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Autore: pampa98    15/06/2023    3 recensioni
[Questa storia partecipa alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” – aggiornamenti ogni 15 del mese]
What-if? 1x10 ~ Aegon/Jace, Aemond/Luke.
Quando Jace si presenta al cospetto di Borros Baratheon per ricordargli il giuramento fatto a sua madre, Aemond decide di sottrarre ai Neri ciò che hanno di più prezioso: il loro erede. Jace diventa prigioniero nella Fortezza Rossa, dove i Verdi sentono di avere la vittoria in pugno – purché lui accetti di inginocchiarsi al cospetto di Aegon, che, da parte sua, è più propenso a rivedere in lui l’amico di infanzia che non il figlio della sua nemica.
La vicinanza forzata tra Aegon e Jace riuscirà a ricucire il loro rapporto? E che conseguenze avrà per il futuro del regno?
(Warning: Character death)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Aemond Targaryen, Jacaerys Velaryon, Lucerys Velaryon
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Violenza
Capitoli:
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Note: In questo capitolo c’è uno scambio di dialoghi in Valyriano. Ne approfitto quindi per dirvi che, d’ora in poi, quando due personaggi parleranno in questa lingua le frasi saranno scritte in corsivo.
Detto questo, buona lettura!


 

Capitolo 3



 

Il vento gli sferzava il volto, scompigliandogli i capelli. Aegon chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dalla sensazione di leggerezza che provava sospeso tra le nuvole. 

Era quello il suo regno. Il cielo, nella sua infinita grandezza, gli offriva quella libertà che non avrebbe mai potuto trovare, bloccato tra le case e le rocce in terra. Volare, accompagnato dal suo amato Sunfyre, era tutto ciò che desiderava. Lo faceva sentire completo, felice – vivo

Guardò alle sue spalle, incontrando un manto di nuvole che si muovevano silenziose intorno a lui. Jace non c’era: Vermax era troppo piccolo per volare così in alto, avrebbero dovuto attendere ancora qualche anno per poter esplorare il cielo insieme – ma andava bene così. 

Avevano tutto il tempo che desideravano.

Un tuono squarciò la quiete del luogo. Aegon sollevò lo sguardo, scoprendo di essere sceso al di sotto delle nuvole. Sunfyre continuava a volare tranquillo, perciò Aegon si limitò a una scrollata di spalle e tornò a godersi il panorama. A quella quota, avrebbe dovuto ritrovare anche Jace.

Un secondo tuono, più forte del precedente, lo fece sobbalzare. Poi tutto si fece freddo e sentì una voce lontana che lo chiamava. Aegon non capiva da dove provenisse.

Guardò in basso e vide dei draghi volare intorno a navi in fiamme.

 

«Aegon!»

Aprì le palpebre, ma fu costretto a serrarle di nuovo a causa della luce improvvisa che lo colpì. Si sentiva stordito e impiegò qualche secondo a capire di trovarsi nel suo letto, senza più le lenzuola a coprire il suo corpo e con una macchia verde che torreggiava sopra di lui.

Sbuffò, stropicciandosi gli occhi.

«Madre» disse. «Buongiorno anche a te.»

«Fai lo spiritoso?» soffiò lei. «È quasi mezzogiorno, perché sei ancora a letto?»

«Avevo degli impegni stamani?» chiese, continuando a tenere gli occhi chiusi. Il suo corpo non voleva svegliarsi e la sua mente desiderava solo tornare alla calma del sogno. Quelle ultime immagini erano state molto strane, ma forse era solo il suo subconscio che aveva reagito alla voce di sua madre.

A un tratto si sentì afferrare il viso in una morsa che lo costrinse ad aprire gli occhi e fronteggiare il volto furente di Alicent. 

«Sei. Il. Re» scandì, per assicurarsi che quelle parole penetrassero nella sua mente. «È finito il tempo in cui potevi comportarti come un bambino viziato. Adesso hai delle responsabilità, dei doveri, persone che contano su di te!»

«C’è un motivo se non volevo regnare, madre» sibilò in risposta. 

«Non mi interessa cosa volevi tu. Sei il primo figlio maschio di Viserys e tuo padre desiderava vederti sul trono. Puoi provare a impegnarti? Se non per te stesso o per il tuo popolo, fallo almeno per la sua memoria.»

Aegon rise, e quel suono si fece ancora più amaro quando ricordò le parole che Jace – insieme al quale, realizzò, non avrebbe esplorato un bel niente – aveva pronunciato nella Sala del Trono.

Le prese il polso, stringendo appena per farle capire che voleva essere liberato. Alicent lo assecondò.

«Davvero mi voleva sul trono?» domandò con voce flebile. 

Alicent sospirò e si sedette sul materasso accanto a lui. 

«Sì, te l’ho già spiegato. Ha fatto il tuo nome, affermando che tu eri sempre stato destinato a prendere il suo posto.»

«Allora perché non l’ha detto prima? Eravamo tutti insieme, anche Daemon e Rhaenyra erano presenti. Perché non dirlo allora, così da evitare questa situazione?»

«Aegon.» Alicent gli prese una mano, stringendola dolcemente tra le sue. «Tuo padre era molto malato, a malapena aveva la forza di stare sveglio. Credo che… Credo che in quel momento abbia solo desiderato godersi il calore della sua famiglia e non pensare a nient’altro.»

«Avrebbe fatto meglio a farlo, invece.»

Alicent sospirò. Gli portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si alzò, lisciandosi le pieghe del vestito. 

«Vestiti, coraggio» gli disse. Era un ordine, ma il suo tono si era addolcito rispetto a prima. «Credo sia ora che tu vada a incontrare Jacaerys. Tre giorni chiuso in quella stanza forse l’hanno ammorbidito.»

Aegon ne dubitava, ma non gli andava di farla infuriare adesso che si era calmata. Anche se le sue parole su Viserys non lo avevano rassicurato nemmeno un po’, decise comunque di continuare a recitare la parte del figlio che assecondava la volontà paterna e si alzò per vestirsi. 

«Spero davvero che abbia cambiato idea» mormorò Alicent, prendendo a tormentarsi le unghie. Aveva ripreso a farlo più assiduamente di recente, ma Aegon non riusciva a esserne dispiaciuto: l’aveva voluta lei, tutta quella situazione. Inoltre, l’assenza di unghie affilate era un bene per il suo volto. 

«Rhaenyra non sospetta ancora niente?» le chiese, mentre finiva di indossare la tunica nera. 

Alicent abbassò lo sguardo, come se si sentisse colpevole. 

«Le ho inviato una lettera questa mattina» rispose. «Volevo che sapesse che suo figlio è qui e sta bene.»

Aegon rifletté sulle sue parole. Era incerto se chiederlo o no, perché in caso di risposta affermativa probabilmente avrebbe subìto un rimprovero, ma decise di farlo comunque.

«Ne hai parlato con il concilio?» Ne hai parlato con me?

«No» rispose decisa, guardandolo dritto negli occhi. «È stata una mia decisione, di cui ovviamente ti avrei informato quanto prima. Dal momento che non abbiamo niente da nascondere, ho giocato a carte scoperte, informandola della situazione di Jacaerys prima che lei iniziasse a setacciare ogni angolo dei Sette Regni per cercarlo.»

Aegon annuì. 

«Buona idea» disse. «Anche se forse sarebbe stato più convincente farla scrivere direttamente a Jace.»

«Ci avevo pensato, ma temevo che si sarebbe rifiutato. E non volevo dare modo a tuo… al concilio, di proporre ancora una volta di fargli del male.»

Aegon ghignò.

«È il tuo Primo Cavaliere che spinge in quella direzione.» Alicent gli scoccò un’occhiata scocciata, che lui ignorò. «Non mi piacciono molto i suoi metodi, inoltre l’ho sempre trovato un uomo deprimente. Preferirei avere persone più simpatiche intorno a me.»

«Tuo nonno non è privo di difetti, ma è il miglior consigliere che potresti avere. È intelligente, cauto e ragionevole, senza contare che ha servito fedelmente tre re prima di te. La sua esperienza lo rende il candidato più adatto per un ruolo di tale spessore.»

Aegon si strinse nelle spalle. 

«Se lo dici tu.»  

 

~

 

Jace sedeva davanti alla finestra, il mento appoggiato distrattamente al palmo della mano. L’azzurro del cielo privo di nuvole risplendeva sopra la città, ravvivandone i colori. Gli sarebbe piaciuto volare lassù – o anche solo mettere il naso fuori da quella stanza. 

Stava iniziando a innervosirsi, chiuso tutto il giorno tra quattro mura, senza ricevere notizie di Vermax, di sua madre o di Aegon. Si era chiesto se quel silenzio fosse dovuto al suo comportamento nella Sala del Trono, forse troppo eccessivo; ma la risposta che gli sorgeva alla mente quando la interrogava al riguardo, tramite la voce di Daemon, era una sola: aveva fatto bene. Tutti coloro che si erano radunati in quella sala erano venuti meno al giuramento fatto a sua madre. Lui si era limitato a ricordarglielo. 

Ciò che trovava strano, però, al di là di non essere ancora stato sbattuto in una cella buia e umida, era l’assenza di insistenze da parte dei Verdi. Immaginava che avrebbero continuato a chiedergli di inginocchiarsi al cospetto di Aegon, con moine o minacce, nell’intento di farlo cedere. 

Anche se, forse, era proprio ciò che stavano facendo.

La solitudine, l’assenza di distrazioni dai propri pensieri, a lungo andare diventavano una tortura in grado di far impazzire anche la mente più forte. Jace tentava di tenersi occupato come meglio poteva, anche se, oltre a camminare avanti e indietro per la stanza e consumare i pasti in compagnia di Helaena, non c’era molto che potesse fare. Anche dormire non gli dava giovamento: quando non veniva avvolto da ricordi che gli portavano solo tristezza e nostalgia, si svegliava di soprassalto, temendo un’incursione improvvisa dei Verdi. L’assenza di riposo si era fatta sentire con prepotenza il giorno prima, quando la cameriera che gli aveva portato il pranzo aveva osato chiedergli come stesse e lui le aveva urlato contro. La poveretta era fuggita dalla sua stanza e Jace continuava a sperare di rivederla per potersi scusare con lei. 

Sospirò, massaggiandosi la fronte. Doveva trovare il modo di mantenere la calma e resistere. Ormai mancava da casa da giorni e sarebbe stata solo questione di tempo prima che la sua famiglia scoprisse cosa gli era accaduto. Doveva solo attendere.

Sentì lo scatto della porta e si alzò in piedi, aspettandosi di vedere Helaena entrare per il loro consueto appuntamento per il pranzo. 

Ma non fu il suo sorriso quello che vide.

«Buongiorno, nipote.»

«Buongiorno, zio.»

Jace strinse i pugni, restando immobile mentre Aegon si guardava attorno e prendeva posto sgraziatamente su una delle sedie davanti al camino. 

«Bella camera» commentò. 

Jace non rispose. La porta era di nuovo chiusa. 

Per la prima volta, dopo sei anni, erano soli. 

Poteva essere la sua occasione per fargli quelle domande a cui Aegon non avrebbe potuto rispondere in presenza della sua famiglia, per provare a scoprire se l’amico che ricordava esisteva ancora. Vederlo con la corona in testa, però, gli ricordò il crimine di cui si era macchiato e annullò tutto il suo interesse a ricreare un ponte tra di loro. 

«È un po’ che non ci vediamo» continuò Aegon. «Come te la passi?»

Jace strinse i pugni, cercando di mantenere la calma. 

«Potrei stare meglio.»

Aegon annuì. Spinse indietro la sedia davanti a lui con il piede, facendogli cenno di sedersi. 

«Non stare lì impalato» disse, capendo che Jace non era intenzionato ad accettare il suo invito. «Vieni qui, forza. Parliamo un po’.»

Jace tentennò un momento, poi si avvicinò a lui e fece come gli veniva chiesto. Sedette con la schiena dritta, i pugni stretti sulle ginocchia, e fissò i suoi occhi su Aegon. 

«Hai cambiato idea?» gli chiese lui, senza tanti preamboli. La sua voce, però, non aveva niente di autoritario: sembrava annoiato, come se fosse stato costretto ad andare a parlargli contro la sua volontà.

«Secondo te?» ribatté Jace.

Aegon ghignò. Tamburellò con le dita sulla superficie del tavolo, rimuginando tra sé e sé. Probabilmente stava cercando un modo per convincerlo a rivedere la sua posizione.

«Mia madre ha scritto alla tua» disse, cogliendolo di sorpresa.

«Cos-? Cosa le ha detto?»

Aegon inarcò un sopracciglio, divertito. 

«Secondo te?» rispose, facendogli il verso.

Jace strinse i pugni. 

«Aegon.»

«Che ti trovi qui, stai bene e non intendi tradirla. Niente di tanto eccezionale.»

Jace annuì. La situazione di stallo in cui era rimasto per giorni si era finalmente rotta – a suo vantaggio.

«Immagino che, nonostante le buone intenzioni di mia madre, Rhaenyra non vorrà che tu rimanga qui ancora a lungo» disse Aegon.

«Non lo voglio nemmeno io, se ti interessa.»

«Ma come? Non ti piace essere tornato a casa, dal tuo vecchio amico?» 

Rise della sua battuta, che Jace non trovò affatto divertente. Era stato felice di tornare, tempo prima – e lui aveva distrutto quella felicità. Il divertimento di Aegon, però, durò poco: si spense in un sorriso triste che gli fece abbassare lo sguardo. 

«No. Ormai mi odi.» Sollevò di nuovo i suoi occhi su di lui, facendosi serio, e Jace non ebbe il tempo di capire se quelle parole le avesse dette davvero. «Puoi andartene oggi stesso, Jace. Basta che ti inginocchi al mio cospetto. Guarda, puoi farlo anche qui, non c’è bisogno di tutto il teatrino con il trono e la corte. Faccio entrare Ser Arryk (o Erryk, non mi ricordo quale è rimasto) come testimone e già stasera sarai di nuovo a casa. Forse arriverai prima tu della lettera di mia madre.»

Il suo primo impulso fu quello di rispondere come aveva fatto fino a quel momento, ma si rese conto che, di quel passo, non sarebbe arrivato da nessuna parte. 

Tenendo a freno la sua frustrazione, decise di optare per un altro approccio. Lasciò andare un sospiro, rilassando i pugni che aveva stretto fino a far sbiancare le nocche.

«Vuoi che ti riconosca come re» ripeté. «E poi?»

«Poi voli a casa e ne parli con tua madre. Naturalmente, lei dovrà fare altrettanto, ma come scoprirai presto tu stesso si tratta di una cosa veloce e indolore.»

«E poi?»

Aegon sbatté le palpebre, confuso. «Cosa?»

«Ti riconosciamo come re. D’accordo. E dopo? Siederai sul Trono di Spade? Non mi sembra che ti faccia tanto piacere.»

Aegon si strinse nelle spalle. 

«Non è poi così male. Basta sedersi con attenzione per evitare di tagliarsi.»

Jace represse un sorrisetto. Il Trono ferisce gli indegni.

«E le riunioni del concilio? Immagino che tu abbia già presenziato ad alcune. Anche quelle non sono così male?»

«Quelle riunioni sono una tortura» rispose, gonfiando le guance in uno sbuffo. Era la stessa espressione che faceva quando non aveva voglia di ascoltare una lezione: Jace provava a convincerlo a concentrarsi, ma di solito finiva per distrarsi a sua volta e Aemond doveva riportare all’attenzione entrambi. «Ma penso che le apprezzerei di più, se non fossero monotematiche» aggiunse, sporgendosi sul tavolo verso di lui. «A tal proposito, il tuo aiuto sarebbe davvero prezioso.»

Jace storse la bocca. 

«Perché se mia madre accettasse la tua pretesa al trono, non dovreste preoccuparvi di una guerra civile e potreste affrontare altre questioni?»

«Esatto! Sei sempre stato un ragazzo sveglio, Jace» rise Aegon, allungando una mano a scompigliargli i capelli. Jace scattò in piedi. 

Non voleva che lo toccasse. 

Non voleva rivivere gesti che un tempo erano quotidiani, e che lui osava anche considerare affettuosi, per vederli trasformati in scherno e manipolazione. 

«Ad ogni modo, la mia non è una pretesa» disse Aegon, ritraendo la mano. «Io sono il re, proprio come voleva mio padre.»

«Viserys non voleva te, Aegon» disse, cercando di mantenere un tono pacato per farsi ascoltare – e capire. «Non sei mai stato il suo erede, non ti ha mai…»

«Sai una cosa?» lo interruppe lui, alzandosi a sua volta. «In realtà non è importante. Forse mio padre ha cambiato idea sul letto di morte, forse ha sempre voluto Rhaenyra sul trono: ormai non ha più rilevanza. Il popolo ha assistito alla mia incoronazione, ha acclamato me come suo re. Ha fatto la sua scelta, scelta che tu e tua madre dovrete rispettare.» 

Si avvicinò a lui, fermandosi a meno di un passo di distanza. Jace si impose di non indietreggiare. 

«Ti lascio un altro giorno per riflettere, se vuoi, ma ti avverto, Jace: la mia pazienza si sta esaurendo. Se non avrai una risposta prima che ciò accada, non garantisco che non prenderò in considerazione metodi più… estremi per tirartela fuori.»

Jace strinse i pugni. Davvero Aegon gli avrebbe fatto del male? 

Non capì se a ferirlo di più fu il pensiero in sé o la risposta che si diede: .

«Puoi iniziare ad applicarli fin da ora» disse, guardandolo a testa alta. «Non c’è niente che tu o i tuoi uomini possiate farmi per convincermi a tradire mia madre.»

Aegon assottigliò le palpebre, chiaramente infastidito dalla sua risposta. Jace sostenne il suo sguardo, in attesa. Voleva davvero capire fin dove si sarebbe spinto per tenersi addosso la corona.

Poi lo sguardo del ragazzo si illuminò, come se avesse appena avuto una brillante idea. Jace stava per chiedere spiegazioni, ma lui lo anticipò.

«Hai ragione. A te non posso fare niente. Ser Erryk!» 

Arryk Cargyll fu nella stanza in un attimo. 

«Mio re. Io sono Arryk» mormorò.

«Ah, sì. Non importa. Credo che il principe si senta solo qui, tienigli compagnia, d’accordo?»

Il cavaliere annuì, anche se non sembrò molto convinto. Anche Jace non riuscì a capire il motivo di quella richiesta. Per un momento, quando Aegon lo aveva chiamato, aveva creduto che volesse ordinare a Ser Arryk di estorcergli il giuramento che bramava a suon di pugni; invece doveva stare lì e… chiacchierare con lui? 

«Che significa tutto ciò?» chiese, mentre Aegon si era già diretto verso la porta.

Lui si voltò, sorpreso da quella domanda. 

«Credo che ti faccia bene un po’ di compagnia. Resterei io, ma devo andare a vedere come procedono i preparativi alla Fossa del Drago.»

Jace impiegò qualche istante a realizzare cos’avesse detto.

«I preparativi?» chiese, pregando che la sua voce non tremasse. «Per cosa?»

«Oh, niente di eccezionale. Ma c’è un drago di troppo adesso là dentro e, dal momento che Rhaenys Targaryen ha distrutto parte dell’edificio l’ultima volta che è stata qui, dobbiamo prendere provvedimenti. Tranquillo, Vermax non soffrirà.»

Il sangue gli si gelò nelle vene. 

No, non poteva dire sul serio.

«Aegon.» Si avvicinò a lui, ma Arryk gli sbarrò la strada. «Aegon, lascialo andare. Fallo volare a casa, sa come tornare da solo. Mia madre sa già che sono qui, perciò non sarà un problema se lo vede…»

Aegon lo interruppe, agitando l’indice destro nell’aria. «Scusami, Jace, ma non mi sembra saggio fornire un drago in più alla tua famiglia.»

«Vermax è la mia famiglia» esclamò. «Ed è ancora giovane e piccolo, non rappresenta una minaccia per nessuno.»

«Non ne sono tanto sicuro. Aemond ha detto che è cresciuto molto dall’ultima volta che lo ha visto. E credo che Vhagar l’abbia puntato. Hai visto quanto è grossa? Non è semplice trovare abbastanza cibo per sfamarla.»

Jace scosse la testa. Cercò di avvicinarsi a lui, ma Arryk lo afferrò per un braccio, impedendogli di raggiungere Aegon, che continuava a fissarlo con un sorrisetto divertito in volto. Come se non avesse appena detto di voler uccidere il suo drago.

«Aegon, non farlo. Ti prego. Prenditela con me, non m’importa, ma lascia stare Vermax!»

Il sorriso di Aegon si rabbuiò. 

«Allora ti inginocchierai?»

Jace avrebbe voluto urlare. Come poteva chiedergli di scegliere tra l’eredità di sua madre e la vita di Vermax? 

O di tutta la sua famiglia. 

Perché, dopotutto, cosa gli garantiva che i Verdi non li avrebbero massacrati tutti una volta che Rhaenyra si fosse sottomessa a loro? 

Aegon non attese oltre la sua risposta. Si voltò e uscì dalla stanza, lasciandolo solo con le sue paure e i suoi dubbi.

 

~

 

Gli operai intenti a ricostruire il pavimento della Fossa del Drago si inchinarono al suo passaggio. Aegon notò che le macchie di sangue non erano ancora state rimosse del tutto. Forse sarebbero rimaste in eterno, a memoria dello sterminio avvenuto in quel luogo durante la sua incoronazione. 

Almeno in quello, io e la mia famiglia siamo innocenti.

«Mio re.» L’anziano custode dei draghi si avvicinò a lui appena prima che potesse scendere nella grotta. «Non aspettavamo una vostra visita. Vi avremmo fatto trovare il vostro drago pronto, se desideravate…»

Aegon alzò una mano per zittirlo. 

«Va tutto bene. Non sono venuto per volare, volevo solo… vedere qualcuno.»

L’uomo gli rivolse uno sguardo incerto, ma lui lo ignorò, afferrando una torcia e proseguendo nel suo cammino. Ogni passo che lo avvicinava alla meta faceva scaturire in lui nuovi dubbi, ma ormai non poteva fermarsi: quella situazione non si sarebbe evoluta in alcun modo se Jace non avesse capito di non essere un semplice ospite.

L’aria si faceva più acre man mano che scendeva e sapeva che l’odore di fumo e carne bruciata gli sarebbe rimasto addosso anche dopo un lungo bagno. Di solito non scendeva all’interno della grotta, lasciando che fossero i custodi a portare Sunfyre in superficie per lui. Non c’era niente di interessante là sotto: solo buio, illuminato sporadicamente dalle fiamme dei draghi, che avrebbero potuto arrostire facilmente chiunque si fosse addentrato nel loro territorio.
Ma Aegon sapeva di essere al sicuro: Sunfyre, essendo il drago che più spesso usciva per volare, aveva il suo nido all’ingresso della grotta. Lui non gli avrebbe mai fatto del male e avrebbe impedito anche agli altri di provarci. 

Con la luce prodotta dalla torcia, Aegon individuò subito il muso del suo amico. Era appoggiato sulle zampe anteriori e stava dormendo. Aegon posò la torcia a terra e si avvicinò a lui, allungando una mano per toccargli le scaglie, che risplendevano nonostante la scarsa illuminazione. Sorrise: Sunfyre era il suo orgoglio, e a volte si domandava ancora cosa avesse fatto per meritare un drago meraviglioso come lui. Non voleva nemmeno immaginare un mondo in cui lui non esisteva.

Strinse le palpebre, sentendo un nodo formarglisi in gola. Anche Jace voleva molto bene a Vermax. Da bambino, ogni occasione per lui era buona per andare a trovare il suo drago. Ed era chiaro che quell’affetto non fosse svanito negli anni, considerata la disperazione con cui gli aveva chiesto di risparmiarlo. Se gli fosse accaduto qualcosa, Jace ne avrebbe sofferto. 

Ma Vermax non era il suo unico amico, l’unico su cui potesse contare per trovare un briciolo di felicità. Jace aveva i suoi fratelli, la sua famiglia, ed Aegon era certo che avesse anche molti amici, considerato il carattere gioviale e gentile del ragazzo. Perdere Vermax sarebbe stato duro, ma non lo avrebbe distrutto. 

Sunfyre sbuffò, riempiendolo di fiato caldo, e mosse il muso. Aegon fece un passo indietro e riprese la torcia, aspettando che il suo drago si svegliasse del tutto. La fiamma illuminò l’area circostante, catturando un movimento anomalo alla sinistra del drago. Aegon si spostò in quella direzione e notò che, insieme a Sunfyre, si stava svegliando qualcun altro. Qualcuno che aveva dormito accovacciato accanto a lui.

Le scaglie verdi e gli occhi gialli furono sufficienti per riconoscere Vermax. 

Non era grande quanto Sunfyre, ma doveva ammettere che fosse cresciuto parecchio dall’ultima volta in cui lo aveva visto – quando Jace gli aveva sorriso, fiero di poter ordinare il suo primo Dracarys e desideroso di ricevere la sua approvazione per quell’agognato traguardo. 

Sunfyre drizzò il collo nella sua direzione, ormai completamente sveglio. I suoi occhi lo fissavano con insistenza e Aegon non aveva difficoltà a capire cosa gli stesse chiedendo. 

«Oggi no» disse, anche se lui stesso desiderava poter volare e dimenticare per qualche ora tutto ciò che stava accadendo. 

Ma si era diretto lì per un motivo e non poteva tirarsi indietro. 

Sunfyre sbuffò, deluso, e si sedette di nuovo, probabilmente intenzionato a dormire un altro po’. Vermax, invece, rimase a fissarlo guardingo per qualche secondo. Poi ruggì, facendogli sfuggire la torcia di mano e ridestando anche Sunfyre.

«Tranquillo» disse, alzando le mani. Che avesse capito cos’era venuto a fare? I draghi non erano particolarmente intelligenti, ma potevano percepire gli stati d’animo dei propri cavalieri e agire di conseguenza. Lui e Vermax, però, non avevano alcun tipo di legame.

Se si escludeva quello creato per mezzo di Jace. 

Aegon sospirò. Si passò le mani sul viso, imprecando – gesto che fece innervosire anche Sunfyre e Dreamfyre, nonostante fosse piuttosto lontana da loro. 

Perché sto sempre a letto, madre? Indovina un po’!

Inspirò a fondo, cercando di calmarsi. Morire per mano di un drago non doveva essere un’esperienza terribile, soprattutto per un Targaryen; ma forse non era il caso di sperimentarla in quel momento.
In realtà, non gli andava di avere niente a che fare con la morte. Ma come gli era venuto in mente di uccidere Vermax? Cos’avrebbe fatto poi? Portato la sua testa davanti a Jace? Lo avrebbe guardato piangere e disperarsi per la perdita del suo amico? Jace non lo avrebbe mai perdonato – lui stesso non si sarebbe mai perdonato – e, soprattutto, dubitava che un gesto simile lo avrebbe spinto a passare dalla sua parte. 

Un Targaryen che uccide un drago. Sì, era proprio un re degno.

Sospirò, lasciando ricadere le mani lungo i fianchi. Sunfyre lo stava ancora guardando, mentre Vermax si era raggomitolato accanto a lui e aveva chiuso di nuovo gli occhi. Sembrava tranquillo. Come se sapesse di essere al sicuro vicino a lui.

Una volta Jace pensava lo stesso di me. 

Scoppiò a ridere, finché le lacrime non iniziarono a bagnare il suo volto e Aegon si disse che era da troppo tempo che non dimenticava a dovere la realtà.

 

~

 

I tiepidi raggi lunari filtravano attraverso l’ampia vetrata. La loro luce assumeva i contorni del Trono di Spade, posto a ostacolo del suo percorso.
Dal momento in cui la corona del conquistatore era stata posta sul capo di Aegon, Aemond si era ripromesso di non desiderarlo. Non importava cosa bramasse, cosa ritenesse più giusto: quello scranno non sarebbe mai appartenuto a lui.

Nonostante ne fosse più degno.
Strinse i pugni. Si era illuso che non avrebbe più dovuto trascinare Aegon fuori da un bordello, ubriaco ed ebbro di sesso; che suo fratello avesse capito qual era il suo ruolo e si sarebbe impegnato a svolgerlo a dovere.

“Non sono adatto a regnare!”

Credeva fosse stata una presa di coscienza che lo avrebbe spinto a migliorarsi, invece era stata solo una scusa per giustificare la sua totale incompetenza come sovrano. 

Nel silenzio della notte, avvertì dei passi risuonare alle sue spalle, accompagnati dal fruscio di una veste. Aemond si voltò, scrutando nell’oscurità per capire chi fosse.

«Hai visto Aegon?» chiese la voce di Helaena, avvicinandosi a lui. 

«Purtroppo sì. Perché? È successo qualcosa?» 

Quando la ragazza fu abbastanza vicina, notò che indossava ancora gli abiti che aveva a cena. Se non ricordava male, aveva detto che sarebbe andata a salutare Jace. Era rimasta da lui fino ad allora? 

«Ha esagerato con le parole stamani» spiegò lei. «So che non voleva davvero ferire Jace, ma lui ormai non ha più la stessa certezza. Ha mandato Ser Marston ad avvisarlo che Vermax sta bene, ma ci aspettavamo entrambi che sarebbe andato a parlargli di persona.»

«Mm.» Ormai Aemond aveva imparato a ignorare il modo in cui Aegon pronunciasse ossessivamente il nome di loro nipote quando era troppo ubriaco per capire ciò che stava dicendo, ma forse quella sera c’era stato un senso dietro il fiume di “mi dispiace” e “perdonami” che gli aveva riversato addosso, scambiandolo per Jace. «Non credo sia nelle condizioni di parlare con qualcuno, al momento.»

Helaena annuì. 

«Grazie di esserti occupato di lui. Spero che una notte di sonno lo rimetta in sesto.»

«Fino alla prossima volta» commentò Aemond. «Mi dispiace che tu sia rimasta sveglia finora per lui. È molto tardi, dovresti andare a riposare.»

«Hai ragione.» 

Gli sorrise in un tacito saluto, poi si allontanò. Una volta in cima alle scale, però, si voltò nuovamente verso di lui. 

«Attento al sangue che sgorga dal marmo. Se fosse troppo nero, potrebbe diventare verde.»

Aemond rimase a fissare la porta, cercando di capire il significato di quelle parole.
Il sangue è rosso. Può diventare nero alla luce della luna, ma mai verde.

Scosse la testa: probabilmente sua sorella era stanca a quell’ora della notte e, per una volta, aveva davvero pronunciato solo un insieme di parole sconnesse tra loro.


 
   
 
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