«Non
vincerete mai, Ladybug, Chat
Noir!» la voce imperiosa e malefica di Monarch risuonava per
le strade di
Parigi come una minaccia fatta d’ombre. Sembrava di
percepirla da ogni mattone,
da ogni piastrella, da ogni fessura. «Non importa che tu
abbia recuperato i
Miraculous, sarai sempre e solo una ragazzina spaventata che si
nasconde dietro
una maschera!»
L’aria
era carica di disperazione, di
angoscia, di rassegnazione, e dopo quella frase avrebbe dovuto sentirsi
demoralizzata.
In passato sarebbe successo.
Ma ora non
più.
Lei che portava
con sé, addosso e nel
cuore, tutto ciò che era la fortuna, la creazione, la
speranza per la sua città
natale. Anche se
Chat Noir era al suo
fianco, ferito e stanco, sapeva che insieme non si sarebbero mai
arresi,
neanche davanti alla più insormontabile delle
difficoltà.
Erano
più forti, insieme.
Alzò
lo sguardo, cercando con i suoi
occhi blu il volto di akuma del loro nemico giurato. Non riusciva a non
guardarlo con disprezzo: a causa sua, Parigi era per metà
distrutta. Cadaveri di
case si reggevano per chissà quale legge della fisica, ed il
suo cuore si
strinse nel notare le macerie che affollavano le strade come persone
entusiaste
di assistere ad uno scontro mortale. Quello contro Monarch lo era.
Si
alzò in piedi, eretta davanti a
quel mostro senza un cuore. Lo yo-yo girava furioso grazie agli scatti
del
polso, e la giovane prese un bel respiro prima di dargli la risposta
che non
solo l’eroina che era ma anche la Marinette fragile e persa
che era stata stava
cercando per se stessa.
Avrebbe compiuto
un salto nel vuoto,
il più grande dei rischi -se le sue previsioni fossero state
corrette-, ma
doveva farlo.
Per guadagnare
la fiducia di chi la
sosteneva.
Per salvare
tutti.
Per vedere negli
occhi di chi l’amava
l’orgoglio.
«Non
ti sbagli, Monarch.» la voce
limpida di Ladybug quietò ogni rumore, anche quello
più indistinguibile all’orecchio
umano. Il caos ed il fuoco regnavano, ma lei non se ne curò.
Sentiva su di sé gli
occhi felini del suo partner, ma andò avanti a parlare,
anche se avvertiva già
un groppo in gola. «Sono una ragazzina, ed ho paura. Sono
tremendamente
spaventata, ed ho paura di non riuscire a salvare nessuno. Ma se la
vecchia me
avrebbe chinato la testa ed accettato la sconfitta, io non lo
farò, non più. Ho
smesso di sottostare a chi sa usare il potere solo per fare del male, e
se
sconfiggerti significa dare tutta me stessa nell’ultima
battaglia… beh, e così
sia.» lanciò il suo Miraculous Ladybug, e tutta la
sua amata città -quella che
lei aveva giurato di proteggere- tornò quella di sempre.
I suoi occhi blu
poi si concentrarono
su Chat Noir, il quale la osservava con un leggero sorriso sul volto.
Era fiero
di lei, lo vedeva e lo capiva persino lei, e quello le diede la forza
di continuare.
«Una volta qualcuno mi disse che, senza di me, Ladybug non
potrebbe esistere. E
finchè nel mio cuore ci sarà più amore
che paura, non ho bisogno di una
maschera per essere chi sono già.»
Chiuse il cielo
delle sue iridi, e
sussurrò: «Tikki, ritrasformarmi.»
Ladybug
scomparve, ma lei avvertì la trasformazione
come a rallentatore. Ogni centimetro di tessuto rosso e nero
svelò il volto di
chi si celava sotto la maschera rossa a pois, ma senza la tuta ed il
suo yo-yo,
Marinette si sentì Ladybug più che mai.
Perché
lei era Ladybug, e lo sarebbe
stata anche dopo la fine di quella battaglia.
«Non
saremo noi a perdere, Monarch. E sai
perché?» la giovane eroina si rivolse nuovamente
contro di lui. «Perché non
possiedi l’amore, ne lo provi per qualcuno al di fuori di te
stesso. Per questo
non vincerai mai contro me e Chat Noir: perchè anche se ci
lanciassi addosso
tutte le tue akuma, dalla nostra parte ci sarà
l’amore di chi amiamo e ci
ricambia a sostenerci.»
Sentiva le
guance rosse, e che fosse per lo sforzo di urlare o per la sensazione
degli
occhi dell’eroe vestito di latex nero, non ne aveva idea. Ma
quando tornò a
ricambiare le attenzioni, lo trovò a bocca aperta, le gote
deliziosamente
arrossate. Avvertì il fruscio delle ali delle farfalle, e,
quando il sole tornò
a splendere su di loro capì che, per un po’,
Monarch sarebbe stato fuori dal
loro radar. Comprensibile: avrebbe dovuto rivedere i suoi piani, avendo
perduto
i quindici Miraculous che le aveva sottratto tempo prima.
Ed anche
loro.
Marinette
fece per parlare, non sapendo bene cosa dire, ma Chat Noir la
bloccò. «Forse
è meglio che per ora tu non mi dica
niente.» sbottò, provocandole un battito mancato.
«Permettimi di riflettere da
solo, milady.»
«Ma
certo.» e in piedi sul
tetto Marinette lo
guardò andarsene.
۞
Quello che
era stato il resto della giornata, lei lo aveva vissuto caoticamente.
Quando era
tornata a casa, i suoi genitori l’avevano tartassata di
domande, preoccupati
che lei avesse rischiato la vita così tanto spesso ed allo
stesso tempo
emozionati ed orgogliosi di lei. Dopo di che, aveva dovuto nascondersi
in camera
sua a causa dei giornalisti e le migliaia di persone che erano entrate
in
negozio per vedere lei. Sin dall’inizio aveva preso coscienza
di ogni rischio
che avrebbe corso rivelando la sua identità, ma sperava che
le avrebbero
lasciato il tempo per respirare.
Poi, i messaggi
dei suoi amici che le avevano quasi fatto esplodere il telefono. Per
non
parlare dei telegiornali: non c’era notiziario che
tappezzasse ogni pixel dello
schermo con le sue foto, da Marinette e da Ladybug.
Sospirò,
stanca, mentre si lasciava andare contro lo schienale della sedia.
«Sei
stata davvero coraggiosa a fare
una cosa del genere, Marinette.» la consolò Tikki,
facendola sorridere. «Anche
se estremamente imprudente e pericolosa.»
«Lo
so, ma è stato giusto così, Tikki.»
le sorrise, anche se debolmente. «Io e Chat Noir abbiamo
sempre detto che
chiunque avrebbe potuto lottare. Quella di oggi è stata per
tutti la
dimostrazione che la Ladybug che amano tanto è una ragazza
normale con una vita
normale come tutti. Serviva per dare speranza.»
«E
cosa c’è che ti preoccupa?» il
kwami della creazione si preoccupò quando lei
lanciò un’occhiata angosciata al
telefono. «L’attacco mediatico e psicologico che
hai subito fino ad adesso non
sembrava toccarti minimamente, adesso hai un’espressione
così addolorata.»
«Adrien.»
sospirò Marinette, la voce
spezzata. «Ho aspettato così tanto a lungo per
poter stare con lui, per saperlo
finalmente innamorato di me. Ed ora non vorrà avere niente a
che fare con me.»
«E
perché mai? Lui ti ama!»
«Gli
ho mentito, Tikki. E lui odia i
bugiardi.»
«Anche
se fosse, penso che ti capirebbe.
Adrien è molto comprensivo, di sicuro non te ne farebbe una
colpa. Secondo me
ti stai facendo annebbiare dalle tue paure da non riuscire a prendere
la
situazione per come è: il tuo ragazzo starà
assimilando la verità e vorrà
aspettare il momento giusto per parlartene.»
«Si,
ma-»
Un ticchettio
insistente attirò la loro attenzione. Marinette
alzò la testa verso la finestra
che dava sul suo balcone, e vide una mano guantata di nero ferma in
aria.
Chat Noir.
Cavolo!
«Tikki,
nasconditi.»sussurrò al suo
kwami, prima di raggiungere il partner.
Nel momento
esatto in cui accostò la
finestra, tra di loro calò un silenzio raggelante. Di Chat
Noir vedeva solo la
schiena muscolosa e la coda afflosciata che gli correva lungo le gambe
snelle
ma possenti. Le dava le spalle, e ciò la gettava in uno
stato di confusione e
di orrore.
Come avrebbe
reagito? Si sarebbe
sentito deluso, o tradito? Lei si sarebbe sentita così.
Oppure… cosa gli
avrebbe dovuto dire? “Mi dispiace di essere io
Ladybug”? Le avrebbe consegnato
il Miraculous perché non voleva più lavorare con
una bugiarda?
«Ladybug…»
la voce del compagno era
seria come mai lo era stata. Si voltò verso di lei, gli
occhi verdi brillanti. «O
dovrei chiamarti Marinette?»
«Preferirei
milady, lo trovo un
soprannome purr-fetto.» tentò di scherzare, ma non
ebbe l’effetto che sperava. Sconsolata,
abbassò la testa. «Senti, Chat Noir, so che non
sono chi ti aspettavi che
fossi, e mi dispiace che tu l’abbia scoperto
così…»
«No,
Marinette, non è così.»
«Ed
allora, come è?»
«Il
problema sono io, Milady. Mi sento
così stupido a non aver notato le somiglianze, a non esserci
arrivato prima. Era
così evidente, eppure sono stato cieco per non arrivarci
prima.» le sorrise,
avvicinandosi. «Ti ho definita “la Ladybug di tutti
i giorni”, e non poteva
esserci definizione migliore per l’eroina che sei sempre
stata.»
«Ma
quella frase non me l’hai detta
tu, Chat Noir.» gli fece notare l’eroina della
creazione, le sopracciglia
aggrottate. I dubbi vennero a galla, ma lei si sforzò di
zittirli.
«Ma il
vero me, sì.»
La
realizzazione, la coscienza e la
verità gravò sul suo petto fino a schiacciarle il
cuore, mentre lo guardava
ritrasformarsi e dare a Plagg un pezzetto di camembert.
Il suo ragazzo,
Adrien, era Chat Noir.
«Adesso
sei tu quella delusa.» l’affermazione
di lui le diede la scossa, e lei si sbrigò a negare le sue
parole.
«No,
non lo sono e non lo sarei mai di
te. Ma siamo due stupidi, quello sì.» Marinette
gli sorrise e lo abbracciò,
venendo subito ricambiata dalle sue braccia forti e decise.
«Lo sai che sapere
entrambe le identità ci metterà anche
più nei guai?»
«Si,
ma noi siamo sempre stati molto
bravi a uscirne.»