmeno a pensarlo- che gli diceva che non sarebbe stato qualcosa di semplice da dire. Forse erano gli occhi velati di Fernando, la sua voce profonda e con cui pronunciava le parole a rilento, o forse solo il presentimento che gli stava afferrando la bocca dello stomaco.
-È così tanto tempo che rimando questa conversazione che ho perso il conto dei mesi-.
Fernando spostò gli occhi verso il mare, osservandolo a lungo; Pietro ebbe il sospetto che stesse sorridendo, mentre continuava a tenere lo sguardo sulle onde morbide striate di spuma.
-Ma ormai il tempo stringe. Ora o mai più, no?-.
Pietro aggrottò all’istante la fronte:
-Che intendi dire?- gli domandò stranito.
Quando Fernando tornò a voltarsi verso di lui, dopo attimi di silenzio, Pietro riuscì a specchiarsi nelle iridi scure velate di poche lacrime, incastrate agli angoli degli occhi.
-C’è una cosa di cui ti volevo raccontare già da tempo, ma ho sempre rimandato il momento-.
Prese un altro sospiro, ma senza scostare lo sguardo:
-Per paura, ovviamente. Forse perché dirlo a te avrebbe reso ancor più reale il tutto. O forse perché non ne avevo le forze per farlo-.
Pietro si ritrovò a trattenere quasi il respiro, immobile come non lo era mai stato.
-Ho l’AIDS, Pietro-.
C’era il silenzio più completo attorno a loro, anche se si trovavano in un parco, di sera, quando il sole aveva appena accennato a calare e a colorare d’arancio il cielo sopra le loro teste e gli alberi che li circondavano.
C’era solo lo sciabordio delle onde, il fruscio delle prime foglie della nuova stagione, il chiacchiericcio distante delle persone che stavano passeggiando lungo le strade acciottolate.
-Che stai dicendo?-.
Pietro si meravigliò di essere riuscito a rendere udibile quell’unico filo di voce che era riuscito ad emettere.
Il leggero sorriso rassicurante che Fernando gli stava rivolgendo, con gli occhi ancora pieni di lacrime che però non gli ricadevano lungo le guance, cozzava irrimediabilmente con quello che gli aveva appena detto.
-Sono malato-.
C’era solo il rumore dei loro respiri, resi pesanti dai battiti accelerati, c’era solo il fruscio delle mani di Fernando che continuava a torturare il tessuto dei suoi jeans.
-Fino a Gennaio era solo HIV, ma la terapia non sembra aver funzionato molto. Probabilmente perché l’ho scoperto tardi e ho perso mesi preziosi. O forse solo perché non rientro tra i fortunati che ci convivono senza troppi problemi … E così ora … - esitò, mordendosi il labbro inferiore – Beh, siamo qui, quasi al traguardo-.
Allungò una mano verso il suo viso, tenendolo come per impedirgli di andarsene, o anche solo di guardare altrove.
“Respira, cazzo”.
Pietro deglutì a fatica, la gola chiusa che gli impediva anche solo di provare a parlare.
Sentiva girare la testa; non riusciva nemmeno a capire se riusciva ancora a respirare, perché il battito del cuore stava sovrastando tutto il resto, anche i suoi stessi pensieri.
-Sto morendo, Pietro-.
Non sapeva chi tra loro due stesse piangendo.
Osservò una lacrima rigare la guancia esangue di Fernando, scendere fino ad arrivargli alle labbra.
Forse anche lui stava piangendo, in totale silenzio, ma non riusciva a capirlo.
C’era quel silenzio attorno a loro che lo stava facendo impazzire, la mano di Fernando che gli sembrava troppo calda, il respiro che si faceva troppo affannoso.
Era come se gli avesse appena infilzato il cuore con uno stiletto: sottile, lungo, il dolore talmente veloce da non essere percepito prima di aver raggiunto la sua meta.
-Se è uno scherzo è uno scherzo del cazzo, ma veramente tanto del cazzo- farfugliò, la voce che raschiava contro la sua gola.
Il sorriso più mesto che si vide rivolgere non fece altro che soffocarlo:
-Non ti farei mai uno scherzo del genere-.
No, non lo avrebbe mai fatto.
Per quanto gli sarebbe piaciuto crederlo – per quanto stesse cercando di sperarlo con tutte le sue forze, per quanto si appigliasse ancora alla possibilità che non fosse reale-, Pietro lo sapeva: Fernando non lo avrebbe mai detto senza averne la certezza.
Quella consapevolezza che si faceva sempre più spazio in lui lo stava pugnalando ancor più duramente di tutto il resto.
Il sorriso triste di Fernando, le lunghe occhiate umide di lacrime che gli stava riservando, erano la pugnalata più devastante di tutte. Forse voleva solo cercare di rassicurarlo – ma cosa rimaneva da rassicurare, quando era lui per primo quello che aveva bisogno di sostegno?-, di continuare a dimostrargli che stava andando tutto bene anche se stava andando tutto a rotoli.
Pietro si lasciò sfuggire un singhiozzo colmo di disperazione.
Aveva pianto in silenzio fino a quel momento, accorgendosi a malapena delle lacrime che gli avevano inumidito tutto il viso. Riuscì a rendersi conto di quante ne fossero cadute solo quando si portò le mani per coprirsi il volto, trovando la pelle umida per le lacrime.
La mano che Fernando aveva tenuto sul suo viso fino a quel momento era scivolata lentamente sulla sua spalla, in una stretta gentile che gli ricordava la sua presenza lì accanto. Non gli disse nulla, non ce n’era bisogno: Pietro si sentiva così dilaniato da non credere nemmeno di poter riuscire ad ascoltare altro.
Non cercò di calmare i singhiozzi, né di renderli meno evidenti. Non cercò nemmeno di nascondere gli occhi arrossati quando, dopo alcuni minuti che gli sembrarono ore, abbassò lentamente le mani, tenendole a coprirgli la bocca con gesti febbrili.
Caos.
C’era solo caos nella sua testa, accompagnato da un silenzio assordante che lo disorientava.
Faticava a mettere in ordine i pensieri, a mettere insieme i pezzi: avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, a Fernando, ma la sola idea di mettere insieme una frase, anche la più semplice, gli risultava essere uno sforzo troppo grande.
Cercò a tentoni la mano di Fernando, posata ancora sulla sua spalla; pur andando alla cieca riuscì a trovarla, a posare sul suo dorso il palmo della sua mano.
Non riuscì nemmeno a voltarsi a guardarlo, il corpo tremante e la voce che ancora non riusciva ad uscire dalle sue labbra.
 


-Da quanto lo sai?-.
Doveva essere passata almeno mezz’ora dall’ultima volta in cui uno di loro due aveva parlato, ma Pietro non poteva affermarlo con certezza: continuava imperterrito a non voler controllare l’ora sul cellulare, sentendosi troppo spossato anche solo al pensiero di un gesto simile.
Il sole era calato quasi del tutto, il cielo che cominciava a farsi più plumbeo del previsto: c’era qualche nuvola che lo rendeva scuro, a tratti minaccioso. Forse, di lì ad un’ora, avrebbe cominciato a piovere.
-Sono diventato sieropositivo più di due anni fa, ormai-.
Fernando si schiarì la voce, portandosi le mani in grembo. Pietro si era ripreso a fatica, dopo parecchi minuti passati a piangere e singhiozzare senza riuscire a dire nulla: quando era finalmente riuscito a ritrovare un lume di razionalità a cui aggrapparsi, la prima cosa che aveva pensato era che doveva capire.
E star accanto a Fernando, per quanto gli fosse possibile.
-E da Gennaio … - la voce di Fernando si spense pian piano, prima che si lasciasse ad un accesso di tosse particolarmente violento. Dovette schiarirsi ancora una volta la gola, prima di riuscire a proseguire:
-Beh, te l’ho detto, non è andata come si sperava-.
Pietro annuì debolmente, dandosi dell’idiota.
Gli tornò in mente il loro incontro a Febbraio, quando aveva notato quei due strani rossori che macchiavano la pelle pallida di Fernando. Aveva accantonato il pensiero convincendosi che non fosse davvero nulla di che, che se fosse stato qualcosa di grave quanto gli avevano fatto supporre, Fernando glielo avrebbe detto già allora. Dovette trattenere a stento uno sbuffo d’amarezza, nel rendersi conto quanto ingenuo era stato.
Provò rabbia nel pensare a quanto le terapie per la sieropositività si fossero evolute nel corso degli anni, ma che quel particolare non avesse comunque fatto la differenza per salvare Fernando.
“Perché proprio lui?”.
-Due anni?- domandò invece, la voce ancora roca per il pianto di poco prima – Così tanto tempo?-.
Si sorprese solo in parte nell’accorgersi di non essere così tanto preso in contropiede come si sarebbe aspettato. La verità era che erano davvero due anni che Fernando era cambiato: a lungo si era domandato se fosse responsabile almeno in parte di quel cambiamento, ma si rendeva conto che, in fin dei conti, era stato ben altro a renderlo così.
Si voltò maggiormente verso di lui, la voce ancora incrinata:
-Ma com’è successo?-.
Era una domanda inutile, del tutto superflua, ma non era riuscito a togliersela dalla testa fino a quel momento. Non riusciva a capire davvero il suo bisogno di sapere, ma non riusciva comunque a reprimerlo.
Fernando scostò lo sguardo, forse davvero a disagio per la prima volta.
-Ricordi quell'articolo?- disse infine, a mezza voce – Quello che mi avevi letto tu il giorno in cui ci siamo visti, poco dopo la nascita di Giacomo-.
Pietro dovette scavare a fondo nella sua memoria, tornando a quella giornata e a quello di cui avevano parlato. Ricordò di qualcosa che aveva letto riguardante certe aggressioni nelle zone in cui c’erano locali frequentati apertamente da persone LGBT, e di come si era preoccupato e quanto orrore l’aveva colto nel leggere quelle righe d’articolo.
-Sì, vagamente-.
Fernando annuì, continuando a tenere lo sguardo dritto davanti a sé:
-Quel giorno non me ne ero reso conto del tutto, non ancora, ma c'ero anche io tra le vittime di quello squilibrato-.
Pietro avvertì un senso di nausea così forte che stentò a reprimere un conato.
-Cosa?- balbettò – Ti ha contagiato lui?-.
-Sì- stavolta Fernando non esitò –  Non ci avevo dato troppo peso, quando è successo. Pensavo fosse solo un ubriacone omofobo, uno dei tanti … Ma era quello lo scopo. Contagiare altre persone. Ho seguito la vicenda da vicino, dopo che … -.
Si bloccò per qualche secondo, come se non sapesse come proseguire.
-Dopo che avevo fatto il test ed ero risultato sieropositivo- mormorò – Ricordi che nell’articolo dicevano che chi era stato aggredito avrebbe fatto meglio a fare un test per le MST? Non era solo per precauzione-.
Pietro non riuscì a dire nulla. Era come se le parole gli si fossero congelate in gola.
-Sembra che non fosse molto fiero di essersi beccato una malattia da froci- Fernando disegnò delle virgolette nell’aria, con le dita, un sorriso pieno d’amarezza sulle labbra – Nella sua instabilità, trovava giusto far malare quante più persone possibili. Far vivere anche a noi il suo stesso destino. Andare fuori dai locali frequentati da noi, causare di proposito qualche rissa, durante le quali è facile graffiarsi, causarsi ferite … Soprattutto se ci vai con i denti. C'è stato un po' di scambio di sangue, solo che in quel momento non ci ho dato peso. Avere il suo sangue addosso mischiato al mio era l'ultimo dei miei pensieri-.
“Fino a che punto arriva la gente per far del male agli altri?”.
Pietro non aveva una risposta precisa a quella domanda, ma ciò che era accaduto a Fernando era un buon indicatore fin dove certe persone potevano spingersi.
Si sentiva totalmente impotente, terrorizzato e inorridito, e incapace di non provare una sorda rabbia.
-Immagino tu l’abbia odiato-.
Fernando non rispose subito, limitandosi a lanciargli un’occhiata veloce, in silenzio.
-Forse. Ma non è più importante- mormorò, a voce a malapena udibile – Non più. Ho deciso di non voler più guardarmi indietro, ora che rimane poco tempo davanti a me-.
-Perché non me l’hai detto?-.
Pietro tirò su con il naso, gli occhi che si inumidivano ancora. Tornò ad osservare le acque sempre più scure della laguna, il sole che aveva smesso di riverberare i suoi raggi sulle onde molli che si muovevano per la brezza.
-Ti avrebbe fatto troppo male, Pietro-.
Si sentiva addosso gli occhi di Fernando, ma non riuscì a restituirgli quello sguardo, non subito.
Cercò di respirare lentamente, in un ultimo tentativo di mantenere il controllo, ma l’unica cosa che riusciva a percepire era lo strappo sempre più grande che gli partiva dal petto.
-E ti saresti spaventato, e non era il caso-.
Si voltò verso Fernando, ignorando del tutto le lacrime che erano tornate a rigargli il viso. Non era più il pianto disperato di prima: erano lacrime silenziose, come se, inconsciamente, la rassegnazione avesse già preso il posto delle urla rabbiose che prima aveva lanciato dentro di sé.
-Ma ti avrei aiutato, in un qualche modo … - Pietro represse a stento un altro singhiozzo, la voce che sembrava sul punto di venire a mancare da un momento all’altro – Non so … -.
Fernando gli sorrise ancora in quella maniera che apparteneva solo a lui, un sorriso morbido e dolce che, in un modo o nell’altro, riusciva a far sentire Pietro al sicuro anche in quel momento di intima tristezza.
-Lo so, lo so che l’avresti fatto-.
Pietro scosse il capo:
-Ma i dottori che dicono?-.
Era una speranza inutile, lo sapeva già: bastava lo sguardo perso di Fernando, e quel che gli aveva detto poco prima per dargli quella certezza.
Pietro non era un medico, e le sue conoscenze in materia erano quasi del tutto inesistenti, ma proprio quel nome – AIDS, perfino quell’acronimo suonava così terribilmente male- lasciava un senso di ineluttabilità innegabile.
Ineluttabile, quella era la parola giusta: la fine, quella era ineluttabile sul serio.
-Che dicono … -.
Fernando sbuffò debolmente, a disagio:
-Dicono che è meglio che me la goda, arrivato a questo punto-.
Pietro si trattenne a stento dal dirgli che forse, da qualche parte, c’era qualche medico più bravo, specializzato a sufficienza per cercare di alleviare – si morse il labbro nel rendersi conto che risolvere quella situazione sarebbe stato impossibile anche per il massimo luminare in materia- gli effetti della malattia. Sarebbe servito tempo anche solo per trovare qualcuno del genere, e il tempo non era in loro favore.
-Non sempre va bene, non a tutti- continuò Fernando, con rassegnazione nella voce – Sono sicuro che qualcun altro al posto mio ora sta portando avanti la sua terapia e tiene a bada l’HIV meglio di quanto non sia capitato a me-.
Quella era una consolazione talmente magra che Pietro non riuscì a reprimere uno sbuffo rabbioso:
-Non so come tu faccia a non essere incazzato-.
Fernando lo osservò intensamente per diversi secondi, uno sguardo che Pietro non riuscì a decifrare.
-Che senso avrebbe avuto passare quel che mi rimaneva da vivere incazzato per qualcosa, Pietro?- esalò infine, la fronte corrucciata – Non voglio sprecare le ultime energie per il rancore, nemmeno per quello che mi ha causato tutto questo-.
Aveva parlato con una durezza che trasudava tutta la stanchezza che doveva provare. Strinse le mani in grembo, lasciandosi andare ad un sospiro pesante; anche Pietro rimase in silenzio per un po’, stringendosi nelle spalle a disagio: l’unica cosa che riusciva a pensare in quel preciso momento era solo che, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe urlato fuori tutta la frustrazione che cominciava a provare.
-Eppure è per quello che è successo se ora stai per … -.
La voce gli morì in gola prima di riuscire a concludere la frase. Non riusciva a dirlo, non ad alta voce, non ancora; forse non ci sarebbe mai riuscito, nemmeno quando il fato avrebbe fatto il suo corso.
Si rifiutava di pensare a Fernando lontano da lui in quella maniera irraggiungibile come era la morte. Era un vuoto che già sentiva nascere dentro di sé, e che sapeva già, in un gioco crudele, che prima o poi sarebbe scoppiato del tutto.
-E allora?- Fernando si voltò ancora verso di lui, lo sguardo indurito quando la voce – A me va bene così, te lo posso assicurare-.
Sbuffò ancora una volta, sonoramente, mordendosi il labbro inferiore nervosamente. Ci vollero diversi minuti prima che, inalando un respiro profondo, Fernando tornasse a guardarlo con determinazione:
-Il fatto è che tu non ti sei mai esposto, non hai mai provato a vivere la vita che avresti voluto per te, e per questo sei spaventato all’idea della morte-.
Pietro abbassò per un attimo gli occhi, incapace di sostenere quelli castani di Fernando che ora non gli stavano lasciando scampo.
-Ma ti voglio dire una cosa: tu ora mi chiedi se ne sia valsa la pena, vivere come ho fatto io, vivere senza render conto a nessuno … -.
Quando rialzò il viso, Pietro si ritrovò di fronte il viso contratto e cereo di Fernando, lo sguardo grave e concentrato. Aveva parlato lentamente, come se avesse in mente con precisione tutto ciò che voleva dirgli. C’era qualcosa nel suo modo di guardarlo, si ritrovò a pensare Pietro, che trasudava più forza di quanto non si aspettasse:
-Tu ora vorresti che io mi incazzassi, che mi guardassi indietro e meditassi vendetta, ma non è così: ho deciso di vivermi la vita senza darmi limiti, magari rischiando le botte, magari rischiando anche di ammalarmi … Ma è stata una mia scelta. E non c’è niente di frivolo, o di stupido, nel decidere di vivere quel che si è ogni giorno, a testa alta, sempre, nonostante tutto-.
Fernando trasse un lungo sospiro, tornando a volgere lo sguardo verso le acque scure della laguna. Cominciava a calare la sera, il lampione a qualche metro da loro l’unica fonte di luce ormai rimasta che rischiarasse i dintorni.
-Preferisco morire con la consapevolezza di non avere rimpianti, di essere in pace con me stesso e con gli altri, piuttosto che avere l’alternativa di essere in salute e vivere nella rabbia, o dovermi precludere la mia libertà per fingere qualcosa che non sono- mormorò ancora Fernando, a mezza voce. Per un attimo Pietro ebbe il sospetto che quelle ultime parole le avesse dette cercando di trattenere le ultime lacrime, il respiro un po’ velocizzato e la voce incrinata.
Avrebbe voluto posargli una mano su una spalla esattamente come Fernando aveva fatto con lui prima, ma si trattenne: aveva l’impressione che quello non fosse il momento giusto per farlo. Attese ancora in silenzio, fino al momento in cui lo vide girarsi ancora, gli occhi lucidi:
-Lo so che è un discorso forte, e che magari non è nemmeno condivisibile … - Fernando tirò su con il naso, la voce arrocchita – Ma se tu dovessi morire domani, Pietro, potresti dire anche tu di non avere rimpianti, di non avere rancore verso nessuno?-.
Pietro tacque ancora, gli occhi che ricambiavano l’occhiata di Fernando.
-Secondo me no. Secondo me devi ancora trovare quel coraggio e quella forza-.
Il labbro inferiore gli doleva per la forza con cui l’aveva morso per gli ultimi secondi.
Avrebbe davvero voluto trovare il modo per controbattere a quelle parole di Fernando, dimostrargli che si sbagliava e che non era vero, che non era vero niente di quel che aveva detto su di lui. Dovette rifugiarsi in quel silenzio assordante che gli stava ricordando che, se non stava trovando nulla con cui confutarlo, era solo perché, a malincuore, Fernando aveva ragione.
Ce l’aveva sempre avuta, e ce l’aveva anche in quel momento di intenso sfogo.
-Io non sono come te-.
Gli venne ancora da piangere, anche se per motivi così intimamente diversi da quelli precedenti: stavolta c’era lui al centro di quel che Fernando gli aveva appena detto, c’era lui e la sua vulnerabilità messa a nudo.
-Non ci riesco a … - Pietro scosse la testa con rassegnazione – A fregarmene. Forse sono solo troppo codardo e basta-.
Lo sguardo di Fernando si ammorbidì quasi all’istante, mentre lo osservava in ascolto. Non era davvero arrabbiato, Pietro ne aveva la certezza: sapeva che se lo fosse stato avrebbe insistito ancora, senza arretrare di un millimetro. Invece, tutto quello che fece Fernando, fu passargli un braccio attorno alle spalle come a volerlo consolare.
“Dovrei essere io a consolare lui, non il contrario”.
-E io che pensavo di averti dato le basi per trasformarti nel miglior omosessuale di tutta Venezia- sospirò con teatralità Fernando, in un tentativo di alleggerire l’atmosfera che si era andata creando.
Pietro rise debolmente, cercando di tirargli una gomitata leggera in risposta a quella presa in giro del tutto affettuosa. Fernando lo attirò ancor di più nel suo abbraccio:
-A parte gli scherzi, non credi di star esagerando con la sfiducia in te stesso?-.
Le dita fredde di Fernando gli toccarono delicatamente il viso, spingendolo gentilmente ad alzarlo.
-Guardami-.
Con un sospiro, Pietro cedette a quei gesti, tornando ad alzare gli occhi su di lui, smettendo di provare a nascondere il volto nell’incavo della sua spalla.
-Non puoi pensare unicamente alla felicità degli altri e mai alla tua- sussurrò Fernando, accarezzandogli piano le guance ispide con i polpastrelli – So che fa paura percorrere la propria strada, piuttosto che seguire quella che gli altri si aspettano-.
-Non è solo quello- replicò Pietro, abbassando per un attimo lo sguardo.
Vide annuire l’altro, comprensivo:
-Sei terrorizzato dal metterti in gioco- disse semplicemente – Esattamente come la notte in cui ci siamo rivisti, dopo la laurea di Giulia: ero sicuro non avresti accettato le mie avances, che mi avresti mandato a fanculo piuttosto che rivedermi ancora … Eppure poi hai accettato il mio invito e sei venuto da me. Hai messo da parte la tua paura, quella sera-.
Pietro non fece nulla per impedire ad un sorriso intenerito di distendergli le labbra. Sembrava passata un’eternità da quella sera; gli sembrava incredibile quanto l’aver incontrato Fernando proprio quel giorno avesse cambiato invariabilmente tutto ciò che era venuto dopo.
-E guarda dove siamo ora- anche Fernando sorrise, continuando con le sue carezze – Hai fatto dei passi avanti, in fin dei conti-.
Pietro sbuffò amareggiato:
-Sì, ora sono un frocio consapevole che però si nasconde ancora nell’armadio-.
-Farai bene a romperlo, quel cazzo di armadio- Fernando gli puntò contro l’indice con aria minacciosa, ma l’unico risultato che ebbe fu quello di far ridere Pietro. Per un attimo gli parve che nulla di tutto quello che Fernando gli aveva detto prima fosse mai avvenuto: niente AIDS, niente filosofeggiare sulla vita, niente di niente. Poteva essere sembrato tutto un incubo troppo lungo, un incubo dal quale si sarebbe svegliato a momenti.
La mano che lo spagnolo gli posò su una spalla, però, era fin troppo reale per essere solo una proiezione della sua mente addormentata.
-E sai una cosa?- Fernando lo guardò sorridendo dolcemente – Sono sicuro che lo farai. Altrimenti non avrei sprecato il mio tempo con te-.
“Tu mi sopravvaluti”.
Anche Pietro avrebbe voluto avere la stessa fiducia verso di sé che aveva Fernando. Sarebbe stato curioso di sapere come lui lo vedeva: guardarsi attraverso gli occhi di Fernando doveva essere completamente diverso che ritrovarsi a convivere con la sua coscienza ogni singolo giorno. Forse, così, si sarebbe convinto anche lui di valere di più di quel che si considerava.
-Non credi che così anche Giada vivrebbe meglio?- continuò Fernando, con fare pensieroso – Troverebbe qualcuno che la ama sul serio. Saresti onesto con te, con lei, e con tutti coloro a cui tieni-.
Sì, probabilmente anche a Giada avrebbe giovato. L’ostacolo più grande era però anche dover subire i probabili sguardi d’odio e di rabbia che lei per prima gli avrebbe riservato, dopo essersi scoperta presa in giro per anni interi.
-E credimi, una volta che provi quella sensazione di libertà, Pietro, è troppo tardi per tirarsi indietro-.
Fernando si alzò in piedi traballando un po’, ma senza perdere l’equilibrio. Rimase di fronte a Pietro, e dopo qualche secondo gli allungò una mano come ad invitarlo ad imitarlo.
-Non c’è ritorno, non dopo aver assaggiato la vita vera-.
Pietro afferrò la sua mano, ma senza facendo forza su di lui. Quando si rimise in piedi a sua volta sentì la testa girare appena, dopo tutto quel tempo passato seduto.
-Questa conversazione ha preso una piega inaspettata- commentò, borbottando sottovoce. Si guardò intorno brevemente: non c’era quasi più nessuno, oltre a loro, nel parco a quell’ora. Doveva essere quasi ora di cena, ed ormai il buio della notte era calato del tutto.
Fernando prese a camminare, raggiungendo in pochi passi il vialetto che avevano percorso al loro arrivo, nella direzione opposta; a Pietro non rimase che seguirlo, fiancheggiandolo.
-Non per me- Fernando alzò il capo per guardarlo meglio, mentre continuavano a camminare – Sai qual è la cosa ironica? Che finalmente ti ho detto tutto quello che avrei voluto dirti da tanto tempo-.
“Io invece vorrei dirti ancora tante cose”.
Nonostante quel pensiero Pietro si limitò ad annuire in silenzio, continuando a camminare con il volto abbassato.
Avrebbe voluto rimandare ancora di un po’ la sua separazione da Fernando: in quel momento fermarsi con lui, anche senza per forza parlare, per qualche altra ora o anche per tutta la notte, gli sembrava l’unico modo per fargli capire che non lo avrebbe abbandonato. Le parole gli si incastrarono in gola, gli occhi che bruciavano ancora per il pianto di prima e per le lacrime che ancora cercava di trattenere.
In una decina di minuti arrivarono al molo dove Pietro avrebbe dovuto attendere il traghetto. Non aveva idea di quando sarebbe passata la prossima corsa, ma poco importava: in quel momento non badava neppure alla temperatura sempre più bassa e alla poca illuminazione che un lampione poco distante offriva loro.
Osservò Fernando in piedi accanto a lui, in silenzio: nonostante il volto smagrito e i capelli castani che arrivavano alle spalle, meno lucenti di quel che ricordava, conservava ancora il fascino che l’aveva colpito sin dalla prima volta che si erano conosciuti. Stava ancora tutto lì, nonostante il grigiore mortale della malattia.
-Sei sicuro che non ti serva una mano?- Pietro si schiarì la voce, agitando le mani nelle tasche del suo cappotto – Lo sai che devi solo chiedere-.
Fernando gli rivolse un sorriso riconoscente, insieme al cenno di diniego del capo:
-Sono sicuro, non preoccuparti-.
Fece un passo avanti, arrivando a meno di un metro da Pietro, guardandolo dritto negli occhi con la determinazione che aveva sempre rivisto in Fernando:
-L’unica cosa che mi interessa è che tu mi prometta di trovare quel coraggio di cui ti ho parlato prima-.
C’era dolcezza nella voce appena incrinata di Fernando, e la stessa ostinazione che Pietro gli leggeva nelle iridi scure.
-Non devi farlo per nessun altro, Pietro, ma per te- mormorò ancora, allungando una mano e poggiandogliela a palmo aperto sulla guancia fredda – Per favore-.
Pietro sospirò pesantemente, il groppo in gola che gli impediva di dire tutto quello che avrebbe voluto.
Aveva paura, ed era sicuro che Fernando glielo stesse leggendo in faccia. Era una promessa dal peso importante, quasi come se fosse un giuramento.
Si morse il labbro inferiore, esitante per un secondo: c’erano fin troppi pensieri che gli vorticavano nella mente – Giada, i loro figli, la sua famiglia, tutta la facciata fondata su bugie che aveva faticosamente costruito negli ultimi anni-, ma c’era anche Fernando lì davanti a lui, in attesa di una risposta.
Non poteva dargli una delusione simile, non così, non in quel momento.
-Te lo prometto-.
Pietro portò una mano a coprire quella che Fernando gli teneva ancora sul viso, le lacrime agli angoli degli occhi che minacciavano pericolosamente di tornare a rigargli la pelle del viso.
-E tu promettimi di venire da me a chiedermi aiuto, se dovessi trovarti nei guai- sussurrò, non cercando nemmeno di nascondere la voce spezzata dal pianto – Lo so che ultimamente non ci siamo visti spesso, ma ci sarò sempre per te-.
Si fece avanti, appoggiando delicatamente la sua fronte a quella di Fernando, in un contatto più intimo di quanto non sarebbe stato un bacio.
-Non sei solo, Fernando-.
Anche tenendo gli occhi chiusi, e non potendolo vedere, sapeva che Fernando gli stava sorridendo ancora, anche lui con gli occhi lucidi.
-Neanche tu-.
Lo sentì muoversi appena, e Pietro non si stupì quando sentì le sue labbra poggiarsi piano sulle sue.
Non gli sembrò sbagliato, in quel momento, dischiudere e frapporre le labbra a quelle di Fernando: era un bacio che, per quanto inaspettato, era giusto. Un semplice toccarsi, un contatto che gli ricordava quello che avrebbero potuto avere due anni prima, quando una nuova vita sembrava essere stata ad un passo, ma che poi era finita accartocciata in un angolo delle sue memorie.
Quando Fernando si staccò dopo qualche secondo, Pietro riaprì finalmente gli occhi: lo vide con il viso umido per le lacrime, ma sempre con lo stesso sorriso sincero che gli rivolgeva sempre per rassicurarlo.
-Ricordati sempre chi sei, Pietro-.
Rialzò il capo, un’ultima carezza sul suo viso prima di staccare la mano.
-E se non vuoi farlo per te stesso, fallo per me-.
Pietro lo osservò allontanarsi subito dopo, passo dopo passo, in silenzio, sempre più distante. Si rese conto che avrebbe voluto fermarlo, dirgli di restare con lui ancora un po’, ma la voce gli mancò per dirglielo quando ancora non era troppo tardi.
La figura di Fernando venne risucchiata dal buio della sera, insieme al vuoto all’altezza del petto che Pietro si sentiva addosso e che gli bloccava il respiro.
 
Everywhere I'm lookin' now
I'm surrounded by your embrace

Baby, I can see your halo
You know you're my savin' grace
 
*
 
“Le prime volte sono speciali, uniche.
Però le ultime volte non hanno paragone, non hanno prezzo. Il fatto è che la gente di solito non sa che lo sono”. [5]
 

Lanciò un’occhiata sconsolata fuori dalla finestra, esattamente come negli ultimi due giorni. Aveva iniziato a piovere nella notte tra lunedì e martedì, e dopo due giorni il cielo ancora non sembrava offrire nulla di diverso: Pietro osservò con una punta d’apprensione le gocce di pioggia che rigavano il vetro della finestra. C’era un cielo plumbeo nonostante fossero solo le sei di sera, quando era da poco rientrato in casa dal lavoro.
“Se continua così domani mi servirà una canoa per spostarmi”.
Era da un po’ di tempo che non pioveva così tanto, ed aveva sperato fino all’ultimo di non dover ritirare fuori gli stivali di gomma proprio ora che la primavera era appena giunta, per riuscire a spostarsi in una Venezia fin troppo allagata.
Sbuffò contrariato, allontanandosi dalla finestra e dandovi le spalle.
Sperò che Giada non avesse problemi nel rientrare a casa: gli aveva scritto un’ora prima che si era dovuta trattenere con Giacomo a Mestre un po’ più del previsto, per alcune compere urgenti.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, controllando di non aver ricevuto qualche altra chiamata: nessuna notifica, nulla di nulla. Lo lasciò distrattamente sul tavolo della cucina, mentre si avvicinava alla credenza per tirare fuori un bicchiere che poi avrebbe riempito d’acqua.
Bevve qualche sorso velocemente, la gola arsa che finalmente gli dava meno fastidio. Si sbottonò i primi bottoni della camicia bianca, reggendo il bicchiere con la mano libera; non vedeva l’ora di poter liberarsi di quegli abiti troppo formali per i suoi gusti e infilarsi in una felpa comoda, nell’attesa del ritorno di Giada e Giacomo.
Per un attimo ripensò a quel che gli aveva detto Fernando la sera di lunedì, quando gli aveva fatto promettere di trovare il coraggio per parlare a Giada. Si chiese se non fosse stato troppo avventato: odiava anche solo l’idea di avergli promesso qualcosa che non avrebbe saputo mantenere.
Con la mano a mezz’aria, il bicchiere ancora mezzo pieno, si ritrovò a pensare che avrebbe potuto parlarle dopo la nascita del bambino, quando le cose si sarebbero stabilizzate maggiormente. Il suo era un ulteriore rimandare, ma nemmeno una rinuncia definitiva o la rottura della sua promessa: serviva aspettare il momento giusto, per un passo del genere.
Pietro si portò il bicchiere alle labbra, bevendo in un sol sorso l’acqua rimanente. Lo stava per appoggiare sul tavolo, quando il suo cellulare prese a vibrare.
Si allungò per capire chi lo stesse chiamando: era convinto fosse ancora Giada, ma si ritrovò invece a corrugare la fronte confuso, nello scoprire che il mittente era Giulia.
Accettò la chiamata e accostò il cellulare all’orecchio ancora spaesato.
-Pronto?-.
C’era silenzio, dall’altro capo della linea, sufficiente silenzio per sentirlo spezzare dal respiro irregolare della persona che lo aveva appena chiamato per parlargli.
-Pietro … -.
La voce di Giulia era incrinata, agitata e poco comprensibile. Pietro si sedette su una sedia della cucina, ancor più disorientato di prima, oltre che spaventato.
-Stai bene?- le chiese, allarmato. Non gli sarebbe servito avere di fronte Giulia per capire che stava piangendo fino ad un attimo prima di chiamarlo: il respiro veloce, la voce rauca e spezzata dai singhiozzi mal trattenuti erano tutti indizi che andavano in quella direzione.
Anche il silenzio che era calato non lasciava presupporre nulla di buono.
-Ma che hai?- le domandò ancora, con maggiore esortazione – È successo qualcosa?-.
Era insolito che Giulia chiamasse proprio lui, in caso di problemi. Nel corso degli anni, per qualche imprevisto, si era sempre affidata quasi esclusivamente ad Alessio, per la vicinanza a casa sua, o a Caterina. Si chiese, con parecchia ansia, se fosse capitato qualcosa a Filippo o alle gemelle.
Stava per riprendere a riempirla di domande, quando Giulia cercò di tossire per schiarirsi la voce e provare a parlare:
-Scusa, io … -.
Si interruppe di nuovo, respirando a fondo.
-Volevo venire da te per dirtelo, ma … - non riuscì a dire tutto quello che voleva comunicargli subito, un singhiozzo più forte degli altri che non era riuscita a soffocare – Non ce l’ho fatta-.
Pietro cominciò a sudare per l’agitazione, ma si rese conto che bombardarla di ulteriori domande non l’avrebbe portato da nessuna parte:
-Non fa niente- cercò di rassicurarla, pur consapevole che non sarebbe bastato – Che mi devi dire?-.
Ascoltò il pianto di Giulia per secondi che gli parvero lunghi ore intere.
Passò in rassegna tutte le ipotesi di quel che poteva essere successo per ridurla in quello stato, ma non riusciva a ragionare abbastanza razionalmente. Si rese conto che, oltre che a Giulia, anche a lui sarebbe servito qualcuno che lo rassicurasse.
-È Fernando-.
Pietro si raggelò sulla sedia, immobilizzandosi all’istante.
-Cos’è successo?- mormorò lentamente, il sudore per la paura che cominciava ad imperlargli la fronte – È in ospedale? Sta male?-.
Non lo aveva più sentito da dopo il loro incontro, e per un attimo si diede dell’idiota. Fernando aveva l’AIDS e, per quanto ne sapesse poco, era piuttosto sicuro che la sua salute ormai precaria potesse peggiorare significativamente da un momento all’altro. E non sapeva nemmeno se Giulia fosse al corrente delle sue condizioni.
Da lei non arrivò altro che silenzio e lacrime, senza che riuscisse a calmarsi.
-Giulia, mi vuoi dire qualcosa?-.
Pietro sentì risuonare la sua voce più disperata di quel che si sarebbe aspettato. Stava per mettersi a piangere anche lui, senza sapere nemmeno quel che era successo.
Sembravano secondi interminabili, durante i quali sentì solamente il battito del proprio cuore battergli così forte come se fosse sul punto di scoppiare.
-L’hanno trovato morto stamattina-.
Giulia stentò a parlare, il pianto violento che le sconquassava la voce.
-Credono si sia suicidato-.
La mano di Pietro cedette, facendo cadere rovinosamente il cellulare sul tavolo.
Il tonfo che fece fu l’unico rumore che interruppe il silenzio appena calato.







[1] Lana del Rey - "Change"*
[2] film del 2021 che per ovvi motivi (vedasi Covid) in Italia, in realtà, non è mai passato nelle sale cinematografiche ma solo in streaming ... Ma siccome in questa storia la pandemia non è mai avvenuta, facciamo finta che i cinema non siano mai stati chiusi LOL
[3] Jack Twist e Ennis del Mar, i protagonisti de "I segreti di Brokeback Mountain"
[4] Beyoncé - "Halo"*
[5] Persino "La casa di carta" regala citazioni molto memorabili 😂 e oltre a questa citazione, sparsi in tutto il capitolo potrete notare certe citazioni, più o meno esplicite, a "Skam Italia" e "Queer as folk" 😉
 
*il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente alle rispettive cantanti e ai loro autori 

NOTE DELLE AUTRICI
Era partito come un capitolo tranquillo … Ma non è finito esattamente nella stessa maniera
Questo quarto capitolo ha avuto come protagonista assoluto Pietro, che è stato affiancato da due delle persone che più hanno influenzato la sua vita. Il primo è Alessio, che vede in Pietro una persona a cui confidare gli ultimi cambiamenti avvenuti con Alice.
E di cambiamenti ce ne sono molti altri, ma con Fernando al centro, di cui finalmente scopriamo tutti i passati trascorsi negli ultimi due anni della sua vita. E arriviamo alla fine … Il finale che nessuno si aspettava e, ancor di più, che nessuno voleva, Pietro meno di tutti. La morte di Fernando, della quale il suicidio sembra la spiegazione più plausibile, ha sicuramente distrutto Giulia, la cui voce è rotta dal pianto, e soprattutto Pietro. Per lui, infatti, l'accaduto rappresenterà sicuramente un punto di rottura definitiva.
Che dire … Forse questo rimarrà come uno dei capitoli più importanti e più malinconici di tutta Walk of Life
Scopriremo come le cose cambieranno da qui in avanti, e inizieremo a farlo da mercoledì 28 giugno con il capitolo 5!
Kiara & Greyjoy
PS: vi avevamo promesso approfondimenti e curiosità sui personaggi e sui retroscena delle nostre storie e, per mantenere la parola, nei prossimi giorni scriveremo un post tutto dedicato al personaggio di Fernando e che pubblicheremo sui nostri social. Vi diamo quindi appuntamento su Facebook domani e su Instagram domenica!

 
   
 
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