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Autore: Zyadad_Kalonharysh    26/06/2023    0 recensioni
Anni prima della scoperta del continente oscuro, si scopre un altro continente enorme e mai visto prima. Una macroregione composta da cinque piccoli continenti: Europa, Asia, le due Americhe, Africa e zone di vaste distese ghiacciate. Alcuni coraggiosi abitanti di questo continente provano a raggiungere York Shin City, ma scompaiono misteriosamente dopo l’atterraggio presso la repubblica di Padokea. Alla scomparsa degli incursori, i cui responsabili sono ignoti, segue la comparsa di alcuni personaggi eccentrici alla ricerca di risposte.
Espedito Petracelli è il presidente incaricato dell’organizzazione WCS (Worlds Communication Services) e si è ritrovato a svolgere questo ruolo improvvisamente dopo la morte del padre. La sua vita fatta di lusso, moda e serate eleganti verrà stravolta per una nuova avventura non molto glamour.
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai | Personaggi: Genei Ryodan, Gon Freecss, Killua Zaoldyeck, Kurapika, Leorio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 3

Illumi e Hisoka disturbano la colazione di Espedito.

Diritto al caffè

Ero con mia madre nel nostro salotto di casa mentre il nostro avvocato ci faceva delle domande. Il cortile era assediato dalla stampa ogni giorno tutti i giorni, non potevamo uscire. Nonostante tutto, nessuno di noi due piangeva. Eravamo lì, con le nostre emozioni spente e nei nostri abiti migliori mentre ci chiedevano cose dolorose e scattavano foto senza preavviso.
«Come ha saputo dello scandalo che ha coinvolto suo padre?» domandò a me l’uomo incravattato, senza andarci per il sottile.
«Mentre lavoravo, l’ho sentito dalla CNBC», risposi sinceramente. Notai il suo sguardo interrogativo, come se stessi parlando una lingua che non conosce. «Io e mio padre non parliamo molto, ero a New York e sono sempre pieno di lavoro, io.»
«No, capisco! È che non possiamo smentire in tribunale il fatto che suo padre ha mentito, ma dobbiamo far capire che l’ha fatto nel tentativo di nascondere la sua relazione extraconiugale alla famiglia, non per nascondere… lo sa», mi spiegava facendomi dei gesti come se stesse parlando a un bambino.
A quel punto, mi sentii esplodere la testa e feci per andarmene dal salotto. Era troppo per me.
«Dove vai?» mi richiamò mia madre.
«A fare un bagno caldo. Se tu vuoi gettare ciò che resta della tua dignità così, non posso più fermarti. Ma io non ce la faccio, questo è davvero…» non finii la frase e mi diressi subito sulle scale.
Non capivo perché dovessi rendermi complice delle faccende losche di mio padre. Ero troppo ferito da tutto. Anche se non abbiamo mai avuto un buon rapporto, mai in vita mia avevo messo in dubbio che fosse una persona perbene.
«Ti senti meglio?» mia madre mi raggiunse nella mia stanza. Risposi facendo cenno di no. «Papà ha chiesto perché non vai a trovarlo in carcere. Dice che lo rilasceranno presto…»
«Mamma!» non riuscii a non urlare. «Quell’uomo ci ha dato in pasto ai media. Ha messo a repentaglio la mia carriera, ha umiliato te come donna e potrebbe lasciarci senza un soldo. Non ha pensato alla sua famiglia mentre compiva tutti quegli abusi d’ufficio. Solo a pensare allo sfruttamento, alle escort che giravano, a quante altre cose sono successe e sono state insabbiate… come fai ad avere così poco rispetto per te stessa?»
«Lo faccio perché voglio proteggere te», disse lei. «Io ho preparato già le carte del divorzio. Fosse per me, sarei già andata via da un pezzo. Ma devo preservare quel poco che resta della nostra reputazione. Siamo una famiglia rispettabile e prima che si distrugga dobbiamo far finta che non è successo nulla. Per questo, la gente deve sapere che tuo padre è innocente. Poi, tu tornerai a New York e io andrò a stare per un po’ dai nonni a Monte Carlo.»
 
~~~
 
Le sei e mezza della domenica mattina in ufficio, perché io un po’ mi odio. Devo recuperare il lavoro arretrato. Mi pento con tutto me stesso di essere stato a zonzo ieri. Mi sono svegliato con la voce squillante di Maxine nella stanza accanto che sta intrattenendo dalle cinque del mattino una telefonata molto animata con l’ufficio del procuratore. Qualcosa mi dice che lavorare lì non le manchi per nulla.
«Usciamo a fare indagini», improvvisamente Graziina mi tira via dalla scrivania.
«E su cosa?» le domando, destabilizzato.
«Abbiamo preso l’associazione Hunter ma non abbiamo considerato i privati», mi spiega, tirando fuori un suo fascicoletto. «Questa città è in mano alle mafie, non c’è un’azienda che non sia infognata in cose del genere. Indovina un po’ chi si è fatto vivo?»
Graziina mi pone in mano un registro, indicandomi un punto preciso.
«Azur Corporation? Stai scherzando?» per poco non urlo dallo stupore. «Gli stessi che un anno fa si sono resi irrintracciabili?»
«Beh, a quella distanza e senza ambasciate né accordi internazionali diventa facile coprire la fogna», dice lei, avendo pure ragione. «A noi serve un caso, questo è perfetto. Raccoglieremo informazioni per far iscrivere il reato nel registro del procuratore.»
«Frena, sorella», la richiamo. «C’è già stata un’indagine contro la Azur e il reato è stato fatto cadere in prescrizione. Cosa ti fa pensare che riapriranno il caso?»
«Lo so», ridacchia lei. «Ma quello era un processo civile, io credo ci siano gli estremi per aprirne uno penale.»
«Ti sei svegliata con molta fantasia, oggi», rido un po’ anche io. «Per queste cose dovremmo affidarci a Maxine, non credi?»
«Di cosa dovete parlarmi?» la rossa ci incrocia nel corridoio, facendomi sobbalzare.
«Azur Corporation», saltella Graziina tutta concitata.
Ci sediamo nell’ufficio di Maxine, mentre Graziina inizia a mostrare la relazione che la divisione “Servizi Umanitari” del suo dipartimento, composta da criptoanalisti e diplomatici, ha fatto sulla presenza delle mafie a York Shin City.
«Ma è peggio di Tijuana», esclama Maxine, scioccata.
«L’asta è un evento annuale che attira le mafie di tutto il continente. Ne fanno anche una a porte chiuse, probabilmente per la tipologia di beni venduti. Ogni anno, secondo lo studio del dipartimento, il tasso di crimini commessi aumenta dieci volte rispetto al resto dell’anno.»
«E la Azur come si colloca in tutto ciò?» le chiedo, super interessato alla cosa.
«Non lo so, speravo me lo diceste voi», risponde lei, con uno sguardo colpevole e un sorriso ebete.
«Avevi trovato il loro nome su un registro, ci dici almeno cos’era?»
«Ah già! Me ne ero dimenticata», dice tirando fuori quel documento, mentre io e Maxine ci stiamo facendo grasse risate. «Queste sono le presenze ad un’asta di una settimana fa.»
«E come l’hai avuto?» la rossa, scioccata, lo legge scrupolosamente.
Conosciamo già la risposta a quella domanda, tant’è che ci guardiamo tra noi e con un ghigno esclamiamo all’unisono: «Cablegate!».
«Beh, finché non mettono il naso nei fatti nostri, la diffusione dei cablogrammi non mi dispiace», dico ridendo.
 
Verso le otto del mattino, decido che è ora di prendere un caffè. Ho bisogno di fare due passi, perciò vado a prendermene uno al bar e poi li prendo da asporto per le altre. Mi fermo a un bar non molto lontano dall’ufficio, situato allo sbocco della strada sulla piazza centrale.
Sotto al tendone del bar, vedo da lontano delle facce familiari che hanno avuto la mia stessa idea, tutte sedute a un tavolo.
«Buongiorno!» Mi avvicino amichevolmente e faccio loro un saluto. «Dormito bene?»
Kurapika e Killua annuiscono sorridenti, Leorio ha qualche dubbio mentre fissa Gon. «Questa mattina lo abbiamo trovato così», dice.
Ops.
«Ne ha bevuti solo un paio, io ero in giro», spiego, mentre prendo posto accanto a loro. Killua mi sta fissando malissimo. «Oh, c’è Hisoka», noto con tono scocciato, mentre vedo due figure avvicinarsi dall’altro bordo della piazza. Riconosco Hisoka ma l’altro tipo non so chi sia, sono entrambi molto strani.
Prima del caffè, è una dose decisamente eccessiva.
«Come fai a conoscere Hisoka?» domanda Gon, improvvisamente rinsavito.
«Come fate voi a conoscerlo!» domando ridendo. «Hisoka è un “caro amico” dell’organizzazione, era un sospettato e quando è stata aperta la prima inchiesta fu uno dei primi a collaborare presentandosi alle deposizioni. Il problema è che si metteva a parlare allegramente dei cazzi suoi per un’ora di fila e gli investigatori erano troppo impauriti anche solo per dirgli che i dettagli sul potere “bungee gum” sono irrilevanti ai fini del caso. Diciamo che ci tiene compagnia, ma è molto fastidioso e vorrei non vederlo anche fuori dal lavoro.»
«Cosa ci fanno insieme delle persone che mai avrei pensato che si conoscessero?» pochi minuti dopo, il clown è già vicino al tavolo e tutti sembrano irrigidirsi. Io no, mi preoccupo solo di fingere che la sua presenza non mi annoi a morte.
«Stavo proprio dicendo loro di quanto sei stato di “compagnia” durante le indagini preliminari. Hai intenzione di venirci a trovare fino all’arringa finale?» gli sorrido freddo e con un po’ di sarcasmo.
«Ho trovato altri hobby da allora, ma quando posso…»
«È lui il tuo nuovo hobby?» indico il ragazzo silenzioso che è a fianco a lui. Ha i capelli neri e lunghi, sembrano quelli di Graziina ma chiaramente non vedono una maschera o un qualsiasi tipo di trattamento da almeno vent’anni. Il suo viso ha una forma strana, lunga e appuntita e anche gli occhi sembrano due bottoni neri come la pece. Che scorfano! «Non capisco perché ci voglia così tanto ad avere un caffè», borbotto dopo, distogliendo lo sguardo, pensando alla lentezza del cameriere. Tutti al tavolo sembrano spaventati e mi guardano straniti per il mio normalissimo atteggiamento. Killua in particolare sta sudando freddo alla vista dello scorfano.
«Stiamo lavorando», specifica lo scorfano, con aria scocciata.
«Bello il vostro lavoro!» scoppio a ridere, con una punta di invidia nella mia voce.
«Sei molto presuntuoso», continua lui.
«Lo dici adesso? Se passa un altro minuto in cui non ho un caffè in mano, vedrai la mia trasformazione.»
È chiaro che io non stia capendo qualcosa che c’è sotto e che il mio comportamento sia, a quanto pare, molto spericolato. Mi stanno guardando tutti con aria terrorizzata.
«Ti rendi conto che se continui così morirai sul posto?» mi sussurra Leorio.
So che è serio e adesso sono preoccupato, ma non tradisco nemmeno una goccia di spavento.
«Posso essere ammazzato dopo il caffè?» domando loro.
Killua, nonostante il terrore che prova e lo sguardo sottomesso, riesce comunque ad imbarazzarsi e mettersi una mano sulla fronte. Mi alzo con nonchalance per andare in bagno. Gon, istintivamente, si alza e mi segue fino a dentro il locale.
«Quello che sta con Hisoka è il fratello di Killua!» mi sussurra, tutto spaventato.
«Giura!»
«Lo giuro!» si mette una mano sul petto.
«Era un modo di dire…» mi viene da ridere e piangere contemporaneamente. «E non si salutano?»
«Illumi vuole mangiargli il cervello e portarselo a casa per fargli continuare l’attività di famiglia», mi spiega.
Non dovrei ridere, ma il modo in cui lo spiega è troppo divertente.
Appena usciamo dal bar, l’ultima cosa che vedo è Illumi sussurrare qualcosa al fratello minore. Non so cosa gli stia dicendo, ma lo sguardo di Killua è un qualcosa che mi rimarrà impresso per giorni. Di Hisoka, invece, non c’è più traccia.
Nel frattempo, anche Graziina e Maxine si sono presentate qui al bar per cercarmi, trovando una scena che non si aspettavano.
«Te lo dissi tempo fa e ancora non l’hai capito, Kil. La tua vocazione è quella di essere un assassino, non puoi essere un hunter. Nel tuo cuore c’è solo oscurità, ti prosciuga di ogni desiderio. È come ti abbiamo plasmato io e papà», ripete poi il fratello maggiore, alzando la voce questa volta.
Killua sembra diventato una bambola di porcellana. È lì a fissare il fratello con occhi spenti e sembra essersi completamente arreso al suo potere. Riesco a sentire la rabbia di Gon, qui a fianco a me, che vorrebbe saltargli addosso. Maxine guarda la scena con distacco, si sente impotente e completamente aliena al tutto. Graziina non so cosa stia pensando. Nel silenzio generale, faccio un sorriso e guardo Kurapika e Leorio seduti alla mia destra.
«Il tuo cammino, che sia lungo o corto, finirà in questo modo. Cerca di non dimenticarlo, Kil», afferma Illumi, con una sicurezza tale che non mi spiego.
«Ma vedi tu se si può dire a quest’ora del giorno “lungo o corto”», borbotto in disparte, rompendo il silenzio che dominava questo lato dell’edificio.
«No! Non osare!» Killua, da che era completamente spento davanti al fratello, si attiva immediatamente per zittirmi.
«Questo è indicativo», continuo a parlare come se nulla fosse. «Questa è proprio frustrazione sessuale.» Sto gongolando da solo per la sceneggiata che ho messo in piedi. «Non so a chi pensi mentre dici queste cose. Magari ad Hisoka che è appena uscito da qua, avete visto come lo scorfano si è illuminato in viso…»
«Non approfittarti del fatto che sono impegnato qui con mio fratello, perché vengo da te prima che tu possa parlare ancora», mi minaccia Illumi, alquanto irritato dalle mie parole.
«Intendeva il tempo… lungo o corto», balbetta Leorio, spaventato e imbarazzato allo stesso tempo.
Nonostante le occhiatacce, l’atmosfera è improvvisamente diventata più leggera. Sono riuscito nel mio intento, la situazione era troppo insostenibile per me.
«Però, povero Killua, deve essere dura», sussurra Graziina, affranta dalla scena a cui stiamo assistendo.
«Scusatemi», ridacchia Maxine voltandosi dall’altra parte. «Meglio che non ripeto cosa ha detto Graziina.»
«Graziina sta dicendo “è duro!”. Ma che cosa è duro? Spiega», chiedo ad alta voce mentre la mora, imbarazzata, mi tira il braccio per farmi stare zitto.
«È dura, ho detto!» urla lei, accasciandosi a terra dalle risate.
«Vi prego, basta!» Killua ci urla contro, anche se noto la sua espressione più rilassata.
«Oggi non lo so, è una giornata hard!» concludo, riprendendo il mio posto e cercando di tornare composto.
«Non si riesce a restare seri per un minuto con te», mi dice Gon, ridendo sotto i baffi. «Grazie», sussurra poi, con un tono di voce così basso che lo capisco solo dal labiale.
Kurapika e Leorio, disposti di lato, non dicono una parola ma stanno fissando il pavimento imbarazzati. Il secondo, però, sta ridendo di nascosto da un bel po’. Killua, scioccato dall’accaduto, si allontana e si rinchiude in bagno ignorando i richiami del fratello. Mi domando perché quei due pagliacci dovessero presentarsi proprio all’ora del caffè mattutino, come se il tutto non fosse abbastanza stressante di suo.
Di morire per mano loro, in realtà, non mi interessa. Se non mi ammazzano loro, lo farà qualcun altro nel giro di poco tempo.
Mentre Illumi cerca di entrare, lo fermo alzando amichevolmente la mano.
«Costava tanto aspettare che prendessi il caffè?» gli dico.
«Togliti di mezzo.»
Alla risposta di lui, una mano mi tira via per farmi sedere. Lui, incattivito, continua a fissarmi. 
«Espedito, il caffè!» urla Graziina, dandomi la mia tanto agognata tazzina di espresso.
«Scusate», alzo la mano interrompendo tutti per berlo. «Il caffè prima di tutto.»
«Mi dici che cosa vuoi?» ribatte Illumi. «Questa è una questione di famiglia. Non hai idea di cosa stia succedendo davvero. Stanne fuori, perché questi non sono affari tuoi.»
«E questa è una questione del mio buon inizio di giornata. Sto parlando dell’inalienabile diritto al caffè delle otto di mattina. Tu l’hai rovinato quindi sì, sono affari miei», le risposte che sto dando rendono la situazione talmente surreale che chiunque intorno a me non sa se ridere, avere paura o provare genuino imbarazzo.
«Ha detto che non ti vuole parlare», gli dice Gon con fare minaccioso, al suo ennesimo tentativo di entrare nel bar.
«E io ho detto che voglio parlare con mio fratello», Illumi si avvicina a lui con aria intimidatoria.
Sfortunatamente, a me non interessa.
«No, ragazzi. Questo è un complotto contro di me!» sbuffo, pronto ad alzarmi per fare una cacciata. Tutti stanno cercando inutilmente di dissuadermi dal parlare oltre. «Adesso la dico proprio come mi sento di dirla. Come mi esce, mi esce.»
«Per piacere, fermati ora», Leorio ha un’aria spaventatissima e per poco non mi salta addosso.
«Ma se Killua non ti vuole parlare, perché te la prendi con noi? Ma secondo la tua mente malata puoi mai farti volere bene da qualcuno con quello che dici e quello che fai? Ma accendi il cervello e ragiona, ma che ti sei messo in testa? Tu sei “Gon Due La Vendetta”!» urlo da seduto e gesticolo come non mai. Devo dire che fare polemica nei momenti meno opportuni mi diverte. Mi aiuta a gestire lo stress.
Quando lo scorfano perde finalmente la pazienza, materializza delle spille sua mano. Gon si para tra noi due per difendermi. Dire che sono sorpreso da questa cosa è un eufemismo. Nonostante ciò, Illumi non si ferma e dirotta la sua aggressività sul ragazzo dai capelli a porcospino.
«Fermati», Hisoka, che a quanto pare è tornato a trovarci, lo interrompe tempestivamente.
«Sono davvero fastidiosi», gli risponde, facendo sparire le spille.
«Ti ho detto che non devi intralciarmi almeno un milione di volte», Hisoka sembra tenergli il muso, adirato come non mai. Ma di cosa sta parlando? Mi viene da ridere.
«Non era lui il mio target, si è solo messo di mezzo. E comunque, non è successo niente», si giustifica lo scorfano.
Nel frattempo, io e Graziina stiamo ridendo come due papere e ci sussurriamo aumentando progressivamente il tono di voce.
«Perché io… fate silenzio!» ci urla sempre lui, mentre parla con Hisoka.
Di tutta risposta, io mi alzo dalla sedia e, ridendo, alzo le mani al cielo per la situazione surreale in cui mi trovo.
«Perché chiunque fugge da te. Non piaci a nessuno!» rido e salto mentre tutti sono preoccupati per la piega della situazione. «Devi andare da un analista. Anzi, dovreste andarci tutti!»
«Per piacere, basta», mi compare Killua dietro che prega di fermarmi.
«Uno scorfano come te solo l’assassino poteva fare!» non riuscivo a fermarmi prima della battuta finale.
«Nooo!» tutti e quattro mi si gettano addosso, disperati.
«Ha un problema di mente, non ha il controllo su quello che dice», dice Leorio con sguardo implorante verso Illumi.
I due pagliacci alzano i tacchi e se ne vanno senza degnarci di uno sguardo. Una parte di me tira un sospiro di sollievo.
«Tu sei completamente fuori di testa!» sbotta l’occhialuto, sconcertato. «Ti farai ammazzare!»
«L’unica cosa che è stata ammazzata è la mia colazione», dico, rimettendomi la giacca Chanel. «Ma vedi tu che gente, oh!»
«Tu sei la persona più strana del mondo», Kurapika non riesce a smettere di fissarmi.
«E sei stressante», l’albino ha improvvisamente ritrovato la lingua. «Lo siete tutti e tre», indica anche Graziina e Maxine.
«Dov’era questa parlantina quando il tuo fratello scorfano era a due centimetri da te?» lo provoca Maxine, non ottenendo risposta se non uno sguardo scocciato.
«Calma ragazze, è stata una situazione pesante per lui, non c’è bisogno di infierire», interviene Graziina con la sua solita mediazione.
«Non ho bisogno che tu mi difenda. Tra i tre, tu sei quella che meno sopporto», lo fredda lo Zoldyck inspiegabilmente. Graziina è sconcertata ma, vista la situazione, decidiamo tutte di non dire altro. «C’è una cosa che ti voglio chiedere dalla prima volta che ti ho visto», mi dice, tornato improvvisamente spigliato e amichevole. «Hai un addome così strano. Le costole di sotto che fine hanno fatto?»
Ho notato tempo fa la sua abitudine di fissarmi la cassa toracica. Non so esattamente perché e non credo di volerlo sapere.
«Me le sono fatte asportare. Esigenze artistiche. Che occhio, però! I miei complimenti», gli rispondo con fierezza.
«Immagina ridursi a questo pur di sentirsi desiderabili. Ora capisco perché in faccia sembri fatto di gomma», mi punzecchia Leorio. Kurapika gli tira un braccio intimandogli di scusarsi.
«Brutta bestia l’invidia! A te servirebbe proprio un lifting. Quanti anni avrai, quarantacinque?»
«Sei fuori strada, ne ho diciannove», questa risposta di Leorio mi fa rabbrividire. L’ho visto fin da subito come un noioso uomo di mezza età e, invece, è di ben cinque anni più giovane di me. se non altro, questo fa vincere me perché gli anni li porto bene. «Tu sembri un ragazzino e tutti i ritocchini non aiutano.»
«Preferisco avere ventiquattro anni e dimostrarne quindici piuttosto che averne diciannove e dimostrarne quaranta», concludo, lasciando tutti nello shock.
«Ventiquattro?» esclamano all’unisono.
«A quanto pare sono quello meno giovane, pazienza!»
 
Quando torniamo in ufficio, Graziina sembra ancora sotto shock. Stiamo facendo due cose veloci, ormai siamo rimasti da soli.
«Che ti prende?» le chiedo, guardando il suo sguardo perso nel vuoto.
«Pensavo a quello che mi ha detto Killua», confessa. «Non so perché ma sembra avercela con me.»
«Te lo ha detto esplicitamente», scoppio a ridere, facendoglielo notare. «Scusa, ma che ti importa?»
«No, sai… ogni volta che parlo con Gon mi guarda sempre male», mentre parla, io so già dove sta cercando di arrivare e sto per sbottare. «E non vorrei passare per strana o cose così.»
«Lo stai facendo di nuovo», la fisso negli occhi con sguardo severissimo e mi appoggio alla scrivania.
«Ma non è questo… è che mi dispiace per lui. Anche a te è dispiaciuto quando hai saputo del padre, no? È umano.»
«A me è dispiaciuto perché la trovo una cosa sconcertante di per sé. Tu perché hai percepito l’abbandono nei suoi occhi e ti è subito scattato il complesso del cucciolo di panda in pericolo», le faccio notare.
«Si tratta di umanità. Lo sai che sono una persona empatica.»
«Graziina, tesoro», cerco di parlarle con dolcezza. «Lui è morto.»
«E questo che cosa c’entra?» scatta sulla difensiva. «Posso provare empatia per una persona?»
«Lui è morto», glielo ripeto un’altra volta. Purtroppo, in questi momenti, con Graziina si deve fare solo così. È l’unico modo per bloccare quella malsana catena di pensieri.
 
 
Lunedì mattina siamo di nuovo in ufficio. Graziina ha ridisposto alcuni mobili riuscendo a creare molto più spazio nella sala conferenze. Meno male che lei ha voglia di fare queste cose, perché né io né Maxine ci saremmo mai scomodate, tanto meno per un ufficio provvisorio.
«Che cosa abbiamo?» chiede Maxine verso la telecamera, mentre sul proiettore è in videoconferenza l’ufficio legale della WCS di Albany.
«Il precedente processo contro la Azur Corporation si è concluso perché il titolare ha smesso di essere rintracciabile e l’Associazione Hunter non ha fatto nulla in merito. Il reato di negligenza è caduto in prescrizione.»
A parlare, dall’altra parte del globo, è John Gardner, l’associato dell’ufficio legale.
«Questo lo so, c’ero anche io. Ci sono novità?» chiede Maxine.
«Purtroppo, non siamo riusciti a ottenere altro all’infuori di quel registro. La segretezza dell’Associazione Hunter non è alla portata nemmeno del nostro team informatico. E non penso che possiamo andare avanti sperando in fughe di dati spontanee da parte di anonimi. Riusciremo a ottenere un accesso stipulando il contratto con il presidente Netero?»
«Non ci darà mai nulla di simile», ribatte Maxine. «Possiamo solo sperare nell’aiuto di un hunter.»
«Pensi sia saggio far sapere a terze parti della nostra azione legale?» le chiede John, molto dubbioso all’idea di coinvolgere qualche hunter. Maxine inizia a fissarmi.
«Non useremo né Kurapika né gli altri. Manipolarli per ottenere informazioni facili è al limite dell’etico. E poi, non possiamo sapere quali ripercussioni rischierebbero se Netero si arrabbiasse con noi. Qualsiasi aiuto da parte loro deve essere richiesto previo consenso informato e regolare compenso», sentenzio io, non ammetto repliche su questo.
«Già, e comunque non sta bene nemmeno da un punto di vista deontologico», la presidente di dipartimento si siede, guardando il pavimento con aria pensierosa. Che dire, fortunatamente siamo persone con dei principi. «Facciamo così: noi abbozzeremo un’indagine sul campo di persona. Non convochiamo ancora le squadre operative né le commissioni, non facciamo scattare allerte immotivate. Temporeggeremo fino all’arbitrato e, quando avremo l’accordo in mano, procederemo con la collaborazione dell’Associazione. Sarà obbligatoria, in quel caso.»
“Temporeggiare” è un termine che mi manda in bestia. Ma Maxine non è donna da farsi correggere e, in ogni caso, non abbiamo altra via. Siamo in uno stallo totale.
«Rischi un esaurimento se ti fai coinvolgere emotivamente da quei ragazzi», mi rimprovera lei, appena chiusa la conferenza.
«Prego?» sussulto.
«Li conosci da una settimana e già ti stracci le vesti per proteggerli. Questa volta avevi la scusa del codice deontologico, la prossima?» mi sorride, mentre ripone i documenti nella sua Hilfinger e si rimette la giacca. «Tocca sempre a me fare la poliziotta cattiva, tu in fondo sei come Graziina, sei solo un po’ più realista.»
«Non mi piacciono le ingiustizie», mi giustifico. «Sono fatto così.»
«Dico sul serio, Espedito. Questa non è una situazione semplice, abbiamo addosso un peso psicologico non indifferente. Corazzatevi», chiude il discorso con fare preoccupato.
«Ragazze!» fuori dalla porta sembra siano arrivati i Cavalieri dell’Apocalisse, in realtà è Graziina che corre maldestramente sui tacchi alti. «Ho delle cose», indica lo scatolone che ha in mano. Dove l’ha presa tutta quella roba?
«Faccele vedere!» ride la rossa.
«Partiamo dalla cattiva notizia.» Non era stato fatto riferimento a nessuna cattiva notizia, questo mi fa indispettire. «Il registro è contraffatto. Qualcuno l’ha messo in giro di proposito per depistarci. Sono andata personalmente alla sede dell’asta a chiedere l’elenco delle aziende partner, non c’è traccia della Azur Corporation. E qui non è facile cercare delle coordinate per identificare una persona o attività.»
«Questa non è una cattiva notizia, questa è una notizia pessima», sbotta Maxine, adirata dal fatto che quel briciolo che avevamo per le mani fosse falso.
«Non ho finito, c’è la buona notizia!» Graziina ci ridà speranza. «Ho fatto delle ricerche su noleggi di piste d’atterraggio per elicotteri o voli privati e ho trovato dei loro clienti. L’interporto della Falesie, un’impresa di generi alimentari con sede a York Shin City, apparteneva alla Azur. Sono andata da loro e mi sono fatta dare il registro dei trasporti.»
«Come li hai convinti?» le domanda Maxine.
«Il guardiano appena mi ha vista sembrava molto gentile! Non ho nemmeno dovuto dirgli perché mi servisse il registro», la mora si comporta come se il suo fosse un colpo di fortuna.
«Già, chissà per quale motivo», sbuffo, prendendo in mano la copia del registro. «Codice identificativo 415886YS21», ripeto ad alta voce mentre lo trascrivo su un foglietto.
«Tutto il resto che cos’è?» domanda Maxine, indicando lo scatolone sul tavolo.
«Me ne ero dimenticata, certo», sobbalza, prendendo un documento rilegato. «Una vecchia inchiesta sulle mafie a York Shin City, è fatta da un giornalista d’assalto che è morto trent’anni fa. Sulla strada qui accanto stavano chiudendo uno studio legale, mi sono messa a frugare nella spazzatura.»
«Ma che schifo!» urlo, inorridito. Dalla mia borsa tiro fuori un flacone di gel disinfettante e mi ci sfrego le mani fino all’anno prossimo.  
«E le è anche andata bene!» aggiunge Maxine, doppiamente inorridita, che prende un po’ del mio gel. «E a cosa ci serve un’inchiesta sulla mafia?»
«A tante cose! Non potevo mettermi a chiedere della Brigata o di Meteor City, avrei dato nell’occhio e ce li saremmo subito trovati tutti addosso. Non sono mica stupida!» spiega. In effetti il suo ragionamento ha senso, conta di trovare qualche indizio nell’inchiesta che ci porterà poi dove vogliamo. Non devono sapere che la Azur sia solamente il nostro punto di partenza. Graziina, poi, fa per mettere sul tavolo uno di quei fascicoli e io la fermo.
L’Escherichia coli sul tavolo, no.
 
Abbiamo il codice identificativo della Azur e quella vecchia inchiesta. A quest’ultima ci pensa Graziina (che non dovrà rimettere piede qui senza un certificato vaccinale), io mi limito a rintracciare l’amministratore di questa azienda fantasma. Trattandosi di un’azienda che non esiste più, almeno ufficialmente, dovrò cercare a fondo. Apro il motore di ricerca e inizio a fare un po’ di prove. Non trovando informazioni soddisfacenti, cerco l’archivio internet di questa zona e provo a svolgere diverse ricerche di pagine che non sono più online. Smanettando un po’, riesco a trovare dei contatti.
Vahn Girakuru, Shaina City.
«Permesso?» Qualcuno bussa alla mia porta. È Kurapika, si avvicina alla scrivania sorridendo e con sguardo amichevole. «Brutto momento?»
«Non ce n’è mai uno buono, non preoccuparti!» lo invito ad accomodarsi. In fondo, per qualche motivo sono felice di vederlo.
«Da quanto sei chiuso qui dentro?» mi domanda.
Faccio due conti. «Dall’ultima volta che ci siamo visti. Non tantissimo.»
«Dodici ore?» ribatte, stranito. Oddio, non pensavo fossero già le dieci di sera. «Avete già iniziato con la missione senza di me?»
«No, non è questo», rido. «Ci stiamo inoltrando verso le istanze preliminari. In sostanza, dobbiamo avere un caso che ci autorizzi a far partire la missione. Poi mandiamo tutto al procuratore, si iscrive il caso nel registro e poi il delirio. Mi sento male a pensare che questo non sia nemmeno l’inizio.»
«Posso darti una mano?»
Mi domando perché sia così gentile. In fondo, l’organizzazione lo paga a partire dal mese prossimo.
«Grazie, in effetti c’è qualcosa…» dico, invitandolo a venire dalla mia parte della scrivania.
«Non ringraziarmi, era ora che iniziassi effettivamente a lavorare», mi sorride.
Vabbè, tanto non lo pago io.
«Se ti do un nominativo, riesci a trovarmi un riscontro in qualche circuito?» gli chiedo, prima di passargli il foglietto. «Non so… clan, riciclaggio di denaro...»
«Da quando ti occupi di mafie?» mi domanda, stranito. Vorrei saperlo anche io.
«C’è il sospetto che la cellula terroristica che ha fatto fuori mio padre sia a stretto contatto con la mafia.»
Non voglio ancora introdurre a Kurapika l’argomento “Meteor City”. Sono sicurissimo che lui sappia un sacco di cose, ma non voglio bruciare tutte le tappe adesso.
L’hunter lascia l’ufficio portandosi via delle fotocopie. Quando quel plico di documenti esce dalla stanza, mi sento improvvisamente più tranquillo.
 
Due ore dopo, a mezzanotte, sono in camera d’albergo con le ragazze. Stiamo ancora lavorando.
«Mi ricorda i tempi dell’università», ride tra sé e sé Maxine. «Procedura penale.»
«Diritto comparato», si aggiunge Graziina, tenendo ancora il naso tra i documenti.
«Diritto amministrativo», dico io, finendo di trascrivere i verbali al computer. «Vi hanno detto nulla della base?»
«So solo che sarà nella periferia di York Shin City e hanno deciso di intitolarla a Richard Nixon», risponde distrattamente la rossa.
«Hanno intenzione di commettere un’effrazione, illeciti amministrativi e intercettazioni illegali per far saltare tutto?» domando, facendo il segno della croce.
«Che ci vuoi fare? Quando muori e passano decenni la gente ricorderà solo le cose belle di te» ironizza Graziina.
«E questa cos’è?» sbotta Maxine all’improvviso, tirando fuori un foglio che ho già visto prima. «Guardate!»
«È il rapporto delle autorità di Padokea, lo avevamo già visto in sede un anno fa!» le dico con fare confuso.
«Guardate questa lineetta in alto a destra» continua a insistere, sbattendomi il foglio davanti agli occhi.
«Macchie di toner?» biascico. In verità, non ci ho mai fatto caso.
«Una graffetta?» dice Graziina.
«Non c’è pagina due! Questo è stato archiviato come foglio unico!» fa notare ancora la rossa.
«Frena, frena, frena», le dico io, bloccando il suo entusiasmo con la mano. «Non saltiamo a conclusioni affrettate. Chi ci dice che non è un’altra trovata come il finto registro per depistarci?»
«Nessuno. Ma può essere utile per sollevare insinuazioni in tribunale. Ti ricordo che ci saranno dei giurati, puntiamo sul popolo.»
 
 
Non potevo privarmi di andare a vedere cosa vendono in queste famigerate aste. Per un momento ho pensato di risparmiarmi questa perdita di tempo ma, tranquillizzandomi con il pretesto di fare osservazioni da vicino (e quindi restare nel produttivo), mi sono convinto ad andarci.
«Quindi è qui che avete incontrato quei tizi», dice Maxine indicando l’ingresso dell’edificio. Da fuori è un enorme grattacielo, da dentro sembra un castello i cui ampissimi spazi mi mettono in soggezione.
«Esattamente, ogni volta qui fuori si raduna la peggio feccia. Non si può stare tranquilli», risponde Killua, guardandosi intorno.
La mostra della serata è alquanto interessante. Stando alla rivista letta stamattina, Ruki Hartur era una hunter molto ricca che, in tarda età e dopo una vita di duro lavoro, si sistemò in una casa di campagna contando sull’affetto dei suoi compagni che la andavano a trovare spesso. Un giorno, però, si ritrovò la serratura cambiata e un coltello in gola. Pensate che questa sia la parte peggiore? No, il momento più umiliante lo stiamo vivendo proprio adesso, davanti a tutti i suoi averi messi all’asta.
«Oh, mio Dio!» mi scappa un urlo quando scorgo una teca contenente un bracciale di oro bianco da 18 carati come non se ne trovano più, decorato con uno strano motivo, tipo tribale. Deve essere mio.
«Guarda quanto è grande quel diamante!» anche Graziina sembra aver perso la testa per un gioello. Peccato che quello sembri proprio un anello di fidanzamento, il che è molto triste.
«Un piccolo punto luce!» ironizza Maxine, indicando una collana con un enorme pendente di diamanti a forma di goccia.
«Quello è pacchiano!» ride Graziina, ricevendo uno sguardo di approvazione dal sottoscritto.
«Ehi ragazzi, che ne dite se partecipiamo all’asta?» chiedo ai due ragazzini rimasti in disparte.
«Mi sembra uno spreco di tempo e di denaro, ma può essere interessante!» dice Gon, mentre Killua si limita ad annuire.
 
Non c’è molta gente, ci sediamo alle prime file aspettando l’arrivo del nostro lotto. Anche Graziina si è convinta a fare shopping, puntando quello stupendo anello di prima.
“Lotto numero quarantacinque! Bracciale di oro bianco 18 carati che apparteneva all’hunter Ruki Hartur!” urla una voce metallica dagli amplificatori che per poco non mi fora un timpano.
Non me lo faccio dire due volte e alzo la paletta per offrire diecimila jeni (circa venti dollari, il tasso di conversione è molto favorevole).
«Chi offre di più? Ah! Siamo già a ventimila, qualcuno offre venticinquemila?» esclama il banditore dopo aver ricevuto un’altra offerta.
«Venticinquemila!» alzo il cartello, mentre altri numeri vengono urlati velocemente.
«Qualcuno offre trentamila? Perfetto, trentamila.»
Indispettito, mi guardo intorno per vedere in viso lo stronzo che cerca di soffiarmi il bracciale. Gli occhi si posano inevitabilmente su una donna che parla al telefono.
«Quella signora sta facendo offerte per qualcuno al telefono!» urla Gon, facendomi collegare subito che la mia avversaria sia proprio lei.
«Cosa? ma non è giusto! È legale una cosa simile?» sbotta Killua.
«Brutta stronza» mi limito a sbuffare.
«Qualcuno offre cinquantamila?» chiede nuovamente il banditore.
«Cinquanta cazzutissimi mila!» sbraito alzandomi in piedi, facendo ridere tutta la sala.
A quel punto, la signora chiude la telefonata e non sembra intenzionata a fare altre offerte. Ho vinto.
 
Dopo quell’interessante serata decidiamo di prendere un gelato tutti insieme. Maxine, come sempre, si allontana per fare interminabili telefonate. A me non succede mai, quando non lavoro chiudo tutte le linee ad eccezione della Linea Uno, quella per chiamate di massima priorità. I miei sottoposti sanno che utilizzarla per cose che non siano di assoluta emergenza provoca disastrose conseguenze, perciò mi lasciano tranquillo.
 

«Questo è il tuo ufficio?» mi chiede Killua, guardandosi intorno con fare schifato.
«Presto ne avremo uno vero. Questo fa schifo», rispondo distrattamente mentre sono al computer.
Gon e Killua volevano vedermi lavorare. O meglio, Gon ha insistito, Killua non voleva ma alla fine sono finiti entrambi qui per qualche ragione.
Improvvisamente, qualcuno apre furiosamente la porta sbattendola sul muro.
«Tradimento!» mi urla contro Maxine, spaventando persino i due hunter. «Mi serviva un fax importantissimo da Washington, ma, guarda un po’, ad Albany si è rotta la fotocopiatrice mentre cercavano di deviarmelo.»
Vi prego, no. Non di nuovo la storia della fotocopiatrice!
Jodie, la mia ex assistente, ha la sfortuna di far inceppare qualunque fotocopiatrice o stampante a cui metta mano. L’ultima volta si è fusa la scheda madre mentre cercava di inviarmi un reperto.
A quanto pare le risorse umane anziché licenziarla l’hanno affibbiata a Maxine. Dio ce ne liberi. Segue una guerriglia di urla e tentativi vani di calmarci, con Gon e Killua che assistono alla scena gustandosela fino all’ultima battuta.
«Mi spiace interrompere questo litigio… in realtà no», Graziina spinge Maxine dentro la stanza attirando l’attenzione su di sé e interrompendo tutto. «Hanno appena inviato il profiling di Vahn Girakuru.»
«Sì, perché a lei il fax funziona!» rincara la dose la rossa. Scelgo di ignorarla.
Ci spostiamo nella stanzetta delle conferenze (perché “sala conferenze” non la si può chiamare) e Graziina proietta il documento dove c’è tutto ciò che sappiamo di Vahn.
Vahn Girakuru, 25 anni. Ha a suo carico diverse denunce per molestie sessuali e una condanna per frode. Dei quattro anni di reclusione, ne ha scontato uno e mezzo per buona condotta, è uscito di prigione nel 2018 (due anni fa).
La foto mostrata risale all’arresto. È un uomo rachitico, occhialuto e dal viso lungo e a punta, ha i capelli spettinati che sono di colore verde petrolio, arruffati e privi di una qualsiasi forma.
«È brutto proprio», sottolinea Maxine.
«Il contratto con la Azur è stato siglato il 28 dicembre del 2018, sette mesi dopo che Vahn è uscito di prigione. Possibile che Huldrych non sapesse di essersi accordato con un criminale?» mi chiede Graziina.
«Mio padre era un criminale, ovvio che non gliene importava. Dovevano buttarli in gabbia entrambi e buttare la chiave», sbotto, attirando tutti gli sguardi su di me.
Dopo quella frase non dico più nulla e in sala cade il silenzio.
Qualche minuto dopo, tutto torna alla normalità: Maxine si attacca al telefono, Graziina legge le sue carte e Gon e Killua giocano e si punzecchiano tra loro.
A spezzare la tranquillità è una chiamata sulla Linea Uno, cioè la linea telefonica di massima priorità che mi collega direttamente con le autorità governative. Non può trattarsi di un mio sottoposto, sono tassativo sul fatto che non vada utilizzata se non per ragioni di estrema emergenza. Quando tiro fuori il cellulare, sul display esce il nome “Ufficio del Procuratore”, ma io so benissimo di chi si tratta.
«Ciao Tinì. Sono già seduto», dico con fare pragmatico, mettendomi una mano sulla testa per prepararmi al peggio.
«Tinì??» sussurrano le ragazze all’unisono, unendosi alla mia preoccupazione.
«Chi diavolo è Tinì?» borbotta Killua.
«Per prima cosa non allarmatevi. Non ce n’è bisogno.»
«Mi telefoni sulla Linea Uno e la prima cosa che dici è “non allarmatevi”?» alzo involontariamente la voce. Subito mi ricordo che questa telefonata è registrata e che potrebbe essere intercettata dalla Casa Bianca in questo esatto momento; perciò, cerco di mantenere un certo decoro.
«Porto segnalazioni. Sto venendo lì di persona, non è sicuro parlare su questa linea da un telefono mobile.»
Annuisco. Questa è una supercazzola: non c’è alcun rischio di intercettazioni nemiche legato all’utilizzare un dispositivo mobile. La Linea Uno è super controllata e, al netto della Casa Bianca e dell’ufficio del procuratore, nessuno può intercettare. Perciò, il vero motivo per cui Tinì non sta parlando è che non vuole informare il coroner (o la Casa Bianca) di ciò che sta facendo.
Il che mi sta spaventando ancora di più. “Porto segnalazioni” è un’altra frase vuota, vuol dire che c’è qualcosa di grosso che sta bollendo ma non si vuole usare un linguaggio che desti troppo scalpore.
«Che ne dite di fare un riassunto?» chiede Killua, infastidito dall’essere tagliato fuori tutto questo.
«Inizio io: stiamo cercando di riaprire il caso contro la Azur Corporation. In questo momento stiamo cercando di costruire un caso solido così da poter sporgere regolarmente denuncia», dice Maxine.
«Ma…» prende subito parola Graziina «tra soli quattro giorni abbiamo l’arbitrato con il signor Netero per avere il nostro statuto ad hoc.»
«E finché non avremo quello statuto la prendiamo sonoramente in culo!» concludo snervato, per nulla in vena di scherzare. «Il punto è che dobbiamo costruire qualcosa di consistente. Finora abbiamo solo il nome del titolare della Azur e il fatto che la polizia locale abbia occultato delle prove.»
Anche questa volta, su Meteor City non fiatiamo.
E se la segnalazione di Tinì riguardasse quello? Oh no!
   
 
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